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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 15 luglio 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Private enforcement e singola unità economica – La CGUE si è pronunciata in merito ad una notifica effettuata ad una controllata di atti giudiziari stipulati nei confronti della società madre

Lo scorso 11 luglio 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) si è pronunciata in merito ad un rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunal Supremo spagnolo (la Corte suprema) nell’ambito di una controversia tra Volvo AB (Volvo) e Transsaqui SL (Transsaqui), relativamente ad una richiesta di risarcimento del danno indirizzata nei confronti di Volvo ma notificata esclusivamente alla sede di una sua controllata in Spagna.

Ripercorrendo brevemente i fatti, la vicenda nasce dal ricorso proposto nei confronti di Volvo dinanzi al Tribunale del Commercio n.1 di Valencia (il Tribunale), diretto al risarcimento del danno a seguito dell’intesa anticoncorrenziale accertata dalla Commissione europea nel 2016 (Caso AT.39824 – Autocarri) relativamente all’acquisto di due autocarri di marca Volvo. Nella sua domanda, la Transsaqui ha indicato che la sede sociale di Volvo si trova a Göteborg (Svezia), ma ha richiesto che la citazione in giudizio fosse notificata presso la sede sociale della sua società figlia in Spagna (la Controllata Spagnola). Il Tribunale ha dichiarato ricevibile la domanda e notificato il ricorso alla Controllata Spagnola. Nonostante vari rifiuti della notifica da parte della Controllata Spagnola, il Tribunale ha avvalorato la tesi sostenuta da Transsaqui, ossia, da un lato, che tali rifiuti fossero una manovra dilatoria improntata alla malafede e, dall’altro che, in considerazione del fatto che la Controllata Spagnola è detenuta al 100% da Volvo, esse “…costituiscono insieme una medesima impresa ai sensi del diritto della concorrenza”. Pertanto, dopo altrettanti rifiuti a comparire, e nonostante una lettera in cui la Controllata Spagnola esponeva i motivi per cui non accettava l’atto di citazione, il Tribunale ha dichiarato contumace Volvo e, in ultimo, ha pronunciato una sentenza in accoglimento del ricorso.

Dopo essersi vista pervenire un’ingiunzione volta ad eseguire la sentenza, Volvo ha presentato alla Corte suprema una domanda di riesame della sentenza divenuta definitiva. Volvo sosteneva che Transsaqui aveva ottenuto la sentenza mediante una manovra fraudolenta, e parimenti Transsaqui sosteneva una strategia in malafede di Volvo volta ad indurla a desistere dal ricorso.

La Corte suprema ha dunque presentato alla CGUE – partendo dalla premessa che in base al principio dell’ “unica entità economica” appariva possibile una notifica come nel caso di specie – la domanda se l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali (il quale, nella sostanza, sancisce il diritto di ogni individuo a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) – in combinato con l’articolo 101 TFUE – ostasse alla notifica di un atto, destinato ad una società madre con sede in un diverso Stato membro, presso il domicilio della figlia dello Stato membro nel quale la controversia era stata portata all’attenzione della giustizia, qualora non venga fatta valere alcuna circostanza che escluda tra le due l’esistenza di una “unità d’impresa”.

Nei ragionamenti della Corte suprema sarebbe paradossale che si possa agire nei confronti di una società figlia per il comportamento della società madre, ma che alla prima non possa essere notificata una citazione in giudizio riguardante direttamente la seconda.

La CGUE in primis ricorda che in base alla giurisprudenza Sumal della stessa CGUE un’entità non indicata come autrice dell’infrazione in una decisione può essere sanzionata per il comportamento illecito di un’altra persona giuridica (solamente) qualora siano parte di “una stessa entità economica”; tuttavia, sebbene la nozione economica di “impresa” e di “unità economica” implicano ipso iure una responsabilità solidale, tale “impresa” è priva di personalità giuridica autonoma dalle entità che la compongono.

