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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 1 luglio 2024
Diritto della concorrenza – Europa / Cartelli e ispezioni – La Commissione europea sanziona il gruppo IFF per quasi 16 milioni di euro per violazione la cancellazione di messaggi su Whatsapp
Con il comunicato stampa dello scorso 24 giugno, la Commissione europea (la Commissione) ha comunicato di aver sanzionato le società International Flavors & Fragrances Inc. e International Flavors & Fragrances IFF France SAS (congiuntamente, IFF) per un ammontare complessivo di circa 16 milioni di euro per aver ostruito il normale decorso dell’ispezione istruttoria effettuata dalla Commissione nel marzo 2023 (l’Ispezione).
L’Ispezione si colloca nel procedimento avviato dalla Commissione in data 7 marzo 2023 nei confronti di alcune società – tra cui, appunto, IFF– e associazioni di categoria attive nel mercato delle fragranze e dei profumi in vari Stati Membri dell’Unione europea, al fine di determinare la sussistenza di una condotta contraria all’articolo 101 TFUE, che – come noto – vieta le intese restrittive della concorrenza (il Procedimento).
In particolare, in occasione dell’Ispezione, la Commissione – ai sensi del Regolamento 1/2003 – ha richiesto accesso ai telefoni di alcuni dipendenti di IFF. In occasione di tale attività di revisione, i tecnici informatici della Commissione ha notato che lo smartphone di un dirigente di IFF aveva subito la cancellazione di alcuni messaggi WhatsApp scambiati con un concorrente (di natura non personale). A tal riguardo, la Commissione si è premurata di sottolineare come la cancellazione dei detti messaggi sia avvenuta dopo che il dipendente in esame ha avuto notizia dell’avvio dell’Ispezione.
Come è noto (e ribadito nella Q&A pubblicata dalla Commissione ad accompagnamento del comunicato stampa in commento), il Regolamento 1/2003 stabilisce chiaramente che la Commissione deve essere messa nella posizione di esaminare la totalità dei dati a cui richiede accesso, i quali, pertanto, devono essere prodotti in forma completa e non devono essere alterati o cancellati durante l’ispezione. Ne consegue, quindi, che la produzione dei documenti o informazioni incomplete o alterate dai soggetti interessati è considerata una violazione per cui il Regolamento 1/2003 riconosce alla Commissione il potere di infliggere una sanzione di ammontare massimo fino all’1% del fatturato totale della società coinvolta.
Nel caso in oggetto, la Commissione ha ritenuto opportuno – alla luce della gravità della Condotta – irrogare una sanzione pari allo 0,3% del fatturato di IFF (ossia pari a circa 32 milioni di euro). Tuttavia, IFF ha riconosciuto l’illecito, ha aiutato i funzionari della Commissione a ripristinare i dati cancellati nella loro interezza già in sede di ispezione, accettando la sanzione inizialmente indicata dalla Commissione. Alla luce di tale condotta proattivamente cooperativa, la Commissione ha quindi deciso di premiare tale approccio concedendo una riduzione del 50% della sanzione stessa, la quale è stata ridotta a circa 16 milioni di euro.
La rilevanza della decisione della Commissione (per quanto soggetta ad una possibile impugnazione) è evidente: in linea con le sanzioni multimilionarie irrogate a E.On e Suez per alterazione dei sigilli apposti in sede di ispezione e a Energetický per avere deviato le e-mail in arrivo durante le ispezioni, nel caso in commento la Commissione ha ribadito la propria determinazione a sanzionare severamente qualsiasi condotta ostruttiva delle ispezioni. Sarà quindi opportuno – anche alla luce della potenziale responsabilità penale in Italia per chi ostruisce l’attività di una autorità di vigilanza – che le imprese verifichino che le procedure di compliance attivabili in caso di ispezione ribadiscano chiaramente il divieto di cancellare qualsivoglia comunicazione (indipendentemente dal supporto utilizzato, incluse le chat WhatsApp) in corso di ispezione e successivamente alla stessa.
Luca Feltrin
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“Pay-for-delay” e settore farmaceutico – La Corte di Giustizia conferma che certi accordi tra produttori di farmaci volti a ritardare l’entrata in commercio di farmaci generici possano essere restrizioni “per oggetto”
Con le sentenze dello scorso 27 giugno, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), sposando le conclusioni dell’Avvocato Generale Kokott (si veda la Newsletter del 18 luglio 2022) ha ritenuto che gli accordi transattivi (anche denominati accordi di c.d. “pay-for-delay”) e di licenza stipulati da Servier S.A.S., Laboratoires Servier SAS and Servier Laboratories Ltd (Servier) con diverse aziende produttrici di farmaci generici possano costituire restrizioni della concorrenza “per oggetto” in violazione dell’art. 101 TFUE oltre che essere parte di una strategia escludente in violazione dell’art. 102 TFUE, che – come noto – vieta l’abuso di posizione dominante.
