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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 17 febbraio 2025

Diritto della concorrenza - Europa / Abuso di posizione dominante e settore della birra – La CGUE si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale in materia di giurisdizione in casi di responsabilità solidale tra società madri e figlie

Lo scorso 13 febbraio la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale presentato dalla Corte Suprema dei Paesi Bassi (il Giudice del rinvio) in merito alla giurisdizione del giudice nazionale in casi di responsabilità solidale per illeciti antitrust.

La vicenda ha origine nel 2014, quando l’Epitropi Antagonismou (la Commissione per la concorrenza greca) aveva sanzionato la Athenian Brewery SA (la Società Figlia) – attiva nella produzione e vendita di birra nel territorio greco – per un abuso di posizione dominante. Nel medesimo periodo, sebbene il capitale della stessa era detenuto per il 98,8% dalla società Heineken NV (la Società Madre), quest’ultima non era stata inclusa tra i destinatari della decisione.

La società concorrente nel mercato greco, Macedonian Thrace Brewery SA (Macedonian), aveva proposto una domanda volta ad ottenere la responsabilità solidale della Società Madre e Figlia dinnanzi al Rechtbank Amsterdam (il Tribunale di Amsterdam), facendo valere la giurisdizione del giudice olandese, ossia del giudice del domicilio della Società Madre. Il Tribunale di Amsterdam si è dichiarato competente a conoscere le domande rivolte contro la Società Madre, declinando però la propria competenza nei confronti della Società Figlia in assenza di un “collegamento stretto” tra le domande intentate contro le due società ai sensi dell’articolo 8 (1) del Regolamento UE 1215/2012, i.e. cd Bruxelles I (il Regolamento). Tale articolo prevede che “….[u]na persona domiciliata in uno Stato membro può inoltre essere convenuta, […] in caso di pluralità di convenuti, davanti all’autorità giurisdizionale del luogo in cui uno di essi è domiciliato, sempre che tra le domande esista un collegamento così stretto da rendere opportuna una trattazione unica e una decisione unica onde evitare il rischio di giungere a decisioni incompatibili derivanti da una trattazione separata”.

In seguito all’annullamento della decisione del Tribunale di Amsterdam da parte del Gerechtshof Amsterdam (la Corte d’Appello di Amsterdam), il quale ha ritenuto che le società si trovassero nella stessa situazione di fatto e non fosse da escludere la riconduzione ad un’unica impresa, la Società Madre e la Società Figlia proponevano ricorso al Giudice del rinvio il quale, sospeso il giudizio, ha disposto un rinvio alla CGUE.

La questione pregiudiziale è volta a verificare se il giudice del domicilio della società madre, nel valutare la propria giurisdizione, debba presumere l’influenza determinante della società madre sulla società figlia, come avviene nel diritto della concorrenza, per stabilire se esista un collegamento stretto tra le domande ai sensi dell’articolo 8 (1) del Regolamento.

In primis, la CGUE ha rimarcato la finalità insita nell’articolo 8 (1) del Regolamento e richiamata – come appena visto – nella previsione stessa, ossia di prevenire il rischio di giungere a decisioni incompatibili qualora cause tra di loro collegate siano decise separatamente.

Successivamente la CGUE, richiamandosi alla propria giurisprudenza, ha riconosciuto la giurisdizione del giudice del domicilio della società madre in casi di responsabilità solidale per infrazioni delle regole della concorrenza commesse dalla società figlia: tale competenza si basa sulla presunzione che, quando una società madre detiene direttamente o indirettamente la totalità o la quasi totalità del capitale di una società figlia che ha commesso un’infrazione antitrust, la prima è in grado di esercitare un’influenza determinante sulla seconda. Tuttavia, tale presunzione non è assoluta, poiché i soggetti coinvolti hanno la possibilità di fornire elementi probatori idonei a dimostrare che la società madre non deteneva la totalità delle partecipazioni o che la presunzione debba in ogni caso essere confutata.

Tale sentenza risulta di particolare interesse poiché rafforza il principio di responsabilità solidale tra società madri e figlie anche nei casi in cui l’applicazione della relativa presunzione non era stata effettuata direttamente dall’autorità di concorrenza ma solo in sede di azione follow-on, aspetto idoneo a determinare un impatto significativo nelle azioni di risarcimento danni per violazioni del diritto della concorrenza.

