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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 8 luglio 2024
Diritto della concorrenza – Europa / Intese e sanzioni – La CGUE ha confermato che la competenza estesa al merito del Tribunale non permette a quest’ultimo di imporre una sanzione antitrust nuova e distinta da quella irrogata dalla Commissione
Con la sentenza del 4 luglio 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha respinto l’appello presentato da alcune imprese coinvolte nel procedimento con cui la Commissione europea (la Commissione) aveva accertato un cartello nel mercato dell’acciaio precompresso. In particolare, l’impugnazione aveva ad oggetto la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) con cui quest’ultimo aveva confermato la legittimità della richiesta della Commissione di pagamento degli interessi di mora relativi alla sanzione irrogata dalla stessa.
Ripercorrendo brevemente la vicenda, nel 2010 la Commissione aveva sanzionato diverse imprese, tra cui Westfälische Drahtindustrie GmbH, Westfälische Drahtindustrie Verwaltungsgesellschaft mbH & Co. KG e Pampus Industriebeteiligungen GmbH & Co. KG (complessivamente, le Ricorrenti), per aver partecipato ad un cartello nel mercato dell’acciaio precompresso (la Decisione). A seguito dell’impugnazione della Decisione il Tribunale aveva accertato l’errata valutazione da parte della Commissione della capacità contributiva delle Ricorrenti, rideterminando però la sanzione in un importo identico a quello precedente (la Sentenza). Le Ricorrenti avevano quindi appellato la Sentenza contestando che il Tribunale, nel rideterminare la sanzione, avesse erroneamente considerato la capacità contributiva delle Ricorrenti, facendo riferimento a quella esistente al 2015, in luogo di quella del 2010. La CGUE, tuttavia, aveva rigettato questa ulteriore impugnazione.
Al momento di pagare la sanzione, era quindi sorta una controversia tra la Commissione e le Ricorrenti in merito alla data a partire dalla quale calcolare gli interessi di mora dovuti su tale ammenda, controversia giunta fino alla CGUE e da cui scaturisce la sentenza in commento.
A sostegno delle proprie richieste le Ricorrenti argomentavano, inter alia, che il Tribunale, nella Sentenza, avesse annullato la sanzione imposta dalla Commissione e ne avesse imposta una nuova e distinta, seppur rideterminata in un identico importo. Per questo motivo, gli interessi avrebbero dovuto essere calcolati a partire dall’imposizione della nuova sanzione, ossia dal 2015. Secondo le Ricorrenti, siffatta tesi sarebbe stata avvalorata (i) dal dispositivo stesso della Sentenza, il quale afferma testualmente che il punto della Decisione relativo alla sanzione “è annullato”; e (ii) dal fatto che il Tribunale, in fase di rideterminazione della sanzione, ha considerato la capacità contributiva delle Ricorrenti al 2015, in luogo di quella esistente al momento della Decisione, ossia nel 2010.
La CGUE, rigettando il motivo, ha ora ritenuto che la competenza estesa al merito di cui dispone il Tribunale debba comunque considerarsi, rispetto alle sanzioni, come une mera integrazione del potere giurisdizionale e non permette al Tribunale di imporre una nuova ammenda giuridicamente distinta dalla precedente.
La CGUE non condivide neppure quanto precisato nelle conclusioni dell’Avvocato Generale Rantos (l’AG) (già oggetto di commento in questa Newsletter), ossia che ritenere che il dispositivo della Sentenza “…riveli la volontà del Tribunale di stabilire una nuova ammenda giuridicamente distinta da quella fissata dalla Commissione peccherebbe di eccesso di formalismo…”. Infatti, secondo la CGUE, né il modo in cui il Tribunale ha fissato l’importo della sanzione, né le circostanze prese in considerazione possono indurre a ritenere che vi fosse l’intenzione del Tribunale di esercitare un potere diverso da quello che gli è attribuito. Di conseguenza, l’appello delle Ricorrenti è stato respinto.
