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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 25 novembre 2024

Diritto della concorrenza – Italia / Intese e settore del cartone ondulato – Il Consiglio di Stato ha accolto parzialmente il ricorso per revocazione di Smurfit Kappa in merito alla presunta leadership nell’intesa

Con la sentenza pubblicata lo scorso 11 novembre, il Consiglio di Stato (il CdS) ha parzialmente accolto il ricorso presentato da Smurfit Kappa Italia S.p.A. (Smurfit Kappa) per revocazione della sentenza del CdS n. 1159/2023 (già oggetto di commento nella presente Newsletter)(la Sentenza), e per il conseguente annullamento del provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) aveva sanzionato la stessa società per due intese restrittive della concorrenza. Più nello specifico, l’AGCM aveva accertato l’esistenza di due intese volte a distorcere la competizione nei due distinti mercati della produzione e commercializzazione dei fogli a monte e di quello a valle degli imballaggi in cartone ondulato (rispettivamente, l’Intesa fogli e l’Intesa imballaggi).

Avverso la Sentenza, Smurfit Kappa aveva contestato (i) l’errore di fatto revocatorio per l’omessa pronuncia sulla presunta leadership di Smurfit Kappa nell’ambito dell’Intesa fogli; e (ii) l’errore di fatto revocatorio per l’omessa pronuncia sulla mancata prova della partecipazione continuata di Smurfit Kappa all’Intesa imballaggi. In via alternativa al motivo sub (i), la ricorrente aveva chiesto di sollevare una questione di legittimità costituzionale degli articoli 395 c.p.c. e 106 c.p.a. nella parte in cui il CdS avesse ritenuto che gli stessi non prevedono un vizio revocatorio per omessa pronuncia su tutti i motivi del ricorso, in violazione degli articoli 24, 111 e 117 comma 1 della Costituzione. Il CdS ha ritenuto fondato il primo motivo (c.d. fase rescindente), definendo pertanto come irrilevante di riflesso la questione di legittimità costituzionale, mentre ha dichiarato il secondo motivo inammissibile.

In particolare, con il primo motivo di revocazione la ricorrente ha dedotto un errore di fatto (ex articolo 395, comma 1, n. 4, del c.p.c.), in quanto il giudice non si sarebbe espresso in merito alla censura sollevata da Smurfit Kappa in relazione alla sua presunta leadership nell’Intesa fogli. La società aveva già dedotto l’illegittimità dell’imputazione dell’aggravante di leadership davanti al Tribunale Amministrativo regionale per il Lazio (il TAR Lazio), il quale aveva rigettato la censura per mancanza di interesse. Smurfit Kappa ha quindi eccepito come l’interesse si configuri anche in termini di utilità a livello reputazionale e per evitare di avere una responsabilità aggravata in relazione alle richieste di risarcimento in quanto leader dell’Intesa fogli. A parere della ricorrente, il CdS non si sarebbe pronunciato, neanche implicitamente, su questa censura.

Sul punto, il CdS, in sede di giudizio di revocazione, ha ribadito quali siano i tratti identificativi dell’errore di fatto revocatorio, dovendo questo consistere in un “abbaglio dei sensi” del giudice, di immediata e semplice rilevabilità, che non verta su un punto controverso della causa e che non riguardi una presunta erronea valutazione delle risultanze processuali – circostanza quest’ultima che darebbe invece luogo a un errore di giudizio. L’ipotesi di errore di fatto revocatorio in relazione all’omesso esame di un motivo di gravame sarebbe integrata solo se risulta evidente che il giudice non abbia preso in considerazione in nessun modo la censura sollevata. Il CdS ha ritenuto che ciò si sia verificato nel caso di specie, sottolineando come la Sentenza avesse semplicemente preso atto della prospettazione effettuata dall’AGCM, non essendoci nella Sentenza stessa elementi che potessero confermare il fatto che il giudice avesse effettivamente valutato e respinto tale censura. Il motivo, perciò, è stato accolto nella sua parte rescindente.

In relazione al secondo motivo, invece, il CdS ha ritenuto come la censura fosse stata non solo trattata dal giudice, ma fosse anche stata chiaramente respinta. Il CdS ha ad abundantiam altresì sottolineato che l’errore di fatto revocatorio in questione inoltre riguarderebbe un punto controverso su cui si sono ampiamente confrontate le parti. Il motivo è stato dunque ritenuto inammissibile.

È stata pertanto determinata la revocazione della Sentenza con esclusivo riferimento alla parte di cui al motivo (i) ed è stata fissata una successiva udienza per l’esame del merito della censura in rilievo (c.d. parte rescissoria).

