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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 14 ottobre 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e settore metallurgico – La CGUE ha confermato la decisione della Commissione europea di vietare la joint venture tra Thyssenkrupp e Tata Steel

Con la sentenza dello scorso 4 ottobre 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha confermato la decisione della Commissione europea (la Commissione) con la quale quest’ultima aveva posto il veto sul progetto di concentrazione con il quale Thyssenkrupp (Thyssenkrupp) e Tata Steel Ltd (Tata) avrebbero acquisito il controllo congiunto di una joint venture (la JV).

Come già segnalato nella presente Newsletter, la Commissione aveva ritenuto che l’operazione in questione avrebbe eliminato un importante elemento di pressione competitiva nei mercati dei prodotti in acciaio rivestito e laminato e prodotti in acciaio zincato a caldo per autoveicoli.

A seguito del rigetto del Tribunale dell’UE (il Tribunale) del ricorso presentato da Thyssenkrupp avverso la decisione della Commissione, Thyssenkrupp ha proposto un’impugnazione dinnanzi alla CGUE, lamentando: (i) l’errata definizione del mercato rilevante del prodotto e del mercato geografico, (ii) l’onere della prova applicabile alla Commissione, (iii) l’errata interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 3 del Regolamento 13/2004 ed errata applicazione del c.d. SIEC test (ossia l’esistenza di un ostacolo significativo ad una concorrenza effettiva ascrivibile alla concentrazione oggetto di indagine), (iv) l’errata interpretazione delle nozioni di “forza concorrenziale importante” e di “close competitor” e (v) l’errata applicazione dell’indice HHI.

In primo luogo, la ricorrente lamentava che il Tribunale avesse effettuato un’errata definizione del mercato rilevante sia dal punto di vista del prodotto che dal punto di vista geografico, essendosi limitato a confermare la visione della Commissione, secondo la quale il mercato dell’acciaio elettrozincato e il mercato dell’acciaio zincato a caldo costituiscono due mercati distinti e separati. Rispetto a tale argomentazione, da un lato la CGUE ha confermato la separazione di tali mercati; dall’altro ha affermato che, anche in considerazione di un unico mercato globale di tale tipologia di acciaio, la valutazione dell’operazione sotto il profilo concorrenziale sarebbe stata la medesima.

Con il secondo motivo di impugnazione Thyssenkrupp lamentava che il Tribunale avrebbe dovuto rilevare l’errore della Commissione relativo alla mancata dimostrazione con “seria probabilità” dell’eventuale esistenza di un ostacolo significativo ad una concorrenza effettiva. Anche tale motivo è stato ritenuto infondato dalla CGUE, la quale ha specificato che è sufficiente che la Commissione dimostri, mediante elementi di prova sufficientemente significativi e concordanti, che è “più probabile che improbabile” che la concentrazione oggetto di analisi ostacoli in modo significativo una concorrenza effettiva nel mercato interno o in una parte sostanziale di esso.

In merito alle contestazioni di Thyssenkrupp riguardo all'errata interpretazione dell'articolo 2, paragrafo 3 del Regolamento 13/2004, la CGUE ha affermato che, in un mercato oligopolistico come quello in questione, non era necessario dimostrare l'ottenimento di una posizione dominante da parte della JV per porre il veto su un'operazione, ma era sufficiente dimostrare, come avvenuto nel caso di specie, “l’eliminazione di importanti vincoli concorrenziali reciprocamente esercitati dalle imprese partecipanti alla concentrazione”: anche in assenza di una probabilità di coordinamento tra i membri dell’oligopolio ciò può dar luogo ad ostacoli significativi ad una concorrenza effettiva e pertanto giustificare una decisione di veto.

