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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 28 ottobre 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Abusi di posizione dominante e settore dei chip – La Corte di Giustizia conferma l’annullamento della sanzione irrogata a Intel per abuso di posizione dominante

Lo scorso 24 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) ha integralmente rigettato il ricorso proposto dalla Commissione europea (la Commissione) avverso l’annullamento parziale da parte del Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) di una decisione della Commissione che constatava un abuso di posizione dominante da parte di Intel nel mercato dei processori “x86”.

Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2009 la Commissione aveva sanzionato Intel per oltre un miliardo di euro per aver posto in essere due pratiche ritenute parte di un unico disegno abusivo volto ad escludere il suo unico concorrente, AMD, dal mercato dei processori x86 (la Decisione), ossia: (i) la previsione di sconti e/o pagamenti a quattro grandi produttori di computer condizionati al fatto che si rifornissero da Intel per tutto (o quasi) il loro fabbisogno di processori x86 (gli Sconti); e (ii) pagamenti a produttori e a un distributore volti a ritardare o non procedere con il lancio di prodotti contenenti processori x86 di AMD. Nella Decisione, la Commissione, pur ritenendo che non fosse necessario dimostrare l’effetto escludente degli Sconti, aveva nondimeno effettuato un’analisi economica vertente sulla capacità degli Sconti di escludere un concorrente efficiente quanto Intel, ma non dominante (il c.d. “As Efficient Competitor Test”, nel prosieguo il Test AEC).

Nel 2014, ad esito della prima “tappa” di questa saga processuale, il Tribunale aveva rigettato il ricorso presentato da Intel avverso la Decisione, ritenendo che la Commissione non fosse tenuta a dimostrare l’effetto escludente degli sconti e, in ogni caso, quand’anche tale dimostrazione fosse dovuta, affermando che non sarebbe stato necessario condurre il Test AEC.

Nel 2017, la CGUE aveva accolto l’appello proposto da Intel avverso la sentenza del Tribunale, annullandola e rinviando la causa al Tribunale affinché riesaminasse la capacità degli Sconti di limitare la concorrenza. In tale sentenza, la CGUE aveva precisato che, nel caso in cui l’impresa interessata sostenga, nel corso del procedimento amministrativo, che un sistema di sconti fedeltà non ha la capacità di restringere la concorrenza, la Commissione è tenuta a valutare i seguenti elementi (l’Intel Test): (i) l’ampiezza della posizione dominante dell’impresa sul mercato pertinente; (ii) il tasso di copertura del mercato da parte degli sconti contestati; (iii) le condizioni e le modalità di concessione degli sconti; (iv) la durata e l’importo degli sconti; e (v) l’esistenza di una strategia diretta a escludere concorrenti efficienti quanto l’impresa interessata.

Nel 2022, il Tribunale si era pronunciato sul rinvio annullando sia la parte della Decisione dedicata agli Sconti, sia la relativa sanzione. In questa pronuncia (già riportata in questa Newsletter), il Tribunale aveva analizzato il Test AEC condotto dalla Commissione, concludendo che esso non soddisfacesse i requisiti individuati dalla CGUE.

La CGUE, nella sentenza in commento, ha rigettato tutti i motivi di appello presentati dalla Commissione, confermando la sentenza del Tribunale del 2022.

Nello specifico, la CGUE ha innanzitutto ribadito che una condotta escludente è abusiva se, da un lato, è realizzata con metodi contrari alla concorrenza basata sui meriti e, dall’altro, ha l’effetto di escludere o marginalizzare concorrenti altrettanto efficienti.

In secondo luogo, la CGUE ha precisato che, sebbene la dimostrazione di un effetto restrittivo della concorrenza possa implicare il ricorso a modelli di analisi differenti in funzione della tipologia di condotta considerata, essa deve nondimeno essere sempre compiuta valutando tutte le pertinenti circostanze fattuali.