La CGUE ricorda inoltre le varie norme europee che disciplinano le notifiche di atti giudiziari tra Stati membri, ed afferma che una traduzione in svedese (asseritamente accompagnata da ampie spese da parte di Transsaqui) non fosse affatto necessaria, essendo consentita, inter alia, la notifica di un atto “in una lingua compresa [dal destinatario]”. Similmente, l’asserito allungamento dei tempi processuali legato alla notifica in un altro Stato membro non comporterebbe alcun tipo di conseguenza. Ad esempio, l’articolo 47 della Carta non sarebbe in alcun modo violato considerando che il carattere ragionevole del termine del procedimento deve essere valutato alla luce delle circostanze del caso di specie.

La CGUE dunque risponde alla Corte Suprema affermando che “… l’articolo 47 della Carta e l’articolo 101 TFUE, letti in combinato disposto con il regolamento n. 1393/2007, devono essere interpretati nel senso che non è validamente notificato l’atto di citazione a una società madre contro la quale è stato proposto un ricorso per il risarcimento del danno causato da una violazione del diritto della concorrenza quando tale atto di citazione è stato notificato all’indirizzo della sua società figlia, domiciliata nello Stato in cui è stato proposto il ricorso, quand’anche costituisca con essa un’unità economica”.

La sentenza in commento risulta interessante in quanto fornisce alcuni chiarimenti sulle conseguenze del principio di “unica entità economica”, e preclude una possibile interpretazione estensiva come quella del caso di specie nel campo della normativa processuale.

Fabio Bifarini

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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore delle telecomunicazioni – La Corte di Cassazione ha confermato che Telecom non ha commesso alcun abuso di posizione dominante nei mercati della fornitura di servizi a valore aggiunto erogati mediante numerazioni non geografiche tra il 2005 ed il 2009

Con la sentenza pubblicata lo scorso 25 giugno (la Sentenza), la Sezione 1 della Corte Suprema di Cassazione Civile (la Cassazione) ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalle società Eutelia S.p.A. in amministrazione straordinaria (Eutelia) e dal Fallimento Voiceplus S.r.l. in liquidazione (Voiceplus, congiuntamente le Ricorrenti) avverso la precedente sentenza della Corte d’Appello di Milano, la quale aveva stabilito che Telecom Italia S.p.A. (TIM) non aveva posto in essere – tra il 2005 ed il 2009 – alcun abuso di posizione dominante a danno delle Ricorrenti nel mercato delle numerazioni non geografiche (NNG) utilizzate per l’erogazione di servizi di c.d. a valore aggiunto (VAS), così rigettando la pretesa risarcitoria da queste avanzata e pari a circa 730 milioni di euro.

La Cassazione si è quindi pronunciata definitivamente sull’azione per danni ‘stand alone’, ossia che non trovava sostegno in una precedente decisione di un’autorità della concorrenza; tali tipologie di azioni presentano per le parti attrici notevoli difficoltà tecniche, poiché richiedono alle stesse di sopperire alla mancanza di una decisione di una autorità tecnica precedente e, quindi, di sottostare ad un onere probatorio pieno, data la necessità di dimostrare sia la sussistenza della condotta anticoncorrenziale, sia il proprio diritto al risarcimento (e relativo nesso causale).

