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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 10 febbraio 2025
Diritto della concorrenza - Italia / Legittimazione processuale dell’AGCM e settore del trasporto pubblico locale – Il CdS ha accolto il ricorso dell’AGCM avverso la sentenza del TAR Lazio nel contesto di alcune proroghe concesse ad ATAC, società in house del Comune di Roma
Con la sentenza 5 febbraio 2025 n. 803 (Sentenza), il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto il ricorso dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR Lazio), che dichiarava improcedibile il ricorso contro la proroga dell’affidamento in house del servizio di trasporto pubblico locale di Roma ad ATAC.
L’AGCM aveva precedentemente impugnato la quarta proroga concessa ad ATAC contestando che non fosse giustificata da una “reale base normativa” e che violasse il Regolamento UE n.1470/2007 (Regolamento) in materia di servizi pubblici di trasporto di passeggeri, il quale consente una proroga biennale nelle ipotesi di serio pericolo di interruzione del servizio pubblico. Il TAR Lazio, senza esaminare il ricorso nel merito, lo aveva dichiarato improcedibile, poiché al momento della sentenza la proroga aveva ormai esaurito i propri effetti.
Con la Sentenza il CdS conferma, in primo luogo, la legittimazione ad agire dell’AGCM. In linea con la giurisprudenza degli ultimi anni, il CdS sottolinea come i poteri d’“imposizione” dell’AGCM siano stati nel tempo affiancati da funzioni d’“impulso” volte a contrastare illeciti anticoncorrenziali derivanti dalle azioni di enti e amministrazioni pubbliche. Allo stesso tempo, l’interesse al corretto funzionamento del mercato e alla tutela della concorrenza si è evoluto da interesse diffuso a interesse collettivo e giuridicamente rilevante, affidato per legge alla tutela dell’AGCM.
In secondo luogo, in riforma della sentenza del TAR Lazio, il CdS riconosce il permanente interesse all’annullamento del provvedimento di proroga indipendentemente dal fatto che, medio tempore, la proroga fosse terminata. Infatti, il CdS sottolinea che, nel caso di specie, sussiste comunque l’interesse ad accertare l’illegittimità del provvedimento al fine d’“indirizzare e conformare la futura attività amministrativa” e prevenire la reiterazione nell’adozione di provvedimenti erronei.
In terzo luogo, il CdS si pronuncia sul tema delle reiterate proroghe dell’affidamento ad ATAC e sul conseguente rinvio della scelta relativa al nuovo modello di affidamento che il Comune di Roma è tenuto ad adottare (in house o gara pubblica). Il Regolamento consente di ripetere la proroga biennale in casi di “impossibilità materiale” e “circostanze eccezionali”. Tuttavia, il CdS ritiene che il Comune di Roma non abbia opportunamente motivato il provvedimento di proroga e la mancata scelta, dimostrando soltanto aspetti di difficoltà tecnica che tale amministrazione dovrebbe essere in grado di fronteggiare.
Alla luce di quanto detto, il CdS ha annullato la proroga impugnata. Sebbene quest’ultima sia ormai scaduta, sarà interessante osservare se la Sentenza indirizzerà non solo l’attività del Comune di Roma, ma anche la decisione del TAR Lazio davanti al quale pende il giudizio sull’impugnazione, da parte dell’AGCM, d’una determinazione dirigenziale che concede un’ulteriore proroga ad ATAC fino a luglio 2024, nonché d’una delibera che individua l’affidamento in house come modello di gestione del servizio pubblico locale.
Federica Antoniani
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore sanitario – Fra paziente e fornitore privato di dispositivi medici intercorre un rapporto di consumo anche se il prezzo è interamente coperto dal Servizio Sanitario Nazionale
Con la sentenza del 28 gennaio 2025, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto la tesi per cui non si applicherebbe la disciplina delle pratiche commerciali scorrette alle prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) nel caso di ricorso del paziente a un fornitore privato di dispositivi terapeutici sovvenzionato con risorse pubbliche.
Sapio Life S.r.l. (Sapio) è un fornitore di dispositivi terapeutici, fra cui protesi per soggetti disabili. Nell’esercizio della sua attività d’impresa, Sapio ha ricevuto l’accreditamento alla fornitura dei propri prodotti al SSN e stipula contratti con le ASL di riferimento sul territorio nazionale. Nel caso di specie, i fatti riguardano la fornitura di protesi nel territorio di competenza dell’ASL Roma 3.