In terzo luogo, con riguardo agli sconti di fedeltà, la CGUE ha chiarito che la Commissione è in ogni caso tenuta a valutare i punti dall’(i) al (iv) dell’Intel Test. In aggiunta a ciò, se l’impresa interessata sostiene durante il procedimento sulla base di elementi di prova che gli sconti non hanno effetti escludenti, la Commissione è tenuta a valutare anche il punto (v) dell’Intel Test facendo ricorso, in generale, al Test AEC.

Infine, con riguardo al Test AEC, la CGUE ha chiarito (i) che si tratta di un esercizio ipotetico non necessariamente riferito ad un concorrente esistente nel mercato rilevante e (ii) che il Test AEC deve essere condotto non solo sulla base degli sconti concessi in denaro, ma anche quelli che siano concessi sotto forma di prestazione in natura. Secondo la CGUE, tale ultima valutazione deve fondarsi non tanto sul valore della prestazione percepito dal cliente, bensì sul costo che la prestazione comporta per l’impresa, salvo gli adattamenti che siano necessari in ragione del fatto che l’ipotetico concorrente altrettanto efficiente non è dominante nel mercato rilevante.

Con questa sentenza, che conclude la lunga “saga Intel”, la CGUE ha chiarito diversi punti controversi emersi dalla sua precedente pronuncia del 2017. Tra questi, come si è visto, la CGUE non ha legittimato in alcun modo il ricorso a presunzioni da parte della Commissione in tema di sconti di fedeltà. Non resta che attendere di vedere l’impatto che questa sentenza avrà sulla versione definitiva delle nuove linee guida sugli abusi escludenti, le quali, nella attuale versione oggetto di consultazione (già commentata in questa Newsletter), sembrano introdurre una presunzione di illegittimità degli sconti di fedeltà.

Samuel Scandola

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Intese e settore del trasporto ferroviario – La Commissione europea ha sanzionato České dráhy e ÖBB per aver impedito a un nuovo operatore di entrare nel mercato del trasporto ferroviario di passeggeri

Con il comunicato stampa dello scorso 23 ottobre la Commissione europea (la Commissione) ha riferito di aver sanzionato České dráhy (ČD) e Österreichische Bundesbahnen (ÖBB), rispettivamente gli operatori ferroviari incumbent di Repubblica Ceca e Austria, per aver boicottato un nuovo operatore, RegioJet a.s. (RegioJet) impedendone l’entrata nel mercato del trasporto ferroviario di passeggeri nei due Stati, in violazione dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Ripercorrendo brevemente la vicenda: nel 2011 RegioJet, società attiva nel traporto ferroviario di passeggeri, aveva ottenuto l’approvazione per l’esercizio del relativo servizio in Repubblica Ceca, dove avrebbe svolto il servizio in concorrenza con ČD, nonché con ÖBB per la tratta transnazionale fra Praga e Vienna. Per lo svolgimento del proprio servizio ferroviario RegioJet acquistava vagoni usati di ÖBB. Secondo le valutazioni della Commissione, dal 2012 al 2016, ČD e ÖBB avrebbero coordinato le proprie condotte sul mercato al fine di impedire che RegioJet acquistasse ulteriori vagoni usati di ÖBB – input strumentale allo svolgimento della propria attività – al fine specifico di impedirne l’espansione nel mercato dei servizi ferroviari di trasporto passeggeri in Repubblica Ceca e nella tratta transnazionale Praga-Vienna. Nel 2016 la Commissione aveva effettuato ispezioni presso le sedi dei due operatori e, nel 2022, la comunicazione degli addebiti era stata inviata alle parti, contestando la violazione dell’articolo 101 TFUE.

Secondo la Commissione, le condotte poste in essere da ČD e ÖBB sarebbero state finalizzate al mantenimento della propria posizione sui mercati interessati, nonché ad impedire l’espansione di RegioJet. Nello specifico, le condotte in questione includerebbero: (i) l’aver coordinato le procedure di vendita dei vagoni usati di ÖBB, in modo che ČD potesse acquistare i vagoni usati al posto di RegioJet, anche attraverso lo scambio di informazioni sensibili; (ii) per i casi in cui ČD non fosse interessata all’acquisto dei vagoni usati, un accordo fra i due operatori che prevedeva l’individuazione di un acquirente terzo approvato da entrambi e diverso da RegioJet.