Eutelia fino al marzo 2006 (e successivamente Voiceplus, la quale ha acquistato il relativo ramo d’azienda di Eutelia) operava in qualità di c.d. ‘operatore chiamato’ nel mercato delle NNG per la fornitura di VAS, come ad esempio l’oroscopo, le previsioni del meteo e il televoto (servizi prodotti dai cc.dd. ‘Centri di fornitura di Servizi’ (i Centri)). Le chiamate telefoniche dirette alle NNG provenivano dalla rete telefonica gestita dai vari operatori, tra cui TIM, i quali agiscono in qualità di ‘operatori chiamanti’. TIM (in qualità di ‘operatore chiamante’), fatturava nella bolletta telefonica del proprio abbonato anche l’importo dovuto per i VAS effettuati tramite NNG. Pertanto, trasferiva parte dell’importo riscosso allo stesso gestore della NNG (tra cui le Ricorrenti) il quale, a sua volta, pagava il Centro in base a quanto pattuito, generando così un sistema ‘a cascata’. Tuttavia, tra il 2005 e il 2009 TIM ha, in alcuni casi, sospeso suddetto trasferimento ai gestori delle NNG, alla luce di possibili frodi ai danni dei propri clienti o della stessa TIM. In ultimo, occorre sottolineare che TIM era anch’essa attiva nel mercato delle NNG, in quanto gestiva a sua volta un certo numero di NNG, agendo così in concorrenza con le Ricorrenti.

Con un ricorso in via d’urgenza depositato dinnanzi alla Corte d’Appello di Milano (la Corte d’Appello) nel 2008, poi successivamente riassunto per ragioni di competenza al Tribunale di Milano (il Tribunale), le Ricorrenti avevano sostenuto come TIM – non solo in qualità di ‘operatore chiamante’ e quindi posto ad un livello a monte rispetto alle attività da queste effettuate, ma anche di concorrente diretto delle stesse, in quanto attivo nel mercato delle NNG – avesse abusato della propria posizione dominante sospendendo unilateralmente i pagamenti dovuti ad Eutelia e Voiceplus per i VAS da questi forniti tra il 2005 e il 2009. Infatti, le Ricorrenti hanno fatto notare come TIM non solo avesse continuato a pagare con regolarità le quote di corrispettivo sulle NNG di sua titolarità, ma avesse comunque continuato a fatturare ai propri clienti anche i servizi forniti tramite le NNG di Eutelia e Voiceplus, salvo poi non versare alle stesse i corrispettivi riscossi dai propri clienti.

Nonostante le argomentazioni avanzate dalle Ricorrenti, il Tribunale aveva rigettato l’azione da queste presentata: i) aveva escluso la prova di una posizione di dominanza di TIM – al tempo dei fatti – sia nel mercato generalizzato della raccolta delle chiamate telefoniche, sia nel mercato delle NNG, dove ha riconosciuto che questa deteneva una quota di mercato sensibilmente inferiore a quella di Eutelia; ii) aveva rilevato che non era stata provata l’effettiva natura anticoncorrenziale della condotta unilaterale di TIM; e iii) aveva riconosciuto come la stessa Eutelia avesse ammesso l’esistenza di frodi nel mercato delle NNG, da cui si è definitivamente ritirata nel corso del 2006, in concomitanza con la cessione del relativo ramo d’azienda a Voiceplus, proprio per tale ragione.

Nonostante la Corte d’Appello – dinnanzi alla quale le Ricorrenti hanno impugnato la sentenza del Tribunale – nel 2019 abbia successivamente riconosciuto che TIM avesse effettivamente una posizione di dominanza nel mercato globale dei ricavi dei gestori telefonici, questa ha comunque adottato l’iter argomentativo del Tribunale, rigettando l’appello e sottolineando come queste abbiano mancato di provare la sussistenza di una condotta abusiva. In particolare, la Corte d’Appello ha sottolineato come – in mancanza di una decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – ricadesse in capo alle Ricorrenti l’onere di fornire la prova sia del carattere abusivo delle condotte attribuite a TIM, sia dei fatti da cui far derivare la sussistenza di un nesso causale tra dette condotte e i danni patiti da Eutelia e Voiceplus.

La Cassazione ha ora rigettato il ricorso presentato dalle Ricorrenti: rilevando la correttezza della decisione della Corte d’Appello.

La Sentenza conferma la difficoltà intrinseca dei procedimenti di risarcimento danni antitrust cc.dd. ‘stand alone’, derivante dall’onere probatorio pieno a cui si sottopongono le parti che intendono adire tale strumento risarcitorio.

