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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 4 marzo 2024
Diritto della concorrenza – Europa / Aiuti di Stato e settore dei trasporti – Il Tribunale UE ha rigettato i ricorsi contro la decisione della Commissione in merito agli aiuti di Stato per il tunnel tra Danimarca e Germania
Con le sentenze pubblicate lo scorso 28 febbraio nei casi T-390/20 e T-364/20, il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha rigettato i ricorsi proposti rispettivamente dalle compagnie di navigazione Scandlines Danmark ApS e Scandlines Deutschland GmbH (Scandlines) e dal Regno di Danimarca (la Danimarca) avverso la decisione della Commissione europea (la Commissione) che stabiliva che le misure di sostegno corrisposte dalla Danimarca alla società pubblica Femern A/S (Femern) costituissero un aiuto di Stato compatibile con il mercato interno (la Decisione).
Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2008 la Danimarca e la Germania hanno sottoscritto un trattato sul progetto di collegamento nello Stretto di Fehmarn tramite un tunnel ferroviario e stradale sotto il Mar Baltico (il Collegamento). Il finanziamento, la costruzione e la gestione del Collegamento sono stati affidati alla Femern. Il progetto di collegamento era stato notificato alla Commissione alla fine del 2014, la quale aveva deciso di non aprire un’istruttoria. A seguito delle impugnazioni delle stesse Scandlines, il Tribunale prima, e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) poi, avevano invece ritenuto necessaria una istruttoria sulle sopra citate misure di sostegno. La Commissione aveva quindi avviato una istruttoria e nel 2020 ha pubblicato la Decisione impugnata da Scandlines e dalla Danimarca oggetto delle sentenza qui in commento. Nella Decisione, la Commissione ha concluso che le misure in questione – consistenti in conferimenti di capitale e garanzie statali – fossero aiuti di Stato, ma legittime in quanto compatibili con il mercato interno, essendo destinate a promuovere la realizzazione di un importante progetto di “comune interesse europeo”.
Nella sentenza relativa al ricorso di Scandlines nel caso T-390/20, il Tribunale rigetta tutti i motivi proposti e afferma, in primis, che la Commissione aveva correttamente raggruppato le varie misure di sostegno in tre aiuti di Stato individuali concessi nel 2005, 2009 e 2015 e che ne aveva correttamente esaminato la compatibilità con il mercato interno nel loro insieme.
Il Tribunale afferma, in particolare, che la Commissione ha valutato correttamente il concetto di “comune interesse europeo”, in quanto il progetto di Collegamento – secondo il Tribunale – soddisfaceva i criteri cumulativi stabiliti dalla Comunicazione relativa agli importanti progetti di comune interesse europeo ai sensi della quale, inter alia, il progetto deve soddisfare uno o più obiettivi dell’UE, avere un impatto significativo sulla competitività, sulla crescita sostenibile, affrontare sfide sociali o creare valore in tutta l’UE, deve coinvolgere più di un paese dell’UE e deve generare beneficio non solo per le parti coinvolte. Il Tribunale, quindi, conferma anche la necessità dell’aiuto, avendo lo stesso un effetto di incentivazione sulle imprese beneficiarie: ciò sarebbe avvalorato sia dal fatto che la Femern era una società di scopo, creata appositamente per il progetto di Collegamento, sia dall’assenza di un progetto alternativo – realizzabile senza aiuti di portata o dimensione comparabile a quelli del caso di specie.
Infine, il Tribunale conferma anche la proporzionalità dell’aiuto, osservando in particolare che la Decisione, coerentemente con il principio della limitazione nel tempo degli aiuti, ha stabilito che al più tardi 16 anni dopo l’apertura del Collegamento tutti i prestiti dovranno essere rimborsati e le garanzie statali terminate.
La seconda sentenza, a sua volta, rigetta il ricorso della Danimarca nel caso T-364/20, secondo la quale la Commissione avrebbe erroneamente qualificato le misure come aiuti di Stato. Il Tribunale afferma, in primis, che la Commissione non ha commesso alcun errore di diritto assoggettando le attività della Femern alle norme UE sulla concorrenza non ritenendo la costituzione e la gestione del Collegamento come attività legate a un esercizio dei poteri pubblici.
