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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 9 dicembre 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Intese e settore automobilistico – La Corte di Giustizia chiarisce che è sufficiente accertare l’esistenza di effetti potenziali al fine di qualificare un’intesa come restrittiva “per effetto”

Lo scorso 5 dicembre, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE), pronunciandosi su un rinvio pregiudiziale presentato dalla Corte amministrativa regionale lettone (il Giudice del rinvio) relativamente ad un accordo che subordinava la validità della garanzia automobilistica all’uso esclusivo di riparatori e ricambi autorizzati dal costruttore automobilistico, ha precisato che, ai fini della qualificazione di un’intesa come restrittiva della concorrenza “per effetto” ai sensi dell’Art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE), è sufficiente dimostrare l’esistenza di effetti restrittivi della concorrenza potenziali.

La vicenda ha origine nel 2014, quando l’autorità lettone della concorrenza (l’Autorità) aveva sanzionato KIA Auto AS (KIA Auto), unico importatore autorizzato di automobili KIA in Lettonia, per aver previsto, con i concessionari e riparatori autorizzati, condizioni di garanzia che obbligavano o incentivavano i proprietari di automobili KIA a effettuare tutte le manutenzioni e riparazioni non coperte da garanzia presso i centri autorizzati. Tali condizioni, secondo l’Autorità, avrebbero potuto ostacolare l’ingresso e/o l’espansione di riparatori indipendenti e produttori di ricambi alternativi sul mercato nazionale, configurando così una restrizione della concorrenza “per effetto” ai sensi dell’Art. 101 TFUE e della corrispondente normativa nazionale.

KIA Auto aveva impugnato la decisione dell’Autorità dinanzi al Giudice del rinvio, sostenendo che l’Autorità avrebbe, al contrario, dovuto dimostrare l’esistenza di effetti concreti sulla concorrenza e non limitarsi alla sola dimostrazione di effetti potenziali. A seguito di una complessa vicenda giudiziaria, il Giudice del rinvio sottoponeva alla CGUE la questione pregiudiziale volta a verificare se l’accertamento di una restrizione della concorrenza per effetto richiedesse la dimostrazione di effetti restrittivi concreti o se fosse invece sufficiente la prova di effetti potenziali.

La CGUE, richiamandosi alla propria giurisprudenza, ha ribadito che, per determinare se un’intesa violi l’Art. 101 TFUE, occorre anzitutto accertare se essa abbia un oggetto anticoncorrenziale. In mancanza di tale carattere, è necessario valutare se l’intesa produca nondimeno effetti che limitano o alterano in modo significativo il normale funzionamento della concorrenza. La CGUE ha sottolineato che la valutazione degli effetti di un’intesa dovrebbe basarsi su un’analisi controfattuale, che richiede (i) di ricostruire come la concorrenza si sarebbe sviluppata nel mercato di riferimento in assenza dell’intesa, e (ii) di confrontare questo scenario ipotetico con la situazione reale del mercato in cui l’intesa è in vigore.

Tuttavia, secondo la CGUE, nell’analisi controfattuale, occorrere tenere conto non solo degli effetti che l’intesa ha prodotto sul mercato, ma anche degli effetti potenziali prevedibili, purché di sufficiente entità. Peraltro, tale conclusione, secondo la CGUE, sarebbe in linea non soltanto con la precedente giurisprudenza europea in materia di Art. 101 TFUE, ma anche con i precedenti ex Art. 102 TFUE, che, come è noto, vieta l’abuso di posizione dominante. In entrambi i casi, infatti, sarebbe sufficiente dimostrare l’esistenza di effetti potenziali per configurare una violazione del diritto della concorrenza.

Questa sentenza, inserendosi nel dibattito più ampio sulla distinzione tra intese per oggetto e per effetto, pur non contribuendo in alcun modo ad una più efficace identificazione della (ancora non chiara) categoria delle restrizioni per oggetto, non solo conferma l’approccio incentrato sull’effetto utile del diritto antitrust europeo, che mira a garantire alle autorità della concorrenza la possibilità di intervenire tempestivamente per evitare danni concreti alla concorrenza, ma suggerisce, seppur in obiter dictum, anche una lettura armonizzata degli Artt. 101 e 102 TFUE in merito alla valutazione degli effetti oggetto di scrutinio.