La decisione in commento risulta di particolare rilievo, poiché il CdS ha confermato che integri effettivamente un errore di fatto revocatorio un’omissione di pronuncia in merito a un motivo di gravame.

Maria Teresa Loiudice

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Intese e settore del trasporto marittimo – L’AGCM ha avviato un’istruttoria nei confronti di SAS, Moby e GNV per verificare l’esistenza di possibili restrizioni della concorrenza a seguito dell’acquisizione del 49% del capitale sociale di Moby da parte di SAS

Con la delibera pubblicata il 5 novembre 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), a seguito del rinvio da parte della Commissione Europea (la Commissione) ai sensi dell’articolo 4 del Regolamento UE 139/2004 sulle concentrazioni (EUMR), ha avviato un’istruttoria ai sensi dell’art. 101 TFUE nei confronti di SAS Shipping Agencies Services (SAS), MOBY S.p.A (Moby) e Grandi Navi Veloci S.p.A. (GNV) al fine di verificare le eventuali restrizioni della concorrenza nel settore del trasporto marittimo derivanti dall’operazione di salvataggio di Moby da parte di SAS (l’Investimento), ossia l’acquisizione del 49% del capitale di quest’ultima e del successivo finanziamento concesso alla stessa Moby.

SAS, da un lato, è parte integrante del Gruppo MSC, controllato da MSC Holding (MSC), e, dall’altro è la controllante indiretta di GNV, società concorrente di Moby, la quale invece, è controllata dalla società Onorato Armatori (OA), e detiene il controllo di Compagnia Italiana di Navigazione S.p.A. (CIN).

Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2020, a causa di una situazione di difficoltà finanziaria, Moby presentava un’istanza di concordato presso il Tribunale di Milano al fine di raggiungere un accordo con i propri creditori. In tale contesto, SAS si era impegnata a sottoscrivere un aumento del capitale sociale di Moby fino ad un importo di 150 milioni di euro, tale da comportare l’acquisizione di una quota di minoranza pari al 49% in Moby. Tale Investimento non includeva l’acquisizione dei poteri di governance, che rimanevano esclusivamente in capo ad OA. Successivamente, Moby ed OA, da un lato, e SAS, dall’altro, stipulavano una serie di accordi (gli Accordi) per consentire a Moby di ricevere le risorse finanziarie necessarie per estinguere i propri debiti, in particolare nei confronti di banche ed obbligazionisti. Gli Accordi prevedevano: (i) la cessione da parte di Moby a una società del Gruppo MSC di due navi, per un valore complessivo di 109 milioni di euro; (ii) la conclusione di un contratto di finanziamento (il Contratto di Finanziamento) per la concessione di un prestito di importo pari a 243 milioni di euro a Moby; (iii) la conclusione di un contratto di pegno e opzione (il Contratto di Pegno e Opzione), in virtù del quale OA si impegna a garantire, in via autonoma e a prima richiesta, l’adempimento di tutte le obbligazioni di Moby derivanti dal Contratto di Finanziamento.

In particolare, il Contratto di Pegno e Opzione prevedeva, da un lato, che OA costituisse in pegno le azioni di sua titolarità rappresentative del 51% del capitale sociale di Moby a favore di SAS, senza tuttavia conferire alcun diritto amministrativo o di voto a favore di quest’ultima, e dall’altro, prevedeva altresì la costituzione di un diritto di opzione di acquisto sulle medesime azioni, a favore della stessa SAS. Tuttavia, il pegno e il diritto di opzione erano soggetti ad una condizione sospensiva, per cui sarebbero esercitabili solo qualora Moby e OA fossero divenuti inadempienti nella restituzione degli importi dovuti.

Da quanto risulta dal provvedimento di avvio, l’insieme delle pattuizioni era stato presentato come operazione di concentrazione alla Commissione, accompagnato dalla richiesta di rinvio all’AGCM. La Commissione ha accettato tale richiesta e operato il rinvio all’AGCM.

L’AGCM ha tuttavia ritenuto che non fosse ravvisabile una concentrazione, e, temendo gli effetti che comunque potessero derivare da tali accordi, ha avviato al riguardo un procedimento ai sensi dell’articolo 101 TFUE per possibile intesa restrittiva tra le parti.