Secondo il Tribunale, la gestione del Collegamento costituisce un’attività economica soggetta al diritto della concorrenza dell’Unione, avendo la Commissione correttamente stabilito che Femern offre beni e servizi su un mercato in concorrenza con operatori che perseguono uno scopo di lucro. Nel caso di specie, il mercato identificato consisterebbe nei servizi di trasporto attraverso lo stretto di Fehmarn, anche se gli operatori privati di traghetti come Scandlines offrono servizi con caratteristiche operative diverse, in quanto comunque miranti a soddisfare la medesima domanda. Il fatto che l’utilizzo dell’infrastruttura sia subordinato al pagamento di un canone, al fine di generare entrate destinate, in particolare, a rimborsare il debito contratto per finanziare il progetto di Collegamento, costituisce un elemento rilevante per la definizione di una attività economica.
Il Tribunale ragiona, infine, sulla relazione tra l’attività di costruzione e di gestione del Collegamento, in quanto il finanziamento pubblico per la mera costruzione di una infrastruttura, senza la relativa gestione, non darebbe luogo ad un aiuto di Stato in quanto priva di effetti sul mercato. Afferma, infatti, il Tribunale che – coerentemente con la giurisprudenza UE sul punto – anche la costruzione può consistere in un’attività economica in grado di produrre un effetto sul mercato se è indissolubilmente legata alla gestione dell’infrastruttura. Ciò sarebbe valido, peraltro, non solo in riferimento alla costruzione e gestione di un ampliamento di un’infrastruttura preesistente, ma anche alla costruzione e gestione di una nuova infrastruttura destinata ad essere oggetto di un’attività economica futura.
Le sentenze in commento risultano interessanti in quanto forniscono elementi utili alla valutazione sia del concetto di “importante progetto di comune interesse europeo”, sia in relazione alla valutazione delle misure finalizzate alla costruzione e gestione di una infrastruttura. Non resta ora che attendere l’eventuale sentenza della CGUE sulla vicenda.
Fabio Bifarini
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette ed energia – L’AGCM ha sanzionato Supermoney per quasi 1.5 milioni euro per aver adottato una pratica ingannevole in tema di comparazione dei servizi di luce e gas
Con la decisione dello scorso 20 febbraio (la Decisione), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha comminato una sanzione ai danni della società Supermoney S.p.A. (Supermoney) pari a 1.480.000 euro per aver posto in essere una pratica commerciale ingannevole in violazione degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo.
Secondo l’AGCM, Supermoney ha violato i diritti dei consumatori attraverso tre diverse condotte relative al proprio servizio di comparazione delle offerte commerciali di fornitura di energia elettrica e gas. Supermoney ha in particolare:
a) diffuso messaggi pubblicitari enfatizzando le possibilità di risparmio in capo ai consumatori (“fino a 400 euro”) che si fossero serviti del servizio di comparazione offerto, senza tuttavia indicare i parametri utilizzati al fine di giustificare il vantato risparmio, né che la comparazione aveva ad oggetto un numero ristretto di società con cui Supermoney aveva una partnership commerciale (Condotta A);
b) omesso di fornire indicazioni chiare ed univoche circa i criteri e le modalità utilizzate nella classificazione delle offerte presenti sul proprio comparatore (Condotta B); e
c) omesso di informare i propri utenti circa il fatto che questa agiva anche in qualità di intermediario/agente di vendita a favore dei propri partner commerciali (Condotta C).
A nulla sono valse né le argomentazioni avanzate da Supermoney in sede di istruttoria e volte a ribattere alle allegazioni di cui sopra, né le misure da questa adottate in corso di istruttoria a guisa di ravvedimento operoso, le quali hanno inteso incrementare il livello di trasparenza informativa della home page del sito di comparazione di Supermoney.