Nel corso degli anni 2000, il brevetto del composto del Perindopril (farmaco prodotto da Servier e destinato alla cura di ipertensione e insufficienza cardiaca) è gradualmente scaduto in diversi Stati membri, inducendo Servier a chiedere una protezione brevettuale supplementare per i suoi processi di produzione. Tuttavia, diversi produttori di farmaci generici (Niche Generics Ltd Unichem Laboratories Ltd, Matrix Laboratories Ltd, Teva Pharmaceuticals Ltd, Teva UK Limited, Teva Pharmaceuticals Europe B.V., Krka Tovarna Zdravil d.d. (Krka) e Lupin Ltd) hanno contestato la validità di questa protezione supplementare presso l’Ufficio europeo dei brevetti ed alcuni giudici nazionali. Per risolvere queste controversie, Servier aveva stipulato con tali aziende una serie di accordi transattivi, unitamente – per quanto riguarda Krka – ad un accordo di licenza e un accordo di cessione e licenza. Ciascun genericista si impegnava, tra l’altro, ad astenersi dall’entrare sul mercato con versioni generiche del Perindopril e dal contestare tali brevetti, in cambio di un trasferimento di valore da parte di Servier. Nel 2014, la Commissione europea (Commissione) aveva imposto sanzioni per un totale di oltre 427 milioni di euro a Servier ed ai produttori di farmaci generici ritenendo che le condotte in parola (i) costituissero restrizioni della concorrenza “per oggetto” e “per effetto” (in quanto finalizzati a ritardare l’ingresso sul mercato dei produttori di Perindopril generico e che in combinato disposto con gli accordi in essere con Krka fossero volti ad una ripartizione illecita del mercato), e (ii) facessero parte di una strategia escludente di Servier in violazione dell’art. 102 TFUE.
In appello, il Tribunale dell’UE (Tribunale) nel 2018 aveva tuttavia: (a) confermato che gli accordi pay-for-delay con Niche/Unichem, Matrix, Teva e Lupin, costituivano restrizioni della concorrenza; ma (b) ritenuto che Servier non avesse commesso un’infrazione attraverso gli accordi con Krka – annullando la qualificazione compiuta dalla Commissione come restrizioni “per oggetto e per effetto”; e (c) ritenuto che la Commissione, ai fini dell’applicazione dell'articolo 102 del TFUE, avesse erroneamente definito il mercato rilevante come limitato alle sole versioni originali e generiche del Perindopril (sottovalutando inter alia la propensione dei pazienti trattati con il Perindopril a cambiare farmaco, oltre ad attribuire un’importanza eccessiva al fattore prezzo nell’analisi dei vincoli concorrenziali). Il Tribunale aveva quindi annullato la decisione della Commissione anche nella parte in cui concludeva che Servier deteneva una posizione dominante sul mercato del Perindopril in Francia, Paesi Bassi, Polonia e Regno Unito e sul mercato a monte della tecnologia del principio attivo farmaceutico del Perindopril, e che aveva abusato di tale posizione. Servier (ed i genericisti) hanno quindi impugnato la sentenza del Tribunale relativamente ai profili di cui al punto (a) mentre la Commissione ha impugnato la stessa relativamente ai profili (b) e (c).
