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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 24 febbraio 2025
Diritto della concorrenza - Italia / Accesso civico e documenti interni all’AGCM – Il Consiglio di Stato condanna l’AGCM all’ostensione del massimario aggiornato della giurisprudenza in materia di diritto della concorrenza e tutela del consumatore
Con la sentenza dello scorso 19 febbraio 2025, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto l’appello avverso la decisione del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR Lazio) che, confermando quanto deciso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), aveva ritenuto legittimo il rigetto dell’istanza di accesso civico generalizzato ex art. 5 del d. lgs. 33/2013 al massimario sistematico della giurisprudenza amministrativa in materia di concorrenza e di tutela del consumatore conservato dall’AGCM (il Massimario).
Ripercorrendo brevemente i fatti, nel mese di aprile del 2024 degli avvocati che, nell’esercizio della loro professione, si occupano del contenzioso relativo agli atti dell’AGCM, avevano proposto istanza di accesso civico generalizzato al Massimario. A seguito del rigetto dell’AGCM, i richiedenti proponevano ricorso al TAR Lazio, il quale rigettava l’impugnazione ritenendo che il Massimario non costituisca un documento amministrativo e di conseguenza non sia assoggettato alle norme sull’accesso civico ex art. 5 del d. lgs. 33/2013, costituendo invece un mero “interna corporis” dell’AGCM, in quanto tale non idoneo a produrre alcun effetto all’esterno, non potendo confluire in un provvedimento amministrativo.
Con la sentenza in commento, il CdS ha accolto il successivo appello proposto dai ricorrenti, ritenendo – contrariamente a quanto sostenuto dal TAR Lazio – che il Massimario costituisca un documento amministrativo ai sensi dell’articolo 22 della legge 241/1990, pertanto soggetto alle norme sull’accesso civico summenzionate. Nello specifico il CdS ha evidenziato che:
- la definizione di documento amministrativo ai sensi dell’art. 22 della legge 241/1990 ricomprende “…ogni rappresentazione […] del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse…”. Tale definizione non escluderebbe raccolte di dati come il Massimario;
- il diritto di ottenere accesso civico al Massimario non dipenderebbe da un interesse privato dei ricorrenti, come sostenuto dall’AGCM, ma discenderebbe dal più generale diritto individuale alla conoscenza (c.d. right to know); e
- l’ostensione del documento sarebbe giustificata da un generale interesse pubblico ad effettuare un controllo diffuso sull’attività dell’AGCM, nonché promuovere la conoscenza dell’attività medesima, anche sollecitando il dibattito pubblico e l’interesse di accademici e tecnici.
Inoltre, il CdS ha specificato che il Massimario costituisce a tutti gli effetti un documento frutto dell’attività amministrativa dell’AGCM, in quanto è nell’esercizio di tale attività che l’AGCM si è ritrovata parte dei procedimenti sottostanti annotati nel Massimario. In altre parole, il Massimario non costituirebbe un documento meramente interno, ma è idoneo invece a integrare l’attività affidata all’AGCM dal legislatore, ossia la tutela del corretto funzionamento dei mercati.
In conclusione, il CdS ha accolto l’appello e condannato l’AGCM all’ostensione dell’ultima versione del Massimario a mezzo di pubblicazione sul sito istituzionale, entro il termine di 90 giorni.
La vicenda, oltre a fornire un interessante chiarimento su quali documenti siano ostensibili ai sensi dell’art. 5 del d. lgs. 33/2013, qualifica “la promozione della conoscenza e del dibattito pubblico” come interesse pubblico generale idoneo a giustificare l’ostensione di documenti tradizionalmente considerati meri strumenti di lavoro. Sarà quindi interessante vedere se la sentenza in commento avrà un impatto rispetto agli altri documenti di lavoro delle autorità indipendenti.
Irene Indino
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Abusi e settore calcistico – Il TAR Lazio ha annullato la sanzione imposta dall’AGCM alla FIGC per abuso di posizione dominante
Con la sentenza del 17 febbraio 2025, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha annullato la decisione del 18 giugno 2024 (la Decisione, già oggetto di commento in questa Newsletter) con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva imposto alla Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) una sanzione di 4,2 milioni di euro per abuso di posizione dominante.