In tale contesto, l’AGCM ha identificato i mercati rilevanti in cui operano SAS/GNV e Moby, ossia il mercato del trasporto di merci rotabili su navi Ro-Pax e Ro-Ro, nonché il mercato di trasporto di passeggeri su navi Ro-Pax (rispettivamente, il Mercato del trasporto di merci su navi e il Mercato di trasporto dei passeggeri su navi; complessivamente, i Mercati Rilevanti). L’AGCM ha successivamente individuato dal punto di vista geografico i fasci di rotte rilevanti in cui i servizi di SAS/GNV nei due mercati sopra indicati e Moby risultano sovrapporsi.

Dai preliminari rilievi effettuati, l’AGCM ha constatato che i mercati in cui operano GNV e Moby sarebbero estremamente concentrati, e caratterizzati da significative barriere all’entrata, (considerati l’elevato investimento iniziale richiesto, la necessità di disporre di adeguati spazi a terra per la sosta e di slot in partenza e arrivo che siano commercialmente attraenti, e la presenza di operatori storici che godono della fedeltà dei consumatori).

L’AGCM ha evidenziato che l’insieme degli accordi potrebbe facilitare il coordinamento delle rispettive politiche commerciali, riducendo gli incentivi alla concorrenza e, di conseguenza, determinando effetti distorsivi sia sulla quantità sia in termini di aumento dei prezzi, soprattutto nei mercati dove le due società non affrontano una significativa pressione concorrenziale.

Si attendono ora gli esiti dell’istruttoria, che promette di sollevare interessanti questioni giuridiche inter alia in ordine al rapporto fra il merger control e il divieto di intese restrittive della concorrenza, nonché con riguardo all’idoneità di quest’ultima fattispecie ad affrontare le eventuali problematiche antitrust sollevate dall’acquisto di partecipazioni (qualificate) di minoranza che non determinano l’acquisto di controllo (ai sensi dell’EUMR e quindi della disciplina nazionale sulle concentrazioni).

Chaima El Attaoui

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AGCM e criteri di quantificazione delle sanzioni antitrust – Pubblicata la bozza di modifica alle Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni, avviando una consultazione pubblica

In data 12 novembre 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha avviato una consultazione pubblica sulla bozza di modifiche (la Bozza) alle Linee Guida sulla modalità di applicazione dei criteri di quantificazione delle sanzioni (le Linee Guida) in applicazione dell’articolo 15, comma 1, della legge n. 287/90.

Nella Bozza, una prima modifica è stata apportata nelle premesse contenute nelle Linee Guida (le Premesse), in seguito alla rimozione del riferimento al criterio della “gravità” dell’infrazione, come presupposto formale per la determinazione delle sanzioni; ciò, in coerenza con la corrispondente modifica già avvenuta nella Legge 287/1990 per opera del Decreto Legislativo n. 185/2021 (il Decreto di Recepimento), emanato in attuazione della direttiva UE 2019/1 (la Direttiva ECN+).

Particolare attenzione è stata dedicata alla sezione dedicata al calcolo dell’importo base per la determinazione della sanzione, specialmente riguardo al “Valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione”. Viene proposto che, qualora un’infrazione commessa da un’associazione di imprese coinvolga le attività dei suoi membri, il calcolo del valore delle vendite rilevanti sarà equivalente alla somma dei valori delle vendite direttamente o indirettamente realizzate da ciascun membro dell’associazione e non occorre vedere ai ricavi dell’associazione stessa. In tal senso, la specifica introdotta enfatizza la responsabilità collettiva e individuale dei membri nell’ambito di infrazioni commesse a livello associativo – anche in questo caso, in linea con le recenti modifiche occorse nella Legge 287/1990.

Con riferimento alla “Collusione nell’ambito di procedure di gare di appalti pubblici”, merita di essere segnalata una specifica previsione in tema di bid rigging, locuzione con cui si riassumono gli scenari relativi a accordi collusivi tra aziende partecipanti a una gara d'appalto o a una procedura di aggiudicazione, con l'obiettivo di manipolare l'esito della gara a proprio favore. In tale contesto, nel caso in cui una o più gare oggetto di concertazione siano aggiudicate a soggetti diversi dalle parti dell’intesa, viene specificato nella Bozza che si considera come valore delle vendite l’offerta presentata dal partecipante che si sarebbe dovuto aggiudicare la gara secondo il disegno spartitorio, salvo che tale valore non sia attendibile o sufficientemente rappresentativo.

