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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 11 novembre 2024
Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e settore dell’IA – L’acquisizione di Run:ai da parte di Nvidia indagata dalla Commissione Europea a seguito di call-in dell'AGCM
La Commissione europea (la Commissione), in data 31 ottobre 2024, ha accettato la richiesta di rinvio relativamente all’acquisizione di Run:ai da parte di Nvidia (l’Operazione) avanzata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento UE sul controllo delle concentrazioni 139/2004 (il Regolamento). L’impresa acquirente, Nvidia, è un fornitore globale, con sede negli Stati Uniti, di unità di elaborazione grafica per il mercato dei dispositivi elettronici. La società oggetto di acquisizione, Run:ai è una startup israeliana specializzata nella fornitura di software per la gestione delle infrastrutture di calcolo AI per clienti aziendali.
Si tratta del primo caso di utilizzo di tale meccanismo di rinvio successivamente alla recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso Illumina/Grail - già oggetto di commento in questa Newsletter. Tale sentenza – come noto - ha dichiarato illegittimo il rinvio alla Commissione ex art. 22 del Regolamento di concentrazioni che non determinino un obbligo di notifica a livello nazionale (oltre che a livello UE), affermando quindi che le autorità nazionali garanti della concorrenza devono essere competenti ad esaminare una concentrazione ai sensi del merger control nazionale per poter procedere al rinvio alla Commissione ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento.
Nel caso di specie, sebbene l’Operazione non superi le soglie di fatturato stabilite dalla normativa nazione in materia di controllo delle concentrazioni (art. 16 della Legge 287/1990), l’AGCM ha ritenuto opportuno richiedere la notifica dell’operazione in virtù dell’esercizio dei cosiddetti poteri call-in. Tali poteri, recentemente introdotti in Italia (Legge 118/2022), consentono all’AGCM di scrutinare operazioni di concentrazione sotto soglia qualora sussistano determinate condizioni, tra cui il rischio di possibili distorsioni della concorrenza nel mercato italiano, nonché il superamento di alcune soglie di fatturato (più alte rispetto a quelle – poc’anzi citate – da cui sorge l’obbligo di notifica ex lege) – requisiti entrambi ritenuti soddisfatti dalla stessa AGCM. Avendo così stabilito la propria giurisdizione sull’Operazione, l’AGCM ha potuto quindi operare il rinvio ex art. 22 del Regolamento, “superando” l’ostacolo frapposto dalla citata sentenza Illumina/Grail. A sua volta, la Commissione ha espresso il proprio parere positivo circa la sussistenza dei presupposti per siffatto rinvio dell’Operazione ritenendo che essa potrebbe produrre un impatto significativo sulla concorrenza nello Spazio Economico Europeo, inclusa l’Italia.
In attesa di futuri sviluppi nel merito del caso, il rinvio è di per sé di notevole importanza, contribuendo a definire l’interpretazione e l’applicazione futura dell’articolo 22 del Regolamento, e le implicazioni per il coordinamento tra la Commissione e le autorità nazionali nella gestione delle operazioni sotto soglia.
Chaima El Attaoui
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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi e settore idrico - Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione di non luogo a procedere nei confronti di un gestore della rete idrica per presunto abuso di posizione dominante a danno degli operatori attivi nel settore del sub-metering
Con la sentenza dello scorso 6 novembre, il Consiglio di Stato (CdS) ha confermato la sentenza del TAR Lazio, la quale aveva avallato la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che a sua volta aveva disposto il non luogo a procedere nei confronti dell’asserito abuso di posizione dominante (nonché violazione della disciplina consumeristica) da parte di un gestore della rete idrica (Publiacqua o Gestore) a danno degli operatori attivi nel settore a valle della misurazione dei consumi tramite contatori nelle singole unità immobiliari (c.d. sub-metering). Publiacqua, società affidataria della gestione del servizio idrico integrato in larga parte del territorio della Toscana, era stata infatti accusata di sfruttare la sua posizione di monopolista nel mercato a monte della gestione della rete idrica per estendere la sua dominanza anche nella fornitura dei servizi di sub-metering.