Alla luce delle condotte sopraindicate, la Commissione ha ritenuto di sanzionare ČD e ÖBB per un ammontare complessivo di 48,7 milioni di euro per aver violato l’articolo 101 TFUE. Tuttavia, tenendo in considerazione la cooperazione fornita da ÖBB nell’ambito del c.d. “programma di clemenza” è stata attribuita a quest’ultimo operatore una riduzione del 45% della sanzione.

Sarà interessante seguire lo sviluppo del probabile contenzioso che seguirà alla decisione della Commissione, già preannunciato da ČD, la quale sostiene che il procedimento della Commissione sia stato viziato da “gravi ritardi e irregolarità procedurali”. Al contempo sarà necessario verificare quale sarà il possibile sviluppo dal punto di vista del private enforcement a valle dell’accertamento dell’infrazione.

Interessante notare, con riferimento alla decisione in commento, come la condotta sanzionata si discosti dal meccanismo “classico” dell’intesa tra concorrenti ma costituisca, invece, una fattispecie assimilabile al boicottaggio collettivo (comunque classificabile come una violazione per oggetto della normativa antitrust). La Commissione ha altresì sottolineato come l’attività di enforcement riguardi un settore strategicamente prioritario in ragione dello stretto legame tra il funzionamento concorrenziale del sistema di trasporto ferroviario e gli obiettivi del c.d. Green Deal europeo.

Irene Indino

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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi e settore sanitario – Il TAR Lazio respinge il ricorso di Althea avverso il provvedimento di archiviazione di un procedimento avviato dall’AGCM nei confronti di alcune società attive nel mercato dei dispositivi diagnostici

Con la sentenza pubblicata il 22 ottobre 2024, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (il TAR Lazio) ha respinto il ricorso proposto dalla società Althea Group S.p.A. (Althea) avverso il provvedimento (il Provvedimento di Archiviazione) con cui l’Autorità Garante del Mercato (l’AGCM) aveva archiviato il procedimento aperto nei confronti di Philips S.p.A., Siemens Healthcare S.r.l. e GE Medical System Italia S.p.A. (collettivamente, le Società) per accertare possibili condotte contrarie all’articolo 102 TFUE poste in essere dalle Società nei distinti mercato della manutenzione dei rispettivi dispositivi diagnostici (i Dispositivi), sui quali ciascuna delle Società si troverebbe in posizione dominante.

Nello specifico, su segnalazione di Althea e di un altro soggetto anonimo incaricato della gestione di dispositivi elettromedicali all’interno di una struttura sanitaria nazionale, il 31 Gennaio 2018 l’AGCM aveva avviato il procedimento nei confronti delle Società, volto ad accertare l’esistenza di tre distinte violazioni dell’articolo 102 TFUE (il Procedimento). Le Società, in particolare, erano sospettate di aver frapposto numerosi ostacoli allo sviluppo della concorrenza nell’offerta di servizi di manutenzione dei Dispositivi a danno dei manutentori indipendenti, in particolare impedendo l’accesso di questi ad alcuni strumenti software e a risorse informative necessarie per la manutenzione dei Dispositivi, nonché adottando condotte ostruzionistiche con riguardo al reperimento delle parti di cambio originali.

Tuttavia, ritenendo che le prove acquisite in fase istruttoria non fossero sufficienti a dimostrare l’abuso di posizione dominante, in quanto le Società consentivano l’accesso dei terzi alle parti di ricambio e a strumenti software sufficienti ai fini dello svolgimento delle attività di manutenzione anche da parte di manutentori indipendenti (non risultando, dunque, necessario l’accesso ad alcuni strumenti software avanzati, riservati alle Società), il 30 marzo 2021 l’AGCM adottava il Provvedimento di Archiviazione.