La sentenza della CGUE è quindi di particolare interesse, non solo per i chiarimenti sulla natura giuridica dell’esercizio della competenza estesa al merito del Tribunale, ma anche perché solleva nuovamente il tema (già sollevato dall’AG) dell’importanza, ai fini dell’interpretazione della Sentenza del Tribunale, di considerare il dispositivo della sentenza alla luce della motivazione e delle norme processuali che disciplinano i poteri delle Corti europee.
Irene Indino
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Private enforcement e giurisdizione – La CGUE si è pronunciata sul tema della competenza giurisdizionale per un’azione di risarcimento instaurata dalla società madre di fronte ai tribunali del proprio Paese per il danno sofferto dalle società controllate in altri Stati Membri
Con la sentenza del 4 luglio 2024 (la Sentenza), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte Suprema ungherese nell’ambito della controversia tra la società ungherese MOL Magyar Olaj- és Gázipari Nyrt (MOL) e Mercedes-Benz Group AG (Mercedes), rispetto al quale sono già state analizzate le conclusioni dell’Avvocato Generale Nicholas Emiliou (l’AG) in una precedente Newsletter.
Il giudizio a quo ha ad oggetto la pretesa risarcitoria avanzata dinanzi ai giudici ungheresi dalla società ungherese MOL nei confronti di Mercedes – domiciliata in Germania – sostenendo di aver subito un danno pari ai costi aggiuntivi che le sue società figlie – aventi sede in diversi Stati membri dell’Unione – hanno indebitamente pagato per l’acquisto o il leasing di 71 autocarri a causa dell’intesa accertata dalla Commissione nel caso Trucks, nella quale è risultata coinvolta anche Mercedes.
La società madre MOL aveva proposto azione davanti al giudice ungherese sostenendo una interpretazione estesa dell’art. 7, punto 2, del Regolamento Bruxelles 1-bis (n. 1215/2012, il Regolamento), norma che prevede una eccezione al principio generale della competenza dell’autorità giurisdizionale del domicilio del convenuto. La deroga prevede che, in materia di illeciti civili dolosi o colposi, è possibile convenire in giudizio una persona in uno Stato membro diverso da quello di domicilio del convenuto, citandola nel “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire”.
Analizzando la deroga alla luce della giurisprudenza della CGUE, tuttavia, l’AG aveva notato che essa non può essere interpretata estensivamente al punto da comprendere qualsiasi luogo in cui possano essere avvertite indirettamente le conseguenze lesive di un fatto che ha già causato un danno effettivamente avvenuto in un altro luogo (cfr. sentenza Tibor-Trans) – in buona sostanza, proprio come avvenuto nel caso in esame, non avendo MOL acquistato direttamente gli autocarri in Ungheria (i quali sono stati acquistati dalle sue società figlie in altri Stati Membri) e non potendo quindi lamentare di aver subito un danno diretto a causa di detta infrazione. Quindi, se da un lato le società figlie di MOL avrebbero potuto agire dinanzi al giudice dello Stato Membro in cui hanno acquistato i beni interessati dagli accordi, dall’altro, la società madre MOL non avrebbe potuto agire dinanzi al giudice ungherese senza sostenere una interpretazione estesa del concetto di “luogo in cui si è verificato l’evento dannoso”.
Più nello specifico, MOL, al fine di radicare la competenza del giudice ungherese, ha sostenuto che la nozione di “luogo in cui si è verificato l’evento dannoso” dovesse essere interpretata alla luce della nozione di “unità economica”: dal momento che l’infrazione al diritto della concorrenza comporta una responsabilità solidale all’interno dell’unità economica (il che significa che una entità può essere ritenuta responsabile per gli atti di un’altra entità), dovrebbe imporsi anche un’applicazione inversa dello stesso principio nel caso di una domanda di risarcimento del danno risultante da un’infrazione antitrust che interessa una entità all’interno dell’unità economica, segnatamente al fine di determinare la giurisdizione, indipendentemente dalla persona giuridica che ha subito il danno lamentato (in questo caso le società figlie di MOL, che hanno acquistato o preso in leasing gli autocarri).