Il settore in questione si articola, più nello specifico, in un mercato a monte, nel quale opera il Gestore, in regime di monopolio, e che comprende il servizio di fornitura della risorsa idrica fino al punto di consegna (nel caso di specie, il contatore condominiale dove termina la rete pubblica); e in un mercato a valle, nell’ambito del quale sono attivi gli operatori di sub-metering, i quali forniscono i servizi di misurazione, ripartizione e contabilizzazione dei consumi relativi alle singole unità immobiliari.
Secondo gli operatori di sub-metering, il Gestore avrebbe abusato della propria posizione dominante attraverso una condotta consistente nella promozione di contratti c.d. ibridi, comprendenti contestualmente la fornitura dell’acqua fino al punto di consegna, l’installazione di contatori presso le singole unità immobiliari e la fatturazione direttamente agli utenti finali.
Secondo il CdS, tuttavia, tale condotta non costituiva un abuso di posizione dominante in quanto l’attività del Gestore non si presta ad essere configurata come attività di sub-metering, rientrando invece nel perimetro della gestione del servizio di fornitura idrica, il quale, fornito con queste modalità, consente altresì la ripartizione dei consumi senza la necessità di ulteriori operazioni di contabilizzazione. Inoltre, permane in ogni caso in capo agli operatori di sub-metering la possibilità di effettuare eventualmente il servizio di misurazione, il quale costituisce comunque un’attività meramente eventuale in quanto soggetta alla deliberazione dell’assemblea condominiale.
Il CdS ha dunque concluso che non era rilevabile alcun abuso di posizione dominante da parte del Gestore nel caso di specie, mancando il presupposto dell’esercizio di attività in un mercato concorrenziale da parte del soggetto che detiene una posizione di monopolio nel mercato a monte. Al contrario – ha rilevato il CdS – la condotta in questione integrava una modalità di esercizio dell’impresa compatibile con la normativa di settore, come dimostrato dalle numerose delibere dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente che obbligavano il Gestore a mettere a disposizione strumenti di controllo dei consumi individuali.
La sentenza in questione costituisce un interessante (ed invero, non del tutto convincente, alla luce dell’apparente estensione dell’attività del gestore anche ai servizi non coperti dalla concessione di cui è titolare) sviluppo riguardante l’intervento antitrust in relazione al possibile sfruttamento della posizione di monopolio detenuta in mercati regolamentati, da sempre un’area nella quale le autorità della concorrenza (in Italia, l’AGCM) hanno fatto uso dei loro poteri per favorire e proteggere la concorrenza.
Michael Tagliavini
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Pratiche sleali e distribuzione alimentare – Il Consiglio di Stato annulla parzialmente il provvedimento con cui l’AGCM sanzionava COOP per pratiche sleali in violazione della disciplina in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari
Con la sentenza dello scorso 5 novembre, il Consiglio di Stato (CdS) ha parzialmente accolto l’appello di Coop Italia Società Cooperativa a r.l. (COOP Italia) e Coop Alleanza 3.0 Società Cooperativa (collettivamente, COOP), annullando due delle sanzioni irrogate a COOP dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) con la determinazione del 22 dicembre 2015. Con tale provvedimento, infatti, l’AGCM aveva sanzionato COOP per aver posto in essere, nell’ambito del rapporto con la propria società fornitrice di prodotti ortofrutticoli CELOX Trade S.r.l. (CELOX), delle pratiche sleali in violazione dell’art. 62 del decreto legge 1/2012 (Art. 62) – ossia la previsione che, al tempo dei fatti, disciplinava le relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari.
Segnatamente, COOP veniva sanzionata per aver, in violazione dell’Art. 62, (i) imposto sconti “extracontrattuali” a proprio favore, non concordati, nel contesto di piani promozionali e (ii) unilateralmente interrotto, in assenza di un adeguato preavviso, il rapporto di fornitura con CELOX. Inoltre, COOP Italia veniva sanzionata per aver imposto a CELOX, sempre in violazione dell’Art. 62, delle condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, quali sconti sui listini di prezzo, non oggetto di previa negoziazione tra le parti. COOP, quindi, ricorreva dinnanzi al TAR Lazio, il quale respingeva i ricorsi confermando la tesi dell’AGCM per cui, in sintesi, ai tempi delle condotte sanzionate, sussisteva una situazione di squilibrio contrattuale fra le parti, in forza della quale COOP aveva potuto imporre unilateralmente le proprie condizioni contrattuali e le varie forme di scontistiche. Con gli appelli depositati il 26 luglio 2022, COOP impugnava la sentenza del TAR Lazio deducendo, per quel che qui rileva, il difetto di istruttoria relativamente a, da un lato, l’asserito contesto di significativo squilibrio tra le parti e, dall’altro, il presunto carattere impositivo ed eccessivamente oneroso delle condizioni contrattuali, nonché dei vari sistemi di scontistica.