Con il quarto motivo di impugnazione Thyssenkrupp ha sostenuto che il Tribunale avesse: (i) erroneamente qualificato Tata come “forza concorrenziale importante”, lamentando un’interpretazione eccessivamente ampia di tale nozione e non incline agli Orientamenti sulle concentrazioni orizzontali (gli Orientamenti); (ii) erroneamente interpretato il significato di close competitor, dovendo Thyssenkrupp e Tata essere individuate come “concorrenti particolarmente stretti”. La CGUE ha affermato in entrambi i casi di aver restituito e applicato una corretta interpretazione di tali concetti e che, con riguardo alla individuazione delle parti come close competitor, Thyssenkrupp non ha prodotto alcuna prova che possa suffragare tale argomento.

Infine, il quinto motivo di impugnazione concerne una contestazione rispetto ad una errata applicazione dell’indice HHI, causata dall’utilizzo da parte della Commissione di valori artificiosamente elevati. A tal riguardo la CGUE ha dimostrato che, anche ammettendo il calcolo proposto dalla società, i livelli e la crescita dell’indice in questione superavano le soglie fissate ai punti da 19 a 21 degli Orientamenti, aldilà delle quali potrebbero sorgere problemi di concorrenza orizzontale sul mercato interessato.

La sentenza, dunque, è di particolare interesse in quanto illustra i criteri applicabili alla valutazione di concentrazioni che interessano mercati oligopolistici – un tema di particolare attualità alla luce del contesto economico attuale e delle implicazioni del c.d. Draghi Report.

Margherita Zucchini

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Intese e settore sportivo – Per la CGUE alcune disposizioni del Regolamento FIFA costituiscono restrizioni del diritto della concorrenza paragonabili ad accordi di c.d. no-poach

Con sentenza del 4 ottobre 2024, la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata sulla compatibilità con gli articoli 45 e 101 TFUE di alcune norme del Regolamento sullo status e i trasferimenti dei giocatori della Fédération Internationale de Football Association (FIFA) (il Regolamento FIFA), ritenendo che costituiscano restrizioni al diritto della concorrenza.

Le norme in questione hanno ad oggetto in particolare: (i) il rilascio di un certificato internazionale di trasferimento obbligatorio (CIT) da parte della federazione nazionale presso cui era eventualmente tesserato un giocatore e l’impossibilità di rilasciare il CIT ove risultasse pendente una controversia contrattuale tra il giocatore e il club di provenienza circa la risoluzione senza giusta causa del contratto; (ii) in caso di risoluzione senza giusta causa del contratto tra il giocatore e il club di provenienza, la responsabilità solidale del giocatore e del club di destinazione per il pagamento di un’indennità; e (iii) una presunzione che il club avesse “incentivato” il giocatore a violare il proprio precedente contratto, con conseguente possibile sanzione sportiva per il nuovo club consistente nel divieto di ingaggiare nuovi giocatori per un determinato periodo.

La controversia nasceva dalla domanda presentata da un giocatore professionista francese per il risarcimento dei danni asseritamente causati dal mancato rilascio del CIT a seguito di un suo trasferimento ad un club belga. Il calciatore aveva firmato un contratto di quattro anni con la squadra Lokomotiv Mosca che era stato risolto dal club dopo aver sostenuto che il giocatore avesse violato l’accordo senza “giusta causa”. Il club aveva quindi chiesto un risarcimento danni attraverso l’organo di risoluzione delle controversie della FIFA, che aveva ordinato al giocatore di pagare un risarcimento di 10,5 milioni di euro. Il giocatore sosteneva che la stipula di un contratto con un nuovo club era stata resa difficile/vanificata alla luce del Regolamento FIFA, ed in particolare per la previsione sulla responsabilità solidale del nuovo club per l’indennizzo eventualmente dovuto al suo ex club. Il giudice a quo aveva domandato alla CGUE di accertare la compatibilità delle norme di cui sopra con il principio di libertà di circolazione dei lavoratori di cui all’art. 45 TFUE e con il divieto di intese restrittive della concorrenza previsto dall’art. 101 TFUE.

Con la sentenza in commento, la CGUE ha ritenuto che le norme in questione disincentivano i trasferimenti internazionali dei calciatori che terminano il loro contratto senza “giusta causa” e costituiscono violazioni “per oggetto” del diritto della concorrenza.