Se così non fosse, si finirebbe – ad avviso di MOL – per attribuire alla nozione di “unità economica” un significato diverso a seconda che l’impresa interessata si trovi nella posizione di attore o di convenuto, nonché a seconda che la stessa sia invocata nel contesto dell’applicazione a livello di enforcement pubblico o privato del diritto della concorrenza (cfr. sentenza Sumal).
Mercedes aveva quindi eccepito l’incompetenza dei giudici ungheresi, contestando l’interpretazione data all’art. 7, punto 2, del Regolamento – una eccezione accolta in primo e secondo grado di giudizio, in quanto la norma si presenta come eccezione al principio generale della giurisdizione (basata sul luogo del domicilio del convenuto), dovendo quindi essere interpretata restrittivamente. Inoltre, i giudici ungheresi di prima e seconda istanza avevano ritenuto che tale eccezione, richiedendo un collegamento “particolarmente stretto” tra giudice adito e oggetto della controversia, non trovasse applicazione nel caso di specie per via della natura indiretta del danno subito, non essendo stata MOL a pagare direttamente il sovrapprezzo per gli autocarri. Questa interpretazione era stata confermata anche dall’AG.
Una volta giunti dinanzi alla Corte Suprema nazionale, la stessa ha operato il rinvio pregiudiziale in esame, concernente due questioni delle quali la seconda è rimasta senza risposta per via del suo assorbimento. In particolare, con il primo quesito si chiedeva “…se, nel caso in cui una società madre promuova un’azione di risarcimento dei danni a causa di un comportamento anticoncorrenziale di un’altra società al fine di ottenere il risarcimento dei danni prodotti da tale comportamento esclusivamente alle sue società figlie (parte della stessa unità economica, n.d.r.), il foro competente sia determinato dalla sede della società madre, in quanto luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto, ai sensi dell’articolo 7, punto 2, del regolamento n. 1215/2012”.
La Corte, confermando la soluzione indicata dall’AG, ha chiarito che l’espressione “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto” non può essere interpretata estensivamente al punto da comprendere qualsiasi luogo in cui possano essere avvertite indirettamente le conseguenze lesive di un fatto che ha già causato un danno effettivamente avvenuto in un altro luogo (cfr. sentenza Tibor-Trans).
La tesi di MOL, oltre a non essere suffragata dalla giurisprudenza della CGUE, è stata giudicata non in linea con i principi sottesi alla norma sulla competenza di cui all’art. 7, punto 2, del Regolamento, ossia agli obiettivi di prossimità e di prevedibilità delle norme sulla competenza, e di coerenza tra il foro e la legge applicabile. Il suo mancato accoglimento, peraltro, non è tale da precludere l’esperibilità delle richieste di risarcimento del danno da illecito antitrust, potendo le vittime adire il giudice del luogo del domicilio dell’autore dell’infrazione, o comunque – nell’ambito del mercato interessato da intese illecite – il giudice dello Stato membro in cui l’impresa che si ritiene lesa ha acquistato i beni interessati dagli accordi, ovvero ove si trova la sede sociale dell’impresa acquirente (cfr. sentenza Volvo).
La sentenza in esame è quindi di estremo interesse, posto che va a fissare un ulteriore e importante tassello sull’applicazione delle norme sulla giurisdizione in materia di private enforcement del diritto antitrust, limitando la rilevanza della nozione di unità economica nell’ambito dello stesso.
Lorenzo Brandoli
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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore sportivo – L’AGCM sanziona la FIGC in relazione ai mercati dell’organizzazione di competizioni calcistiche giovanili amatoriali e agonistiche
Con la decisione dello scorso 18 giugno 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) per oltre 4 milioni di euro per aver abusato della propria posizione dominante nel mercato dell’organizzazione di competizioni calcistiche giovanili a carattere agonistico, estendendo illegittimamente tale posizione di mercato anche all’organizzazione, sempre a livello giovanile, di competizioni a carattere ludico-amatoriale, così concludendo l’istruttoria avviata nel maggio 2023 e già commentata in questa Newsletter.
