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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza – Europa / Intese verticali e servizi di intermediazione online – Per l’Avvocato Generale Collins le clausole di parità di prezzo non dovrebbero considerarsi “restrizioni accessorie”
Lo scorso 6 giugno sono state pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale Collins (AG) nell’ambito del contenzioso civile tra Booking.com BV (Booking) ed alcuni hotel in relazione alle clausole di parità di prezzo previste da Booking per gli hotel che utilizzavano i servizi della sua piattaforma di prenotazione di servizi alberghieri. Per l’AG, tali clausole non dovrebbero considerarsi “restrizioni accessorie” all’accordo principale (e per questo motivo valutate come quest’ultimo ai sensi dell’art. 101(1) TFUE), a meno che non siano indispensabili e proporzionate per assicurare la “vitalità economica” della piattaforma online.
La vicenda attiene le clausole di parità di prezzo c.d. “ristrette” utilizzate da Booking per disciplinare l’utilizzo della piattaforma da parte degli hotel e secondo cui questi ultimi non possono presentare un prezzo più basso per una stanza sui propri canali di vendita diretti rispetto a quanto pubblicizzato su Booking. Nel 2015, l’autorità antitrust tedesca aveva ritenuto anche tali clausole contrarie all’art 101(1) TFUE (contrariamente alle soluzioni cui erano giunte le autorità francese, italiana e svedese, che avevano chiesto a Booking di eliminare solo le clausole di parità c.d. “ampie” che impedivano un prezzo più basso su altre piattaforme online). Nel 2021, la Corte Federale tedesca aveva confermato la decisione dell’autorità antitrust (annullando la precedente sentenza del Tribunale di Dusseldorf), ritenendole restrittive della concorrenza, non esenti ai sensi del regolamento sugli accordi verticali n. 330/2010 (VBER), né, infine, qualificabili come restrizioni accessorie. Intanto, nel 2020, Booking aveva instaurato dinanzi al Tribunale di Amsterdam un’azione di c.d. “accertamento negativo”, perché venisse dichiarato che le sue clausole non violavano l’articolo 101 TFUE. Stanti gli orientamenti divergenti e i successivi interventi legislativi in alcuni Stati (Belgio, Francia, Italia e Austria), che hanno proibito le clausole di parità di prezzo (sia ampie, sia ristrette), il Tribunale di Amsterdam ha rinviato alla Corte di Giustizia due questioni: (i) se le clausole in parola costituiscono una “restrizione accessoria” e (ii) qualora si ritenesse applicabile il VBER, come dovrebbe definirsi il mercato rilevate da considerare ai fini dell’esenzione quando sono coinvolte piattaforme online a due versanti.
Sul primo quesito, l’AG ha ritenuto che le clausole in parola non sarebbero “restrizioni accessorie” a meno che non siano indispensabili e proporzionate per garantire la “vitalità economica” della piattaforma. In particolare, quando si tratta di accertare se una restrizione possa sottrarsi all’applicazione di cui all’art. 101(1) TFUE in quanto “accessorie” a un accordo con effetti positivi/neutri sulle dinamiche concorrenziali (e pertanto conforme all’art. 101 TFEU), occorre verificare se l’accordo principale risulterebbe impossibile in mancanza di detta restrizione. Il criterio è quello della “necessità oggettiva”, non essendo sufficiente che l’accordo principale sia più difficilmente realizzabile, o meno redditizio. Per l’AG, la distinzione tra le condizioni per la qualificazione di una restrizione come accessoria ai fini dell’articolo 101(1) TFUE e le condizioni per la valutazione del criterio dell’indispensabilità che l’articolo 101(3) TFUE prescrive per esentare individualmente una restrizione, si dovrebbe fondare sul fatto che la “necessità oggettiva” dovrebbe effettuarsi a livello astratto, ossia valutare se le restrizioni sono necessarie in qualsiasi circostanza. Al contrario, la valutazione ai sensi dell’art. 101(3) TFUE avviene individualmente a seconda delle specifiche del caso. Pur spettando al giudice del rinvio stabilire tali circostanze, l’AG indica che nel caso in esame la prestazione di servizi di prenotazione online quali Booking ha avuto effetti positivi per la concorrenza, aumentando la concorrenza tra gli alberghi e offrendo ai clienti finali maggior scelta e confronto. Tuttavia, sembra dubbio che le clausole in parola soddisfino il criterio di necessità e proporzionalità, in quanto non risulta alcun legame intrinseco tra l’attività principale di Booking e l’imposizione di tali clausole. Inoltre, esse non sembrano oggettivamente necessarie per la sua “vitalità economica”, posto che Booking ha continuato ad offrire i suoi servizi in diversi Stati anche dopo che esse sono state lì vietate.