Luca Feltrin

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ARERA e nuovi poteri AGCM – L’ARERA ha deliberato di impugnare la Comunicazione dell’AGCM relativa ai nuovi poteri attribuitile nel contesto delle indagini conoscitive dal Decreto Asset

Lo scorso 8 luglio 2024 l’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (l’ARERA) ha a sorpresa deliberato di impugnare la Comunicazione (la Comunicazione) adottata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) relativa all’applicazione dei nuovi poteri attribuiti a quest’ultima dall’Articolo 1, comma 5, D.L. 104/2023 (il Decreto Asset) nel contesto delle indagini conoscitive.

Il Decreto Asset, nell’ambito di una serie di disposizioni relative alla tutela della concorrenza e dei consumatori nel settore aereo, ha infatti attribuito all’AGCM il potere di adottare, all’esito delle indagini conoscitive di cui all’articolo 12 della L. 287/1990, ogni misura strutturale o comportamentale necessaria e proporzionata a carico delle imprese interessate, al fine di eliminare le distorsioni della concorrenza.

Nel novembre 2023 l’AGCM aveva formulato richiesta di parere al Consiglio di Stato (il CdS) relativamente alla questione se tali poteri dovessero ritenersi limitati al settore aereo o se, invece, potessero essere esercitati in qualunque settore. Nel gennaio 2024 il CdS si era pronunciato (un po’ a sorpresa) con un parere (già oggetto di commento in questa Newsletter), chiarendo che, nonostante il tenore letterale della normativa in questione, l’ambito di applicazione di questi poteri potesse estendersi ad ogni settore.

Sulla scorta di questo parere, nel maggio 2024 scorso l’AGCM aveva adottato la Comunicazione (anch’essa oggetto di commento in questa Newsletter), nella quale dettagliava le regole procedurali per l’esercizio dei poteri introdotti dal Decreto Asset.

L’ARERA ha ora deliberato di impugnare tale Comunicazione sul presupposto che essa si fondi su un’erronea interpretazione degli elementi di fatto e di diritto rilevanti.

Evidentemente l’ARERA teme una sovrapposizione tra l’azione dell’AGCM mediante questi poteri e l’ambito regolatorio di competenza dell’ARERA medesima. Non a caso il Presidente dell’ARERA, d’altra parte, nella sua presentazione della relazione annuale 2024 ha evidenziato come “…le Autorità siano certamente indipendenti ma non per questo non interdipendenti. Lo sono senz’altro nella reciproca collaborazione, che non è mai mancata […] eppure vi è un livello nell’azione delle Autorità che è necessario curare con particolare cura: la coerenza dell’azione complessiva. Le pieghe che si possono determinare nell’assetto regolatorio, quando i settori sono interessati dall’azione di più Autorità, possono rappresentare potenziali appigli per un uso strumentale della regolazione. L’antidoto a tale rischio è un’accurata definizione degli ambiti di intervento dei singoli regolatori e la contemporanea condivisione delle modalità e degli strumenti di intervento…”.

Non resta che attendere di vedere come l’azione esercitata dall’ARERA si concilierà con l’interpretazione espressa dal CdS nel suo parere del gennaio scorso volta ad estendere i nuovi poteri dell’AGCM a tutti i settori.

Samuel Scandola

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Appalti, Concessioni e Regolazione / Appalti e cause di esclusione – Il Tar Sicilia accerta la violazione fraudolenta del principio di rotazione

Con la sentenza del 8 luglio scorso, il TAR Sicilia, Catania (il TAR) si è espresso sull’applicazione del principio di rotazione che, al fine di promuovere la concorrenza, limita la possibilità di aggiudicare un appalto al medesimo appaltatore che aveva eseguito il precedente appalto sul medesimo oggetto. In particolare, la sentenza esamina la questione relativa al collegamento sostanziale tra l’operatore aggiudicatario del nuovo appalto e l’operatore solo formalmente distinto che aveva eseguito il precedente appalto.