Considerando i profili connessi all’art. 45 TFUE, per la CGUE le norme in parola sono idonee a sfavorire i calciatori che intendono esercitare la loro attività economica in un altro Stato membro ed impongono rischi giuridici significativi, rischi finanziari imprevedibili e potenzialmente molto elevati, oltre a rischi sportivi importanti che, nel loro insieme, sono capaci di dissuadere i club dall’iscrivere tali giocatori. Pertanto, esse ostacolano la libera circolazione dei lavoratori. La CGUE si interroga quindi se possa sussistere un prevalente obiettivo legittimo di interesse generale e se le norme in questione rispettino il principio di proporzionalità. Pur spettando ai giudici nazionali tale verifica, la CGUE ritiene che – anche se il Regolamento FIFA persegue obiettivi legittimi di interesse generale quali il mantenimento della stabilità delle squadre dei club calcistici, preservare l’integrità, la regolarità e il corretto svolgimento delle competizioni calcistiche e proteggere i calciatori professionisti - le norme in analisi sembrano andare al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo. In particolare, per la CGUE (i) i criteri di indennizzo sembrano preservare gli interessi finanziari dei club durante i trasferimenti dei giocatori piuttosto che garantire il regolare svolgimento delle competizioni sportive; (ii) la presunzione di responsabilità solidale del nuovo club non sembra giustificata e (iii) una norma che vieta, in via generale e automatica, di emettere un CIT fintanto che il club ed il giocatore abbiano una controversia contrattuale in corso e la cui attuazione può avere l’effetto di impedire al giocatore di esercitare la sua attività professionale, sembra violare manifestamente il principio di proporzionalità.

Analizzando invece i profili connessi all’art. 101 TFUE, la CGUE ricorda che tale articolo copre non solo il lato dell’offerta di beni e servizi, ma anche delle risorse di cui le aziende hanno bisogno, per cui il comportamento collusivo può consistere anche nel limitare o controllare un parametro essenziale della concorrenza come, in taluni settori, l’assunzione di lavoratori di alto livello (come ad esempio i calciatori professionisti). Le norme in analisi, secondo la CGUE, costituiscono un insieme inscindibile di disposizioni che si prestano ad un’attuazione discrezionale ed imprevedibile, ovvero – per quanto riguarda l’importo dell’indennizzo – capaci di consentire un importo elevato e dissuasivo. Inoltre, i giocatori potrebbero essere privati di qualsiasi possibilità di partecipare al calcio organizzato. Pertanto, le norme in analisi sono secondo la CGUE idonee a restringere in modo generalizzato e drastico la concorrenza tra club per l’ingaggio di giocatori. In altre parole, secondo la CGUE, la possibilità di farsi concorrenza reclutando giocatori già formati svolge un ruolo essenziale nel settore del calcio professionistico, per cui le norme che restringono in modo generalizzato tale forma di concorrenza, cristallizzando la ripartizione dei lavoratori tra club e compartimentando i mercati sono assimilabili ad un accordo di non sollecitazione (c.d. “no poach”) vietato. Inoltre, il giudice del rinvio dovrà considerare che le norme in questione sono discrezionali e/o sproporzionate e prevedono una restrizione generale, drastica e permanente della concorrenza transfrontaliera. Ciascuna di queste circostanze sembrerebbe ostare a che tali norme siano considerate indispensabili, quindi esentabili ai sensi dell’art. 101(3) del TFUE.

La sentenza in commento è di particolare interesse nella misura in cui – pur rientrando nel filone di recenti pronunce concentrate sull’applicazione del diritto della concorrenza al settore dello sport – si spinge a coprire anche l’applicazione del diritto della concorrenza in relazione ai mercati del lavoro, profilo di rinnovato interesse a livello mondiale.