Nello specifico, l’AGCM ha ritenuto che la FIGC, operatore in posizione dominante nell’organizzazione di competizioni calcistiche a carattere agonistico in virtù dei poteri speciali ed esclusivi di regolamentazione e coordinamento nell’attività del gioco calcio conferiti ad essa dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), abbia posto in essere una strategia volta, da un lato, a precludere agli Enti di Promozione Sportiva (EPS) l’accesso al mercato dell’organizzazione di competizioni calcistiche giovanili a carattere agonistico al fine di rendere non contendibile la propria posizione dominante in quel mercato; dall’altro, ad ostacolare o impedire agli EPS di svolgere la propria attività di organizzazione di eventi e competizioni a carattere promozionale e ludico-amatoriale nel settore giovanile, a livello nazionale, regionale e provinciale, allo scopo di espandere la propria posizione in tale mercato, dove la FIGC opera in concorrenza con gli EPS.
La strategia abusiva della FIGC si sarebbe concretizzata in una serie di comportamenti volti a dissuadere le Associazioni Sportive Dilettantistiche (ASD) associate alla FIGC dal partecipare a tornei giovanili a carattere promozionale e ludico-amatoriale organizzati dagli EPS. A tal proposito, l’AGCM ha osservato che tutte le ASD hanno un chiaro interesse a mantenere l’affiliazione alla FIGC, oltre che ad un EPS, dal momento che la FIGC organizza i tornei agonistici e riconosce alle società presso le quali si sono formati i giovani talenti il premio di formazione allorquando questi intraprendano successivamente una carriera professionistica. Questo costituisce la leva che la FIGC è in grado di far valere per scoraggiare le ASD dal partecipare a eventi di organizzazioni concorrenti.
Per quanto riguarda il mercato dell’organizzazione di competizioni calcistiche giovanili a carattere agonistico, la strategia abusiva della FIGC si è concretizzata nella mancata stipula delle convenzioni con gli EPS richieste dall’apposito regolamento del CONI per lo svolgimento dell’attività agonistica. Attraverso questa condotta, la FIGC avrebbe precluso l’accesso a tale mercato agli EPS, così rafforzando la propria posizione dominante già detenuta in tale mercato.
Secondo l’AGCM, la FIGC ha altresì usato in modo strumentale il proprio potere regolatorio, considerando illegittimamente come agonistica l’attività amatoriale svolta dagli EPS con atleti compresi tra i 12 e i 17 anni unicamente sulla base dell’età degli atleti e senza considerare la natura dell’attività sportiva svolta, al fine di espandere la propria posizione dominante anche in tale mercato. La FIGC ha altresì imposto anche per gli atleti fino ai 12 anni – i quali per definizione non rientrano nell’attività agonistica e la cui attività è libera – il convenzionamento tra FIGC ed EPS e la pre-autorizzazione dell’evento per la stagione 2022-2023, in modo da limitare la possibilità delle ASD affiliate alla FIGC di partecipare ai tornei organizzati dagli EPS. In questo modo, la FIGC ha ostacolato e/o impedito agli EPS di svolgere la propria attività di organizzazione di eventi e competizioni a carattere promozionale e ludico-amatoriale, indebolendo dunque la concorrenza in tale settore.
La decisione dell’AGCM costituisce un interessante sviluppo nel contesto dell’attuale dibattito sul rapporto tra sport e antitrust, sul quale si è recentemente espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in particolare nella vicenda Superlega (già oggetto di commento in questa Newsletter).