Con la sentenza in commento, il CdS ha accolto il motivo di ricorso con cui COOP deduceva la mancata prova di una situazione di squilibrio di potere contrattuale tra le parti. In tal senso, il CdS ha censurato la sentenza del TAR Lazio e il provvedimento dell’AGCM rilevando come la valutazione dello stato di soggezione di CELOX fosse interamente basato sulle quote di mercato detenute da COOP, senza approfondire i concreti rischi commerciali cui CELOX era esposta nell’ambito del rapporto con la prima. In particolare, il CdS ha evidenziato come sia il TAR Lazio, sia l’AGCM avessero mancato di considerare che (i) CELOX, in qualità di fornitore intermedio, trasferiva contrattualmente gran parte dei rischi relativi alla continuità della fornitura a COOP ai produttori agricoli da cui si approvvigionava; e che (ii) l’aumento del fatturato di CELOX del 25% nel 2013, a fronte della diminuzione degli ordini da parte di COOP, contraddiceva nei fatti la presunta posizione di soggezione. Inoltre, secondo il CdS, non era nemmeno stata provata l’effettiva idoneità dei capitolati tecnici di COOP, che CELOX era tenuta a rispettare nell’ambito della fornitura dei prodotti private label, a impedire a quest’ultima di diversificare i propri clienti nella grande distribuzione.
Con riguardo alla condotta, il CdS ha poi accolto l’ulteriore censura di COOP, dichiarando che non risultavano essere stati adeguatamente dimostrati né l’imposizione unilaterale dei termini contrattuali e delle varie scontistiche, né il loro carattere eccessivamente gravoso. In tal senso, il CdS ha censurato il provvedimento dell’AGCM per non aver tenuto conto né del particolare contesto della filiera dei prodotti agricoli, dove la variabilità delle produzioni impone una frequente ridefinizione degli ordini, né della sostanziale stabilità del rapporto tra le parti. Inoltre, circa l’imposizione della scontistica contrattuale ed extracontrattuale da parte di COOP, il CdS ha ritenuto che la relativa corrispondenza tra le parti, che provava l’avvenuta trattativa di tali sconti, fosse sufficiente a dimostrare l’assenza di una dinamica impositiva.
Respingendo invece l’ultimo motivo di ricorso di COOP relativo all’interruzione unilaterale dei rapporti di fornitura nel 2014 (condotta, quindi, confermata in modo definitivo), il CdS ha riformato parzialmente la sentenza del TAR Lazio e annullato due delle tre sanzioni irrogate dall’AGCM.
La sentenza rappresenta un importante chiarimento circa lo standard probatorio cui soggiace l’AGCM nell’accertare una condizione di squilibrio di potere contrattuale e/o di soggezione tra imprese. Ciò appare rilevante non solo nell’ambito della previsione qui in rilievo e specifica per il settore agroalimentare, ma anche ai fini della disciplina sull’abuso di dipendenza economica. In particolare, l’utilizzo di soli indici quantitativi statici e di contesto, come le quote di mercato, non sembra infatti sufficiente per il CdS. Risulta invece essenziale un’analisi approfondita delle concrete dinamiche di mercato e degli effettivi rapporti di forza tra le parti.