Con le sentenze in commento, la CGUE ha largamente accolto l’appello della Commissione, ritenendo quindi che gli accordi stipulati con Krka possano costituire una violazione della concorrenza “per oggetto e per effetto” e che possano aver fatto parte di una strategia abusiva escludente (rinviando al Tribunale per una valutazione conclusiva della vicenda). Inoltre, la CGUE ha quasi integralmente respinto l’impugnazione di Servier (accogliendo solamente il motivo di ricorso relativo alla durata dell’infrazione, che ha portato ad una riduzione della sanzione inflitta a Servier), confermando l’illegittimità degli accordi con Niche/Unichem, Matrix, Teva e Lupin. In particolare, le valutazioni della CGUE possono essere così sintetizzate:
- un’impresa costituisce un concorrente potenziale se esistono possibilità reali e concrete che entri nel mercato senza dover affrontare “ostacoli insormontabili”, sulla base di due criteri, ossia la capacità e l’intenzione di inserirsi in tale mercato. La conclusione di un accordo transattivo, seppur non in sé sufficiente, è un “forte indizio” dell’esistenza di tale rapporto di concorrenza potenziale. Inoltre, l’esistenza di brevetti e l’obbligo di ottenere l’autorizzazione all’immissione in commercio non costituiscono in sé “ostacoli insormontabili”. L’onere di dimostrare l’esistenza di tali ostacoli spetta alle imprese (non spetta alla Commissione quella che la CGUE ha definito la probatio diabolica di dimostrare l’assenza di difficoltà tecniche, commerciali e/o finanziarie). Secondo la CGUE, il Tribunale ha errato nel ritenere che le imprese fossero “convinte” che il brevetto fosse valido senza altra motivazione specifica, mentre la Commissione aveva correttamente ritenuto che esistessero possibilità reali e concrete per Krka di entrare nel mercato tenuto conto delle misure preparatorie adottate e dell’assenza di ostacoli insormontabili a tale ingresso;
- il Tribunale è caduto in contraddizione nell’affermare che – ai fini dell’accertamento di una restrizione per oggetto – da un lato non si può, con il pretesto di esaminare il contesto economico e giuridico dell’accordo, condurre una valutazione degli effetti di tale accordo, e dall’altro che non è possibile ignorare completamente i suoi effetti potenziali e tantomeno che lo stesso sia “idoneo per sua stessa natura” a nuocere sistematicamente alla concorrenza);
- l’accordo di licenza tra Servier e Krka deve essere esaminato congiuntamente all’accordo transattivo, poiché il primo non sarebbe stato stipulato senza il secondo e costituisce parte di un disegno “ripartitorio” più ampio, secondo cui il licenziatario (Krka) avrebbe avuto accesso a determinati mercati nazionali senza rischio di violazione del brevetto in cambio del divieto di accedere ad altri mercati ritenuti “principali” per Servier. Il Tribunale ha errato nello svolgere un’analisi formalistica degli accordi piuttosto che un’analisi concreta della loro dannosità per la concorrenza;
- per determinare se un “trasferimento di valore” costituisca un incentivo ad accettare clausole di “non contestazione e non commercializzazione” nell’ambito delle transazioni sui brevetti, occorre esaminare, tra l’altro, se tale pagamento serva a coprire i costi inerenti a una transazione sui brevetti (spese per il contenzioso e simili) o meno; in caso negativo, deve valutarsi se tale valore è sufficientemente elevato da costituire un incentivo effettivo a non competere;
- qualora un accordo tra le parti non porti a modificare, bensì mantenere stabile il numero di imprese all’interno del mercato (rimandando l’ingresso di un nuovo concorrente), un semplice raffronto tra la situazione precedente e successiva all’accordo non sarebbe sufficiente a consentire di concludere nel senso dell’assenza di effetti anticoncorrenziali. In simili casi, lo scenario controfattuale corretto si deve focalizzare sulla possibilità realistica e credibile del produttore generico di entrare sul mercato in assenza dell’accordo;
- sotto il profilo merceologico, la sostituibilità economica riflette l’insieme delle caratteristiche dei prodotti (prezzo e aspetti qualitativi). Quindi, a prescindere dalle caratteristiche peculiari del settore farmaceutico l’assenza di sostituzione tra le vendite di medicinali con indicazioni terapeutiche analoghe a fronte di una modifica del loro prezzo rivela l’esistenza di un mercato distinto a prescindere da quali ne siano le cause (dipendenti dalle qualità intrinseche del medicinale ovvero da iniziative compiute dai produttori/medici prescriventi).
In conclusione, con la sentenza in commento, la CGUE ha chiarito alcuni importanti aspetti sul test giuridico per valutare l’esistenza di una concorrenza potenziale e gli accordi di pay-for-delay e di licenza nel settore farmaceutico. Sulla scia dei precedenti Lundbeck e Generics, il messaggio alle aziende che operano in settori ove l’utilizzo di simili accordi è particolarmente diffuso è quello di prestare particolare attenzione a come strutturare simili accordi dato che possono essere qualificati come violazioni “per oggetto” della normativa posta a tutela della concorrenza.