Inoltre, sono stati proposti alcuni cambiamenti inerenti alla soglia di incidenza delle circostanze aggravanti o attenuanti sul calcolo delle sanzioni. In particolare: (i) l’incidenza di ciascuna circostanza, sia aggravante, sia attenuante, non sarà superiore al 10% dell’importo di base – invece che al 15% come previsto allo stato nelle Linee Guida; e (ii) potrà essere accordato un aumento o una diminuzione complessiva della sanzione fino al 30% dell’importo di base – invece che del 50% come previsto attualmente. Tali interventi sono stati proposti per asserite esigenze di coordinamento con la Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni – recentemente sottoposta a consultazione pubblica dall’AGCM e commentata in questa Newsletter – in modo tale che la riduzione massima complessivamente ottenibile grazie alle circostanze attenuanti sia comunque inferiore a quella accordata ai leniency applicant successivi al primo.

Sul punto, saranno riviste anche le Linee Guida sulla Compliance antitrust (le Linee Guida sulla Compliance antitrust), atte a fornire alle imprese un orientamento circa la definizione dei programmi di compliance. In particolare, l’AGCM ha indicato che la modifica potrebbe consistere nell’introduzione di (i) una riduzione massima delle sanzioni fino al 10% – in luogo del 15% attuale – riservato ai programmi di compliance che abbiano funzionato in maniera efficace permettendo la tempestiva scoperta e interruzione dell’illecito prima dell’apertura del procedimento istruttorio; (ii) una riduzione fino al 5% (invece che l’attuale 10%) nel caso di programmi di compliance non manifestamente inadeguati adottati prima dell’avvio dell’istruttoria e a condizione che l’impresa integri adeguatamente il programma e inizi a darne attuazione dopo l’avvio del procedimento (ed entro sei mesi dall’apertura dell’istruttoria); mentre (iii) nessuna riduzione della sanzione viene prevista per le imprese aventi programmi manifestamente inadeguati o per programmi adottati ex novo dopo l’avvio dell’istruttoria.

È infine prevista una riduzione dell’importo della sanzione fino al 45% – rispetto al 50%, nelle Linee Guida attuali – nel caso del cosiddetto amnesty plus, ossia qualora l’impresa fornisca informazioni ritenute decisive per l’accertamento di un’infrazione diversa da quella oggetto del procedimento. Anche tale diminuzione della percentuale di riduzione è stata giustificata dal proposito di coordinare la soglia in questione con la Comunicazione sulla non imposizione e riduzione delle sanzioni.

Infine, l’AGCM ha specificato che le nuove Linee guida si applicheranno ai procedimenti in corso, nei quali non sia stata notificata alle parti la comunicazione delle risultanze istruttorie.

Non resta ora che attendere l’esito della consultazione, che verrà chiusa decorsi 30 giorni dalla pubblicazione della delibera nel sito dell’AGCM, e come i riscontri dal mercato sulla Bozza saranno tenuti in considerazione in sede di adozione delle nuove Linee Guida.

Margherita Zucchini

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Sistema sanitario nazionale e sistemi robotici – L’AGCM ha pubblicato una segnalazione relativa alle criticità concorrenziali nelle procedure di acquisto di sistemi robotici innovativi

Nel Bollettino del 18 novembre 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha pubblicato una segnalazione indirizzata al Ministero della Salute e a tutte le Regioni e le Province autonome italiane in merito alle possibili limitazioni alla concorrenza derivanti dalle procedure di acquisto, da parte delle stazioni appaltanti pubbliche del sistema sanitario nazionale e regionale, di sistemi robotici innovativi.

Ad avviso dell’AGCM, quello della produzione e della commercializzazione di sistemi robotici innovatici è un mercato che sta sperimentando un’evoluzione concorrenziale significativa, favorita dalla scadenza dei diritti di esclusiva sui brevetti delle tecnologie coinvolte, ma che risulta ancora caratterizzato da un’elevata concentrazione: a fronte della presenza di un solo operatore dal 2000 al 2018, si è visto l’ingresso di nuovi sistemi robotici alternativi che, tuttavia, incontrerebbero ancora oggi ostacoli alla loro diffusione e adozione presso le strutture sanitarie. Infatti, negli ultimi anni sarebbero emerse alcune criticità nel mercato della produzione e commercializzazione di sistemi robotici innovativi che, dal lato della domanda, riguardano in particolare le modalità di acquisto di questi sistemi da parte delle strutture ospedaliere pubbliche.