Cecilia Carli

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Abusi e settore del gas naturale – La CGUE ha rigettato l’appello proposto da Orlen avverso la decisione della Commissione europea di accettare gli impegni proposti da Gazprom

Con la sentenza resa lo scorso 26 settembre nella causa C-255/22 P, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) ha respinto il ricorso promosso da Orlen S.A. (Orlen) avverso la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) che aveva confermato la decisione del 2018 (la Decisione) della Commissione europea (la Commissione), con la quale la Commissione aveva chiuso un procedimento avviato nei confronti di Gazprom PJSC e Gazprom export LLC (congiuntamente, Gazprom) per un possibile abuso di posizione dominante, con l’accettazione di impegni presentati da Gazprom (gli Impegni).

L’annosa vicenda – già oggetto di commento nella presente Newsletter - trae origine da un procedimento avviato nel 2012 dalla Commissione, volto a verificare se Gazprom avesse posto in essere violazioni degli articoli 101 e/o 102 TFUE in taluni paesi dell’Europa centrale e orientale (i Paesi Coinvolti). In tale contesto, nel 2015 la Commissione inviava a Gazprom una comunicazione degli addebiti (la CA), nella quale contestava a Gazprom una possibile violazione del divieto di abuso di posizione dominante, realizzata mediante l’attuazione di una strategia finalizzata a frammentare e isolare i mercati dei Paesi Coinvolti, impedendo in tal modo la libera circolazione del gas tra di essi (le Restrizioni Contestate).

Le Restrizioni Contestate consistevano sostanzialmente in (i) clausole contrattuali – stipulate da Gazprom con grossisti e clienti industriali nei Paesi Coinvolti – che rendevano quasi impossibile il flusso transfrontaliero di gas; (ii) l’imposizione di prezzi eccessivi; e, per quanto riguarda in particolare la Bulgaria e la Polonia (due dei Paesi Coinvolti) (iii) l’imposizione ai grossisti bulgari di obblighi di investimento nel progetto di gasdotto South Stream e, nel caso dei grossisti polacchi – come Orlen – il rafforzamento del controllo di Gazprom sulla gestione del tratto polacco del gasdotto Yamal, uno dei principali gasdotti di transito in Polonia (la Gestione di Yamal).

A fronte della CA, Gazprom presentava gli Impegni, ritenuti idonei a fugare le preoccupazioni concorrenziali evidenziate dalla CA. Essi consistevano, segnatamente, (i) nella rimozione delle clausole contrattuali che rendevano impossibile il flusso del gas transfrontaliero, (ii) nella modifica (diretta, o tramite l’inserimento di clausole di revisione) dei prezzi praticati nei Paesi Coinvolti, nonché (iii) nella rinuncia alla sostanziale imposizione di obblighi di investimento in capo ai grossisti bulgari nel gasdotto South Stream. Gli Impegni, invece, non contenevano alcuna disposizione in merito alla Gestione di Yamal.

Adito da Orlen, il Tribunale aveva respinto il ricorso di quest’ultima, confermando in larghissima parte la ricostruzione offerta dalla Commissione nella Decisione. Si giunge così alla CGUE, dinanzi alla quale Orlen ha articolato le proprie doglianze in diversi motivi, tutti rigettati.

Con un primo motivo, Orlen ha contestato asserite carenze motivazionali della Decisione, nella misura in cui la Commissione non avrebbe puntualmente argomentato le ragioni per le quali alcune delle contestazioni contenute nella CA – in particolare, quelle relative alla Gestione di Yamal – siano poi state abbandonate nella Decisione.

Secondo la CGUE, tuttavia, dal momento che la CA è esclusivamente un documento di natura procedurale e preparatoria, funzionale a garantire l’esercizio efficace dei diritti di difesa delle imprese soggette ad un procedimento avviato per accertare la possibile violazione del diritto antitrust, in una decisione di chiusura con impegni di tali procedimenti la Commissione non è tenuta né a inviare una nuova CA, né a spiegare i motivi per i quali abbia abbandonato uno o più addebiti ipotizzati nella CA (sia nei confronti delle imprese destinatarie di questa, sia nei confronti di eventuali terze parti). Infine, chiosa la CGUE: nel caso di abbandono da parte della Commissione di uno o più addebiti, è solo nei limiti in cui si dimostri che tale abbandono ha reso manifestamente insufficienti gli impegni proposti che altre parti – come, nel caso di specie, Orlen – sarebbero legittimate a contestare la regolarità della decisione finale sulla base di detto abbandono.