Michael Tagliavini
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Abuso di dipendenza economica e settore digitale – Il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento cautelare dell’AGCM nei confronti di Meta nell’ambito delle negoziazioni con SIAE volte al rinnovo di un accordo di licenza
Lo scorso 2 luglio, il Consiglio di Stato (il CdS) ha annullato la decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) di imporre misure cautelari (il Provvedimento Cautelare) in relazione ad un presunto abuso di dipendenza economica posto in essere da alcune società del Gruppo Meta (Meta) nei confronti dell’organismo di gestione collettiva Società Italiana Autori ed Editori (SIAE, congiuntamente a Meta, le Parti). Secondo la tesi accusatoria demolita dal CdS, l’abuso si sarebbe realizzato nel contesto del rinnovo dell’accordo di licenza per l’utilizzo dei brani da questa intermediati (il c.d. Music Right Agreement, MRA) nella funzione Audio Library delle piattaforme di social network di Meta – ossia Instagram e Facebook (le Piattaforme Meta).
Ripercorrendo brevemente i fatti della vicenda, la controversia trae origine dalla infruttuosa negoziazione tra le Parti per il rinnovo del MRA scaduto nel 2022. Per la stipula di un nuovo MRA, SIAE richiedeva un compenso quasi quattro volte maggiore di quanto stabilito nei precedenti accordi, mentre Meta proponeva un aumento del 40% circa. Essendo giunto al termine l’MRA e trovandosi le Parti in disaccordo sul rinnovo, anche interinale, Meta, non avendo più la copertura della licenza e non volendo rischiare di violare i diritti di SIAE, procedeva nel marzo del 2023 a rimuovere dall’Audio Library delle Meta Platform i contenuti intermediati da SIAE (la Musica SIAE).
A seguito di una segnalazione da parte di SIAE di fine marzo 2023, l’AGCM il 4 aprile dello stesso anno ha avviato un’istruttoria volta all’accertamento di un presunto abuso di dipendenza economica ex art. 9 della legge n. 192/1998. Secondo l’AGCM, due possibili condotte avrebbero potuto costituire abusi di dipendenza economica: da un lato, le trattative sarebbero state abusivamente interrotte da Meta, che avrebbe rifiutato ogni controproposta, ponendo a SIAE un ultimatum tramite un’offerta “prendere o lasciare”, infine rimuovendo la Musica SIAE dalle Piattaforme Meta; dall’altro, Meta si sarebbe rifiutata di condividere le informazioni sulla remunerazione delle Meta Platform che avrebbero permesso a SIAE di valutare correttamente l’offerta di Meta per il rinnovo dell’MRA.
Il successivo 20 aprile, l’AGCM riteneva sussistenti i presupposti per l’adozione del Provvedimento Cautelare, imponendo; (i) l’immediato ripristino delle trattative; (ii) la comunicazione delle “sole informazioni necessarie onde consentire a SIAE di ristabilire un equilibrio nell’intero rapporto commerciale con Meta”, senza tuttavia specificarle; (iii) il ripristino sulle piattaforme, previo accordo-ponte tra le parti per garantire il rispetto del diritto d’autore di SIAE, della Musica SIAE nel periodo delle negoziazioni; (iv) qualora il disaccordo sulle informazioni da fornire fosse perdurato, la nomina di “un apposito soggetto fiduciario” incaricato di individuarle.
Il Provvedimento Cautelare è stato dapprima impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR) – che aveva confermato le tesi dell’AGCM – e successivamente davanti il CdS, che ha invece smentito le ricostruzioni di SIAE e AGCM, accogliendo i motivi di appello presentati da Meta. Meta, in particolare, lamentava
- con riguardo all’assenza del fumus bonis iuris, (i) errori nell’applicazione della presunzione di dipendenza economica ex art. 9, nell’accertamento e prova di siffatta presunta dipendenza, nonché nella configurazione dell’istituto; (ii) che non avesse interrotto le negoziazioni, essendo stata costretta a rimuovere la Musica SIAE dalle Piattaforme Meta a causa del rifiuto di SIAE di stipulare almeno un accordo interinale; (iii) che non avesse omesso abusivamente di condividere informazioni rilevanti; (iv) una erronea interpretazione del quadro normativo sul diritto d’autore; (v) l’assenza di effetti sulla concorrenza (elemento chiave per radicare la competenza dell’AGCM ad applicare la normativa sull’abuso di dipendenza economica); nonché,
- l’assenza di periculum in mora.