In primo luogo, richiamando anche un precedente comunicato del Presidente ANAC sul punto (risalente a settembre 2023), l’AGCM ha osservato che le stazioni appaltanti hanno fatto un uso distorto dello strumento delle “consultazioni preliminari di mercato”. Attraverso queste ultime, le stazioni appaltanti possono interagire con gli operatori economici, prima dell’avvio di qualunque procedura di affidamento, al fine di acquisire informazioni, consulenze e documenti o, più in generale, “realizzare una migliore conoscenza in merito alle risposte che il mercato è in grado di offrire per soddisfare al meglio i bisogni pubblici”. Tali consultazioni dovrebbero quindi rappresentare uno strumento utile per colmare il gap conoscitivo delle stazioni appaltanti, invitando gli operatori economici a suggerire e dimostrare la praticabilità di soluzioni alternative a quelle che porterebbero a concludere per l’esistenza di un unico fornitore.

Secondo l’AGCM (e l’ANAC), invece, vi è stato un uso distorto delle consultazioni propedeutiche all’indizione di procedure negoziate senza bando per la fornitura di nuovi sistemi robotici o di materiali di consumo per robot già in uso, in quanto volte non a verificare, secondo criteri oggettivi, l’esistenza sul mercato di fornitori o soluzioni alternative, ma a ricercare l’offerente di un sistema con requisiti tecnici identici. Alla luce di ciò, viene fatto presente che il perimetro di una consultazione preliminare di mercato “…non può essere aprioristicamente limitato attraverso l’indicazione di un unico parametro di riferimento (il sistema già in uso), in quanto ciò conduce inevitabilmente a restringere l’indagine verso un unico sistema, escludendo quelli basati su tecnologie equivalenti o alternative, tenuto conto del fabbisogno o delle soluzioni tecniche e/o organizzative idonee a soddisfare le esigenze funzionali della stazione appaltante…”.

Considerato quanto sopra l’AGCM ha censurato la frequente richiesta, già in fase di consultazione preliminare di mercato, dei seguenti requisiti tecnici:

  • presenza di un numero adeguato di bracci operativi inclusi in un’unica «consolle paziente» in grado di consentire l’utilizzo di almeno 3 strumenti operativi e di un sistema ottico (dotato di lenti di diversa angolazione) in maniera interscambiabile”;
  • il sistema deve integrare un generatore per strumentazione mono e bipolare con anche la possibilità di fare a sintesi vasale e consentire l’interfacciamento di strumenti endoscopici”;
  • “sottosistema di simulazione per la chirurgia virtuale”.

A fronte della previsione così specifica di tali requisiti tecnici non si darebbe, infatti, la possibilità a fornitori concorrenti di dimostrare l’equivalenza funzionale del proprio dispositivo, neanche valutata dalle amministrazioni sotto un profilo tecnico e sanitario.

In secondo luogo, l’AGCM ha rilevato che molte stazioni appaltanti sottoscrivono contratti di comodato d’uso del solo bene principale (il sistema robotico) prevedendo contestualmente un impegno di spesa per il materiale di consumo necessario per il funzionamento degli stessi: l’acquisto dei consumabili avviene ricorrendo a procedure negoziate senza previa pubblicazione di bando, motivate da questioni di infungibilità o urgenza. Tale profilo riguarda anche l’accettazione, da parte delle stazioni appaltanti, di un secondo o terzo robot (in fase di sostituzione del primo robot o in fase di ampliamento degli interventi da svolgere) sempre con modalità che escludono un vero confronto competitivo.

Rispetto a queste due criticità rilevate, l’AGCM raccomanda a tutte le stazioni appaltanti italiane rispettivamente di: (i) svolgere consultazioni preliminari di mercato realmente “aperte” e non per giustificare il successivo ricorso a procedure negoziate senza bando; e (ii) compiere una valutazione economica sull’acquisto a lungo termine, anche quando il robot sia fornito in comodato d’uso gratuito, “considerando anche i costi legati al funzionamento del sistema e ai materiali consumabili nonché il rischio di possibili diseconomie per l’Amministrazione…”.

Mila Filomena Crispino

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Tutela dei consumatori / Pratiche commerciali scorrette e settore energetico – Il TAR Lazio ha annullato il provvedimento adottato dall’AGCM con cui aveva irrogato una sanzione di 560.000 euro nei confronti di Acea

Con la sentenza n. 20401 del 18 novembre scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR Lazio) ha annullato la sanzione pari a 560.000 euro (la Sanzione) irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) nei confronti di Acea Energia S.p.A. (Acea) ad esito del procedimento PS12458 (il Procedimento). A conclusione di tale Procedimento, l’AGCM aveva accertato alcune violazioni dell’articolo 3 del Decreto Legge n. 115 del 9 agosto 2022 (il Decreto Aiuti-bis), nonché della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette (PCS).