Con un secondo motivo, poi, Orlen ha contestato l’adeguatezza degli Impegni a rimuovere le preoccupazioni concorrenziali evidenziate nella CA, anche alla luce del principio di solidarietà energetica, di cui all’art. 194 TFUE.

Sul punto, la CGUE ha chiarito come nell’ambito di un procedimento avviato ai sensi del Regolamento 1/2003, la Commissione non possa certamente accettare impegni che rischino di determinare una violazione dell’art. 194 TFUE – ponendo così in pericolo gli obiettivi perseguiti dai Trattati di solidarietà energetica o la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Unione – malgrado il fatto che tali impegni possano rispondere alle preoccupazioni in materia di concorrenza sul mercato interessato. Al contempo, però, la Commissione – nell’ambito di tali procedimenti – non dispone della competenza a imporre obblighi indipendenti e ulteriori rispetto a quelli diretti a porre rimedio alle preoccupazioni concorrenziali nutrite, richiedendo impegni maggiormente vincolanti sulla base di altri principi.

Con un terzo motivo, infine, Orlen ha altresì censurato la Decisione e la sentenza del Tribunale, nella misura in cui esse avrebbero commesso “errori manifesti” nella valutazione sull’idoneità degli Impegni a risolvere le preoccupazioni concorrenziali evidenziate nella CA. Sul punto, oltre ad evidenziare come sia la Decisione, sia la sentenza del Tribunale, abbiano diffusamente argomentato circa l’idoneità degli Impegni proposti a rimuovere le preoccupazioni concorrenziali nutrite dalla Commissione, la CGUE ha ritenuto altresì di ribadire come la mera esistenza di eventuali irregolarità od omissioni da parte della Commissione nel procedimento di valutazione degli impegni proposti non sia sufficiente, di per sé, a costituire un “errore manifesto di valutazione”. Per determinare, dunque, l’annullamento della decisione di chiusura di un procedimento con accoglimento degli impegni, risulta necessario che la Commissione commetta errori che raggiungano una “determinata soglia di gravità, idonea a rimettere in discussione la fondatezza dell’analisi da essa effettuata”.

La pronuncia della CGUE appare di particolare interesse, nella misura in cui fornisce importanti chiarimenti circa un istituto – quello delle decisioni con impegni ai sensi dell’art. 9 del Regolamento 1/2003 – di rara applicazione, ma che rappresenta di certo un utile strumento sia per le imprese oggetto di indagine e sia per la Commissione.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Diritto della concorrenza – Italia / Concentrazioni e trattamento rifiuti – Per il Consiglio di Stato non è possibile impugnare il provvedimento di non avvio di istruttoria se l’appellante non ha presentato le proprie osservazioni nel procedimento preistruttorio dinanzi all’AGCM

Con la sentenza dello scorso 9 ottobre, il Consiglio di Stato (CdS) ha rigettato il ricorso presentato da Masotina S.p.A. (Masotina), società attiva nel settore del recupero e della selezione dei rifiuti, avverso il provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha autorizzato, senza avvio di istruttoria, l’acquisizione del controllo esclusivo di I. Blu S.r.l. (I.Blu), società attiva nella selezione, trattamento e recupero della plastica da rifiuti solidi urbani per la produzione di materiali da riciclo (i c.d. polimeri rigenerati) tramite due Centri di Selezione e Stoccaggio (CSS), da parte di Iren Ambiente S.p.A. (Iren), società attiva principalmente nella raccolta dei rifiuti urbani (nel complesso, l’Operazione).