Francesco Tognato
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Abusi e settore delle telecomunicazioni – Il Consiglio di Stato conferma il provvedimento con cui l’AGCM aveva ritenuto che Telecom Italia non fosse inottemperante rispetto alla diffida a reiterare condotte escludenti oggetto di precedente accertamento
Con la sentenza del 6 novembre 2024, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto il ricorso presentato da Comm3000 S.p.A. (Comm3000), confermando il provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva escluso l’inottemperanza di Telecom Italia S.p.A. (TIM) rispetto al precedente provvedimento con cui era stato accertato un abuso di posizione dominante da parte di TIM nel mercato dei servizi all’ingrosso per il periodo 2009-2011, in violazione dell’art. 102 TFUE.
Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2013, l’AGCM aveva accertato un abuso di posizione dominante di natura escludente commesso da TIM che includeva, per quanto qui rileva, il “… rifiuto costruttivo all’accesso all’infrastruttura di rete essenziale da essa detenuta, opponendo agli operatori concorrenti un numero ingiustificatamente elevato di rifiuti di attivazione (c.d. “KO tecnici”) ai servizi all’ingrosso per il periodo compreso tra il 2009 ed il 2011, finalizzato a rallentare il processo di crescita dei concorrenti nei mercati dei servizi di accesso al dettaglio di telefonia vocale e di accesso ad internet a banda larga …”. A seguito di alcune segnalazioni, nel 2015 l’AGCM aveva avviato un procedimento nei confronti di TIM per inottemperanza all’originario provvedimento sanzionatorio, che includeva una diffida a reiterare simili condotte in futuro. Tuttavia, nel 2016 l’AGCM aveva chiuso tale procedimento ritenendo che non sussistessero i presupposti per l’irrogazione di una sanzione.
Tale provvedimento di non accertamento di inottemperanza è stato oggetto di impugnazione dinanzi al giudice amministrativo, e con la sentenza in commento il CdS ha respinto in modo definitivo l’appello di Comm3000, confermando quindi l’operato dell’AGCM nell’escludere l’inottemperanza di TIM.
In via preliminare, il CdS affronta due questioni connesse alla parallela azione di risarcimento dei danni in sede civile che Comm3000 aveva presentato a valle dell’accertamento dell’AGCM. In particolare il CdS: (i) ritiene inammissibile – in quanto presentato solo durante l’udienza e quindi tardivo perché già conosciuto dalla ricorrente (e non prodotto) prima dello spirare dei termini per le produzioni documentali in sede di giudizio amministrativo – il parere che l’AGCM aveva presentato nel contesto del giudizio civile e volto a coadiuvare il giudice nella quantificazione del preteso danno; (ii) rigetta l’eccezione dell’AGCM in punto di carenza di interesse, in quanto – come da giurisprudenza consolidata – ritiene impugnabili anche i provvedimenti “di assolvimento” o archiviazione. In particolare, Comm3000 aveva interesse al ricorso in quanto l’accertamento di un’eventuale condotta illecita di TIM avrebbe potuto giovarle rispetto alle possibili conseguenze risarcitorie, posto che “… la decisione definitiva con cui l’Autorità accerta una “violazione del diritto della concorrenza” assume una significativa valenza probatoria in sede di giudizio risarcitorio […] e, ad avviso del Collegio, tanto vale anche per gli accertamenti riguardanti l’inottemperanza ad una precedente diffida, che rappresenta anch’essa una violazione del diritto della concorrenza …”.
Nel merito, il CdS ha ritenuto che l’AGCM avesse correttamente considerato, motivando in modo attendibile, i dati a disposizione sia nel loro complesso, sia in riferimento a singole annualità e prodotti, escludendo una riproduzione della condotta già sanzionata. In particolare, il CdS – pur non condividendo l’interpretazione del TAR Lazio secondo cui la nozione di “analogia” (ai fini dell’individuazione di una inottemperanza) rispetto alle condotte precedentemente sanzionate può ravvisarsi solo in caso di “identità” delle condotte, essendo sufficiente, per il CdS, una sovrapponibilità sostanziale nelle caratteristiche fondamentali della condotta stesse – ha ritenuto che fosse stata correttamente identificata una discontinuità nella condotta di TIM alla luce della diminuzione dei “KO tecnici” nel periodo 2013-2016 rispetto al periodo 2009-2011 (sanzionato dall’AGCM). Per il CdS “…sebbene non ancora del tutto esenti da profili di criticità, non possono ritenersi [condotte] “analoghe” a quelle oggetto del precedente accertamento…”.