Samuel Scandola

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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi e settore delle telecomunicazioni – Il Consiglio di Stato conferma che TIM ha abusato della propria posizione dominante per escludere i concorrenti operanti nel settore della fibra ottica

Il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto nel merito l’appello di TIM S.p.A. (TIM) nei confronti della decisione dell’AGCM (già oggetto di commento in questa Newsletter) che la condannava a pagare oltre 116 milioni di euro per un abuso di posizione dominante a danno di Open Fiber S.p.A. (OF), seppur riducendo in parte la sanzione. Il contesto è quello delle gare pubbliche indette nel 2016 per la cablatura del territorio nazionale con la tecnologia della fibra ottica.

IL CdS pone fine ad una vicenda iniziata nel 2015, quando il Governo italiano aveva notificato alla Commissione europea, ai sensi della normativa in materia di aiuti di Stato, la volontà di coprire con fibra ottica a banda ultralarga (la Fibra) determinate aree del territorio nazionale considerate a fallimento di mercato (le Aree Bianche). Infratel, società in-house del Ministero dello Sviluppo Economico (Infratel), aveva ricevuto l’incarico di individuare le Aree Bianche (le quali erano state riconosciute come non profittevoli da TIM) e di indire la gara per il finanziamento pubblico per la loro copertura.

Nel 2016, Infratel aveva così avviato due bandi di gara, in relazione al primo dei quali OF era risultata vincitrice. TIM aveva all’epoca impugnato con vari ricorsi l’aggiudicazione e gli atti collegati di fronte al giudice amministrativo, impugnazioni che nella successiva prospettazione dell’AGCM, erano strumentali a danneggiare OF integrando una delle condotte abusive accertate (Sham Litigation).

Quanto alla seconda gara, TIM aveva da un lato deciso di non partecipare, dichiarando pubblicamente di aver modificato la propria valutazione sulle Aree Bianche, ritenendole a quel punto commercialmente redditizie. TIM aveva quindi adottato un piano di investimenti alternativi per la cablatura delle Aree Bianche (il Piano Cassiopea), senza il ricorso a denaro pubblico, e così ponendo in discussione la possibilità di procedere ad un finanziamento pubblico conforme al divieto di aiuti di Stato. Secondo l’AGCM, la sola funzione del Piano Cassiopea sarebbe stata infatti quella di interferire con le gare di Infratel sfruttando strumentalmente il quadro regolamentare di riferimento (Regulatory Gaming).

Fra la fine del 2016 e il 2018, TIM aveva inoltre presentato offerte estremamente vantaggiose sia sul mercato all’ingrosso dei servizi di telecomunicazione connessi alla rete in fibra, sia su quello al dettaglio per l’offerta dei servizi di connettività in fibra. Secondo l’AGCM, tali offerte sarebbero state prive di razionalità economica ed erano volte rispettivamente a danneggiare l’operatore emergente OF (Pre-emption) e a vincolare a TIM i clienti per un lungo periodo di tempo (Lock In).

Alla luce di questi fatti, l’AGCM aveva ritenuto che TIM avesse posto in essere un abuso di posizione dominante a danno di OF e inflitto a TIM una sanzione di 116 milioni di euro. Nel 2022, TIM aveva fatto ricorso di fronte al TAR Lazio, che tuttavia ha respinto in toto il ricorso con sentenza già oggetto di commento in questa Newsletter. TIM ha quindi proposto appello al CdS, il quale, nell’ambito del processo ha ritenuto necessario disporre una consulenza tecnica d’ufficio (CTU).

Quanto alla condotta di c.d. Sham Litigation, il CdS si è limitato ad osservare come non un solo ricorso si fosse concluso positivamente per TIM, valorizzando come tale condotta dovesse collocarsi all’interno della più ampia strategia escludente, considerato che l’AGCM aveva raccolto numerose prove circa il reale intendimento di TIM. Per quanto attiene alla condotta di c.d. Regulatory Gaming, il CdS ha ritenuto il Piano Cassiopea incompatibile con qualunque forma di investimento commerciale genuino. Il CdS ha valorizzato in particolare il cambio di strategia altrimenti inspiegabile da parte di TIM, a fronte dell’immutata assenza di redditività delle Aree Bianche. In proposito, TIM aveva contestato i risultati della CTU, ritenendo che, da un lato, essa fosse sconfinata in una nuova indagine senza che potessero essere fatti valere i diritti della difesa; dall’altro, non avesse preso in considerazione una serie di elementi che facevano propendere per la redditività del Piano Cassiopea.