Sebbene la sentenza in commento abbia ad oggetto esclusivamente il Provvedimento Cautelare, essa sembra fornire importanti indicazioni anche nel merito della controversia principale ed in generale sull’applicazione della disciplina sulla dipendenza economica nel settore digitale.
In primis, il CdS fornisce una panoramica dell’istituto della dipendenza economica e della presunzione di dipendenza dell’impresa che utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale, come introdotta nella legge annuale per il mercato e la concorrenza n. 118/2021. Il CdS, in particolare, ricorda che “… la presunzione in questione non è assoluta ma prevede espressamente la prova contraria che META ritiene di aver fornito…” e che “…non può che rilevarsi come l’istruttoria preliminare svolta da AGCM […] si palesi come lacunosa non avendo costituito oggetto di adeguata considerazione gli elementi allegati a propria difesa da META…”.
Il CdS afferma che è fondamentale sciogliere “…l’equivoco di fondo sul quale pare fondarsi il provvedimento di AGCM, ovvero il presupposto implicito della misura per il quale oggetto dell’accordo in negoziazione sarebbe la concessione della licenza alla diffusione e veicolazione verso gli utenti finali dei contenuti musicali attraverso la piattaforma”: l’MRA invero riguarda solo la raccolta della Musica SIAE nella Audio Library di META; questa funzionalità permette di arricchire video o reels creati dagli utenti, ma la sua indisponibilità non impedisce in alcun modo loro di condividere o promuovere sui social contenuti musicali con altre modalità. Le Piattaforme Meta, peraltro, con riferimento ai diritti musicali in parola non potrebbero essere configurate come “fornitrici di servizi di intermediazione” e neppure “…offrono un servizio di streaming né di ascolto musicale”. Inoltre, secondo il CdS sarebbero “inadeguatamente supportat[e]…” le conclusioni circa l’esistenza di una debolezza da parte di SIAE “…nell’esercizio della propria attività, svolta nell’ambito del mercato nel quale riveste una posizione di preminenza…”, essendo Meta in posizione dominante in tale mercato.
Forniti i precedenti chiarimenti, il CdS affronta gli altri motivi di appello, affermando, in merito all’addebito a Meta della “interruzione arbitraria delle trattative” e della conseguente rimozione della Musica SIAE dall’Audio Library, come ciò sarebbe stato “un atto necessario per sottrarsi ad azioni legali”. Difatti, “la pretesa interruzione delle trattative si determinava solo all’esito di una prolungata negoziazione nell’ambito della quale le offerte delle parti si attestavano su valori inconciliabili”.
In merito al profilo delle informazioni necessarie che Meta avrebbe dovuto condividere con SIAE, il CdS rileva che “…META non opponeva un diniego generalizzato all’ostensione dei dati richiesti ma comunicava… [un set di dati molto ampi] …che si pone in evidente dissonanza con la conclusione del Tar per la quale «le varie istanze avanzate da Siae rimanevano, grosso modo inevase»…”. Peraltro, né nei provvedimenti dell’AGCM, né nella sentenza del TAR vi sarebbero indicazioni circa la natura e la consistenza dei dati necessari.
In relazione alla normativa di riferimento sul diritto d’autore, il CdS, pur non ritenendo di dover accogliere in toto questo motivo di appello, afferma che la disciplina in parola si limita a prevedere un obbligo generale di informazione, condotta in buona fede e trasmettendo “tutte le informazioni necessarie”. Il CdS reitera che Meta ha condiviso una “consistente mole di dati”, e che “…all’affermata necessità di una corretta disclosure non fa seguito l’individuazione di quanto necessario ed omesso…” e neppure si rende edotto “…in cosa si sia concretizzata l’omissione contestata”. Peraltro, il Fiduciario istituito dal Provvedimento Cautelare “…individuava il novero dei dati informativi necessari in misura sotto dimensionata rispetto a quanto preteso da SIAE”.