Il sistema di fornitura si struttura sui seguenti passaggi: (i) il medico curante prescrive al paziente il tipo di dispositivo da utilizzare; (ii) il paziente fa richiesta all’ASL (o ad altro operatore privato) e contestualmente sceglie il fornitore del dispositivo fra quelli accreditati a operare con il SSN; (iii) l’ASL autorizza l’operazione e provvede a sovvenzionarla attraverso il pagamento del fornitore; (iv) il fornitore consegna il dispositivo al paziente.
Nel 2020, a seguito della segnalazione di un paziente, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva sanzionato Sapio per due pratiche commerciali scorrette. La prima riguardava la mancata informazione sulla garanzia dei dispositivi. La seconda invece, aveva ad oggetto claim ritenuti ingannevoli sulla effettiva rapidità degli interventi di assistenza. L’AGCM aveva quindi sanzionato Sapio per complessivi € 240.000.
Sapio ha impugnato il provvedimento sanzionatorio di fronte al TAR Lazio, che ha respinto il ricorso integralmente. Sapio ha dunque proposto appello al CdS.
Fra i vari motivi di appello, Sapio ha dedotto l’inapplicabilità della disciplina delle pratiche commerciali scorrette a prestazioni sostanzialmente erogate dal SSN, nonché l’impossibilità di configurare un rapporto di consumo fra paziente e fornitore privato operante per conto dell’ASL.
In particolare, Sapio ha sottolineato come il rapporto di consumo, per ricadere nell’ambito della normativa in materia di pratiche scorrette, debba sempre avere alla base una “decisione di natura commerciale”, necessariamente connotata dell’economicità del comportamento tenuto. Tale economicità – secondo la tesi elaborata da Sapio – sarebbe presente nel solo caso di prestazioni riconducibili ai Servizi d’Interesse Economico Generale (SIEG) e non invece ai Servizi d’Interesse Generale non Economico (SIGE). Fra i SIGE rientrerebbe pacificamente la fornitura di dispositivi terapeutici. In tale contesto, Sapio ha anche segnalato come l’AGCM non sia mai intervenuta nei settori dei SIGE.
Il CdS ha respinto in toto tale censura sulla base delle seguenti motivazioni.
In primo luogo, il CdS ritiene che il riferimento alla contrapposizione fra SIEG e SIGE sia fuori luogo, poiché essa attiene alla disciplina del libero mercato e della concorrenza (queste sì, riferibili solo ai SIEG) ma non invece alla tutela del consumatore. Nel caso di specie, è sufficiente che sia dimostrato un rapporto di consumo fra il paziente e il fornitore. Ad avviso del CdS, tale rapporto è evidente, poiché, da un lato, Sapio ha posto in essere le condotte censurate nell’ambito della propria attività commerciale (agendo dunque come “professionista”) mentre il paziente, dall’altro lato, riveste il ruolo di “consumatore” in quanto ha assunto una decisione commerciale per la soddisfazione di un interesse non commerciale.
Non solo, infatti, il paziente ha scelto di rivolgersi al SSN anziché a un operatore privato, ma ha anche scelto il fornitore dei dispositivi, optando per Sapio rispetto ai dispositivi di altro operatore. Il CdS ha sottolineato come, se è vero che è il medico curante a prescrivere un dispositivo specifico, questi non può tuttavia selezionare anche il “professionista” dal quale il paziente deve acquistarlo.
In secondo luogo, nemmeno il tipo di rapporto che intercorre fra paziente e fornitore terzo è un ostacolo al venire in essere di una pratica commerciale scorretta. Esiste infatti uno schema “triangolare” fra paziente, ASL e fornitore. Il contratto è in effetti fra ASL e fornitore, ma sussiste pur sempre fra paziente e fornitore un “contatto socialmente qualificato” che fa sorgere una particolare responsabilità in capo a quest’ultimo. Sempre in quest’ottica, il CdS ha rilevato come, alla luce della giurisprudenza europea e nazionale, non sia necessario che esista un contratto fra consumatore e professionista affinché possa configurarsi un rapporto di consumo e, pertanto, venga in essere una pratica commerciale scorretta.