Inoltre, il CdS ha ritenuto che l’AGCM avesse correttamente valorizzato, con motivazione esaustiva ed attendibile, il progetto di TIM “Equivalence 2.0” (ossia il progetto di riorganizzazione dei processi di fornitura con cui TIM garantiva parità di condizioni ai terzi) come ulteriore elemento volto a dimostrare la discontinuità nella condotta di TIM (anche se non ancora portato a termine). Il CdS ha ribadito che il procedimento condotto dall’AGCM non era diretto a verificare se TIM avesse cessato qualsiasi comportamento ricollegabile a quello precedentemente esaminato, ma solo a verificare, in modo più circoscritto, se complessivamente la condotta di TIM fosse “analoga” a quella già sanzionata. In tale ottica, “…sebbene non ancora del tutto in linea con gli obblighi sulla medesima incombenti, [TIM] si è posta in una situazione di discontinuità rispetto alla precedente condotta illecita, e ciò è di per sé sufficiente per escludere che [TIM] sia incorsa in una inottemperanza alla precedente diffida…”.
La sentenza in commento conferma la particolare attenzione – degli operatori di mercato pretese vittime di comportamenti asseritamente anticoncorrenziali, e dell’AGCM – circa l’effettiva ottemperanza da parte degli operatori sanzionati alle precedenti diffide (ed eventuali obblighi comportamentali e strutturali ivi potenzialmente inclusi), da cui la necessità di un’attenta pianificazione e monitoraggio in sede di compliance ai provvedimenti AGCM; inoltre, essa ricorda la crescente interazione tra public e private enforcement in materia antitrust, che sempre più richiede alle imprese di considerare olisticamente entrambi i piani nella propria strategia difensiva.
Cecilia Carli
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Appalti, concessioni e regolazione / Concessioni e autostrade – Nel contesto della modifica alle concessioni ad Autostrade per l’Italia, la Corte di Giustizia ha statuito che Governo aveva un obbligo di motivare sul perché la gara non fosse necessaria
Con la sua decisione del 7 novembre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha statuito che, affinché possa modificare una concessione senza bandire una nuova gara, l’amministrazione deve non solo rispettare i requisiti europei che consentono queste modifiche, ma anche motivare sul perché tali requisiti siano soddisfatti nel caso di specie. Il contenzioso riguarda la vicenda della concessione di Autostrade per l’Italia (ASPI) conseguente al crollo del ponte Morandi a Genova.
Nel 2007, ASPI ha ricevuto il rinnovo della concessione che interessa la maggior parte della rete autostradale nazionale da parte dello Stato italiano.
Nel 2018, a seguito del crollo del ponte Morandi, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (il Ministero) ha aperto nei confronti di ASPI un procedimento per grave inadempimento contrattuale. In particolare, ASPI avrebbe trascurato gli obblighi di manutenzione e custodia della rete autostradale di sua competenza, di cui il ponte faceva parte.
Nel 2021, ASPI e il Ministero hanno raggiunto un accordo transattivo (l’Accordo), con cui ASPI si è impegnata a pagare 3,4 miliardi di euro a titolo risarcitorio e a rafforzare le proprie misure di sicurezza nella gestione dell’infrastruttura. Sempre nel contesto dell’Accordo, la controllante di ASPI, Mundys S.p.A. (Mundys) ha inoltre ceduto l’88% del capitale di ASPI a una holding controllata da Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. (la Holding). L’Accordo è stato oggetto di approvazione governativa.
Un’associazione dei consumatori ha impugnato l’atto di ratifica dell’Accordo di fronte al TAR Lazio, il quale ha sollevato alcune questioni interpretative con la CGUE. In particolare, il TAR Lazio si è domandato se il Ministero, nell’approvare l’Accordo che di fatto modificava la concessione ad ASPI, avrebbe dovuto indire una gara oppure se avesse potuto legittimamente valersi delle eccezioni previste dalla Direttiva 23/2014 in tema di concessioni (la Direttiva).
La CGUE ha esaminato alcune di queste eccezioni e la loro applicabilità al caso di specie.
