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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 17 giugno 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Aiuti di Stato e settore energetico – La Corte di Giustizia UE ha annullato la decisione della Commissione di approvare una misura per la chiusura anticipata di una centrale a carbone

Lo scorso 13 giugno 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) ha confermato la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) di annullamento della decisione della Commissione europea (la Commissione) che aveva ritenuto compatibile con il mercato interno la misura (la Misura) a favore di Vattenfall per la chiusura anticipata della centrale a carbone di Hemweg (la Decisione).

Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2019, i Paesi Bassi avevano notificato alla Commissione – ai sensi della direttiva (UE) 2015/1525, che prevede l’obbligo per gli Stati membri di comunicare alla Commissione le regolamentazioni tecniche – un disegno di legge sul divieto di utilizzo del carbone per la produzione di energia elettrica. Sebbene non notificata, dunque, ai sensi dell’articolo 108, paragrafo 3 TFUE, relativo alla comunicazione preventiva degli aiuti di Stato, nel maggio del 2020, la Commissione ha adottato la Decisione, ritenendo la Misura comunque compatibile con il mercato interno, senza tuttavia averla qualificata come “aiuto di Stato”. Il Tribunale, a seguito del ricorso dei Paesi Bassi – che chiedevano rimedio alla situazione di incertezza generata dalla mancata definizione della Misura – ha annullato la Decisione rilevando l’impossibilità per la Commissione di dichiarare – ai sensi della normativa sugli aiuti di Stato – una misura compatibile con il mercato interno senza averla previamente qualificata appunto come un aiuto di Stato. Sulla vicenda, si era pronunciato l’Avvocato Generale Campos (l’AG), suggerendo alla CGUE di annullare la sentenza del Tribunale e di propendere per un’interpretazione “integrata” e “funzionale” della normativa relative agli aiuti di Stato. Per un maggior approfondimento della vicenda si rimanda alla presente Newsletter dello scorso 26 febbraio.

Con un unico motivo di impugnazione, la Commissione sosteneva, inter alia, che il termine “aiuto” di cui all’articolo 107, paragrafo 3, TFUE “…sarebbe utilizzato in senso lato e non per designare un aiuto di Stato nel senso tecnico di tale termine, cosicché non si può escludere che detto termine possa del pari comprendere misure la cui qualificazione come aiuto di Stato resti incerta…” e che l’articolo 4, del regolamento 2015/1589 (recante le modalità di applicazione dell’articolo 108) non fissi un elenco esauriente delle decisioni che la Commissione può adottare al termine dell’esame preliminare. Peraltro, la Commissione rilevava come vi sarebbero situazioni in cui è più facile valutare se una misura sia compatibile con il mercato interno rispetto al determinare se essa sia un aiuto di Stato. Decidendo, in tali situazioni, di non sollevare obiezioni senza avviare un procedimento d’indagine formale, la Commissione si conformerebbe quindi al principio di buona amministrazione.

Contrariamente a quanto suggerito dall’AG, la CGUE ha ora rigettato il ricorso presentato dalla Commissione. Per la CGUE è evidente che l’articolo 107, paragrafo 3, TFUE, che elenca le misure che possono essere considerate compatibili con il mercato interno, “…può riguardare soltanto gli aiuti di Stato…”. Se è vero, come sostenuto dalla Commissione, che l’articolo 107 TFUE non enuncia norme procedurali, né verte direttamente sui suoi poteri, ciò non toglie che “…la qualificazione di una misura come aiuto di Stato ai sensi del paragrafo 1 costituisce un presupposto previo all’eventuale applicazione della deroga prevista al paragrafo 3 di quest’ultima…”. Peraltro, la Commissione non può certamente esimersi dall’obbligo di esercizio dei propri poteri nel rispetto delle condizioni enunciate dai Trattati – e nel caso di specie mettere in discussione l’economia e la coerenza dell’articolo 107 TFUE – in funzione della maggiore o minore facilità di qualificazione di una misura o dell’esame di compatibilità.

In conclusione, con la sentenza in esame la CGUE si è espressa in modo fermo relativamente a questioni di notevole rilevanza – sia giuridico, sia procedurale – circa nozioni centrali nelle norme sugli aiuti di Stato, rigettando le suggerite peculiari interpretazioni della Commissione e dell’AG.