L’AGCM aveva sanzionato la FIGC per aver abusato, a partire dalla stagione 2015/2016, della propria posizione dominante nel mercato delle competizioni calcistiche giovanili agonistiche, utilizzando in modo illegittimo il potere regolatorio che le era stato conferito dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) per estendere tale posizione dominante anche ai tornei ludico-amatoriali.
Secondo l’AGCM, la FIGC avrebbe limitato l’attività degli enti di promozione sportiva (EPS) nelle competizioni amatoriali, classificando come agonistica l’attività svolta dagli EPS con calciatori tra i 12 e i 17 anni, basandosi esclusivamente sull’età e non su criteri prestazionali oggettivi. Inoltre, la FIGC avrebbe imposto il convenzionamento tra la FIGC e gli EPS per la partecipazione delle Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) affiliate alla FIGC ad eventi giovanili a carattere ludico-amatoriale organizzati dagli EPS, richiedendo, a partire dalla stagione 2022/2023, una autorizzazione preventiva per i tornei a rapido svolgimento.
Il TAR Lazio ha ritenuto errata la valutazione dell’AGCM. In primo luogo, ha sottolineato come nessuna ASD affiliata avesse impugnato i comunicati ufficiali della FIGC che nel corso degli anni si sono espressi sulla partecipazione ad attività organizzate dagli EPS stessi da parte delle società affiliate alla FIGC. Ciò, unitamente alla “…singolare tempistica del contraddittorio tra le parti […] contrappuntato da lunghi periodi di stasi reciproca, ed all’esistenza di complessi profili di regolazione di carattere sostanziale, e non solo procedurale…”, ha portato il TAR Lazio a escludere l’intenzionalità dell’operato “ostruzionistico e/o dilatorio da parte della FIGC”.
Inoltre, i giudici si sono concentrati sulla definizione di “attività agonistica”, accogliendo l’interpretazione della FIGC, che ha evidenziato l’importanza del legame tra agonismo e certificazioni sanitarie. L’obbligo di certificazione medica, già previsto dalla legge 1055/1950, si è successivamente consolidato con la legge 91/1981 e il D.L. 663/1979, che delegavano alle federazioni sportive nazionali e al CONI l’individuazione dei criteri per i controlli sanitari. Il TAR Lazio ha inoltre osservato che Ministero della salute ha approvato le tabelle per l’età minima di accesso all’attività sportiva agonistica che stabiliscono che per il calcio tale età è di 12 anni. In considerazione di tali norme, il TAR Lazio ha ritenuto infondata l’ipotesi che la ricorrente avesse cercato di dilatare l’area anagrafica al fine di limitare le prerogative degli EPS, ferma restando l’assenza di “…alternative, sempre enucleabili in futuro, ma oggi profilabili in linea puramente teorica – a definizioni di matrice concettuale su cosa si debba intendere per attività agonistica…”.
Il TAR Lazio ha quindi concluso che l’AGCM avesse errato nel ritenere che la definizione dell’attività agonistica basata esclusivamente sull’età e non su criteri prestazionali oggettivi fosse stata strumentale a influire sul mercato della libera organizzazione di eventi sportivi, creando un’ingiustificata barriera all’ingresso. Su tali basi, il TAR Lazio ha annullato la Decisione, ritenendo che il contesto in esame differisse in maniera significativa da quanto oggetto delle recenti pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione europea C-124/21 P (International Skating Union) e C-333/21 (Superleague) in quanto “…i compiti e le prerogative di FIGC vanno inquadrate in un contesto che […] deve evitare forme di incertezza regolatoria sui limiti dell’attività dilettantistica (non agonistica) e, soprattutto, sulla tutela dei giovani atleti…”.
Resta da vedere quale sarà l’esito di una possibile impugnazione da parte dell’AGCM al Consiglio di Stato che appare probabile vista la peculiarità del ragionamento del TAR Lazio, focalizzatosi sull’inesistenza di una intenzionalità abusiva, elemento normalmente non ritenuto necessario per la sussistenza di una violazione dell’art. 102 TFUE o dell’art. 3 legge 287/1990.