Avverso il Provvedimento di Archiviazione, Althea proponeva dunque ricorso dinanzi al TAR Lazio, domandandone l'annullamento e la riapertura del Procedimento. In particolare, Althea deduceva: (i) un’asserita irregolarità procedimentale, consistente nella contraddittorietà tra la Comunicazione delle Risultanze Istruttorie (CRI) e il Provvedimento di Archiviazione; (ii) la violazione del diritto di difesa di Althea, in quanto, ad avviso di quest’ultima, l’AGCM avrebbe dovuto garantire un ulteriore momento di contraddittorio prima dell’adozione del Provvedimento di Archiviazione, attesa la divergenza di quest’ultimo rispetto alla CRI; (iii) l’errore dell’AGCM nella valutazione di alcuni episodi in cui le Società avevano rifiutato le richieste di accesso ad alcuni strumenti software; nonché, infine, (iv) l’errore di valutazione dell’AGCM, laddove essa aveva ritenuto che l’accesso ad alcuni strumenti software avanzati non fosse indispensabile per l’attività di manutenzione dei terzi.

Il TAR Lazio ha respinto integralmente il ricorso. Ad avviso del TAR Lazio, infatti, l’AGCM può non attenersi alle risultanze indicate nella CRI. Anzi: “…il fatto che vi sia divergenza tra la CRI e la volizione finale è […] evenienza fisiologica, immanente al giudizio autonomo e novativo che l’amministrazione pone in essere al termine del procedimento…”. In secondo luogo, con riguardo all’asserita violazione del diritto di difesa di Althea, il TAR Lazio ha segnalato come Althea non abbia prospettato quali ulteriori elementi avrebbe potuto fornire a supporto delle accuse nei confronti delle Società. Non risultava pertanto alcuna esigenza concreta di riaprire il contraddittorio. In terzo luogo, il TAR ha sottolineato come i casi isolati in cui le Società si erano rifiutate di fornire l’accesso ad alcuni strumenti software a manutentori terzi fossero stati sporadici e inidonei a configurare una strategia più ampia di rifiuto. Infine, con riguardo all’accesso agli strumenti software avanzati, il TAR Lazio ha ritenuto non soddisfatto il c.d. “test di indispensabilità”, in quanto i manutentori indipendenti possono comunque rimanere sul mercato in modo economicamente sostenibile, disponendo di soluzioni alternative che non necessitano di tali strumenti.

Risulta di particolare rilevanza il fatto che il TAR Lazio, nella sentenza oggetto del presente commento, abbia confermato il bilanciamento operato dall’AGCM nel Provvedimento di Archiviazione tra la tutela della concorrenza e la salvaguardia del know-how e degli investimenti sostenuti dall’impresa titolare di diritti esclusivi di proprietà intellettuale. Ne consegue che il rifiuto di concedere una licenza, possa ipoteticamente integrare un abuso di posizione solo laddove (i) sia tale da riservare al suo detentore un determinato mercato secondario, escludendo ogni altra concorrenza effettiva, per indisponibilità della risorsa, (ii) concerna la concessione della licenza ad un’impresa che intenda offrire un prodotto o servizio nuovo che lo stesso titolare del diritto di esclusiva non offre; e (iii) sia sostanzialmente qualificabile come un atto emulativo privo di (legittima) giustificazione oggettiva.

Si attende ora di verificare se il Consiglio di Stato sarà chiamato a porre l’ultima parola su questa vicenda.

Chaima El Attaoui

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore edilizio – L’AGCM ha sanzionato Star Italia per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette e aver inserito clausole vessatorie nelle condizioni generali di contratto

Con il provvedimento dell’8 ottobre 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha irrogato a Star Italia S.p.A. (Star Italia), società attiva nel settore della realizzazione, commercializzazione ed installazione di ceramiche da bagno, una sanzione pari complessivamente a 2 milioni di euro per violazione delle norme del Codice del Consumo in tema di pratiche commerciali scorrette e di clausole vessatorie.