Fabio Bifarini

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Sanzioni antitrust e interessi – La Corte di Giustizia dell’Unione europea conferma che l’annullamento o la riduzione di una sanzione antitrust obbliga alla restituzione maggiorata di interessi forfettari a decorrere dal momento del versamento dell’ammenda e fino al suo annullamento o alla sua riduzione

Con la sentenza resa l’11 giugno scorso nella causa C-221/22 P, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) ha offerto importanti chiarimenti sulla quantificazione del rimborso che la Commissione europea (la Commissione) è tenuta a corrispondere a imprese sanzionate per aver violato la normativa antitrust, laddove tali sanzioni siano successivamente ridotte o annullate dagli organi giurisdizionali dell’Unione europea.

La sentenza de qua trae origine da un’annosa controversia che ha visto opposta la società tedesca Deutsche Telekom AG (DT) alla Commissione, la quale nel 2014 aveva sanzionato DT per circa EUR 31 milioni per aver posto in essere un abuso di posizione dominante, in violazione dell’art. 102 TFUE, nel mercato slovacco dei servizi di telecomunicazione a banda larga. DT aveva proceduto immediatamente al versamento della sanzione, impugnando parallelamente la decisione dinanzi al Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale), il quale aveva accolto in parte il ricorso, riducendo l’ammenda di circa EUR 12 milioni. Somma, questa, che veniva immediatamente restituita dalla Commissione a DT (la Somma Restituita).

Successivamente, DT si rivolgeva alla Commissione per ottenere anche la corresponsione di interessi (gli Interessi Controversi) per il periodo intercorrente tra il momento del versamento della sanzione e quello della restituzione a seguito della sentenza del Tribunale. Dinanzi, però, al rifiuto opposto dalla Commissione, DT adiva il Tribunale, che con la sentenza T-610/19 – già oggetto di commento nella presente Newsletter – condannava la Commissione a corrisponderle circa EUR 1,8 milioni a titolo di interessi di mora, quantificati secondo il meccanismo di calcolo fissato dall’art. 83, paragrafo 2, lett. b) del regolamento delegato (UE) n. 1268/2012 della Commissione (il Regolamento Delegato, che disciplina inter alia il tasso di interesse dovuto nei casi di ritardi nel pagamento), e pari al tasso di rifinanziamento della Banca Centrale Europea (la BCE), aumentato del 3,5%. Si giunge, così, dinanzi alla CGUE, che con la sentenza oggetto del presente commento conferma integralmente la posizione del Tribunale.

La Commissione ha affidato il proprio ricorso a due principali gruppi di motivi, relativi rispettivamente (i) all’astratta configurabilità dell’obbligo di corresponsione degli Interessi Controversi, e (ii) alla loro quantificazione.

Quanto al primo gruppo di motivi, in particolare, la Commissione ha sostenuto che essa, avendo tempestivamente versato la Somma Restituita, non sarebbe incorsa in alcuna violazione “sufficientemente qualificata” dell’art. 266, paragrafo 1, TFUE – ai sensi del quale le istituzioni europee devono adottare tutte le misure necessarie all’esecuzione di una sentenza che ha annullato uno degli atti da esse emanati, ivi essendo comprese anche quelle risarcitorie/ripristinatorie della situazione che si sarebbe avuta in assenza dell’atto annullato o riformato. Secondo la Commissione, inoltre, dal momento che – nel periodo rilevante – il rendimento derivante dall’investimento delle somme versate da DT a titolo di sanzione era stato negativo, la corresponsione anche degli Interessi Controversi, oltre alla Somma Restituita, si sarebbe tradotta in un illegittimo arricchimento senza causa di DT.

Nessuna delle argomentazioni addotte dalla Commissione è stata tuttavia ritenuta convincente.

Secondo la CGUE, infatti, laddove venga annullato un atto dell’UE in virtù del quale un soggetto era stato obbligato a versare una determinata somma, l’art. 266, paragrafo 1, TFUE impone inderogabilmente la restituzione sia del valore nominale della somma versata, sia degli interessi – in una misura forfettaria che assicuri la concreta esecuzione della sentenza di annullamento, e che copra l’intero periodo intercorso tra il versamento della somma, e la sua restituzione: sicché, proprio il rifiuto della corresponsione di tali somme costituisce una violazione “sufficientemente qualificata” di tale articolo, e dà luogo a responsabilità extracontrattuale della Commissione. Anzi, chiarisce la CGUE, è proprio la corresponsione (anche) degli interessi – sulla quale la Commissione non ha alcun margine di discrezionalità – a garantire l’integrale restituzione dell’indebito, non essendo dunque richiesta la prova di un eventuale danno all’impresa illegittimamente privata della somma versata.