Sulla seconda questione, l’AG premette che l’argomentazione avanzata dagli alberghi secondo cui il loro rapporto con Booking non sarebbe verticale e il VBER non si applicherebbe, si basa su una ricostruzione fattuale errata. Infatti, per l’AG si rientrerebbe chiaramente in tale definizione poiché, ai fini di tale accordo, Booking e gli alberghi operano a livelli diversi della catena di distribuzione. Anche qualora Booking e i canali di vendita diretta degli alberghi dovessero considerarsi concorrenti sullo stesso mercato del prodotto, la situazione in cui gli alberghi vendono le proprie camere attraverso le OTA e attraverso i propri siti web (c.d. dual distribution) rientra generalmente nell’ambito delle inteste verticali di cui al VBER.
Ciò premesso, l’AG ricorda che i mercati “a due versanti” sono quelli in cui un operatore economico, spesso una piattaforma online, collega due diversi gruppi di utenti. Sebbene spetti al giudice del rinvio stabilire l’opportunità di definire un unico mercato del prodotto che comprenda gli utenti di entrambi i versanti o due mercati rilevanti separati (uno per ciascun lato della piattaforma), i nuovi orientamenti sulle restrizioni verticali del 2022 stabiliscono che un fornitore di servizi di intermediazione online è classificato come fornitore in relazione a tali servizi e un’impresa che offre o vende beni o servizi tramite un fornitore di servizi di intermediazione online, come un albergo, è classificato come acquirente. Di conseguenza, la quota di mercato dell’impresa che fornisce i servizi di intermediazione online deve essere calcolata con riferimento al mercato per la fornitura di tali servizi alle imprese acquirenti. La portata merceologica del mercato rilevante dipende dal grado di fungibilità tra servizi online e offline, tra servizi di intermediazione utilizzati per categorie diverse di beni e tra servizi di intermediazione e canali di vendita diretta. Pertanto, per l’AG potrebbe essere opportuno considerare la fungibilità dei servizi delle agenzie di viaggio offline, dei canali di vendita diretta degli alberghi e persino di altri servizi online, sia dal punto di vista degli alberghi, sia dei clienti finali.
Le conclusioni in commento si inseriscono nell’alveo dei primi sviluppi giurisprudenziali sulle restrizioni verticali relativamente alle piattaforme online a valle del nuovo regolamento VBER e dei relativi orientamenti. Sarà quindi interessante vedere se la Corte di Giustizia confermerà quanto delineato dall’AG.
Cecilia Carli
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Abusi e settore del gas naturale – Pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale Rantos sul ricorso presentato dalla società Orlen avverso la decisione della Commissione di accogliere gli impegni di Gazprom
Il 6 giugno 2024 è stata pubblicata l’opinione dell’Avvocato Generale Rantos (AG) in merito al ricorso davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) della società Orlen (precedentemente PGNiG) contro la decisione del 24 maggio 2018 (Decisione), con cui la Commissione Europea (Commissione) aveva accettato, rendendoli vincolanti, gli impegni assunti da Gazprom rispetto alla distribuzione del gas naturale in Europa centrale e orientale.
L’indagine della Commissione che ha portato alla Decisione riguardava la posizione dominante di Gazprom sul mercato della distribuzione all’ingrosso del gas naturale in Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Polonia e Slovacchia. In particolare, la Commissione aveva sollevato perplessità concorrenziali ai sensi dell’Articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) rispetto alle restrizioni territoriali per la vendita del gas lungo confini nazionali, l’imposizione di prezzi eccessivi e la richiesta di garanzie di controllo su determinate infrastrutture nazionali in Bulgaria da parte di Gazprom. Gli impegni proposti da Gazprom in risposta a ciascuna di queste preoccupazioni erano stati accettati e resi vincolanti dalla Commissione nella Decisione (si veda anche la nostra Newsletter del 28 maggio 2018).