Valentina Veneziane
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Tutela del Consumatore / Pratiche commerciali ingannevoli e settore della pay TV – Il TAR Lazio ha annullato il provvedimento con cui l’AGCM aveva sanzionato Sky
Con la sentenza del 17 febbraio 2025, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR Lazio) ha annullato la decisione con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva sanzionato Sky per 1 milione di euro nella vicenda relativa ai diritti televisivi sulla Serie A 2021-2022.
La vicenda prende le mosse dall’aggiudicazione da parte di Dazn di due dei tre pacchetti di diritti alla diffusione televisiva delle partite del campionato di calcio di Seria A, di cui 7 partite in esclusiva e 3 in co-esclusiva. Si prospettava quindi, per il 2021-2022, una riduzione del numero di partite di Serie A disponibili su Sky rispetto all’anno precedente. Durante i primi giorni di maggio 2021, Sky aveva quindi segnalato sul proprio sito web la situazione di “incertezza”, assicurando ai propri clienti la fruizione a costo zero della componente “calcio” della propria offerta televisiva, almeno fino all’inizio del nuovo campionato.
Il 14 maggio 2021, Sky risultava aggiudicataria del terzo pacchetto di diritti televisivi, equivalente a tre delle dieci partite settimanali (rispetto alle sette dell’anno precedente) in co-esclusiva con DAZN. Ciò veniva rappresentato ai clienti, in una comunicazione con la quale Sky ribadiva che – nel permanere della situazione d’incertezza – essi avrebbero potuto esercitare il recesso dalla componente “calcio” in qualsiasi momento. A seguito di ripetute segnalazioni da parte di Tim, l’AGCM avviava un’istruttoria per pubblicità ingannevole.
Nelle more dell’istruttoria si verificavano due circostanze. Il 9 giugno 2021, Sky riceveva da Dazn il diniego definitivo alla condivisione dei diritti televisivi che quest’ultima si era aggiudicata con i primi due pacchetti. Sky avvisava quindi a stretto giro i propri clienti che la situazione si era cristallizzata, che Sky sarebbe stata in grado di offrire solo tre partite settimanali e che essi avrebbero fruito gratuitamente della componente “calcio” fino all'inizio del campionato, potendo comunque recedere gratuitamente in qualsiasi momento.
L’AGCM sanzionava Sky sulla base delle seguenti considerazioni: (i) Sky avrebbe saputo che non sarebbe stata in grado di offrire le classiche sette partite fin dal 26 marzo 2021, ossia da quando i primi due pacchetti erano stati assegnati dalla Lega Nazionale Professionisti a Dazn a seguito dell’esperimento della relativa gara; (ii) il paventare, da parte di Sky, una situazione di fittizia incertezza sarebbe stato unicamente funzionale a ingannare i consumatori, per trattenerli come clienti; (iii) a riprova di ciò, Sky avrebbe cessato d’operare scorrettamente solo a seguito dell’avvio dell’istruttoria dell’AGCM.
Sky, nel ricorso al TAR Lazio, ha invece sostenuto: (i) di aver saputo solo il 9 giugno 2021 che non sarebbe stata in grado di offrire più di tre partite a settimana, ossia dal momento in cui Dazn si era rifiutata di condividere i suoi diritti televisivi; (ii) che, anche escludendo tale eventualità, comunque l’incertezza sarebbe rimasta almeno fino al 14 maggio; infatti, il decreto Melandri proibisce l’aggiudicazione dei diritti televisivi sportivi a un’unica impresa e pertanto – fino a quando Sky non era risultata aggiudicataria del terzo pacchetto – la decisione con cui i diritti televisivi erano stati assegnati a Dazn avrebbe potuto essere annullata; (iii) che, considerando globalmente le comunicazioni commerciali di Sky, non sussisterebbero profili di criticità; e, infine, (iv) d’aver comunque sempre garantito ai propri clienti il diritto di recedere gratuitamente dalla componente “calcio”, goduta in ogni caso gratuitamente da essi fino all’inizio del nuovo campionato.