Con riguardo agli effetti sulla concorrenza e il mercato, il CdS ricorda la “mancata prova di una oggettiva impossibilità di veicolare i contenuti musicali verso gli utenti finali…”. Peraltro, il CdS ribadisce un principio, la cui assenza nel Provvedimento Cautelare aveva lasciato perplessi, ossia che “…l’interesse al corretto funzionamento del mercato non può essere identificato con l’interesse di SIAE al mantenimento delle proprie quote di mercato la cui salvaguardia non può che essere affidata alle regole di concorrenza cui la stessa Società è assoggettata…”.
Infine, in relazione al periculum in mora, il CdS rileva che non vi sono “solide basi alla tesi per la quale la mancata conclusione della trattativa determinerebbe un pregiudizio irreparabile a SIAE” considerato che, come detto, non è inibita la capacità per gli autori della Musica SIAE di pubblicare e promuovere i propri contenuti.
La sentenza in commento riguarda la prima applicazione del divieto di abuso di dipendenza economica ad una piattaforma a seguito della modifica di tale norma. Essa fornisce numerose indicazioni su tale istituto, nonché su aspetti fondamentali della controversia tra le Parti, che appaiono di notevole valenza anche per il procedimento principale.
Fabio Bifarini
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e influencer – L’AGCM chiude con impegni il secondo procedimento nei confronti di società riconducibili a Chiara Ferragni
Con il provvedimento pubblicato lo scorso 5 luglio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha chiuso con impegni il procedimento n. PS12699 avviato nei confronti delle società Cerealitalia Industrie Dolciarie S.p.A. (Cerealitalia), Fenice S.r.l. (Fenice), TBS Crew S.r.l. (TBS) e Sisterhood S.r.l. (Sisterhood) (congiuntamente, le Società), volto ad accertare eventuali pratiche commerciali scorrette nell’ambito delle campagne di promozione e commercializzazione nel 2021 e 2022 delle uova di Pasqua con il marchio “Dolci Preziosi”, realizzate in collaborazione con l’influencer Chiara Ferragni (alla quale risultano riconducibili le società Fenice, TBS e Sisterhood).
Secondo l’ipotesi istruttoria iniziale dell’AGCM, i messaggi trasmessi nell’ambito di tali campagne promozionali sui canali social e siti internet riconducibili a Cerealitalia e Chiara Ferragni – che contenevano l’indicazione di un’iniziativa benefica a favore dell’impresa sociale “I bambini delle Fate”, dedita alla promozione di progetti di inclusione sociale a beneficio di bambini e ragazzi affetti da autismo e altre disabilità – avrebbero potuto indurre i consumatori a ritenere che (i) l’acquisto delle uova griffate contribuisse a sostenere economicamente l’impresa sociale in questione, e che (ii) Chiara Ferragni fosse stata co-ideatrice del progetto benefico, nonché parte attiva della donazione.
Come anticipato, le Società hanno presentato numerosi impegni, ritenuti dall’AGCM idonei a dissipare i dubbi evidenziati nel corso dell’istruttoria.
In primo luogo, le Società hanno assunto l’impegno di separare in via permanente le iniziative benefiche eventualmente svolte, da quelle commerciali di sponsorizzazione e/o concessione in licenza che coinvolgano i marchi e/o i diritti di immagine e della personalità di Chiara Ferragni. Le Società, pertanto, si asterranno in via definitiva a realizzare pro-futuro iniziative commerciali che presentino al contempo una componente benefica.
Fenice, TBS e Sisterhood predisporranno sui rispettivi siti internet un’apposita sezione dedicata all’approfondimento delle iniziative svolte con finalità benefiche, con l’indicazione del loro andamento e dei risultati conseguiti. Inoltre, esse adotteranno e cureranno l’applicazione di un codice di condotta interno che assicuri il pieno rispetto della disciplina consumeristica, predisponendo altresì attività di training periodico per il personale delle società addetto alla definizione delle campagne commerciali.