La vicenda nasce nell’ambito di una procedura di gara indetta dalla Regione Sicilia, per l’aggiudicazione dell’affidamento del servizio di pulizia presso la sede del Museo Regionale. Alla procedura selettiva hanno partecipato solo due società, e la Prisma S.r.l. (Prisma) è risultata aggiudicataria.

La seconda classificata, Pluriservice S.r.l. ha richiesto un parere precontenzioso all’Autorità Nazionale Anticorruzione (l’ANAC) prospettando che l’aggiudicataria Prisma rappresentasse un unico centro d’interessi con la società che aveva gestito l’appalto appena concluso e che tale circostanza rappresentava una violazione del principio di rotazione. L’ANAC ha ritenuto fondata la questione. Secondo il parere dell’ANAC, infatti, lo stretto legame socioeconomico intercorrente fra Prisma e la società uscente emergeva da diversi indizi. In particolare, si riscontrava come l’unico socio della Prisma fosse detentore del 30% delle quote della società uscente, nonché legato da vincoli familiari con l’altro socio ed amministratore unico di tale seconda società. In aggiunta, l’offerta tecnica replicava in larga parte i contenuti dell’offerta presentata dal gestore uscente nella precedente procedura, indice dell’asimmetria informativa di cui l’aggiudicataria aveva beneficiato.

A seguito del parere dell’ANAC, la Regione Sicilia ha emanato una nota comunicando che entro 30 giorni si sarebbe adeguata a tale parere e che, pertanto, avrebbe escluso la società aggiudicataria. Essa ha quindi provveduto ad escludere formalmente Prisma dalla gara, che ha impugnato tale esclusione di fronte al TAR.

Il TAR ha respinto il ricorso. In linea con quanto già indicato nel parere dell’ANAC, anche il giudice amministrativo ha ritenuto che, nel caso di specie, vi fosse una violazione del principio di rotazione perché la società aggiudicataria Prisma non poteva considerarsi, sul piano sostanziale, un soggetto distinto rispetto all’operatore che aveva svolto il precedente appalto. In altre parole, l’esistenza di indici che fanno ricondurre due operatori formalmente distinti ad un unico centro decisionale non consente l’aggiudicazione del nuovo appalto ad un operatore collegato all’operatore che aveva eseguito il precedente appalto sul medesimo servizio.

Richiamando una recente sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 9 maggio 2024, n.4165, il TAR ha stabilito come ai fini dell’applicazione del principio di rotazione, sia sufficiente che si raggiunga, mediante indizi gravi, precisi e concordanti, un grado di verosimiglianza della sussistenza di un unico centro decisionale.

Questa decisione spiega che anche nel contesto amministrativo possa sussistere una valutazione degli indizi, nel momento in cui questi siano tali da sostenere un giudizio probabilistico, con particolare riguardo a casi in cui il fatto di specie non risulti certo dagli atti.

Alessandro Mastrangelo

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Concessioni del demanio pubblico marittimo – La CGUE si è espressa in merito alla compatibilità con il diritto dell’Unione dell’acquisizione ex lege di opere inamovibili al demanio

Con la sentenza dello scorso 11 luglio 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) torna a pronunciarsi su una questione relativa alla compatibilità delle concessioni balneari in Italia. A seguito di un rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato italiano (il CdS), la CGUE ha statuito la compatibilità con il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) della norma nazionale contenuta all’art. 49 del Codice della navigazione, che prevede l’acquisizione ex lege al demanio pubblico delle opere inamovibili costruite sul terreno demaniale oggetto di concessione.