Margherita Zucchini

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Aiuti di Stato e settore della tutela ambientale – La Commissione propone nuove regole sugli aiuti in adeguamento alla Convenzione Aarhus

La Commissione europea (la Commissione) ha avviato una consultazione pubblica su alcune proposte di modifica alle regole procedurali che presiedono il controllo degli aiuti di Stato. Il nuovo regime, se adottato, permetterà alle organizzazioni non governative (ONG) di contestare le decisioni della Commissione qualora siano ritenute irrispettose del diritto ambientale dell’Unione europea (UE).

L’iniziativa legislativa in parola è connessa a un’articolata vicenda risalente all’entrata in vigore, nel 2001, della Convenzione internazionale di Aarhus (la Convenzione). Essa, tra le altre cose, prescrive che gli Stati firmatari debbano garantire alle ONG il diritto di richiedere alle autorità pubbliche la revisione di atti od omissioni in violazione delle prescrizioni normative a tutela dell’ambiente, anche ricorrendo eventualmente all’autorità giudiziaria. La convenzione è stata ratificata da tutti gli Stati membri dell’Unione europea, nonché da quest’ultima.

Diverso tempo dopo, nel 2013, la Commissione adottava una decisione ai sensi della quale riteneva compatibili con il mercato interno alcuni aiuti di Stato in supporto alla produzione d’energia nucleare nel Regno Unito. Tale decisione diveniva oggetto di un acceso dibattito. Nel 2017, la Corte di Giustizia (la CGUE) negava a Greenpeace la possibilità d’adire direttamente la magistratura dell’UE per richiedere l’annullamento della decisione; essa confermava infatti il principio per cui, per poter ricorrere contro un atto dell’UE, quest’ultimo dovesse riguardare direttamente e individualmente il ricorrente. Inoltre, nel 2020, in una sentenza già commentata nella nostra Newsletter, respingendo il ricorso dell’Austria, la CGUE riteneva definitamente compatibili con il mercato interno gli aiuti controversi. Ivi, la CGUE, da una parte, sottolineava la piena libertà degli Stati membri d’includere la componente nucleare nel proprio mix energetico; dall’altra, sottolineava come – in astratto – qualsiasi aiuto di Stato, per poter essere autorizzato, dovesse sempre risultare legittimo ai sensi di tutto il diritto UE, incluso quello ambientale.

Ebbene, nel 2021, il comitato deputato a vigilare sul rispetto della Convenzione, concludendo che l’Unione europea fosse inadempiente rispetto agli obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione, rilevava come non vi era – e non vi è tutt’ora – un modo con cui un’ONG potesse contestare direttamente le decisioni della Commissione in relazione agli aiuti di Stato, pur potendo queste ultime violare il diritto ambientale dell’Unione europea, come invece sarebbe prescritto dalla Convenzione.

Le odierne proposte della Commissione intenderebbero porre rimedio a ciò. Se approvate, esse permetterebbero a ONG, il cui oggetto associativo primario sia rivolto alla tutela dell’ambiente (e che siano in grado di provarlo documentalmente), di richiedere la revisione di decisioni della Commissione relative a qualsiasi aiuto di Stato. L’istanza di revisione sarebbe possibile solo in ragione di violazioni della normativa ambientale europea ed entro 8 settimane dall’adozione della decisione. La Commissione disporrebbe poi di un massimo di 22 settimane per replicare; inoltre, un’ONG potrebbe comunque poi ricorrere alla magistratura UE per ivi “tentare un procedimento”.

Rimane tuttavia non chiaro come la nuova procedura si concilierebbe con un ordinario ricorso al Tribunale dell’Unione europea proposto da altri aventi diritto. A ogni modo, gli emendamenti proposti riaccendono l’attenzione sull’ampio tema dell’ottemperanza dell’Unione europea agli obblighi derivanti dal diritto internazionale. In tal senso, innanzitutto, è degna di nota nella proposta in commento l’esclusione dalla nuova procedura delle decisioni sugli aiuti di Stato “destinati a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro” ex art 107, par. 3, lett. b, seconda parte. In secondo luogo, ci si domanda se il futuro potrebbe conoscere doglianze ulteriori, relative per esempio all’impossibilità per le ONG di ricorrere avverso le decisioni della Commissione in tema di concorrenza, che rimarrebbero comunque fuori dal campo applicativo della novella; il che potrebbe non essere privo d’implicazioni, alla luce del dibattito recente sulla rilevanza degli obiettivi di sostenibilità nell’ambito delle regole antitrust.