Orlen, concorrente polacca di Gazprom, aveva quindi proposto ricorso contro la Decisione davanti al Tribunale dell’Unione Europea (Tribunale), ricorso respinto con sentenza del 2 febbraio 2022. La società ha quindi proposto appello contro la sentenza del Tribunale davanti alla CGUE. Tra le varie questioni sollevate da Orlen, la CGUE ha richiesto all’AG un’Opinione sull’interazione del principio di solidarietà energetica con l’Articolo 9 del Regolamento n. 1/2003, sul valore procedurale di una comunicazione degli addebiti (CA) e sul livello di controllo dell’esistenza di un errore manifesto di valutazione.
In primo luogo, l’AG si esprime circa il motivo di ricorso secondo cui la Decisione non teneva adeguatamente conto del principio di solidarietà energetica. Mentre l’AG non esclude che tale principio possa applicarsi alla valutazione di condotte potenzialmente anticoncorrenziali ai sensi degli Articoli 101 e 102 TFUE, il caso di specie concerneva l’ambito più ristretto delle decisioni di accettazione di impegni ai sensi dell’Articolo 9 del Regolamento 1/2003. In tale ambito, la Commissione è tenuta a verificare che gli impegni proposti, se soddisfacenti da un punto di vista concorrenziale, non violino comunque nessuna norma dei Trattati, incluso l’Articolo 194 TFUE. Tuttavia, il contenuto degli impegni può essere positivamente definito soltanto dal diritto della concorrenza. La Commissione non può imporre impegni più restrittivi in base a considerazioni esterne al diritto della concorrenza, come la solidarietà energetica. Tale principio, quindi, può agire (come tutte le norme dei Trattati) come limite negativo agli impegni, ma non impone obblighi positivi in relazione ad essi. Nel caso di specie, la Commissione non era quindi tenuta ad imporre impegni ulteriori o diversi da quelli oggetto della Decisione in base al principio di solidarietà energetica.
In secondo luogo, l’AG ha valutato il valore procedurale di una CA nell’ambito di una Decisione ai sensi dell’Articolo 9 del Regolamento n. 1/2003. Nella fattispecie, la Commissione aveva inizialmente inviato una CA a Gazprom che includeva la contestazione di una infrazione in relazione alla subordinazione delle forniture da parte di Gazprom al rafforzamento del suo controllo sul tratto polacco del gasdotto Yamal, a scapito della ricorrente polacca Orlen (addebiti Yamal). Questi addebiti erano poi stati abbandonati dalla Commissione nel corso del procedimento per impegni, in quanto le sue preoccupazioni, a fronte di ulteriori indagini, si erano rivelate infondate. Secondo l’AG, la CA non è che un atto meramente “procedurale e preparatorio”, che non può quindi pregiudicare l’esito del procedimento della Commissione. Al contrario, poiché la decisione finale deve tenere conto delle difese delle parti contenuta nella replica alla CA, appare fisiologico che ci possa essere un diverso contenuto tra la CA e la decisione finale. La Commissione non era quindi tenuta a richiedere impegni per gli addebiti Yamal, né era tenuta a motivarne o comunicarne l’esclusione dalla Decisione.
Infine, l’AG ha considerato infondato il motivo secondo cui il Tribunale non avrebbe adeguatamente esaminato i presunti errori manifesti di valutazione della Commissione. Sia il Tribunale, sia la Commissione avevano, secondo l’AG, condotto un’analisi globale degli impegni che era incompatibile con un errore manifesto di valutazione. Le irregolarità metodologiche constatate dal Tribunale nella Decisione della Commissione non superavano pertanto la soglia di un tale errore.
In attesa della pronuncia della CGUE, gli orientamenti dell’AG sembrano andare nella direzione di una interazione tra il diritto della concorrenza e altri principi del diritto UE tale per cui questi ultimi rappresentano un limite esterno alle decisioni in materia di concorrenza, le quali tuttavia non devono perseguire finalità diverse rispetto a quelle relative alla protezione del processo concorrenziale.