Il TAR Lazio ha accolto integralmente le argomentazioni di Sky, precisando d’aver ritenuto “suggestiva ma non decisiva” l’argomentazione dell’AGCM relativa al mutamento della condotta di Sky solo dopo l’avvio dell'istruttoria. Il TAR Lazio ha inoltre aggiunto che – anche ipotizzando di dover escludere il permanere della situazione d’incertezza dal 14 maggio in poi (anziché dal 9 giugno) – comunque, nei “pochi giorni” intercorsi fra il 14 maggio e il 23 giugno, Sky si sarebbe adoperata per mantenere costantemente aggiornati i propri clienti, peraltro garantendo loro a costo zero il diritto di scegliere se mantenere attiva la componente “calcio” o meno. Il TAR Lazio ha quindi annullato la delibera dell’AGCM.
La sentenza in commento rammenta come non possano non essere ritenuti ingannevoli i comportamenti delle imprese che adottano strategie commerciali volte a trattenere la propria clientela, se basate sul principio della trasparenza e della correttezza informativa. D’altronde, è altrettanto vero che l’ingannevolezza o meno di una condotta non è sempre immediatamente accertabile, come dimostra la radicale distanza fra la ricostruzione operata dall’AGCM e quella del TAR Lazio, che non ha esitato ad addentrarsi nei dettagli fattuali della vicenda, forse non prestando sufficiente attenzione a un aspetto rilevante, ossia che l’incertezza di cui si avvantaggia l’argomentazione di Sky avrebbe potuto essere ricostruita come un’incertezza “artificiale” in quanto derivante da azioni giudiziali promosse della stessa Sky proprio a tale fine. Resta da vedere quale sarà l’esito di una possibile impugnativa da parte dell’AGCM al Consiglio di Stato e come quest’ultimo valuterà l’esistenza di un’incertezza genuina alla base delle condotte adottate da Sky.
Riccardo Ciani
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Pratiche commerciali scorrette e settore turistico – Il TAR Lazio ha annullato un provvedimento di archiviazione dell’AGCM relativo all’uso dei termini “terme” e “spa”
Con la sentenza del 17 febbraio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio), ha accolto il ricorso di Terme e Grandi Alberghi di Sirmione spa (la Ricorrente) avverso il provvedimento di archiviazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) riguardante la segnalazione presentata dalla Ricorrente contro QC Terme S.r.l. (QC Terme) per pubblicità ingannevole e pratiche commerciali scorrette.
Nel gennaio 2023, la Ricorrente aveva effettuato una segnalazione riguardante una presunta pratica commerciale scorretta e/o una pubblicità ingannevole o illecita da parte di QC Terme, successivamente integrata dall’associazione Federterme. La segnalazione riguardava l’uso ingannevole e illegittimo dei termini “Terme” (e suoi derivati) e “Spa” per indicare strutture prive di acqua termale. In particolare, veniva contestata sia la denominazione di tali strutture come “terme”, sia le comunicazioni commerciali diffuse sul sito web di QC Terme, che non rendevano chiara ai consumatori la distinzione tra centri benessere e centri termali.
Nel settembre 2023, l’AGCM aveva archiviato la segnalazione, ritenendo che non ci fossero elementi sufficienti per un procedimento istruttorio. Nello specifico, l’AGCM sosteneva che la struttura QC Termegarda fosse pubblicizzata nella sezione del sito web dedicata ai “centri benessere”, distinta da quella riservata ai “centri termali”, così come le altre strutture QC Terme prive di acqua termale. Inoltre, non veniva fatta menzione di acqua o cure termali.
La Ricorrente impugnava il provvedimento di archiviazione, sostenendo che l’AGCM non avesse svolto alcuna attività preistruttoria né considerato adeguatamente che l’uso del termine “terme” fosse sufficiente a ingenerare confusione nei consumatori. Inoltre, l’AGCM si era limitata a valutare la sola struttura QC Termegarda, senza prendere in considerazione l’uso improprio del termine “terme” su tutti i siti gestiti da QC Terme.
Con la sentenza oggetto del presente commento, il TAR Lazio ha accolto il ricorso, sottolineando che, sebbene l’AGCM abbia discrezionalità nell’avviare o meno un’istruttoria, è comunque tenuta ad esaminare gli elementi essenziali dei temi posti alla sua attenzione.