Inoltre, la circostanza per cui nel caso di specie il rendimento delle somme versate da DT era stato negativo non risulta sufficiente ad escludere l’obbligo di corresponsione degli Interessi Controversi: come chiarito dalla CGUE, infatti, oltre al fatto che tali interessi hanno natura forfettaria, va sottolineato il fatto che l’impresa non ha alcuna voce in capitolo sulla utilizzazione delle somme versate alla Commissione. Sicché non vi è motivo di ritenere che il “rischio” riconnesso all’impiego (eventualmente infruttifero) di tali somme, da parte della Commissione, debba ricadere in capo alla società.

Anche con riguardo alla (ii) quantificazione degli Interessi Controversi, la CGUE non ha riscontrato errori nella ricostruzione offerta dal Tribunale, la quale appare compatibile con la lettera del Regolamento Delegato, e non risulta né irragionevole, né sproporzionata.

Infine, in risposta all’argomento della Commissione – secondo cui, eventualmente, avrebbe dovuto trovare applicazione il tasso di interesse (pari al tasso di rifinanziamento della BCE, maggiorato dell’1,55%) previsto dall’art. 83, paragrafo 4, del Regolamento Delegato per i casi in cui l’impresa, anziché procedere al versamento dell’ammenda, decida di costituire una garanzia bancaria a copertura dell’importo – la CGUE ha sottolineato come il versamento immediato della somma richiesta all’impresa sanzionata costituisca un impegno economico ben diverso rispetto a quello sotteso alla costituzione della garanzia bancaria – tanto che risulterebbe irragionevole l’applicazione alla prima situazione del tasso previsto per la seconda.

La sentenza risulta di particolare interesse, dal momento che tratteggia con precisione la disciplina – da sempre controversa – relativa alla misura degli obblighi restitutori in capo alla Commissione, per le ipotesi in cui i provvedimenti sanzionatori antitrust di quest’ultima vengano successivamente riformati in tutto o in parte. Non resta che vedere se essa ispirerà un approccio più cauto della Commissione, specialmente nella fase di riscossione delle ammende irrogate alle imprese con decisioni ancora suscettibili di ricorso dinanzi ai competenti organi giurisdizionali.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Foreign Subsidies e telecomunicazioni – La Commissione europea ha avviato la prima istruttoria su un’operazione di M&A ai sensi del Regolamento sui Foreign Subsidies

In data 10 giugno 2024, la Commissione europea (Commissione) ha annunciato di aver avviato un’istruttoria ai sensi del Regolamento sui Foreign Subsidies con riferimento all’acquisizione da parte di Emirates Telecommunications Group (l’Acquirente) del controllo esclusivo di PPF Telecom Group B.V. (ad esclusione del suo business in Repubblica Ceca) (la Target).

L’Acquirente ha sede negli Emirati Arabi Uniti (EAU) ed è un operatore di telecomunicazioni controllato dagli stessi EAU, mentre la Target, con sede in Repubblica Ceca, è un operatore di telecomunicazioni con più di 10 milioni di clienti attivo in Repubblica Ceca, Bulgaria, Ungheria, Serbia e Slovacchia.

Come riportato nel suo comunicato stampa, l’indagine preliminare svolta a seguito della notifica dell’operazione ha indicato, ad avviso della Commissione, che ci sono sufficienti indizi per ritenere che l’Acquirente abbia ricevuto sovvenzioni estere che potrebbero comportare una distorsione del mercato interno dell’Unione europea (UE). Le presunte sovvenzioni assumono in particolare la forma di una garanzia illimitata da parte degli EAU e di un prestito da parte di banche controllate dagli EAU che agevolano direttamente l’operazione di acquisizione. Tali sovvenzioni sono tra le più suscettibili di distorcere il mercato interno, secondo quanto espressamente stabilito dal Regolamento sui Foreign Subsidies.

Il caso in questione è il primo in cui la Commissione ha aperto un’istruttoria con riferimento ad un’operazione di M&A (e non con riferimento ad un appalto pubblico) ai sensi della disciplina sui Foreign Subsidies. Avrà ora 90 giorni lavorativi, fino al 15 ottobre 2024, per prendere una decisione.

Mila Filomena Crispino

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Diritto della concorrenza – Italia / Intese e settore dei radiofarmaci per la diagnostica – L’AGCM chiude il procedimento senza formulazione di addebiti nei confronti delle principali società attive nel mercato dei radiofarmaci

Con la decisione del 10 giugno 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha chiuso senza accertare alcuna infrazione l’indagine per intesa nel mercato dei radiofarmaci per la diagnostica (il Procedimento).