Infine, le Società devolveranno all’impresa sociale “I bambini delle Fate” – nell’arco dei prossimi tre anni – somme pari a 100.000 euro, per quanto riguarda Cerealitalia, e al 5% degli utili distribuibili per ciascuna annualità (e in ogni caso non meno di 1,2 milioni di euro in totale), per quanto invece riguarda Fenice, TBS e Sisterhood. Somme, queste, ritenute dall’AGCM lato sensu “ripristinatorie” e idonee a ristorare l’interesse dei consumatori in ipotesi leso dalle condotte contestate.
Il provvedimento risulta di particolare interesse, dal momento che evidenzia la spiccata attenzione riservata dall’AGCM nei confronti delle condotte suscettibili di trarre in inganno i consumatori nel contesto di canali di comunicazione digitale, e l’importanza assegnata ai ristori economici per chiudere procedimenti istruttori con impegni e senza accertamento di un’infrazione.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Appalti, concessioni e regolazione / Contratti pubblici e rinnovo tacito – Al di là del dato testuale, una concessione pubblica, anche ove di data risalente, deve essere interpretata alla luce dei principi nazionali e comunitari sui contratti pubblici
Con la sentenza del 3 luglio 2024, il TAR Lazio ha ribadito il principio che vieta il rinnovo tacito dei contratti pubblici scaduti. È il principio che garantisce, anche in applicazione della regola di derivazione comunitaria in tema di concorrenza, che i beni pubblici contendibili non devono essere sottratti per un tempo eccessivo al mercato e, quindi, alla possibilità che gli operatori economici li abbiano in affidamento e li mettano a frutto.
La vicenda trae origine da una concessione di beni pubblici con la quale nel 1991 Roma Capitale (Concedente) aveva dato in concessione ad un ente religioso (Concessionario) un’area pubblica. La concessione aveva durata di sei anni e prevedeva che, decorso tale periodo, potesse essere rinnovata almeno sei mesi prima della scadenza, salva la facoltà del Concedente di denegare il rinnovo. Alla prima scadenza il Concessionario aveva presentato istanza di rinnovo e successivamente aveva continuato ad utilizzare l’area per circa venti anni. Nel 2019 il Concedente emanava due provvedimenti, uno con cui denegava l’intervenuto rinnovo della concessione e uno con cui chiedeva il rilascio bonario dell’area.
Il Concessionario ha impugnato questi provvedimenti davanti al TAR Lazio che ha respinto il ricorso.
In particolare, il TAR non ha condiviso l’interpretazione del Concessionario, secondo cui la clausola di rinnovo contenuta nella concessione avrebbe consentito il suo rinnovo automatico di sei anni in sei anni. Infatti, secondo il TAR, è ius receptum che il rinnovo delle concessioni di beni pubblici non può mai essere tacito e questo perché questo divieto si applica indistintamente ad appalti e concessioni e, come tale, è espressione di una regola comunitaria di favor per la concorrenza.
Osserva inoltre il TAR come tale conclusione non muta anche nel caso in cui vi sia stata una tolleranza da parte del Concedente in merito alla occupazione del bene; tale tolleranza non radica infatti alcuna posizione di diritto o di interesse legittimo.
Analogamente, il mero pagamento dei canoni e il relativo introito da parte del Concedente dopo la intervenuta scadenza della concessione non sono idonei ad integrare una fattispecie di rinnovo tacito della medesima (costituendo, in caso, solo titolo per la detenzione e l’utilizzo temporaneo del bene).
Da ultimo, rigettando la relativa censura sul preteso difetto di motivazione sollevata dal Concessionario, il TAR rileva anche che il fatto che una concessione sia scaduta fonda di per sé un interesse pubblico, da considerarsi immanente, al recupero del bene onde poterlo ricollocare sul mercato secondo i principi concorrenziali.
Stefania Guarino