Nel caso specifico, l’AGCM non aveva svolto un’istruttoria adeguata. Un aspetto non analizzato era l’utilizzo del termine “terme” già nella denominazione delle strutture. Infatti, secondo le disposizioni in materia di riordino del settore termale contenute nella legge 323/2000, “terme” e “spa” possono essere utilizzati solo per stabilimenti in cui è possibile effettuare cure con utilizzo di “acque termali aventi riconosciuta efficacia terapeutica”.
Pertanto, l’AGCM avrebbe dovuto valutare se l’uso del termine fosse sufficiente ad ingenerare confusione nel consumatore, che avrebbe potuto erroneamente convincersi di trovarsi di fronte a un centro termale, anziché a un semplice centro benessere. Secondo il TAR Lazio, l’espediente di congiungere la parola “terme” alla denominazione del luogo è volto ad aggirare le disposizioni normative di cui sopra, consentendo nell’immaginario del consumatore di ricollegare il concetto di terme tradizionali alla struttura QC Terme menzionata.
Avendo omesso tale valutazione, che rappresentava un aspetto essenziale della pratica commerciale segnalata, l’AGCM ha mostrato un deficit motivazionale e istruttorio. Per questo motivo, il TAR Lazio ha annullato il provvedimento di archiviazione.
Federica Antoniani
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Appalti, concessioni e regolazione / Concessioni demaniali marittime – Il Tar Liguria disapplica la norma che aveva differito al 30 settembre 2027 il termine finale di durata dei titoli concessori
Con sentenza del 19 febbraio 2025, il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (TAR Liguria) ha aggiunto un nuovo capitolo all’annosa saga dell’applicazione della Direttiva Bolkestein alle concessioni demaniali marittime. La sentenza respinge il ricorso con cui tre operatori economici, titolari di concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo più volte prorogate ex lege, avevano impugnato la delibera del Comune di Zoagli (il Comune) che disponeva di bandire le gare per l’assegnazione delle nuove concessioni.
Come noto, recependo le sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 17 e 18 del 2021, la legge annuale per il mercato e per la concorrenza per il 2021 aveva in un primo momento stabilito al 31 dicembre 2023 il termine finale di efficacia delle concessioni demaniali marittime.
Sennonché, già con il Decreto Milleproroghe del 2022, la scadenza era stata posticipata di un anno al 31 dicembre 2024: una disposizione ampiamente disapplicata dalla giurisprudenza amministrativa proprio per contrasto con la Direttiva Bolkestein.
Nel 2024, con il D.L. 131/2024, a seguito di un’intesa (l’Accordo) tra il Governo italiano e la Commissione europea (la Commissione), la validità delle concessioni è stata estesa fino al 30 settembre 2027, con l’obbligo di avviare le gare entro il giugno 2027 e fissando la durata delle nuove concessioni da un minimo di 5 a un massimo di 20 anni.
Come annunciato dal comunicato stampa del Consiglio dei Ministri del 4 settembre 2024: “con particolare riferimento alla procedura di infrazione sulle concessioni balneari, la collaborazione tra Roma e Bruxelles ha consentito di trovare un punto di equilibrio tra la necessità di aprire il mercato delle concessioni e l’opportunità di tutelare le legittime aspettative degli attuali concessionari, permettendo di concludere un’annosa e complessa questione di particolare rilievo per la nostra Nazione”.
In tale contesto, il TAR Liguria ha osservato che non vi è evidenza scritta di tale Accordo, invocato dai ricorrenti a tutela delle proprie ragioni e, comunque, l’Accordo contrasterebbe con quanto osservato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) circa l’incompatibilità con il diritto europeo di un meccanismo di rinnovo automatico delle concessioni demaniali. In particolare, il TAR Liguria ha richiamato le decisioni della CGUE nelle cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa e Melis, e nella causa C-348/22, Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Secondo il TAR Liguria, la Commissione non può infatti usurpare il ruolo nomofilattico che spetta alla CGUE in via esclusiva.
Pertanto, poiché la scadenza dei titoli concessori deve ritenersi fissata al 31 dicembre 2023, il provvedimento con cui il Comune ha disposto di dare corso alle procedure di evidenza pubblica per le nuove assegnazione deve ritenersi pienamente legittimo.
Niccolò Ferracuti
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