Avendo rigettato anche tutti gli altri motivi dedotti da Sapio, il CdS ha dunque respinto integralmente l’appello.
La sentenza dimostra come anche le norme a tutela del consumatore, analogamente a quanto avviene per la materia antitrust, muovano da una logica sostanzialistica, in cui gli elementi formali del rapporto di consumo, quali l’esistenza di un contratto o la classificazione del servizio offerto, non possono determinare una restrizione della tutela della libera determinazione del consumatore nell’ambito delle sue scelte commerciali.
Massimiliano Gelmi
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Pratiche commerciali scorrette e settore della logistica – L’AGCM ha irrogato una sanzione da € 8 milioni al gruppo GLS per greenwashing
Il 7 marzo del 2023 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva avviato un’istruttoria in merito ad alcune condotte poste in essere da alcune società facenti parte del gruppo riconducibile a General Logistics Systems B.V. (GLS B.V.), società al vertice dell’omonimo gruppo (Gruppo GLS). L’AGCM in particolare invocava la presunta violazione del divieto di pratiche scorrette, sia ingannevoli, sia aggressive (articoli 20, 21, 22 e 26, lettera f), del Codice del consumo).
La vicenda riguarda il progetto “Climate Protect” adottato dal Gruppo GLS, il quale originariamente prevedeva, da un lato, il raggiungimento del 100% di compensazione delle emissioni di CO2 generate dal Gruppo GLS, co-finanziato da GLS B.V., e da un contributo fatto gravare su alcune categorie di clienti del Gruppo GLS. Dall’altro, prevedeva l’inclusione di claims correlati alla compensazione delle emissioni sui alcune pagine delle società del Gruppo GLS.
A valle dell’istruttoria, conclusa il 25 luglio 2024, l’AGCM ha accertato che il Gruppo GLS aveva posto in essere una pratica commerciale scorretta, articolata attraverso varie condotte. In particolare, ad esito dell’attività istruttoria è emerso:
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l’utilizzo di dichiarazioni ambientali risultate ambigue e presentate in modo non sufficientemente chiaro e verificabile (c.d. greenwashing), anche a causa della commistione tra le nozioni di compensazione e riduzione delle emissioni. In particolare, le informazioni sulle modalità di perseguimento e raggiungimento di obiettivi di sostenibilità ambientale sono state presentate tramite affermazioni sul sito web ufficiale, valorizzando certe certificazioni relative alle emissioni compensate di CO2 con comunicazioni inviate dalle due società italiane alla rispettiva clientela (che include micro imprese che usufruiscono continuativamente dei servizi di spedizione offerti dalle società), il tutto senza fornire adeguati elementi di supporto alle affermazioni rese, né chiarire a quali società (o soggetti affiliati) del Gruppo GLS fossero riferibili le dichiarazioni, anche in relazione agli oneri sostenuti;
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l’imposizione ai propri clienti dell’adesione all’iniziativa denominata "Climate Protect", obbligandoli al pagamento del relativo contributo in cambio della possibilità d’ottenere un certificato "personalizzato", senza che ciò dovesse essere richiesto dai clienti, attestante l'avvenuta compensazione delle emissioni di CO2. Tale contributo è stato stabilito senza una previa verifica dei costi riconducibili alla compensazione e alla riduzione delle emissioni, omettendo di specificare che non tutti i clienti GLS avrebbero partecipato al progetto e lasciando intendere che le società del Gruppo GLS avrebbero sostenuto parte degli oneri economici per finanziarlo, mentre secondo l’AGCM tali società avrebbero tratto profitto, piuttosto che partecipato agli oneri, dall’attuazione di detto progetto, a discapito dei propri clienti e degli affiliati.
Sulla base di queste motivazioni, l’AGCM ha vietato la diffusione o continuazione della pratica commerciale scorretta e ha irrogato in solido alle società del Gruppo GLS coinvolte una sanzione amministrativa pecuniaria di € 8 milioni.
Alberto Messeri
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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti e garanzie nell’esecuzione – Conclusioni dell’AG Sánchez-Bordona sull’applicazione del diritto civile in via suppletiva nella garanzia contenuta in un contratto pubblico di lavori
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) è chiamata a esprimersi su una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale regionale di Varsavia (Tribunale).