Cecilia Carli
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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi di posizione dominante e settore farmaceutico – Chiuso senza accertamento di infrazione il procedimento per la potenziale inottemperanza di Leadiant
Con il provvedimento del 26 giugno scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha chiuso, senza accertare alcuna infrazione, il procedimento avviato per contestare una potenziale inottemperanza di Leadiant Biosciences Ltd. ed Essetifin S.p.A. (Leadiant) rispetto a quanto disposto dall’AGCM con il provvedimento del maggio 2022 (il Provvedimento Sanzionatorio) con cui Leadiant è stata sanzionata per 3,5 milioni di euro per aver abusato della propria posizione dominante tramite l’imposizione – grazie ad un’articolata strategia di comportamenti dilatori e ostruzionistici nelle negoziazioni con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) – di prezzi ingiustificatamente gravosi per la vendita al Sistema Sanitario Nazionale (il SSN) di Acido Chenodeossicolico Leadiant® (ACL), ossia un farmaco orfano salva-vita per la cura della xantomatosi cerebrotendinea, una malattia rara che provoca disfunzioni neurologiche, cognitive e sistemiche.
Il Provvedimento Sanzionatorio, confermato sia dal TAR del Lazio (il TAR) sia dal Consiglio di Stato (come commentato di recente in questa Newsletter), imponeva a Leadiant di astenersi dal tenere in futuro condotte analoghe nonché di attivarsi per rinegoziare con l’AIFA un nuovo prezzo equo per l’ACL. Proprio nel contesto di questa nuova negoziazione si inserisce il provvedimento oggetto del presente commento. Infatti, in occasione dell’invio della prima relazione di ottemperanza all’AGCM, Leadiant aveva comunicato di aver presentato ricorso al TAR, con contestuale domanda cautelare, e di voler attendere l’esito di detto ricorso prima di prendere contatto con l’AIFA. A ciò ha fatto seguito l’avvio del procedimento per accertare la possibile inottemperanza di Leadiant nell’ottobre 2022. Tuttavia, nel mese successivo il TAR ha provvisoriamente sospeso l’efficacia del provvedimento impugnato, salvo confermarlo integralmente nel luglio 2023.
Dopo la conferma del TAR, Leadiant ha dunque presentato all’AIFA un nuovo dossier per la rinegoziazione del prezzo dell’ACL, offrendo da subito condizioni significativamente migliorative rispetto alle precedenti. Ad esito dell’ordinario corso delle negoziazioni, Leadiant e l’AIFA hanno concordato un prezzo ridotto di circa il 40% rispetto a quello precedentemente applicato al SSN, nonché ridotto nel range tra il 70-90% rispetto al prezzo al pubblico, che si attestava a ben più di 15.000 euro per ogni confezione da 100 capsule. Il nuovo accordo si caratterizza altresì per una durata di 12 mesi (dimezzata rispetto alla prassi di mercato), nonché per la previsione di un tetto di spesa per il SSN pari a circa 1,5 milioni di euro che, se sforato, comporta un obbligo di pay-back in capo a Leadiant (con evidente possibilità di ulteriore riduzione del prezzo unitario del farmaco).
I nuovi termini dell’accordo sono stati accolti con favore dall’AIFA che ha evidenziato l’adeguatezza delle condizioni contrattuali anche con riferimento al rischio di cessazione della produzione del farmaco che deriverebbe dalla potenziale assenza di incentivi alla produzione per Leadiant data la ridotta dimensione del mercato di riferimento.
Alla luce di quanto sopra riportato, l’AGCM ha ritenuto che tramite i nuovi accordi Leadiant abbia ottemperato al Provvedimento Sanzionatorio e, di conseguenza, ha chiuso il relativo procedimento per inottemperanza. Il caso in commento è di particolare interesse perché offre un esempio di valutazione in concreto di quello che è il “giusto prezzo” nei c.d. abusi di sfruttamento, un parametro sempre estremamente difficile da calare nel caso concreto.
Niccolò Antoniazzi
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Abusi e trasporto locale – Il Consiglio di Stato ha rideterminato la sanzione imposta a Sad Trasporto Locale S.p.A. per abuso di posizione dominante
Con la sentenza pubblicata il 27 giugno 2024, il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto il ricorso presentato dalla società Sad Trasporto Locale S.p.A. (Sad) per la riforma della sentenza con cui il TAR del Lazio (il TAR) aveva confermato la legittimità del provvedimento dell’AGCM in relazione al caso A516 – Gara Affidamento Servizi TPL Bolzano (il Provvedimento), rideterminando la sanzione irrogata (già commentata in questa Newsletter).