Gianguido Ghelardi
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Diritto della concorrenza – Italia / Intese e settore farmaceutico – L’AGCM ha avviato un’istruttoria nei confronti di alcune imprese farmaceutiche per accertare una presunta intesa orizzontale nel mercato del principio attivo ranibizumab
Lo scorso 6 giugno l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha reso noto di aver avviato un procedimento nei confronti di Samsung Bioepis co. Ltd., Samsung Bioepis NL B.V. (complessivamente, Bioepis), Biogen Inc., Biogen Italia S.r.l. (complessivamente, Biogen), Genentech Inc. (Genentech), Novartis AG, Novartis Europharm Ltd. e Novartis Farma S.p.A. (complessivamente, Novartis) (le Società), per accertare l’esistenza di una presunta intesa restrittiva della concorrenza nel mercato del principio attivo ranibizumab. Secondo l’AGCM l’intesa avrebbe avuto lo scopo di ripartire il mercato rilevante, a vantaggio di tutte le Società coinvolte, a danno del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e, in ultima istanza, dei pazienti.
La vicenda ha ad oggetto due farmaci sviluppati per il trattamento delle principali patologie retiniche. Il primo di questi – Lucentis – è un farmaco basato sul principio attivo ranibizumab, sviluppato da Genentech (parte di un altro importante gruppo farmaceutico) e commercializzato da quest’ultima negli Stati Uniti, mentre nel resto del mondo, inclusa l’Europa, i relativi diritti di commercializzazione sono detenuti da Novartis. Il secondo – Byooviz – è il farmaco biosimilare di Lucentis, basato sullo stesso principio attivo, sviluppato da Bioepis e commercializzato in via esclusiva da Biogen.
A seguito della scadenza dell’originario brevetto di Lucentis ad aprile del 2018, Genentech aveva chiesto ed ottenuto una proroga attraverso un certificato protettivo complementare (CPC), quest’ultimo spirato nel luglio 2022. Parallelamente, il farmaco Byooviz aveva ottenuto l’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) nell’Unione Europea ad agosto del 2021, cui sarebbe dovuta seguire l’AIC da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) nelle more della negoziazione del prezzo. Tuttavia, il procedimento regolatorio con l’AIFA è stato notevolmente rallentato dalla mancata progressione di alcuni adempimenti spettanti e Bioepis e Biogen ai fini della messa in commercio. Questi ultimi avevano completato il fascicolo di materiali richiesto dall’AIFA solo ad inizio del 2023 e comunque non hanno mai trasmesso istanza per la negoziazione del prezzo, sicché allo stato attuale – anche dopo la scadenza del CPC di Lucentis – il Byooviz non è ancora commercializzato in Italia.
A settembre del 2021, Genentech, Bioepis e Biogen, hanno firmato un accordo attraverso il quale Genentech ha consentito la commercializzazione negli Stati Uniti di Byooviz da parte di Biogen, prima della scadenza del CPC di Lucentis. Nel comunicato stampa diffuso successivamente all’accordo, si suggerirebbe come quest’ultimo avesse ad oggetto i tempi di commercializzazione di Byooviz anche in altri Paesi. L’AGCM ritiene che un accordo siffatto possa aver previsto a fronte della possibilità per Bioepis e Biogen di commercializzare Byooviz negli Stati Uniti prima della scadenza del CPC di Lucentis, l’impegno contestuale a posticipare l’entrata in commercio di Byooviz in altri mercati, tra cui l’Italia.
L’AGCM individua una possibile intesa nella forma di un accordo o una pratica concertata, nel mercato nazionale del principio attivo ranibizumab. Uno dei punti sollevati dall’AGCM è la totale assenza di plausibili giustificazioni per il ritardo negli adempimenti regolatori da parte di Bioepis e Biogen ai fini della commercializzazione in Italia. Infatti, l’immissione di farmaci biosimilari nel mercato avviene di solito immediatamente dopo la scadenza del brevetto, senza alcun ritardo. Un comportamento come quello di Bioepis e Biogen appare, quindi, fortemente antieconomico (anche considerando che il fatturato annuale di Lucentis ammonta a circa 50 milioni di euro).
Tale accordo avrebbe comportato benefici per tutte le Società, derivati dalla possibilità di ripartire il mercato del principio attivo in questione indipendentemente dalla validità dei relativi brevetti. Nello specifico avrebbe comportato la possibilità per Novartis di continuare a beneficiare della commercializzazione di Lucentis (nonché per Genentech di beneficiare della relativa quota sulle vendite di Novartis) e per Bioepis e Biogen di anticipare la commercializzazione di Byooviz negli Stati Uniti.
Per converso, è evidente il danno provocato alla concorrenza e, in ultima istanza, al SSN e ai pazienti, se si considera che di norma i farmaci biosimilari sono venduti ad un prezzo nettamente inferiore degli originator – l’AGCM ha stimato che il potenziale risparmio per la spesa pubblica, in assenza di ritardo, sarebbe stato di oltre 16 milioni di euro.