La controversia che ha originato la richiesta pregiudiziale da parte del Tribunale riguarda un contratto d’appalto di lavori pubblici stipulato tra la Miejskie Przedsiębiorstwo Wodociągów i Kanalizacji di Varsavia (l’Amministrazione aggiudicatrice), e un consorzio guidato da Veolia Water Technologies (Veolia), per la modernizzazione e l’espansione di un impianto di trattamento delle acque reflue. Il contratto include una clausola di garanzia sui lavori effettuati, della durata di 36 mesi a partire dalla data di collaudo dei lavori, e rinvia alle disposizioni del diritto polacco per le questioni non coperte dal contratto stesso.
La disputa nasce quando l’Amministrazione aggiudicatrice segnala guasti ai rigeneratori nel 2014 e nel 2015, entro il termine di 36 mesi previsto dal contratto. In seguito alla sostituzione operata da Veolia, i rigeneratori sostitutivi si guastano di nuovo nel 2018, vale a dire oltre il termine di garanzia inizialmente pattuito. Pertanto, l’Amministrazione aggiudicatrice richiede una seconda sostituzione, posto che in base al diritto polacco – articolo 581 del Codice civile – è previsto il rinnovo della garanzia nei contratti di compravendita a seguito della nuova consegna del bene. L’amministrazione sostiene che tale norma debba essere applicata in via suppletiva per risolvere le questioni non disciplinate dal contratto. Veolia, invece, contesta il rinnovo della garanzia e l’applicabilità dell’art. 581, ritenendo che il contratto specifichi le clausole di garanzia in modo completo e preciso. Inoltre, Veolia sostiene che l’articolo menzionato, relativo alla garanzia nei contratti di compravendita, non si applichi per analogia ai contratti per l’esecuzione di lavori.
Il Tribunale solleva una questione pregiudiziale alla CGUE, chiedendo se i principi di trasparenza, parità di trattamento e concorrenza leale, sanciti dall’art. 2 della direttiva 2004/18/CE, vietino l’applicazione in via analogica di una norma nazionale, come l’art. 581 del Codice civile polacco, in un contratto d’appalto pubblico, quando tale applicazione non è esplicitamente prevista nei documenti di gara e nel contratto. In altre parole, la CGUE è chiamata a determinare se la previsione di un rinnovo della garanzia, non chiaramente indicata nel contratto ma derivante dall’applicazione integrativa della normativa nazionale, possa risultare incompatibile con i principi di trasparenza e prevedibilità, che devono garantire che gli operatori economici, incluso Veolia, possano comprendere chiaramente le condizioni e i costi derivanti dall'appalto.
Ad avviso dell’Avvocato Generale Sánchez-Bordona (AG), i principi enunciati all’articolo 2 della direttiva 2004/18/CE non ostano, di norma, all’inserimento, in un contratto di appalto pubblico per l’esecuzione di lavori, di una clausola che faccia riferimento, per stabilire la portata temporale dell’obbligo di garanzia dell’operatore economico e per le questioni non disciplinate da tale clausola, alle norme del Codice civile nazionale. Tali principi non sono compatibili, tuttavia, con un’interpretazione della suddetta clausola che, tramite il rinvio alla normativa nazionale, proroghi il periodo di garanzia oltre il termine pattuito dalle parti, in maniera tale da risultare imprevedibile per un operatore economico ragionevolmente informato e normalmente diligente, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
Secondo l’AG, la prevedibilità è legata alla conoscenza del diritto nazionale e al grado di certezza del diritto che essa deve fornire agli operatori economici nell’ambito degli appalti. A tal fine, la durata del periodo di garanzia è un elemento fondamentale per permettere agli operatori economici di stabilire correttamente i prezzi delle loro offerte. Questo periodo dovrebbe essere chiaramente indicato nei documenti di gara. Inoltre, c’è il rischio di distorsione della concorrenza se gli operatori economici di altri Stati membri non possano prevedere correttamente l’interpretazione delle clausole di garanzia.
Pertanto, il giudice del rinvio dovrà valutare se, nella presente causa, risulti ammissibile un’interpretazione della clausola di garanzia che, spingendosi oltre il suo tenore letterale, dia adito all’applicazione in via suppletiva di norme del Codice civile polacco relative al rinnovo dei periodi di garanzia nei contratti di compravendita.
Valentina Veneziane
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