Il Provvedimento aveva riconosciuto Sad responsabile di un abuso di posizione dominante consistente nel ritardo e rifiuto di fornire informazioni necessarie ai fini della realizzazione della procedura competitiva per il nuovo affidamento dei servizi di trasporto pubblico extraurbano di passeggeri su gomma nella Provincia di Bolzano (la Gara), imponendo una sanzione amministrativa di oltre 1,1 milioni di euro.
La vicenda traeva origine dalla condotta tenuta da Sad nell’ambito delle sue interlocuzioni con la provincia autonoma di Bolzano (l’Amministrazione) in relazione alla redazione del bando della Gara. A questo fine, infatti, la Provincia aveva richiesto a Sad – in quanto concessionario uscente – di fornire una serie di informazioni relative ai fattori di produzione utilizzati per lo svolgimento del servizio, tra cui l’elenco del personale, dei veicoli, dei presidi logistici e degli altri immobili strumentali allo svolgimento del servizio. In risposta a tale richiesta, Sad ne aveva prima contestato la legittimità e si era, poi, parzialmente rifiutata di rispondere (la Condotta). L’Amministrazione aveva, in risposta, segnalato tale condotta all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), la quale aveva avviato un procedimento istruttorio in relazione ad una potenziale violazione dell’articolo 102 TFUE, poi conclusosi con il Provvedimento, la cui legittimità era stata confermata dal TAR nel 2021.
Contro la relativa sentenza del TAR, Sad aveva presentato ricorso di fronte al Consiglio di Stato (il CdS), lamentando, tra le altre cose: (i) l’errata definizione del mercato rilevante, (ii) l’inesistenza di una posizione dominante in capo a Sad, (iii) il carattere non abusivo della condotta e (iv) una serie di erroneità nel calcolo della sanzione da parte dell’AGCM.
Rispetto ai motivi di cui ai punti (i) e (ii), il CdS aveva rigettato le argomentazioni di Sad. Questa aveva individuato come mercato rilevante quello per l’assegnazione della Gara – in cui Sad era uno degli operatori concorrenti, potenzialmente in condizione di parità rispetto agli altri. Al contrario, il CdS ha condiviso la posizione dell’AGCM, che lo aveva valutato rispetto alle condizioni di mercato precedenti allo svolgimento della Gara e in cui la Condotta si era realizzata – che vedevano Sad come unico soggetto attivo e in condizione di monopolio. Il CdS ha sostenuto, infatti, che la verifica del mercato rilevante non debba essere condotta “riguardo a scenari futuri”, quanto, invece, guardando agli “assetti specifici del servizio e del mercato di riferimento al momento dei fatti”. Il dato rilevante, nel caso di specie, non deve quindi essere individuato “[nel]la valutazione della forza competitiva dei diversi partecipanti alla futura gara, quanto [nel]la valutazione del potere di un concessionario in esclusiva di condizionare l’avvio stesso della [G]ara”. In tale prospettiva, Sad – in quanto concessionario uscente – non poteva che considerarsi in posizione dominante.
Allo stesso modo, il CdS ha rigettato il motivo di ricorso di cui al punto (iii), riconoscendo la natura abusiva della Condotta, con cui facendo forza su una posizione dominante, era stato ritardato il progetto di apertura del mercato dell’Amministrazione. Sulla scorta dei principi della giurisprudenza europea in materia, il CdS ha, infatti, riconosciuto nelle modalità nell’azione di Sad una strategia concorrenziale esclusiva attuata con mezzi diversi da quelli di un confronto basato sul merito.
In sede di ricorso, Sad aveva, inoltre, sostenuto che la condotta non aveva avuto effetti sulla concorrenza dal momento che la Gara era stata poi annullata dall’Amministrazione sulla base di ragioni diverse dalla Condotta. Il CdS non ha riconosciuto tale elemento come in grado di influire sulla valutazione circa la natura abusiva della condotta, argomentando sulla base del principio per cui, a tale fine, è sufficiente la prova della sola idoneità della pratica a pregiudicare la concorrenza. Tuttavia, questo elemento è stato valutato dal CdS nell’ambito del motivo di cui al punto (iv) e rispetto alla valutazione del quantum della sanzione: è stato, infatti, ritenuto “equo”, in ragione di tali elementi, disporre una riduzione del 30% della sanzione, quantificata in circa 800.000 euro.