Il CdS ha rigettato tali censure evidenziando come la CTU si fosse basata unicamente sui documenti di cui disponeva l’AGCM. In questo senso la CTU non poteva sfociare in una nuova indagine. Essa inoltre (come del resto l’indagine dell’AGCM) non mirava a provare l’assoluta mancanza di redditività del Piano Cassiopea, ma solo che TIM non potesse pervenire ad una conclusione di redditività alla luce degli elementi di cui disponeva nel 2016. Secondo il CdS, l’AGCM aveva giustamente concentrato la propria indagine sui documenti di TIM e non su analisi di terze parti successive all’approvazione del Piano Cassiopea.

Con riguardo alla condotta di c.d. Pre-emption sul mercato all’ingrosso dell’accesso alla connettività a banda larga e ultra-larga in fibra, il CdS ha evidenziato come un significativo ribasso dei prezzi offerti da TIM si situava a nemmeno 7 mesi di distanza dalla richiesta di TIM all’autorità di settore di autorizzare un aumento dei prezzi del 30%. Inoltre, il vincolo contrattuale (di 7 anni) era strutturato in modo tale che i maggiori vantaggi per il cliente si producessero al termine dell’offerta, rendendo il passaggio ad altro operatore svantaggioso.

Quanto infine alla condotta di c.d. Lock In sul mercato al dettaglio, il CdS si è soffermato in particolare su: (i) l’offerta ai clienti di un lungo (e conveniente) piano di rateizzazione; (ii) la fornitura di modem e servizi di assistenza specifici per prodotti TIM; (iii) una clausola contrattuale che imponeva all’utente di pagare tutti i costi rimanenti in caso di recesso anticipato. In proposito, il CdS ha osservato come “[l’]indiscutibile funzionalizzazione a trattenere il cliente […] si inserisca con piena coerenza nella più ampia strategia abusiva, in quanto concretamente idonea a privare il nuovo concorrente entrante sul mercato di una potenziale base clienti necessaria all’attivazione del servizio…”.

Infine, nonostante il suo ruolo di giudice di ultima istanza, il CdS ha respinto la richiesta di TIM di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’UE (CGUE) alcuni quesiti pregiudiziali sull’interpretazione dell’articolo 102 TFUE. Infatti, secondo il CdS, tali quesiti miravano esclusivamente alla revisione della controversia nel merito – competenza che è sottratta alla CGUE – ed erano comunque già stati oggetto di puntuale risposta nella giurisprudenza della CGUE.

La sentenza in commento risulta di particolare interesse in quanto conferma la legittimità della ricostruzione dell’AGCM, la quale conferma che, da un lato, strategie complessive che possono includere varie componenti quali la c.d. sham litigation e il c.d. regulatory gaming, che si pongono al confine con il legittimo esercizio dei propri diritti e che pertanto possono apparire condotte altrimenti legittime (e, anzi, in alcuni casi, appetibili per i clienti), possono essere censurate in quanto strumentali a un disegno escludente. Disegno che il CdS ha ritenuto ampiamente provato nel caso di specie.

Massimiliano Gelmi

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Collaborazione internazionale nelle ispezioni e settore aereo – Il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità dell’ispezione congiunta nella sede di Ryanair a Dublino da parte delle autorità antitrust italiana e irlandese

Con l’ordinanza pubblicata il 29 novembre 2024, il Consiglio di Stato (CdS) ha accolto il ricorso proposto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per riformare l’ordinanza cautelare disposta dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) il 9 ottobre.

Il TAR era stato chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della richiesta di collaborazione (ex art. 22 del Regolamento (CE) 1/2003) inviata dall’AGCM alla Competition and Consumer Protection Comission irlandese (CCPC) ai fini di un’indagine nei confronti della società Ryanair (la Società) per l’accertamento di una potenziale condotta di abuso di posizione dominante.