Secondo Masotina, l’Operazione doveva essere ritenuta idonea a rafforzare la posizione dominante di Iren in alcune aree del Paese nei mercati della raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, nonché a costituire una posizione dominante nel mercato a valle della selezione dei rifiuti. L’integrazione verticale in questione avrebbe di conseguenza comportato il rischio che Iren veicolasse tutti i propri flussi di rifiuti nei due CSS acquisiti escludendo i CSS indipendenti, che si sarebbero appunto visti privati del materiale proveniente da Iren in assenza di fonti alternative di approvvigionamento. L’asserito errore di valutazione dell’AGCM discenderebbe, in particolare, da (i) un’errata definizione del mercato rilevante, (ii) un’errata valutazione degli effetti verticali dell’Operazione e (iii) una mancata valutazione dei patti di non concorrenza stipulati in tale occasione.

In linea con le conclusioni del Tribunale Amministrativo per il Lazio (il TAR), il CdS ha tuttavia ritenuto infondate tutte le censure presentate da Masotina. Dopo aver premesso che i provvedimenti AGCM in materia di concentrazioni si caratterizzano per un margine di discrezionalità tecnica nella valutazione prospettica degli effetti di dette operazioni, il CdS ha chiarito che il sindacato del giudice amministrativo su tali provvedimenti è limitato ad un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione, nonché alla verifica che non vengano esorbitati gli oggettivi margini di opinabilità di dette valutazioni, senza tuttavia che il giudice amministrativo possa sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’AGCM.

Nel caso di specie va evidenziato che, sebbene l’Operazione fosse stata debitamente notificata all’AGCM e tempestivamente resa nota al mercato tramite apposito avviso nel sito dell’AGCM stessa, Masotina non ha preso parte al procedimento preistruttorio, sollevando invece le presenti criticità solo per mezzo dell’impugnazione del provvedimento di non avvio della fase istruttoria. A detta del CdS, ciò sarebbe di per sé sufficiente per respingere il ricorso in quanto, con una simile condotta, Masotina non ha dato la possibilità all’AGCM di esaminare e confutare i rilievi in questione in sede procedimentale, con il rischio astratto che il giudice amministrativo venga a sostituirsi all’AGCM nella valutazione dei fatti. Pertanto, qualsiasi asserita carenza istruttoria e difetto di motivazione risentirebbe inevitabilmente della mancata partecipazione dell’appellante al procedimento posto che, in linea con gli orientamenti consolidati della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, l’AGCM non è tenuta né a prendere posizione su aspetti che ritiene chiaramente secondari né ad anticipare potenziali obiezioni alle proprie valutazioni e che il grado di precisione della motivazione di una decisione dev’essere proporzionato alle possibilità materiali ed alle condizioni tecniche al tempo disponibili per la sua adozione.

In ogni caso, il CdS ha altresì confermato la bontà dell’operato dell’AGCM nel caso di specie. Innanzitutto, secondo il supremo giudice amministrativo, non appare censurabile la scelta di quest’ultima di escludere dalle proprie valutazioni il trattamento dei rifiuti c.d. multimateriali e di concentrarsi invece sul trattamento degli specifici rifiuti in plastica, posto che per questioni di prossimità territoriale l’unico dei due CSS oggetto di acquisizione che avrebbe potuto essere preferito da Iren nel conferimento dei rifiuti si occupa esclusivamente del trattamento dei materiali plastici, e che, nello schema dell’Operazione, le attività di I.Blu relative ai rifiuti multimateriali sono state retrocedute alla società seller, ossia Idealservice Soc. Coop. Viene infatti ricordato che la definizione del mercato rilevante non deve essere intesa come assoluta ma deve essere invece adeguata, ove opportuno, alle specificità del caso concreto.

Inoltre, non sarebbe censurabile nemmeno la valutazione operata dall’AGCM in merito agli effetti verticali dell’Operazione. Infatti, la circostanza per cui l’assegnazione dei flussi di rifiuti ai CSS avviene secondo la regolamentazione di settore predisposta da Corepla precluderebbe ad Iren la possibilità di convogliare i rifiuti da questa raccolti esclusivamente presso gli impianti acquisiti e di implementare ipotetiche strategie escludenti a danno dei CSS terzi. Una simile valutazione trova altresì conforto nel fatto che i CSS acquisiti sono ubicati uno in Friuli-Venezia Giulia, dove Iren non opera nella raccolta del rifiuto plastico, e l’altro in Emilia-Romagna, dove risultano presenti numerosi concorrenti di Iren.