Riccardo Ciani

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Tutela del consumatore / Diritti dei consumatori e settore del credito al consumo – La CGUE si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale riguardante l’interpretazione di alcuni articoli della Direttiva 2008/48/CE sui contratti di credito ai consumatori

Con la sentenza dello scorso 13 febbraio (la Sentenza), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) si è pronunciata sul quesito pregiudiziale formulato dal Tribunale circondariale di Varsavia-Capitale (il Giudice del rinvio), nell’ambito di un giudizio che vede contrapposte Lexitor sp. z o.o. (Lexitor) e A.B.S.A. (la Banca).

Tale quesito veniva presentato nell’ambito di una controversia tra Lexitor, nella sua qualità di cessionaria dei diritti di un consumatore, e la Banca. Lexitor lamentava la violazione dell’obbligo di informazione dei consumatori relativo al calcolo del tasso annuale effettivo globale (TAEG) ed al calcolo dei costi associati all’esecuzione del contratto. Secondo Lexitor tale condotta rientrerebbe tra le fattispecie vietate dalla legge polacca di attuazione della Direttiva (CE) 2008/48 (la Direttiva), relativa ai contratti di credito ai consumatori. Ai sensi dell’art. 45, par. 1, della medesima legge, la violazione di uno (o più) degli obblighi di informazione comporta la facoltà, in capo al consumatore, di restituire il credito, previa notifica al creditore, al netto di interessi e costi dovuti a quest’ultimo come stabilito nel contratto.

Il Giudice del rinvio, sentite le parti, rinviava alla CGUE in via pregiudiziale tre questioni: (i) muovendo dal presupposto che si ritiene che la direttiva 93/13 etichetti come abusive, e di conseguenza non vincolanti, le clausole di un contratto di credito ai consumatori che consentano al creditore di percepire interessi non solo sull'importo del credito effettivamente erogato, ma anche sui costi del credito di cui il consumatore è debitore, il Giudice del rinvio chiedeva l’interpretazione dell’art. 10, par. 2, lettera g), della Direttiva. Tale norma prevede che nel contratto di credito figurino in modo chiaro e conciso il TAEG e l'importo totale che il consumatore è tenuto a pagare, calcolati al momento della conclusione del contratto di credito, in relazione all’indicazione di un TAEG più elevato di quello effettivamente dovuto, nell’eventualità della dichiarazione del carattere abusivo di alcune clausole; (ii) l’interpretazione dell’art. 10, par. 2, lettera k), della Direttiva, il quale prevede che nel contratto di credito figurino in modo chiaro e conciso le spese di gestione, di utilizzazione e derivate riguardanti il conto, le operazioni o gli strumenti relativi a questo, nonché le condizioni alle quali tali spese possono essere modificate, in relazione a delle clausole relative ai costi, i quali variano secondo alcune condizioni, che il consumatore difficilmente può verificare, e (iii) l’interpretazione dell’art. 23 della Direttiva, il quale prevede che gli Stati membri predispongano delle sanzioni che siano efficaci, proporzionate e dissuasive; inoltre questi devono assicurarsi che le sanzioni siano attuate in relazione alle norme nazionali che prevedono un’unica sanzione per la violazione dell’obbligo di informazione gravante sul creditore e al generale principio di proporzionalità.

La CGUE ha stabilito, rispettivamente, che:

  • qualora in un contratto di credito figuri un TAEG che si riveli sovrastimato poiché talune clausole di tale contratto vengono successivamente ritenute abusive, e, pertanto, non vincolanti per il consumatore, ciò non costituisce, di per sé, una violazione dell’obbligo di informazione enunciato dalla Direttiva;
  • la previsione contrattuale di un aumento delle spese, al verificarsi di alcune circostanze di difficile verificabilità per il consumatore, costituisce una violazione dell’obbligo di informazione;
  •  l’art. 23 della Direttiva non osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di violazione dell’obbligo di informazione imposto al creditore, una sanzione uniforme, consistente nel privare il creditore del suo diritto agli interessi e alle spese, indipendentemente dal livello specifico di gravità della condotta, a condizione che la violazione sia idonea a compromettere la possibilità del consumatore di valutare la portata del suo impegno.

Non resta quindi ora che attendere come proseguirà la vicenda dinanzi al Giudice del rinvio, ma i principi affermati dalla CGUE risultano piuttosto chiari, trascendendo la vicenda specifica del giudizio a quo.