L’8 marzo, l’AGCM e la CCPC avevano svolto un’ispezione a sorpresa nella sede di Dublino della Società. In prima istanza, il TAR, in sede cautelare, aveva sospeso l’efficacia della richiesta ed ogni altro atto presupposto, impedendo perciò all’AGCM di “processare, consultare, visionare, utilizzare, copiare e/o trasmettere ad altri il materiale sequestrato sino alla conclusione del procedimento principale”. L’AGCM ha quindi proposto ricorso al CdS avverso l’ordinanza cautelare del TAR. La Società aveva originariamente dedotto inter alia:

  • la mancata delibera di autorizzazione del Collegio nei confronti dell’AGCM, necessaria per autorizzare ispezioni nei confronti di chiunque sia in possesso di documenti utili;
  • la carente motivazione tale da giustificare una richiesta di assistenza per effettuare l’ispezione;
  • un pregiudizio grave e irreparabile che si sarebbe verificato nel momento in cui l’AGCM avesse potuto consultare il materiale di cui aveva illegittimamente acquisito copia;
  • il difetto di giurisdizione affermato dal Giudice irlandese, il quale non avrebbe autorizzato il Giudice italiano ad agire.

Il Cds ha riformato l’ordinanza impugnata, stabilendo che la richiesta di collaborazione formulata dall’AGCM avesse rispettato i requisiti della normativa europea ma che in ogni caso la giurisdizione per deliberare l’illegittimità o meno dell’ispezione spettasse al giudice irlandese.

Meritano di essere analizzate nello specifico le principali motivazioni che hanno portato il Cds a pronunciarsi a favore dell’AGCM. Innanzitutto, esso ha sottolineato come la sospensione – pur non integrale – dell’attività istruttoria dell’AGCM non può ritenersi priva di rilievo, non essendo il potere dell’AGCM limitato alla mera irrogazione di sanzioni ma anche ad eventuali atti inibitori a tutela del mercato e della concorrenza, rispetto ai quali il tempo di intervento non è fattore irrilevante. Inoltre, l’eventuale accertamento di illegittimità nell’ispezione da parte del Giudice irlandese avrà, comunque, riverberi sull’attività dell’AGCM (che non potrà porre a fondamento delle proprie decisioni evidenze illegittimamente acquisite).

La pronuncia in questione riveste particolare interesse in quanto illustra come in pratica avviene il controllo di legittimità delle ispezioni portate avanti dall’AGCM in altri Stati Membri dell’Unione europea con la collaborazione dell’Autorità locale, valorizzando come in sede cautelare vada preservato l’interesse dell’AGCM a procedere speditamente, fermo restando la possibilità di censurare ex post l’eventuale illegittima acquisizione di materiale probatorio che, se utilizzato al fine dell’accertamento, comporterebbe l’annullamento di quest’ultimo secondo il principio del c.d. fruit of the poisoneus tree.

Giacomo Perrotta

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Indagini conoscitive e algoritmi – L’AGCM ha pubblicato il rapporto preliminare relativo all’indagine su algoritmi di prezzo nel trasporto aereo passeggeri sulle rotte nazionali da/per Sicilia e Sardegna

Lo scorso 2 dicembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha pubblicato il rapporto preliminare su algoritmi di prezzo nel settore del trasporto aereo passeggeri sulle rotte nazionali da/per Sicilia e Sardegna (il Rapporto) nel contesto dell’indagine conoscitiva avviata lo scorso 23 novembre. Si tratta della prima iniziativa dell’AGCM in applicazione dei nuovi poteri conferiti dal decreto-legge n. 104/2023 (c.d. Decreto Asset, come successivamente modificato e convertito in legge) e alla luce della comunicazione dell’AGCM che ha definito la procedura da seguire per tali indagini (si veda la nostra Newsletter del 20 maggio 2024).

Come si ricorderà, l’iniziativa trae le mosse dall’istruttoria precedentemente avviata dall’AGCM nei confronti di EasyJet, ITA, Ryanair e Wizz Air per un’asserita intesa volta all’allineamento dei prezzi dei biglietti aerei per/dalla Sicilia nel periodo natalizio, in ultimo chiusa alla fine del 2023 senza alcun accertamento di infrazione per insussistenza di elementi di prova (si veda la nostra Newsletter dell’8 gennaio 2024). Contestualmente, l’AGCM aveva aperto l’indagine conoscitiva in commento, finalizzata a verificare (i) la diffusione e le condizioni per le quali gli algoritmi di prezzo utilizzati dalle compagnie aeree possono influire sulle condizioni di offerta del servizio di trasporto aereo ai consumatori, anche con riguardo alle politiche di differenziazione e personalizzazione dei prezzi; e (ii) la trasparenza e comparabilità delle condizioni di offerta.