Non resta che attendere l’esito dell’istruttoria avviata dall’AGCM e valutare se le Società saranno in grado di fornire obiettive giustificazioni alla condotta in questione, anche alla luce delle ispezioni condotte nelle sedi delle Società (in parallelo con l’autorità olandese per la concorrenza, che ha condotto ispezioni presso la sede olandese di Bioepis).
Irene Indino
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Digital Markets Act – L’AGCM avvia una consultazione pubblica sullo schema di Regolamento sulle forme di collaborazione e cooperazione previste per l’attuazione del Digital Markets Act
In data 28 maggio 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato di procedere a una pubblica consultazione sullo schema di Regolamento avente ad oggetto le forme di collaborazione e cooperazione ai sensi dell’art. 18 della legge 30 dicembre 2023, n. 214, la normativa nazionale recante misure per l’attuazione del Digital Markets Act (lo Schema di Regolamento).
L’art. 18 della legge 30 dicembre 2023, n. 214 prima e lo Schema di Regolamento poi sono stati adottati in attuazione dell’art. 38, paragrafo 7, del Digital Markets Act, il quale prevede che le autorità nazionali di concorrenza – se dotate della competenza e dei poteri di indagine previsti a tal fine dal diritto nazionale – possono, di loro iniziativa, svolgere nel proprio territorio un’indagine su casi di possibile non conformità agli obblighi previsti dal Digital Markets Act a carico dei “gatekeeper”, purché prima di adottare la prima misura di indagine formale ne informino la Commissione Europea (Commissione) per iscritto. Condizione per potere svolgere ciò è che non sia già stato aperto dalla Commissione un procedimento ovvero che lo stesso non venga aperto successivamente, il che determinerebbe l’incompetenza (sin dal principio, oppure sopravvenuta) delle autorità nazionali di concorrenza. Ai sensi della medesima disposizione, le autorità nazionali di concorrenza riferiscono alla Commissione i risultati dell’indagine svolta al fine di supportare la Commissione nell’applicazione del Digital Markets Act, la quale rimane di esclusiva competenza di quest’ultima.
Lo Schema di Regolamento, dopo aver previsto che l’AGCM opera in stretta collaborazione e coordina le proprie azioni esecutive con la Commissione al fine di garantire coerenza, efficacia e complementarità tra le rispettive attività, conferisce all’AGCM poteri modellati sulla base di quelli conferitigli dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287 (Legge Antitrust). In particolare, l’AGCM potrà procedere a richieste di informazioni, di esibizione dei documenti e a convocare in audizione chiunque ritenga possa possedere elementi utili per le indagini. L’AGCM sarà altresì dotata dei poteri di indagine previsti dall’art. 14 della Legge Antitrust, potrà condurre ispezioni e fornirsi di perizie, analisi statistiche ed economiche e consultare esperti. Le parti del procedimento, in linea con quanto già previsto dalla Legge Antitrust, dovranno anche in questa sede essere informate dell’avvio del procedimento e potranno partecipare all’indagine, avere accesso ai documenti del fascicolo e presentare istanze di riservatezza.
Lo Schema di Regolamento prevede che l’AGCM, una volta terminata l’indagine, invia alla Commissione i risultati della stessa, ma fa allo stesso tempo salva la facoltà dell’AGCM di deliberare un avvio dell’istruttoria ai sensi della Legge Antitrust o della normativa sull’abuso di dipendenza economica, nel caso in cui nel corso dell’indagine siano emersi indizi relativi a violazioni di tali disposizioni normative. In tale contesto, lo Schema di Regolamento prevede che l’AGCM potrà utilizzare, compatibilmente con la normativa dell’Unione Europea, i documenti e le informazioni raccolti nell’ambito delle indagini svolte ai sensi dello Schema di Regolamento.
Lo Schema di Regolamento rappresenta dunque un interessante sviluppo nel contesto della regolazione multilivello dei mercati digitali e dei rapporti tra le autorità nazionali di concorrenza e la Commissione in tale ambito.