La vicenda prende le mosse da una serie di segnalazioni (le Segnalazioni) inviate da diverse associazioni di consumatori (le Associazioni) – quali Atecon, Adiconsum Sardegna e Centro tutela Consumatori Utenti di Bolzano – le quali rendevano note tre tipologie di condotte asseritamente poste in essere da Star Italia, tra cui: (i) la diffusione di informazioni non corrette e ambigue in fase di vendita; (ii) la mancata o ritardata esecuzione delle opere e il diniego del diritto di recesso espressamente previsto nel contratto di appalto, sulla base di un’interpretazione dell’articolo 59, comma 1, lettera c) del Codice del Consumo, secondo la quale il diritto di recesso del consumatore è escluso qualora l’opera oggetto del contratto consista nella fornitura di beni confezionati su misura e personalizzati; nonché (iii) la presenza di clausole vessatorie contenute nelle condizioni generali del contratto di appalto concluso con i consumatori.

Il 16 gennaio 2024, in seguito alle informazioni acquisite, l’AGCM ha dato avvio ad una procedura di istruttoria nei confronti di Star Italia, al termine della quale ha rilevato: (i) la violazione dell’articolo 20 del Codice del Consumo che impone un canone di diligenza minimo nell’interazione con i consumatori, in quanto avrebbe fornito a questi ultimi informazioni fuorvianti relative alla realizzazione dell’opera; (ii) la violazione degli articoli 24 e 25 del Codice del Consumo, che rispettivamente qualificano come pratiche commerciali aggressive quelle che limitano la libertà di scelta del consumatore tramite molestie e/o coercizione e definiscono i criteri per individuarne la presenza, per avere ostacolato l’esercizio dei diritti contrattuali dei consumatori; (iii) la mancata applicabilità al caso concreto dell’articolo 59, comma 1, lettera c) del Codice del Consumo, in quanto la scelta dei prodotti da bagno da installare veniva effettuata sulla base di un catalogo predefinito senza alcuna produzione di beni su misura; (iv) la presenza di molteplici clausole vessatorie nei contratti in questione in violazione dell’articolo 33 del Codice del Consumo che le vieta.

Tra le clausole vessatorie presenti, due risultano essere di particolare interesse:

- la clausola del contratto di appalto secondo la quale “il termine per l’esecuzione dell’opera da parte di Star Italia S.p.A. è stabilito in 180 giorni lavorativi (esclusi quindi sabato, domenica e festivi) decorrenti dalla data di avvenuto integrale pagamento da parte del committente del corrispettivo pattuito per la stessa”. Questa clausola, infatti, limita indebitamente i rimedi a disposizione del consumatore a fronte dell’inadempimento o dei ritardi del professionista; nonché

- la clausola in forza della quale “in caso di ritardo nella consegna del prodotto, Star Italia S.p.A. applicherà uno sconto pari al 5% dell’importo totale della commessa che il cliente accetta a tacitazione di ogni pretesa risarcitoria”. Tale clausola, infatti, quantifica la penale che il professionista è tenuto a pagare in maniera del tutto svincolata dall’effettivo ritardo accumulato e dal pregiudizio subito dal consumatore, impedendo al consumatore di richiedere il pagamento del maggior danno da inadempimento.

Per tali ragioni, l’AGCM ha inflitto a Star Italia una sanzione complessiva di 2 milioni di euro tenendo conto tra le altre cose della dimensione economica e dell’importanza di Star Italia, della diffusione, dell’ampiezza e della gravità delle pratiche commerciali scorrette ed il numero delle clausole vessatorie presenti nel contratto di appalto.

Margherita Zucchini

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Appalti, concessioni, regolazione / Appalti e sovvenzioni pubbliche – Il combinato di una sovvenzione statale e di un preliminare di acquisto sull’opera futura non elude l’applicazione degli obblighi in materia di appalti di lavori pubblici

Con la sua decisione del 17 ottobre, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGEU) ha chiarito a quali condizioni un contratto che eroga una sovvenzione pubblica e un contratto preliminare di acquisto di cosa futura, funzionalmente collegati, possano in realtà congiuntamente costituire un appalto di lavori pubblici sottoposto alla disciplina europea.