L’AGCM ha stabilito la sussistenza di una complessiva pratica commerciale scorretta, ed in particolare:
- per quanto concerne la Condotta A, l’AGCM ha sottolineato come le comunicazioni pubblicitarie di Supermoney fossero caratterizzate da una “una diffusa carenza informativa”. Il risparmio vantato sul sito di Supermoney derivava da un confronto ‘imperfetto’ e di cui il consumatore non aveva alcuna evidenza. Infatti, nonostante Supermoney avesse sostenuto che il suindicato risparmio “fino a 400 euro” derivasse dalla comparazione dei dati di cui al ‘Portale Offerte’ dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA)l’attività di comparazione di Supermoney offerta ai consumatori prendeva in esame esclusivamente il sottoinsieme consistente solo nelle sue società partner (le quali rappresentano una quota di mercato “inferiore al 50%”) e non tutte quelle registrate nel Portale Offerte dell’ARERA. In aggiunta a ciò, l’AGCM ha altresì sottolineato come i claim pubblicitari di Supermoney risultassero privi di indicazioni relative al periodo temporale considerato, in tal modo ingenerando la falsa convinzione che l’entità del risparmio rimanesse immutata nel tempo;
- in relazione alla Condotta B, l’AGCM ha sottolineato come Supermoney abbia omesso di fornire sufficienti informazioni volte a permettere ai consumatori di comprendere le modalità e i criteri di definizione utilizzati nell’individuazione del ranking di offerte. Tale omissione è quindi risultata fuorviante per i consumatori, i quali non avevano alcuna contezza delle regole adottate da Supermoney nella stesura sia del ranking generico di mercato sia di quello concernente la specifica ricerca effettuata dal consumatore. Come anticipato sopra, Supermoney è intervenuta in corso di istruttoria al fine di superare le omissioni informative emerse nel corso del procedimento, implementando alcune misure volte ad incrementare il livello di trasparenza necessario; e
- in ultimo, in relazione alla Condotta C, l’AGCM ha stabilito che Supermoney ha omesso di informare in maniera chiara i consumatori circa il fatto che questa operava a favore dei propri partner in qualità di agente di vendita, in tal modo inducendo i consumatori stessi a credere erroneamente che Supermoney proponesse una comparazione imparziale delle offerte dei principali operatori del settore. In realtà, Supermoney – attraverso il proprio sito – espletava altresì un’attività di intermediazione commerciale a favore dei propri partner, in cambio di “importanti ricavi”.
Alla luce di tutto quanto sopra, l’AGCM – tenendo anche in conto la specificità del settore dell’energia, nel quale il consumatore acquirente si trova in una posizione di particolare asimmetria informativa – ha sanzionato Supermoney. Naturalmente occorrerà attendere di vedere se Supermoney contesterà la Decisione dinnanzi alle sedi giudiziarie competenti per capire se queste confermeranno la ricostruzione dell’AGCM. Ad ogni modo, la Decisione in parola risulta di particolare rilevanza per i soggetti coinvolti in attività di comparazione – e per gli obblighi di trasparenza su questi gravanti.
Luca Feltrin
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Pratiche commerciali scorrette e settore televisivo – Il TAR Lazio ha parzialmente annullato il provvedimento dell’AGCM che aveva sanzionato Sky Italia in relazione alla sua gestione degli abbonamenti nel periodo di emergenza sanitaria
Con la sentenza pubblicata il 29 febbraio 2024, il TAR Lazio (TAR) ha parzialmente accolto il ricorso presentato da Sky Italia S.r.l. (Sky) per l’annullamento del provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che aveva irrogato una sanzione amministrativa di 2 milioni di euro in relazione ad alcune condotte di Sky nella gestione delle proprie offerte per la trasmissione di eventi sportivi in diretta nel periodo di emergenza sanitaria (il Provvedimento).
Il Provvedimento aveva ad oggetto, in particolare, le condotte tenute da Sky nella primavera del 2020, durante la prima fase dell’emergenza sanitaria collegata alla diffusione dell’infezione da Sars-Cov-2. Questa, pur a valle della sospensione degli eventi sportivi disposta dalle autorità e della conseguente interruzione della trasmissione in diretta di tali eventi, aveva continuato a ricevere i canoni dai propri abbonati. Allo stesso tempo, Sky aveva garantito uno sconto del 50% del canone (c.d. sconto coronavirus) per i mesi interessati nonché la garanzia del diritto di recesso senza spese, entrambi attivabili su istanza dell’abbonato.
Nel Provvedimento, l’AGCM aveva, in primo luogo, contestato a Sky di non aver operato secondo diligenza professionale alla luce della mancata previsione di forme di rimodulazione e/o di rimborso automatico dei canoni a valle della parziale impossibilità della prestazione. In secondo e terzo luogo, l’AGCM aveva qualificato la mancata adeguata pubblicizzazione della possibilità di usufruire del c.d. sconto coronavirus e del diritto di recesso, nonché la frapposizione di ostacoli tecnici alla presentazione delle relative istanze, rispettivamente, come pratiche commerciali ingannevoli e aggressive.
Pronunciandosi sull’impugnazione rispetto all’osservanza della diligenza professionale da parte di Sky, il TAR ne ha parzialmente accolto le argomentazioni annullando per questa parte il Provvedimento. Questo, infatti, utilizzando come parametro l’articolo 1464 c.c., che nei casi di prestazione divenuta parzialmente impossibile impone una riduzione della controprestazione dovuta e il diritto di recesso, ha individuato nell’offerta del c.d. sconto coronavirus e del recesso senza spese da parte di Sky una condotta che, riproponendo gli stessi rimedi e garantendo la possibilità di fruirne senza previa domanda giudiziale, risulta coerente con la diligenza professionale richiesta in ambito consumeristico.