Relativamente al primo profilo, il Rapporto conferma l’adozione, da parte di tutte le compagnie aeree, di tecniche che adattano dinamicamente i prezzi dei biglietti nel corso del tempo (revenue management). L’AGCM ha accertato che tali sistemi (i) sono applicati da ciascun vettore senza un adattamento specifico per i collegamenti da/per le isole maggiori quanto a criteri, sistemi e meccanismi di definizione del prezzo, e (ii) sono estremamente variegati per funzionamento, numero e caratteristiche degli algoritmi utilizzati, input processati, e grado di automazione. Ne discendono dinamiche dei prezzi offerti significativamente diverse. Quanto alle logiche di “dinamizzazione” dei prezzi, è emerso invece che i sistemi sono ancora largamente basati su logiche di tipo “tradizionale”, ossia matrici tariffarie successivamente aggiornate mediante regole predefinite che determinano i passaggi da una classe tariffaria all’altra, senza avvalersi di tecniche di intelligenza artificiale e di machine learning. Alcune compagnie utilizzano anche informazioni sui prezzi dei concorrenti acquisite tramite piattaforme private o “web-scraping” ma solo in alcuni casi vengono fatte confluire nel sistema di revenue management mentre, più frequentemente, sono utilizzate per attività di market intelligence. Il Rapporto, pur ripercorrendo le principali teorie del danno sotto il profilo antitrust connesse all’utilizzo degli algoritmi ed il crescente numero di contributi economici sull’argomento, riconosce che non si è giunti ad oggi a conclusioni univoche in merito ai possibili effetti degli algoritmi di prezzo sulle dinamiche concorrenziali e non sembrerebbe trarre significative implicazioni, allo stato, per possibili iniziative future.

In aggiunta, è stata confermata la ben nota tendenza relativa al significativo aumento dei prezzi in alcuni periodi/giorni dell’anno caratterizzati da maggiore intensità della domanda, in particolare a ridosso di festività, fine settimana, periodi estivi ed un generale incremento dei prezzi medi tra il 2019 ed il 2023. Inoltre, è stata confermata la generale riduzione del prezzo d’acquisto all’aumentare della distanza tra il momento di acquisto e la data di partenza, pur applicando ciascun vettore una propria strategia di discriminazione c.d. “intertemporale”. È stata in ultimo svolta un’analisi, sulla base di quanto previsto dal Decreto Asset, che indica, quale elemento di attenzione, la circostanza che “il prezzo di vendita del biglietto o dei servizi accessori, nell’ultima settimana antecedente al volo, [risulti] superiore alla tariffa media del volo di oltre il 200 per cento”. L’analisi ha però evidenziato nella quasi totalità dei casi un aumento inferiore.

Quanto alla “personalizzazione dei prezzi” l’analisi non ha fatto emergere (con limitate eccezioni) l’adozione di pratiche di “profilazione” della clientela sulla base di informazioni acquisite nel corso del collegamento con riguardo al tipo di dispositivo o browser utilizzato, alla località della connessione e alla storia di navigazione. È stata poi riscontrata una variabilità di prezzo riconducibile all’utilizzo, da parte di alcuni operatori, di test di elasticità della domanda che prevedono il mantenimento di più prezzi simultaneamente attivi per l’acquisto del medesimo prodotto. In ultimo, rispetto all’analisi sulle modalità con le quali i prezzi dei servizi di trasporto aereo sono resi accessibili al pubblico (che sembrerebbe essere di stampo essenzialmente consumeristico) è stata evidenziata una scarsa comparabilità, sia tra vettori, sia tra le offerte dello stesso vettore, dei prezzi dei biglietti aerei e dei servizi accessori. In particolare, le prove di acquisto sui siti web e/o su comparatori hanno evidenziato che (i) le opzioni tariffarie non sono sempre comparabili; (ii) i servizi accessori non sono sempre omogenei tra loro, e (iii) i vettori usano una terminologia non univoca con riguardo agli elementi del prezzo finale, aumentando la complessità dell’attività di comparazione.