Il Procedimento, avviato con provvedimento del 29 marzo 2022 (già trattato in questa Newsletter del 9 giugno 2022), ha riguardato i principali attori nel mercato italiano della produzione e vendita di radiofarmaci (ossia, Advanced Accelerator Applications S.r.l. (AAA); Curium Italy S.r.l. (Curium); ITEL Telecomunicazioni S.r.l. (ITEL); GE Healthcare Italia S.r.l. (GE Healthcare) e ACOM – Advanced Center Oncology Macerata S.r.l. (ACOM)), le rispettive società controllanti, nonché la relativa associazione di categoria (ossia, l’Associazione Italiana di Medicina Nucleare ed Imaging Molecolare (AIMN), che in base all’ipotesi iniziale sarebbe stata usata dalle società per veicolare informazione relative alla presunta intesa).

Il Procedimento riguardava in particolare i radiofarmaci utilizzati per la tomografia ad emissione di positroni (PET), necessaria per la diagnostica di precisione di diverse malattie.

Caratteristica principale di questi radiofarmaci è il loro rapido deterioramento: essi presentano una carica radioattiva – che viene attivata in impianti appositi, i ciclotroni – con una emivita di poche ore, motivo per il quale devono essere consegnati agli ospedali (pubblici e privati) entro tempi brevissimi, considerando anche un margine per fare in modo che il farmaco sia nella disponibilità degli ospedali per le diagnosi.

Altra caratteristica di questa attività è che i ciclotroni (ovvero gli impianti di produzione del farmaco), essendo particolarmente costosi, sono presenti sul territorio in numero ridotto (in Italia, al 2023, ve n’erano soltanto 12) e con una distribuzione non omogenea. Inoltre, questi impianti sono spesso soggetti a fermi programmati per manutenzione o a fermi per malfunzionamenti di vario tipo, tutti scenari che portano al blocco totale della produzione. Ciò significa che un’impresa vincitrice di una gara non può sempre essere in grado di adempiere alle proprie obbligazioni in caso di malfunzionamento di un impianto, rendendo quindi necessario il ricorso a sistemi di back-up, ossia ad accordi tra concorrenti per garantirsi reciprocamente forniture del farmaco in caso di blocco della produzione di un proprio impianto.

La condotta contestata inizialmente dall’AGCM era rappresentata proprio dall’asserito uso di “finti back-up” per riequilibrare le quote di mercato – “sfruttando artatamente le particolarità del radiofarmaco richiesto dalle stazioni appaltanti” – nonché la partecipazione alle gare tramite “ATI sovrabbondanti” ovvero la loro spartizione, così integrando una “intesa unica, complessa e continuata”.

Tuttavia, l’AGCM ha riscontrato la carenza di prove di siffatte condotte, chiudendo quindi il Procedimento senza accertare alcuna infrazione.

Lorenzo Brandoli

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Tutela del consumatore / Regole procedurali in materia di tutela del consumatore – Avviata una consultazione pubblica sul nuovo “Regolamento sulle procedure istruttorie nelle materie a tutela del consumatore e di pubblicità ingannevole e comparativa”

Lo scorso 21 maggio 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato di procedere ad una consultazione pubblica sullo schema di “Regolamento sulle procedure istruttorie nelle materie a tutela del consumatore e di pubblicità ingannevole e comparativa” (il Regolamento). Ad avviso dell’AGCM, l’adozione di un nuovo regolamento si rende necessaria alla luce dei numerosi interventi normativi che hanno ampliato il novero delle competenze dell’AGCM.

Il Regolamento prevede un ambito di applicazione più ampio di quello attuale, che stabilisce una procedura istruttoria per i procedimenti in materia di pratiche commerciali scorrette, clausole vessatorie, nonché quelli relativi ai divieti di pubblicità ingannevole e comparativa e attività parassitarie. Tale ambito viene esteso dal Regolamento, alla luce delle competenze che sono state date all’AGCM nel tempo, anche ai procedimenti in materia di:

  • violazioni dei diritti dei viaggiatori nei contratti aventi ad oggetto pacchetti turistici e servizi turistici collegati;
  •  c.d. iban discrimination, ossia il rifiuto da parte di un professionista accettare pagamenti tramite codici bancari non italiani, seppur rilasciati in area SEPA;
  • violazioni degli obblighi di informazione in merito alle commissioni di conversione valutaria connesse a operazioni di pagamenti con carta, prelievi presso gli sportelli automatici, in violazione di quanto previsto dal Regolamento UE n. 1230/2021 sui pagamenti transfrontalieri;
  • divieto di utilizzo di procedure automatizzate di determinazione delle tariffe basate su attività di profilazione web dell’utente o sulla tipologia di dispositivi elettronici utilizzati per le prenotazioni;
  • divieti in materia di servizi di pagamento e credito; e
  • divieti di prevedere blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell'ambito del mercato interno.