Michael Tagliavini
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Appalti, concessioni e regolazione / Esclusione illegittima dagli appalti e perdita di chance – La CGUE si pronuncia sulla risarcibilità del danno derivante dalla perdita dell’opportunità di partecipare alla aggiudicazione di un appalto
Con la sentenza del 6 giugno 2024, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) è in intervenuta sul tema del risarcimento del danno in materia di appalti. Essa ha richiamato l’applicazione della direttiva 89/665CEE (Direttiva Ricorsi) che impone agli Stati membri di accordare un risarcimento dei danni ai soggetti lesi da una violazione del diritto dell’Unione in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici: il risarcimento può riguardare qualsiasi danno subito da tali soggetti, compreso quello derivante dalla perdita di chance ossia dalla perdita della opportunità di partecipare alla procedura di aggiudicazione.
La vicenda trae origine da una gara indetta dalla Federazione calcistica slovacca (Stazione appaltante) per lavori di ricostruzione e ammodernamento di alcuni stadi di calcio. La Stazione appaltante escludeva dalla procedura di gara un consorzio ritenendo che non avesse i requisiti economici e finanziari richiesti dal bando. La Corte Suprema della Repubblica Slovacca annullava il provvedimento di esclusione ma, nel frattempo, la procedura di aggiudicazione si era conclusa e il contratto era stato stipulato con l’altro offerente. Il consorzio, pertanto, presentava innanzi al Tribunale di Bratislava (Tribunale circoscrizionale, Bratislava II) un ricorso per risarcimento dei danni, lamentando in particolare il pregiudizio conseguente alla perdita della opportunità di partecipare alla gara.
Il danno in capo al concorrente escluso non coincide necessariamente con il danno relativo alla perdita dell’aggiudicazione, ma si traduce nel danno da perdita della possibilità di prendere parte alla gara e quindi di avere la opportunità di concorrere al risultato (eventuale) della aggiudicazione.
Il Tribunale slovacco rilevava che la normativa prevede la risarcibilità, in relazione a procedimenti amministrativi illegittimi, dei ‘danni effettivi’ e del lucro cessante e, in tale dizione, anche per come era interpretata dalla giurisprudenza slovacca consolidata, da un lato rientravano solo situazioni caratterizzate da un grado di probabilità di ottenere un vantaggio patrimoniale quasi prossimo alla certezza, e dall’altro non vi rientrava pertanto il danno da perdita di una opportunità.
Il Tribunale nazionale sospendeva quindi il procedimento e rinviava alla CGUE la questione pregiudiziale sul se la Direttiva Ricorsi osti ad una normativa nazionale e ad una prassi nazionale che non accordino il risarcimento del danno da perdita di chance dovuto alla perdita della opportunità di partecipare alla gara d’appalto.
La questione sottoposta trova un riscontro affermativo da parte della CGUE.
In tale contesto, in primo luogo, La CGUE evidenzia che la ratio della Direttiva Ricorsi è tesa a garantire una ampia tutela risarcitoria e non opera distinzioni tra differenti categorie di danno, ricomprendendo pertanto anche il danno derivante dalla perdita della opportunità di partecipare alla procedura di aggiudicazione di un appalto.
In secondo luogo, la CGUE mette in luce che, secondo la sua costante giurisprudenza, i soggetti lesi da una violazione del diritto dell’Unione imputabile a uno Stato membro hanno un diritto al risarcimento purché siano soddisfatte le seguenti tre condizioni(i) la norma di diritto dell’Unione violata è preordinata a conferire loro diritti, (ii) la violazione di tale norma è sufficientemente qualificata e (iii) esiste un nesso causale diretto tra tale violazione e il danno subito da tali soggetti. E tale risarcimento deve essere adeguato al danno, nel senso che esso deve consentire di compensare integralmente i danni effettivamente subiti.
Pertanto, la CGUE chiarisce che se è vero che un danno può coincidere con la mancata aggiudicazione di un appalto, è possibile che l’offerente che sia stato illegittimamente escluso subisca un danno distinto, corrispondente all’opportunità perduta di partecipare all’appalto al fine di ottenere l’aggiudicazione, e un tale danno deve poter essere risarcito ai sensi della Direttiva Ricorsi.
Conclude, infine, la CGUE sottolineando che i giudici nazionali devono interpretare il diritto interno in modo conforme al diritto dell’Unione, e ciò impone loro anche di modificare, in caso, una giurisprudenza consolidata o costante qualora questa si basi su un’interpretazione del diritto interno incompatibile con gli obiettivi di una direttiva.
Stefania Guarino