La vicenda – già oggetto di approfondimento nella presente Newsletter - può sintetizzarsi come segue. Per fronteggiare la crisi energetica del 2022, acuita dal conflitto russo-ucraino, veniva emanato il Decreto Aiuti-bis (convertito in legge con la l. 142/2022). L’articolo 3 del Decreto Aiuti-bis, in particolare, disponeva – al primo comma – la sospensione fino al 30 aprile 2023 dell’efficacia delle clausole contrattuali che consentiva ai fornitori di energia elettrica e gas di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo, nonché – al secondo comma – l’inefficacia dei preavvisi per l’esercizio di tali facoltà, inviati prima dell’entrata in vigore del Decreto Aiuti-bis (ossia, il 10 agosto 2022).

Tra l’ottobre e il dicembre 2022, l’AGCM avviava undici procedimenti nei confronti di altrettante società attive nel mercato della fornitura di energia elettrica e gas, tra le quali Acea, per accertare eventuali violazioni della disciplina del Decreto Aiuti-bis, nonché di quella di materia di PCS. Contestualmente, venivano adottate altrettante misure cautelari, volte a sterilizzare l’efficacia delle clausole contrattuali, in qualsiasi modo denominate o presentate nelle condizioni generali del contratto di fornitura, che consentivano ai fornitori di energia elettrica e/o gas di modificare unilateralmente le condizioni economiche di fornitura (CEF) per tutti i contratti per i quali non fosse ancora trascorso il periodo di validità e che non prevedessero un regime di automatica evoluzione delle condizioni economiche di fornitura.

A seguito di un intervento del Consiglio di Stato (il CdS) – anch’esso oggetto di commento nella presente Newsletter (l’Ordinanza del CdS) - l’AGCM era tornata parzialmente sui propri passi, circoscrivendo il proprio intervento cautelare nei confronti di diverse società, tra cui Acea. Nonostante tale provvedimento cautelare fosse stato annullato dal TAR con la sentenza n. 8398, il Procedimento – allora ancora in corso – si concludeva comunque con l’irrogazione della Sanzione ad Acea.

A questo punto, come sopra riportato, Acea ha proposto ricorso per accertare la nullità, l’inefficacia e l’annullamento della Sanzione, rectius del provvedimento con cui questa è stata irrogata dall’AGCM (il Provvedimento).

In particolare, l’AGCM fondava il Provvedimento sull’accertamento dell’invio da parte di Acea di circa 18.000 comunicazioni (o preavvisi) di modifica delle CEF a clienti le cui tariffe erano già scadute, reputandole scorrette e aggressive. Osservava l’AGCM che le condizioni generali di fornitura di Acea prevedevano, alla scadenza del primo periodo di validità delle condizioni economiche, che le stesse si prorogassero in alcuni contratti “di tre mesi in tre mesi” ed in altri fino all’invio di “apposita comunicazione di variazione”.

Per l’AGCM, nella seconda tipologia di clausole, non essendo espresso un termine effettivo, ogni variazione delle condizioni economiche successiva alla scadenza sarebbe stata qualificabile come esercizio dello ius variandi, e non come aggiornamento del tariffario, violando così l’articolo 3 del Decreto Aiuti-bis citato supra. L’assenza di un rinnovo esplicito, con annessa data di scadenza, avrebbe portato, secondo l’AGCM, a rendere vano il discrimen tra le comunicazioni inviate prima del 10 agosto 2022, qualificate come comunicazioni di modifica unilaterale, e le comunicazioni inviate dopo il 10 agosto 2022, qualificate come rinnovi.

Tuttavia, il TAR ha ritenuto che la condotta ingannevole prospettata dall’AGCM, secondo cui i clienti i quali avessero richiesto chiarimenti sarebbero stati indotti a ritenere immediatamente vigenti le condizioni economiche, in realtà, non ancora perfezionate, non possa comunque essere valutata come una pratica commerciale scorretta.

Il TAR, accogliendo il ricorso di Acea e le censure da essa mosse, segue in linea di continuità la sentenza n. 8398 sopra citata, confermando la posizione per cui Acea stesse disponendo di un suo diritto potestativo, esercitato tramite un negozio unilaterale recettizio, perfezionato al momento della comunicazione.

L’Ordinanza del CdS, peraltro, aveva già chiarito la corretta interpretazione relativa all’articolo 3 del Decreto Aiuti-bis, sottolineando come non fosse previsto un “congelamento” tout court dei contratti di fornitura, bensì la sola sospensione dei poteri relativi allo ius variandi nella fase precedente alla scadenza del contratto. Tali principi sono stati altresì recepiti dal legislatore, il quale ha esteso il termine precedente della sospensione dal 30 aprile al 30 giugno con il c.d. Decreto Milleproroghe 2023. Sembra, in altre parole, che il TAR abbia voluto rispettare la posizione già assunta dal CdS, riconoscendo una tutela relativa alle offerte c.d. placet limitata solo alla fase precedente alla scadenza del contratto.