Infine, non risulterebbe censurabile nemmeno la mancata valutazione dei patti di non concorrenza stipulati in concomitanza dell’Operazione posto che, con compiuta motivazione, questi sono stati ritenuti dall’AGCM non accessori all’Operazione e che detti patti sarebbero in ogni caso suscettibili, se necessario, di una valutazione autonoma ai sensi dell’art. 101 TFUE.

La sentenza in commento risulta di particolare interesse perché contribuisce a definire ulteriormente il perimetro del sindacato giurisdizionale sui provvedimenti dell’AGCM stabilendo che non è possibile impugnare il provvedimento di autorizzazione di una concentrazione se l’appellante non ha presentato le proprie osservazioni nell’ambito del procedimento preistruttorio dinanzi all’autorità stessa.

Niccolò Antoniazzi

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Appalti, concessioni e regolazione /  Prime applicazioni sostanziali al principio del risultato

Con la decisione dell'1 ottobre scorso (la Decisione), il Consiglio di Stato (CdS) ha statuito che, se un bando di gara, richiede il possesso di un requisito al momento dell’esecuzione del contratto, l’operatore non deve avere tale requisito già al momento della partecipazione alla gara. Nel caso di specie, la Decisione arriva ad esprimere questa conclusione in applicazione del principio della massima partecipazione e alla luce di un’interpretazione del bando di gara che tiene conto del c.d. principio del risultato introdotto nel nuovo Codice dei contratti pubblici.

La vicenda è originata due anni fa quando il Comando Legione Carabinieri Puglia (l’Amministrazione) ha bandito la gara per l’affidamento della gestione del Lido del Carabiniere di Brindisi. La gara si sarebbe svolta in due fasi: una prima relativa alla manifestazione di interesse, ed una seconda in cui l’Amministrazione avrebbe valutato le offerte dopo aver verificato la presenza dei requisiti. Nel bando si leggeva che i partecipanti “dovranno essere in possesso” dei requisiti UNI EN ISO 9001:2015 e UNI EN ISO 14001:2015.

Al termine della la gara, la società Ge.Com. s.r.l.s. (la Ricorrente) si classificava seconda in graduatoria.

Essa pertanto chiedeva accesso agli atti, e successivamente impugnava l’aggiudicazione e il bando di gara.

Secondo la Ricorrente, l’aggiudicazione era illegittima in quanto alla scadenza prevista dal bando, la prima classificata non possedeva i requisiti di partecipazione richiesti. Ciò veniva confermato anche nell’autocertificazione presentata dalla stessa società prima classificata, in cui leggeva che i certificati erano “in attesa di rilascio”.

Il ricorso veniva respinto del Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia (il TAR Puglia), e la decisione veniva confermata dal CdS.

Secondo il CdS e il TAR Puglia, l’Amministrazione avrebbe correttamente ammesso la prima classificata alla gara anche alla luce del principio del risultato, benché tale principio non fosse applicabile alla procedura in esame.

Il principio imporrebbe infatti il conseguimento dell’interesse pubblico in concreto, al di là dei formalismi dettati dalla procedura di gara, il che si traduce, nel caso di specie, nel consentire la più larga partecipazione possibile attraverso la mancata esclusione dei partecipanti in attesa del rilascio dei certificati.

L’Amministrazione, infatti, nel richiedere il possesso dei requisiti utilizzando il tempo verbale futuro, “dovranno essere in possesso”, avrebbe espresso la precisa volontà di allargare la partecipazione anche alle società non ancora certificate. Elemento che ha spinto i giudici amministrativi a ritenere che il possesso dei certificati non fosse necessario al momento della presentazione della domanda, ma solo al momento dell’esecuzione del contratto. Ciò per consentire la più larga partecipazione possibile alla procedura e dare tempo alle società non in possesso dei requisiti di richiederli prima dell’esecuzione del contratto.

Giulia Valenti