Tale ultimo aspetto – inserito nell’ambito di una sentenza che in molti punti riafferma consolidati principi di diritto della concorrenza sostanziale – rimarca ancora una volta l’ampiezza della giurisdizione di merito in materia di sanzioni amministrative, anche delle autorità indipendenti, che può giungere a rideterminarle, sulla base di un generale riferimento ai principi di equità.
Alberto Galasso
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Legal News / Materie prime e settori strategici – il Governo italiano ha adottato un decreto diretto a garantire maggiore autosufficienza nell’approvvigionamento di materie prime strategiche per la transizione ecologica, il settore digitale, aerospaziale e della difesa
Il Governo ha emesso il Decreto-Legge 25 giugno 2024, n. 84 (il Decreto) che contiene “disposizioni urgenti sulle materie prime critiche di interesse strategico”. Il Decreto attua in Italia il regolamento (UE) 2024/1252 (il Regolamento) che promuove l’autosufficienza degli Stati europei sulle materie prime critiche di interesse strategico per la transizione ecologica, il settore digitale, aerospaziale e della difesa (le Materie prime), riducendo la dipendenza dalle importazioni da Paesi terzi.
Il Regolamento risponde a crescenti criticità nell’approvvigionamento delle Materie prime che sono principalmente concentrate in pochi Stati politicamente instabili. Crescenti tensioni geopolitiche ne mettono dunque a repentaglio l’importazione. Inoltre, il loro approvvigionamento è spesso non uniforme tra Stati membri dell’Unione Europea, con il pericolo di creare barriere anticoncorrenziali tra Stati membri. A fronte di una crescente domanda e per evitare un’eccessiva dipendenza da importazioni da paesi terzi, il Regolamento introduce un quadro di norme volte a promuovere l’estrazione, il recupero e la trasformazione delle Materie prime sul territorio europeo.
Per raggiungere gli obiettivi prefissi dal Regolamento, il Decreto introduce norme analoghe a livello nazionale. Innanzitutto, prevede che i progetti e le opere necessarie alla loro realizzazione sono di pubblica utilità, indifferibili e urgenti. Per l’autorizzazione di estrazioni, riciclaggio e trasformazioni di Materie prime, il Decreto istituisce presso il Ministero per le imprese e il made in Italy (Mimit) tre diversi punti unici nazionali di contatto, responsabili di verificare la completezza di tali istanze ed eventualmente concedere le autorizzazioni. Inoltre, istituisce il Comitato tecnico per le materie prime critiche e strategiche, responsabile di monitorare e coordinare le catene di approvvigionamento e le scorte disponibili di Materie prime. Può, se necessario, proporre al Comitato interministeriale per la transizione ecologica di creare scorte strategiche di Materie prime.
Da un punto di vista sostanziale, il Decreto prevede una serie di facilitazioni e incentivi all’estrazione, recupero e trasformazione delle Materie prime. In primo luogo, per accelerare e facilitare la ricerca di Materie prime, esso prevede che i progetti non hanno potenziali effetti significativi sull’ambiente e, pertanto, il rilascio del permesso di ricerca delle Materie prime non richiede le preventive le verifiche ex articolo 19 del Testo unico in materia ambientale (D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152). Per i giacimenti minerari, il Decreto impone un obbligo di versare allo Stato una somma pari al valore di un’aliquota del 5-7% del prodotto, che poi devono essere reinvestiti dallo Stato nella filiera delle Materie prime. Per individuare le risorse presenti sul territorio nazionale, è poi istituito il Programma nazionale di esplorazione, elaborato dal Servizio geologico d’Italia in convenzione con il Mimit e il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Tale programma prevede la mappatura dei minerali, esplorazioni geofisiche e della composizione del terreno e l’elaborazione e pubblicazione dei dati raccolti. Per monitorare le catene del valore strategico e il fabbisogno nazionale di Materie prime, il Mimit provvede a compilare e mantenere un registro di aziende strategiche (individuate ai sensi del Regolamento) e delle relative catene del valore. Infine, come meccanismo di finanziamento, è previsto l’inserimento della trasformazione ed estrazione delle Materie prime nel Fondo nazionale del made in Italy.
Il Decreto sembra dunque rafforzare la normativa europea volta a promuovere più autosufficienza in materia di sicurezza, ambiente e digitalizzazione. Resta da vedere come le due normative, europea e italiana, interagiranno tra di loro e quante le risorse europee potranno effettivamente soddisfare il fabbisogno interno di Materie prime.
Gianguido Ghelardi
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