Resta ora da vedere se, con questa pronuncia, la complessa vicenda in esame sia pervenuta ad un approdo sostanzialmente finale sull’interpretazione del Decreto Aiuti-bis, oppure se il contenzioso amministrativo riserverà altre soprese o novità sul punto.

Giacomo Perrotta

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Consumatori e procedure istruttorie dell’AGCM – Approvato il Regolamento sulle procedure istruttorie nelle materie di tutela del consumatore e pubblicità ingannevole e comparativa e resi noti i relativi formulari

Il 18 novembre scorso è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il nuovo Regolamento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) sulle procedure istruttorie nelle materie di tutela del consumatore e pubblicità ingannevole e comparativa (il Regolamento), approvato con delibera del 5 novembre, nonché a seguito della consultazione pubblica che era stata indetta a partire dal 28 maggio 2024.

Il Regolamento accorpa in un unico titolo – il nuovo titolo II – i distinti procedimenti che prima erano previsti per le istruttorie in materia di (i) pubblicità ingannevole e comparativa e di pratiche commerciali scorrette, (ii) violazioni dei diritti contrattuali dei consumatori e del divieto di discriminazioni, e per (iii) la tutela amministrativa contro le clausole vessatorie. Tali procedimenti oggi vengono incardinati nell'alveo di un medesimo quadro normativo procedurale, le cui regole ricalcano quasi interamente quelle che già presiedevano le istruttorie in materia di pratiche commerciali scorrette.

Anche la procedura di consultazione pubblica in materia di clausole vessatorie (un tempo disciplinata dall'articolo 23 del Regolamento) e l'interpello sulle medesime (il vecchio articolo 24) sono oggi ricompresi nel nuovo titolo II, rispettivamente ai nuovi articoli 7 e 22.

In sintesi, l'intervento dell'AGCM sulle norme a presidio di tali procedure si è mosso su tre direttrici parallele. In primis, sono state riflesse nelle norme procedurali le singole specifiche materie aggiuntesi negli ultimi anni (in ambito di tutela del consumatore) nella sfera di competenza dell’AGCM; in secondo luogo, sono state espressamente previste a favore dell’AGCM maggiori facoltà procedimentali, perlopiù in linea con la prassi già sviluppatasi, e nell'ottica di una maggiore flessibilità d'intervento; da ultimo, ed in modo analogo, si segnalano delle aggiunte minori in tema di diritti procedurali dei soggetti sottoposti a istruttoria.

Anzitutto – coerentemente con l'accorpamento già descritto – sono state integrate ed aggiornate le definizioni di consumatore, professionista, microimpresa, pratiche commerciali scorrette, etc.

In aggiunta, per la prima volta dopo che da tempo erano intervenute diverse modifiche normative di ampliamento della competenza dell'AGCM anche ad altri ambiti, il Regolamento menziona espressamente tali materie fra quelle rientranti nel campo di applicazione della nuova procedura istruttoria. Fra dette materie si segnalano (i) i diritti dei viaggiatori nei contratti di pacchetti turistici, (ii) i divieti di blocchi geografici ingiustificati, (iii) i divieti in materia di servizi di pagamento e di credito, (iv) i divieti di attività parassitarie, (v) le cd. IBAN discrimination, (vi) le violazioni degli obblighi informativi sulle commissioni di conversione valutaria e (vii) il divieto di procedure automatizzate di determinazione delle tariffe basate su profilazione.

Per quanto attiene alle facoltà dell'AGCM, si segnalano il nuovo (ovvero, espressamente formalizzato) potere del responsabile del procedimento di effettuare acquisti anonimi a campione, la possibilità di organizzare consultazioni pubbliche in materia di clausole vessatorie, nonché - in linea con la prassi e giurisprudenza - la potestà di rigettare impegni idonei pur in assenza di grave illiceità della condotta investigata qualora l'AGCM registri ugualmente un interesse ad accertare la violazione, e il potere di deliberare il non luogo a provvedere all'esito dell'istruttoria per venir meno dei presupposti dell'azione della decisione.

Si estendono anche i termini entro i quali l'AGCM dovrà terminare le istruttorie. Essi passano da 120 a 180 giorni nei casi di professionisti nazionali e da 180 a 240 per quelli stranieri. In aggiunta, il procedimento potrà essere sospeso per un anno.