Al contrario, il TAR ha rigettato in toto i motivi di impugnazione relativi alla mancata pubblicizzazione delle offerte di sconto e recesso senza spese e alla frapposizione di ostacoli all’accesso, valorizzando, da un lato, la circostanza per cui questi non risultavano in alcun modo proposti agli abbonati, che erano tenuti ad attivarsi direttamente per venirne a conoscenza, e, dall’altro, che fosse la stessa struttura del c.d. sconto coronavirus ad essere esposta a malfunzionamenti tecnici della piattaforma per la presentazione delle istanze, problemi che un’impresa diligente avrebbe dovuto quantomeno sterilizzare, privandoli di effetti pregiudizievoli per i consumatori.
Con la sentenza in commento, il TAR torna a occuparsi delle conseguenze commerciali dell’emergenza sanitaria del 2020, cogliendo l’occasione per chiarire i confini della nozione di diligenza professionale in ambito consumeristico. Resta da vedere se tali questioni saranno sottoposte allo scrutinio del Consiglio di Stato in un eventuale appello.
Alberto Galasso
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Tutela del consumatore e settore degli influencer – La Commissione europea ha condotto un’indagine a tappeto su 576 influencer per pratiche commerciali scorrette
La Commissione europea (la Commissione) ha reso noto con un suo comunicato di aver effettuato un’indagine a tappeto – c.d. sweep – nei confronti dei post sui principali social media di un campione di 576 influencer, per verificarne la conformità con le norme stabilite nella Direttiva sulle Pratiche Commerciali Sleali e nella Direttiva sui Diritti dei Consumatori (le Direttive). Lo sweep, condotto nell’ambito del Consumers Protection Cooperation Network, ha coinvolto influencer provenienti da 22 Stati membri e dalla Norvegia e dall’Islanda, attivi principalmente nei settori della moda, del lifestyle, della cosmetica, del food&beverage, dei viaggi e dello sport.
L’indagine in questione si inserisce nel contesto di un più ampio controllo da parte della Commissione, avente ad oggetto lo stato di applicazione delle norme dell’Unione relative alla tutela dei consumatori e volto, tra l’altro, a testare l’adeguatezza delle Direttive o l’eventuale necessità di introdurre ulteriori strumenti a protezione dei consumatori. Inoltre, al termine dello sweep, la Commissione ha individuato 358 influencer (circa il 62% del campione considerato) nei confronti dei quali si procederà ad ulteriori accertamenti, che potrebbero condurre ad indagini delle autorità nazionali competenti (come noto, la Commissione non ha poteri di enforcement in ambito di tutela dei consumatori).
Per quanto riguarda i risultati già pubblicati – cui seguirà la pubblicazione di uno studio completo da parte della Commissione – essi evidenziano un basso livello di compliance con le norme previste dalle Direttive da parte degli influencer. Citando solo alcuni dei risultati più rilevanti: il 97% del campione di influencer considerato pubblica contenuti commerciali sulle principali piattaforme; di questi solo il 20% lo segnala in maniera trasparente, mentre circa il 38% utilizza etichette ingannevoli per i contenuti commerciali, come “collaborazione” o generici ringraziamenti al brand sponsorizzato. Inoltre, il 78% del campione considerato esercita attività commerciale, ma solo il 36% è registrato come impresa ai sensi delle rispettive normative nazionali.
Un ulteriore profilo di rilevanza concerne l’eventuale responsabilità delle piattaforme per i contenuti che transitano su di esse. Infatti, a partire dallo scorso 17 febbraio, è entrato in vigore per tutte le piattaforme il Digital Services Act (DSA), che prevede un novero di obblighi in capo a queste ultime, volto ad assicurare una maggiore sicurezza per gli utenti. Tali obblighi includono, ad esempio, l’obbligo di protezione contro contenuti illeciti, l’obbligo di vigilare sulla correttezza della pubblicità che avviene attraverso le piattaforme, l’obbligo di tracciabilità degli operatori commerciali che operano su di esse e di fornire agli utenti una corretta informazione circa la rimozione di contenuti considerati illeciti. La Commissione ha già anticipato che i risultati dello sweep saranno analizzati anche al fine di rilevare profili di responsabilità delle piattaforme alla luce del DSA.
A tal riguardo, giova ricordare che, come già commentato in questa Newsletter, l’autorità incaricata dell’applicazione del DSA a livello nazionale per l’Italia è l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), la quale peraltro – come già commentato in questa Newsletter – ha recentemente avviato altre, distinte, iniziative relative agli influencer.