Alberto Messeri

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Appalti, concessioni e regolazione / Costi della manodopera ed equivalenza dei contratti collettivi – La mancata verifica dell’equivalenza delle tutele lavoristiche comporta l’annullamento dell’affidamento di una concessione

Con la sentenza del 30 gennaio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (il TAR Lombardia) ha statuito che, anche alla luce dei chiarimenti apportati dal D.lgs. 209/2024 (il Correttivo), la mancata verifica dell’equivalenza fra contratto collettivo nazionale del lavoro (CCNL) posto a base di gara e CCNL utilizzato dall’offerente, compromette l’affidamento in concessione di un servizio.

Nell’aprile 2024, il Comune di Brivio (il Comune) ha indetto una gara per l’affidamento in concessione del servizio di gestione di un asilo nido, per un valore complessivo di circa un milione e mezzo di euro e per una durata di 5 anni.

Nel giugno 2024, il Comune ha aggiudicato la concessione a Cooperativa Sociale Gialla (CSG) e la seconda classificata – Cometa Cooperativa Sociale a r.l. (CCS) – ha impugnato il provvedimento di aggiudicazione di fronte al TAR Lombardia.

Fra i motivi di ricorso, CCS ha fatto valere l’incongruità fra l’offerta di CSG e il costo effettivo della manodopera richiesta per gestire il servizio. In particolare, per provare l’incongruità dell’offerta, CCS ha censurato: (i) il fatto che CSG avesse strutturato la propria offerta riproducendo esattamente lo stesso valore posto a base di gara, a sua volta frutto di una stima errata sui costi della manodopera; (ii) la divergenza tra il costo per la manodopera considerato nell’offerta di CSG e quello che risultava in applicazione del CCNL.

Il TAR Lombardia ha accolto il ricorso di CCS e annullato la delibera di affidamento del Comune.

Per quanto riguarda la completa identità fra valore dell’offerta di CSG e valore posto alla base della gara, il TAR ha evidenziato come lo stesso Comune avesse ammesso l’erroneità del bando. In particolare, il bando non aveva tenuto in considerazione il costo di parte della manodopera necessaria alla gestione del servizio e, più nello specifico, della figura del cuoco.

Secondo il TAR, il Comune avrebbe dovuto perciò necessariamente attivare il procedimento di verifica dell’offerta anomala previsto dal Codice degli appalti. Il TAR Lombardia ha per altro respinto la difesa di CSG, la quale aveva eccepito che la verifica dell’anomalia potesse riguardare unicamente un’offerta inferiore al costo previsto dal Comune, come anche indicato nel bando di gara. Tale regola si sarebbe infatti potuta applicare solo qualora il valore a base di gara fosse stato corretto.

Per quanto attiene invece alla divergenza delle tutele fornite dai due CCNL, il TAR Lombardia ha rilevato che, sebbene la divergenza fra CCNL indicato dall’amministrazione e CCNL scelto dall’offerente non possa in sé determinare l’anomalia dell’offerta, l’amministrazione ha comunque un obbligo di verificare l’equivalenza dei due CCNL, prima di affidare il servizio.

Tale obbligo si deduceva infatti già dall’articolo 11 del Codice degli appalti nella sua formulazione vigente al 30 dicembre 2024. Il Correttivo ha reso l’obbligo ancora più esplicito, stabilendo che l’amministrazione deve verificare l’equivalenza “prima di procedere all’affidamento o all’aggiudicazione”. Inoltre, il Correttivo ha specificato in modo dettagliato i casi a cui si applica la presunzione di equivalenza, nonché i criteri, di natura sia “economica” che “normativa”, da seguire per accertare l’esistenza dell’equivalenza nei casi che cadono al di fuori della presunzione.

La sentenza è interessante perché costituisce un esempio di come le disposizioni del nuovo Correttivo, pur non applicabili ai fatti di causa ratione temporis, vengano già utilizzate come ausilio interpretativo per risolvere controversie instaurate prima della sua entrata in vigore. Sul tema del ricorso in esame, quello delle equivalenze nei CCNL, le novità apportate dal Correttivo sono particolarmente rilevanti, andando ad orientare in modo significativo la discrezionalità dell’amministrazione nel procedimento di verifica. In particolare, il Correttivo prevede una vera e propria lista dei fattori da utilizzare per calcolare l’equivalenza economica e determinare l’equivalenza normativa.

Massimiliano Gelmi