Da ultimo, si segnala una piccola espansione dei diritti espressamente riconosciuti ai sottoposti ad istruttoria. Essi, all'esito della comunicazione di avvio dell'istruttoria, avranno diritto di conoscere – come già avviene in ambito antitrust – il termine entro il quale potranno richiedere d'essere sentiti dinanzi all'AGCM. Inoltre, le segnalazioni – da parte dei medesimi – di esigenze di riservatezza non sono più previste a decadenza (pur potendo presumersi che esse dovranno comunque essere palesate prima dell'eventuale emanazione del provvedimento finale dell'AGCM).

Riccardo Ciani

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Appalti, concessioni, regolazione / Appalti e principio del risultato – L’amministrazione può aggiudicare in pendenza di verifica su un requisito essenziale di natura fiscale, purché sia apposta al contratto una clausola risolutiva che si attiva in caso di accertamento negativo

Con la sentenza del 18 novembre 2023 (la Sentenza) il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (il TAR Campania) ha chiarito che, in applicazione del principio del risultato, l’amministrazione può aggiudicare un appalto anche se non ha ancora completato la verifica dei requisiti di partecipazione perché altra amministrazione non ha fornito le informazioni richieste (nella specie, l’Agenzia delle Entrate non ha fornito le informazioni sulla regolarità fiscale del concorrente aggiudicatario).

Invitalia S.p.A. (l’Amministrazione) ha indetto per conto del Ministero della Cultura una gara per l’affidamento di un appalto di lavori relativo alla manutenzione delle terme suburbane della città di Ercolano. Nel marzo 2024, l’Amministrazione ha aggiudicato l’appalto ad un raggruppamento temporaneo d’imprese (il RTI).

La seconda classificata – Lithos S.r.l. (la Ricorrente) – ha impugnato l’aggiudicazione di fronte al TAR Campania.

Fra i molteplici motivi dell’impugnazione, la Ricorrente ha contestato che l’Amministrazione ha aggiudicato l’appalto senza aver preventivamente completato la verifica sulla regolarità fiscale del concorrente aggiudicatario. Infatti, al momento dell’aggiudicazione, l’Agenzia delle Entrate non aveva ancora fornito all’Amministrazione la certificazione di regolarità fiscale sul concorrente aggiudicatario. Secondo la Ricorrente, l’Amministrazione avrebbe dovuto pertanto sospendere la gara in attesa di tale certificazione, poiché l’Articolo 17, comma 5 del nuovo Codice dei contratti pubblici (il Codice del 2023) prevede che l’Amministrazione dispone l’aggiudicazione “dopo aver verificato il possesso dei requisiti in capo all’offerente”.

Il TAR Campania ha respinto il ricorso.

In primo luogo, il TAR Campania ha ritenuto che, consapevole della mancanza della certificazione, l’Amministrazione si fosse adeguatamente tutelata inserendo nel contratto con il RTI una clausola risolutiva espressa ai sensi dell’Articolo 1456 del Codice Civile. Questa si sarebbe attivata se, a seguito del rilascio della certificazione dell’Agenzia delle Entrate, fossero emersi motivi ostativi all’aggiudicazione.

In secondo luogo, il TAR Campania ha precisato che l’Articolo 17, comma 5 del Codice del 2023 deve essere interpretato alla luce del principio del risultato. In base a tale principio, la tempestività dell’affidamento e dell’esecuzione del contratto può e deve superare l’inerzia dell’amministrazione. L’Amministrazione ha dunque correttamente provveduto all’aggiudicazione, senza sospendere la gara in attesa della documentazione definitiva.

La Sentenza è interessante perché pone in evidenza una ricaduta pratica del principio del risultato, recentemente accolto nella disciplina degli appalti dal Codice del 2023. Il TAR Campania ha adottato un’interpretazione coraggiosa di tale principio, anche in contrasto con possibili letture più caute.

A titolo di esempio, nel suo parere n. 57/2023 (il Parere dell’ANAC), relativo anch’esso al Codice del 2023, l’ANAC aveva suggerito una soluzione diametralmente opposta ad una situazione di fatto del tutto analoga, spiegando che, fintanto che l’amministrazione non abbia verificato l’esistenza dei requisiti fiscali in capo all’offerente, non si possa procedere all’aggiudicazione. In tale parere, l’ANAC faceva anche riferimento a giurisprudenza amministrativa relativa al Codice dei contratti pubblici del 2016, che, alla luce della Sentenza, deve considerarsi non pacifica.

Massimiliano Gelmi