Non resta quindi che attendere e scoprire se seguiranno eventuali azioni dell’AGCOM in tal senso, anche al fine di verificare l’incisività delle nuove norme contenute nel DSA sulla disciplina relativa alla responsabilità dei provider. Inoltre, sarà interessante attendere anche l’esito degli ulteriori accertamenti sui 358 influencer individuati da parte della Commissione: in tal caso, in Italia, ad essere competente di eventuali indagini, in primis ai sensi delle norme sulle pratiche commerciali scorrette, sarà invece l’AGCM (che – come noto – si è già attivata in questo senso).
In conclusione, il settore degli influencer sta destando certamente un’attenzione crescente delle autorità nazionali e della Commissione europea. Quest’ultima, lo scorso ottobre 2023, ha anche lanciato un apposito Influencer Legal Hub, con lo scopo di rendere gli influencer consapevoli delle condotte che sono considerate ingannevoli e/o aggressive ai sensi delle Direttive.
Irene Indino
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Energy / Piano Nazionale Integrato Energia e Clima – È online per una consultazione pubblica il nuovo questionario consultivo per l’aggiornamento del PNIEC
In data 26 febbraio 2024, è stata pubblicata la nuova consultazione (la Consultazione) per l’aggiornamento del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC). La Consultazione è realizzata dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) con il supporto del Gestore dei Servizi Energetici. Questa resterà aperta fino al 31 marzo ed è rivolta a istituzioni, privati, associazioni e stakeholder.
Il testo della Consultazione individua 21 quesiti sui diversi temi del PNIEC: si va da una valutazione generale sulla proposta di PNIEC presentata a giugno 2023, all’individuazione degli strumenti per l’efficienza e la riduzione delle emissioni nei settori degli edifici, dei trasporti e dell’agricoltura. Tra gli altri argomenti oggetto della Consultazione ci sono le rinnovabili, l’idrogeno, il biometano, la sicurezza energetica.
Per capire la ratio di tale Consultazione, è utile ricordare cosa sia il PNIEC e quale sia l’iter per la sua finalizzazione. Il PNIEC è lo strumento con cui l’Italia ha fissato obiettivi vincolanti al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2 (similmente è stato fatto dagli altri Stati membri con i loro piani nazionali). Con esso, l’Italia ha stabilito una serie di target da raggiungere in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, definendo precise misure che garantiscano il raggiungimento degli obiettivi definiti con l’accordo di Parigi e la transizione verso un’economia a impatto climatico zero entro il 2050.
La presentazione del PNIEC (e degli altri piani nazionali da parte del resto degli Stati membri) è un obbligo derivante dal Regolamento (UE) 2018/1999 “sulla governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima” (il Regolamento). Il Regolamento definisce le tempistiche, le modalità e gli elementi minimi di predisposizione dei vari piani nazionali. Questi, a loro volta, costituiscono la sintesi della politica energetica e climatica dell’Unione Europea, con orizzonte decennale (2020-2030, 2030-2040, e così via).
La versione attuale del PNIEC è il risultato di un processo articolato. Riassumendo i passaggi principali:
- a dicembre 2018, è stata inviata alla Commissione europea (la Commissione) la prima bozza del PNIEC;
- a giugno 2019, la Commissione ha formulato le proprie valutazioni e raccomandazioni sulle proposte di piani nazionali presentati dagli Stati membri, compresa la proposta italiana, valutata, nel complesso, positivamente;
- ai sensi del Regolamento, sulla base delle valutazioni e raccomandazioni di cui sopra, il MASEha inviato la proposta di aggiornamento del PNIEC in data 30 giugno 2023.
In quest’ultimo testo si prevedono entro il 2030 inter alia i seguenti target: una quota del 40% di rinnovabili nei consumi finali lordi di energia che sale al 65% per i consumi solo elettrici, il 37% di energia da rinnovabili per riscaldamento e raffrescamento, il 31% nei trasporti, 42% di idrogeno da rinnovabili per gli usi dell’industria.
L’invio della proposta di aggiornamento ha dato avvio ad una serie di processi consultivi (di cui la Consultazione è parte) con una serie soggetti (istituzionali e non) che terminerà con la predisposizione dell’aggiornamento definitivo del PNIEC, prevista per giugno 2024. Staremo a vedere quale sarà la valutazione delle parti interessate sugli ambiziosi target indicati dal PNIEC.
Mila Filomena Crispino
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