Fra le novità principali è prevista un’estensione del termine per la conclusione del procedimento, che passa da centoventi a centottanta giorni, con una possibile ulteriore estensione di trenta giorni nel caso di richiesta di parere alle autorità di regolazione del settore. Inoltre, sempre in tema di decorso del termine, si prevede una sospensione del procedimento per gli illeciti c.d. transfrontalieri, previsti dal Regolamento UE n. 2394/2017 sulla cooperazione fra autorità nazionali responsabili della tutela dei consumatori. In tale ultimo caso, il procedimento è sospeso dall’avvio della procedura di cooperazione, fino alla sua chiusura, per la durata massima di un anno.

Fino al 20 giugno gli interessati possono presentare le proprie osservazioni: non resta che attendere e vedere se (e come) lo schema sarà modificato all’esito della consultazione.

Irene Indino

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Appalti, concessioni e regolazione / Rettifica degli atti di gara successiva al ricorso giurisdizionale – È legittima la rettifica di atti di gara successiva alla loro impugnazione

Con la sentenza del 12 giugno 2024 (Sentenza), il TAR Lombardia ha considerato legittima la rettifica dei requisiti di partecipazione avvenuta successivamente all’apertura del giudizio volto a dichiararne l’illegittimità.

Nella fattispecie, la Fondazione Irccs “Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico” (Fondazione), aveva indetto una gara per la fornitura di attrezzature mediche per le terapie intensive della stessa Fondazione e di due ASST lombarde. La società Becton Dickinson Italia S.p.A. (BD) ha impugnato il bando contestando due profili. Il primo relativo alla mancata divisione in lotti differenti delle attrezzature per la nutrizione enterale e per quella parenterale. Il secondo, relativo alle caratteristiche tecniche del prodotto che dovevano essere capaci di garantire nutrizione enterale e parenterale in un’unica apparecchiatura.

In corso di giudizio, la Fondazione ha apportato due rettifiche agli atti del bando di gara cui BD si opponeva. In primo luogo, ha ulteriormente elaborato la motivazione per non suddividere la gara in due lotti. Questa si basava sul fatto che suddividere attrezzature enterali e parenterali in due lotti avrebbe causato considerevoli svantaggi organizzativi al personale delle terapie intensive, in ultima analisi a danno del paziente. In secondo luogo, ha ridotto certi requisiti minimi di partecipazione relativi all’accuratezza e al grado di protezione delle attrezzature, ampliando quindi la possibilità di partecipazione alla gara. In ogni caso, queste modifiche non hanno alterato l’esito della gara in termini di aggiudicazione. Infatti, BD non soddisfaceva comunque i requisiti minimi di partecipazione.

In risposta a questa rettifica, BD ha presentato ricorso per motivi aggiunti, sostenendo che la rettifica sarebbe avvenuta soltanto in conseguenza dell’instaurazione del giudizio davanti al TAR, e doveva essere quindi annullata.

La Sentenza ha respinto tutti e tre i motivi di ricorso e ha considerato legittima la rettifica degli atti di gara.

Innanzitutto, il TAR ha sottolineato che la rettifica in questione ha ampliato i requisiti di partecipazione alla gara, che in ogni caso non presentavano un effetto distorsivo sulla concorrenza, e ha ulteriormente elaborato la motivazione del lotto unico.

Secondo il TAR, tale rettifica ha rappresentato una legittima convalida del provvedimento. L’articolo 21 nonies comma 2 della legge n. 241 del 1990 garantisce infatti alla pubblica amministrazione la possibilità di convalidare, per ragioni di pubblico di interesse e in un termine ragionevole, un provvedimento annullabile.

Nel caso di specie, il TAR si è limitato ad affermare che la rettifica era una convalida del provvedimento, e non una “integrazione motivazionale attraverso gli atti difensivi”. La rettifica degli atti era dunque legittima.

Ciò sembrerebbe lasciare aperti due quesiti. In primo luogo, non appare immediato che la modifica di requisiti tecnici sostanziali di partecipazione alla gara, seppur in senso di ampliamento della partecipazione, sia una mera convalida di un provvedimento amministrativo. In secondo luogo, resta incerto cosa sarebbe avvenuto se la rettifica dei requisiti minimi avesse effettivamente influito sull’aggiudicazione della gara, ad esempio se ciò avesse permesso a BD di partecipare alla gara? In tale scenario, si potrebbe comunque parlare di convalida del provvedimento ai sensi dell’articolo 21 nonies comma 2 della legge n. 241 del 1990? Al Consiglio di Stato l’eventuale sentenza.

Gianguido Ghelardi

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