In primo luogo, la Direttiva autorizza modifiche senza gara in caso si verifichi una “circostanza imprevedibile” che rende tale modifica necessaria. La CGUE ha osservato come un inadempimento contrattuale, per quanto grave, non possa mai costituire di per sé “circostanza imprevedibile” per un’amministrazione diligente. Esso non è dunque sufficiente ad autorizzare la modifica di una concessione senza gara.
In secondo luogo, la Direttiva ammette modifiche senza gara in caso queste siano “non sostanziali”. La CGUE ha chiarito che il pagamento di una somma a mero titolo risarcitorio e il generico impegno a incrementare i propri standard di sicurezza non rientrino nel novero delle modificazioni sostanziali.
Quanto poi ai requisiti necessari in caso di mutamento della titolarità soggettiva, la CGUE ha evidenziato come tale disciplina non si applichi al caso di specie. A seguito dell’Accordo, ASPI è rimasta infatti titolare della concessione. Ciò che è mutato è invece l’identità dell’ente controllante, dal momento che la Holding ha acquisito la maggioranza sul pacchetto azionario di ASPI a seguito della vendita da parte di Mundys. Ciò, tuttavia, non incide sui requisiti della modifica alla concessione.
Infine, la CGUE ha ricordato come, indipendentemente dalla presenza o meno dei requisiti nel caso di specie, l’amministrazione abbia un obbligo di motivazione sul perché ritiene che trovino applicazione le condizioni per la modifica senza gara. Tale obbligo si deduce, fra le altre cose, dal dovere di trasparenza gravante sull’amministrazione, nonché dal principio della tutela dei controinteressati, che devono essere al corrente delle ragioni per cui l’amministrazione ha deciso di non dare luogo a procedura competitiva.
La sentenza è interessante perché mette a nudo un possibile contrasto fra la disciplina europea delle concessioni e quello che fino ad ora è stato l’approccio del governo nazionale. Sarà infatti interessante capire come il governo italiano possa adempiere ai propri obblighi di motivazione in un’ottica di trasparenza, quando la convenzione stessa è ad oggi sottratta a qualsivoglia forma di accesso.
Massimiliano Gelmi
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Golden Power e inottemperanza – La Presidenza del Consiglio ha avviato un procedimento per la possibile violazione da parte di CNRC delle prescrizioni contenute nel DPCM che ha imposto condizioni al rinnovo del patto parasociale di Pirelli
Con il comunicato stampa del 6 novembre 2024, Pirelli & C. S.p.A. (Pirelli) ha comunicato che il socio Marco Polo International Italy S.r.l. (MPI), controllato in ultima istanza dall’investitore cinese Sinochem per il tramite di China National Tire and Rubber Corp. (CNRC), ha ricevuto un provvedimento da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri (la Presidenza) con cui questa ha ritenuto di avviare un procedimento amministrativo per la possibile violazione da parte di MPI e CNRC delle prescrizioni contenute nel Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 16 giugno 2023 (il DPCM).
Con il DPCM erano stati esercitati i poteri speciali mediante l’imposizione di specifiche prescrizioni, ai sensi dell’articolo 2 del decreto legge 15 marzo 2012 n. 2, con riferimento alla notifica effettuata per il rinnovo del patto parasociale per la governance di Pirelli.
In particolare, il procedimento appena avviato riguarda la potenziale violazione della prescrizione di garantire l’assenza di collegamenti organizzativo-funzionali tra Pirelli, da una parte, e CNRC, dall’altra.
Il provvedimento ha fissato il termine per la conclusione del procedimento in 120 giorni decorrenti dalla data di notifica del provvedimento stesso.
Pur con i possibili limiti di visibilità circa i provvedimenti che saranno adottati in tale procedimento, la vicenda appare di sicuro interesse, sia per la rarità di casi di potenziale inottemperanza a misure imposte ai sensi dei Golden Powers; sia, in ultima analisi, per la particolarità della fattispecie in sé oggetto della previa notifica alla Presidenza (i.e. il rinnovo di un patto parasociale, prima facie – per quanto reso pubblico – inidoneo a determinare un mutamento di controllo tale da farlo rientrare nell’ambito dei poteri della Presidenza in rilievo).
Mila Filomena Crispino