I soggetti interessati potranno ora presentare le proprie osservazioni entro il 15 gennaio 2025, a cui seguirà un provvedimento con cui l’AGCM chiuderà l’indagine conoscitiva (qualora alla luce degli elementi acquisiti, non riscontri problemi concorrenziali) ovvero, una delibera delle risultanze conoscitive (in cui verranno eventualmente indicati i profili problematici emersi, le possibili tipologie di misure volte a rispondervi e le imprese potenzialmente destinatarie di tali misure). I futuri sviluppi sono certamente da seguire con attenzione in quanto, al di là dello specifico settore oggetto di indagine, forniranno indicazioni utili circa le modalità concrete di utilizzo dei nuovi poteri conferiti all’AGCM.

Cecilia Carli

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti ed esclusioni – L’esistenza di un medesimo legale rappresentante per due concorrenti è condizione sufficiente a determinare l’esclusione per imputazione di entrambe le offerte ad un unico centro decisionale

Con la sentenza del 27 novembre 2024, il TAR Salerno affronta il divieto di partecipazione ad una gara da parte di operatori che sono riconducibili ad un medesimo centro decisionale. Sulla scia di una giurisprudenza consolidata, la sentenza ribadisce il principio per cui (i) l’unicità del centro decisionale di imputazione delle offerte costituisce una fattispecie di ‘pericolo presunto’ e (ii) l’identità del legale rappresentante delle società in gara offerenti costituisce indice presuntivo concreto idoneo a fondare l’accertamento della sussistenza dell’unicità del centro decisionale.

La vicenda trae origine da un provvedimento di esclusione dalla procedura di gara adottato dal Comune di Taurasi nei confronti della società M&D Impresa Stradale S.r.l. (la Ricorrente) e di altra società offerente, motivato con riguardo alla rilevata sussistenza di un unico centro decisionale di imputazione delle due offerte in considerazione dell’identità del legale rappresentante delle società.

La Ricorrente impugna il provvedimento di esclusione di fronte al TAR Salerno, il quale rigetta il ricorso.

La sentenza di primo grado conferma la giurisprudenza in materia ed evidenzia che l’esistenza di un unico del centro decisionale di imputazione delle offerte integra una causa di esclusione qualificabile come ‘di pericolo presunto’, e ciò in quanto persegue una funzione di garanzia rispetto all’interesse alla genuinità della competizione che si attua mediante le procedure ad evidenza pubblica.

Specifica quindi il TAR che, una volta accertata la sussistenza della unicità del centro decisionale, non è richiesta invece anche la prova che l’unicità del centro decisionale abbia comportato poi risultati effettivi in relazione ai contenuti delle offerte che sono presentate nell’ambito della gara. In altre parole, non è necessario che vi sia anche la prova dell’effettivo coordinamento nella redazione delle offerte. Al tempo stesso, il TAR precisa che l’accertamento della sussistenza di un unico centro decisionale dev’essere effettuato sulla base di indici presuntivi concreti e il dato costituito dall’identità del legale rappresentante delle imprese offerenti – come nel caso di specie – costituisce indice presuntivo a ciò idoneo.

A fronte del principio sopra esposto e consolidato in giurisprudenza, assume interesse, in un’ottica comparativa, segnalare l’orientamento giurisprudenziale del pari consolidato, e differenziato, che si è formato con riferimento alla posizione dei Lloyd’s di Londra.

A tal riguardo, infatti, la giurisprudenza è consolidata nel rilevare che ove più Syndicates aderenti ai Lloyd’s partecipino a una medesima gara d’appalto, la sottoscrizione da parte del rappresentante generale per l’Italia dei Lloyd’s della domanda di partecipazione e dell’offerta di tali Syndicates non integra di per sé la causa di esclusione costituita dalla unicità del centro decisionale di imputazione delle offerte.

Questo, in considerazione, come evidenziato dalla giurisprudenza, della struttura peculiare che connota i Lloyd’s secondo la normativa del Regno Unito.

I Lloyd’s infatti (i) costituiscono una “persona giuridica collettiva a struttura plurima” componente una associazione riconosciuta di persone fisiche e giuridiche, i membri, che agiscono autonomamente in raggruppamenti, i c.d. Syndicates, e operano nei vari paesi mediante un unico rappresentante generale per ciascun Paese, (ii) i Syndicates, pur essendo riconducibili alla medesima organizzazione, operano autonomamente ed in concorrenza tra di loro, e (iii) ogni Syndicate è struttura priva di personalità giuridica autonoma e agisce mediante il rappresentante generale, che, per l’appunto, per ogni paese in cui operano i Lloyd’s, è unico per tutti i Syndicates operanti nel territorio di quel Paese.

Stefania Guarino