La vicenda coinvolge, da un lato, la Società Italiana Imprese Balneari (SIIB) e, dall’altro, il Comune di Rosignano Marittimo (il Comune). La SIIB è titolare di uno stabilimento balneare sul territorio ricevuto in concessione dal Comune, che gestisce senza soluzione di continuità dal 1928 e, nell’ambito di tale concessione, ha progressivamente costruito opere sul terreno del demanio, dichiarate “inamovibili” con decisione del Comune nel 2007. Allo scadere della concessione nel 2008 tali beni sono stati acquisiti dal demanio ai sensi dell’art. 49 del Codice della navigazione. Pertanto, quando, l’anno successivo, il Comune ha rilasciato una nuova concessione alla SIIB, esso ha applicato un incremento del canone, in considerazione del maggior valore dell’area conseguente all’acquisizione ex lege delle opere realizzate dalla SIIB. La SIIB si è opposta all’aumento del canone e ha impugnato le decisioni del Comune.

La SIIB sostiene una doppia argomentazione.

In primo luogo, secondo SIIB, l’art. 49 del Codice della navigazione non troverebbe applicazione nel caso di specie, perché la concessione in scadenza nel 2008 sarebbe stata semplicemente rinnovata per i sei anni successivi. In altre parole, non vi potrebbero essere aumenti del canone per opere realizzate dal concessionario fino a quando prosegue la durata della medesima concessione. Contrariamente, il Comune sostiene che non si sarebbe trattato di un mero rinnovo della concessione, ma di una nuova e distinta concessione. In secondo luogo, la SIIB sostiene che la norma di cui all’art. 49 del Codice della navigazione, nella misura in cui prevede una cessione forzosa in assenza di indennizzo per “l’espropriato”, sia in contrasto con gli articoli del TFUE in tema di libertà di stabilimento e libera circolazione dei servizi. Il CdS ha rinviato le questioni alla CGUE.

Nell’esaminare la vicenda, la CGUE ha rilevato in via preliminare che gli articoli del TFUE in tema di libertà di stabilimento e libera circolazione dei servizi hanno lo scopo principale di evitare discriminazioni basate sulla nazionalità nei vari Stati membri. Un siffatto proposito non troverebbe applicazione rispetto all’articolo 49 del Codice della navigazione, dato che quest’ultimo è opponibile indistintamente a tutti gli operatori che svolgono la propria attività sul territorio italiano, senza discriminazioni sulla base della nazionalità.

Inoltre, in accordo con quanto rilevato dalle conclusioni dell’Avvocato Generale, la CGUE ha ritenuto che l’art. 49 del Codice della navigazione costituisca un’esplicazione del principio dell’inalienabilità del demanio pubblico, il quale implica che il demanio resta di proprietà dei soggetti pubblici, e che ogni autorizzazione all’occupazione e/o concessione abbia carattere meramente precario e transitorio. In tale contesto, assunto che la società concessionaria non avrebbe titolo per realizzare opere inamovibili su un terreno di cui non è titolare e che occupa in virtù di un titolo meramente transitorio e revocabile, la CGUE ritiene che non solo l’art. 49 Codice della navigazione non è in contrasto con le disposizioni del TFUE, ma neppure potrebbe considerarsi come una forma sostanzialmente espropriativa che giustifichi il riconoscimento di un indennizzo.

Da ultimo la CGUE ha confermato che, in linea con l’esigenza di garantire che una concessione possa avvenire solo all’esito di un’istruttoria che ponga tutti i candidati sullo stesso piano, la concessione del 2008 non sarebbe stata oggetto di un mero rinnovo, ma si sarebbe tradotta nella successione di due titoli di occupazione distinti.

La sentenza in commento, oltre ad apportare ulteriore chiarezza sul delicato tema dell’acquisizione ex lege al demanio, si colloca in un contesto (quello delle concessioni balneari) di assoluta attualità anche alla luce delle molteplici condanne da parte dell’Unione europea del meccanismo di rinnovi automatici delle concessioni sul demanio marittimo, alle quali questa sentenza sembra fare eco nel ribadire che, per il caso di due concessioni consecutive rilasciate in favore del medesimo soggetto nonostante l’avvenuto confronto competitivo tra più soggetti, queste debbano comunque essere considerate come due titoli distinti, e non come una mera proroga del medesimo titolo.

Irene Indino

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