Nel 2013, il Governo slovacco concludeva un contratto con la società NFŠ (la Società) per conferire un contributo pubblico che sovvenzionava la costruzione dello stadio nazionale di calcio (la Sovvenzione). Nell’ambito di tale accordo, il Governo slovacco versava alla Società oltre 27 milioni di euro, a fronte dell’obbligo della Società di finanziare il restante 60% del progetto.

Nel 2016, il Governo slovacco stipulava con la Società un contratto preliminare di acquisto dell’opera (il Preliminare). Il Preliminare stabiliva un obbligo dello Stato slovacco di acquistare lo stadio, qualora la Società avesse deciso di far valere il proprio diritto di vendita. Il Preliminare non imponeva tuttavia alcun obbligo di vendita alla Società. Infine, il Preliminare includeva alcune specifiche tecniche su come la Società avrebbe dovuto realizzare lo stadio.

Nel 2017, la Commissione europea dichiarava la Sovvenzione un aiuto di Stato compatibile con il mercato interno. Pertanto, la Società iniziava i lavori di costruzione dell’opera.

Negli anni successivi, il Preliminare è stato oggetto contenzioso fra la Società e il Governo slovacco. In particolare, il Governo slovacco ha sostenuto che il combinato della Sovvenzione e del Preliminare fosse in realtà un contratto di appalto di lavori pubblici, stipulato con modalità anomale al solo scopo di eludere l’obbligo europeo di indire una procedura concorrenziale.

La Società ha obiettato che il combinato dei due atti non potesse essere un appalto di lavori pubblici, poiché sarebbe mancato l’elemento della prestazione corrispettiva, potendo la Società alienare lo stadio all’amministrazione, ma non essendo essa gravata da un obbligo in questo senso. La Società ha anche sostenuto che il fatto che la Commissione avesse dichiarato la Sovvenzione aiuto di Stato rendesse la disciplina degli appalti inapplicabile al caso di specie.

Il contenzioso ha raggiunto la CGUE nell’ambito di un rinvio pregiudiziale sulla corretta interpretazione della nozione europea di appalto di lavori pubblici.

La CGUE ha chiarito che un contratto, alla luce del diritto europeo, può essere non soltanto un singolo atto giuridico, ma anche un insieme di atti distinti, purché questi siano materialmente e temporalmente collegati. A tal proposito, la CGUE ha posto in evidenza come la costruzione dello stadio fosse stata iniziata solo a seguito della stipula del Preliminare, di fatto suggerendo l’idea che si trattasse di due fasi di un contratto unitario.

Quanto al requisito della corrispettività necessario affinché si applichi l’istituto dell’appalto, la CGUE ha spiegato come sia sufficiente che entrambe le parti possano pretendere una prestazione suscettibile di apprezzamento economico. Non conta infatti che lo Stato slovacco non abbia il diritto di acquisire la proprietà sull’opera, quando la Società è comunque gravata da un obbligo di rendere lo stadio disponibile all’amministrazione nell’interesse pubblico. A tal proposito, la CGUE ha rilevato come il Preliminare, oltre a dare all’amministrazione il diritto di pretendere certe specifiche tecniche nella costruzione, avesse anche previsto a carico della Società un divieto di alienazione a terzi in assenza di autorizzazione amministrativa. Ciò basta, ad avviso della CGUE, ad accertare l’esistenza di obblighi corrispettivi della Società, di fatto posti nell’interesse pubblico.

Infine, la CGUE ha negato che la qualificazione giuridica della Sovvenzione come aiuto di Stato avesse un qualche rilievo nell’escludere la disciplina degli appalti. Si tratta infatti di due corpi normativi indipendenti, la cui sovrapposizione è senz’altro ammessa dal diritto europeo. La sentenza è interessante perché esprime principi che, in applicazione del medesimo diritto europeo, hanno trovato applicazione anche nella giurisprudenza amministrativa italiana che, nel tempo, ha avuto modo di chiarire se e in che limiti un contratto di acquisto di cosa futura potesse giustificare il mancato rispetto della disciplina in tema di appalti pubblici.

Massimiliano Gelmi