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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 05 febbraio 2024

Diritto della concorrenza – Europa 

Intese e sanzioni pecuniarie – Pubblicate le conclusioni dell’AG Rantos sul ricorso di alcuni produttori di acciaio per precompresso contro la decisione del Tribunale UE che aveva confermato la richiesta della Commissione di pagamento di parte di una sanzione e relativi interessi 

Lo scorso 1° febbraio, l’Avvocato Generale Rantos (l’AG) ha presentato le proprie conclusioni nell’ambito dell’appello dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) presentato avverso la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) che aveva confermato la legittimità delle richieste della Commissione europea (la Commissione) nei confronti di alcune società produttrici di acciaio per precompresso (le Ricorrenti) in relazione al pagamento di una sanzione antitrust.

Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2010 la Commissione aveva sanzionato diverse imprese, tra cui le Ricorrenti, per aver partecipato ad un cartello nel mercato dell’acciaio per precompresso (la Decisione). In particolare, la sanzione per le Ricorrenti ammontava a circa 46 milioni di euro (la Sanzione), da pagare entro 3 mesi o fornendo garanzia bancaria. Le Ricorrenti avevano proposto ricorso per l’annullamento e la riforma della Decisione davanti il Tribunale e, dopo pochi mesi, domanda di misure cautelari per la sospensione dell’esecuzione della Decisione fino alla sentenza nel ricorso principale.

Il Tribunale, nel 2011, con ordinanza aveva accolto parzialmente la domanda cautelare, sospendendo l’obbligo di garanzia bancaria e prevedendo un pagamento dilazionato. Infine, nel 2015, il Tribunale ha annullato la Decisione nella parte relativa alla Sanzione in quanto la Commissione non aveva correttamente valutato la capacità contributiva delle Ricorrenti all’epoca della Decisione; tuttavia, nella stessa sentenza il Tribunale ha reimposto una sanzione del medesimo importo nell’esercizio della propria competenza estesa al merito – giustificandola anche sulla base degli elementi a disposizione in quel momento, tra cui, inter alia, la capacità contributiva delle ricorrenti a quel tempo (la Sentenza del Tribunale). È così scaturita una controversia tra la Commissione e le Ricorrenti in merito alla data a partire dalla quale calcolare gli interessi dovuti su tale sanzione, giunta fino alla CGUE e in relazione alla quale si esplicano le conclusioni in commento.

Le Ricorrenti avevano quindi richiesto al Tribunale di interpretare la propria sentenza del 2015 per chiarire che – come da loro sostenuto – gli interessi applicabili alla sanzione inflitta fossero dovuti dal momento del dispositivo della Sentenza del Tribunale e non – come sostenuto dalla Commissione – dalla Decisione del 2010. Nel 2018, il Tribunale ha dichiarato tali domande irricevibili; e, di conseguenza, la Commissione nel 2020 ha, con una lettera, intimato alle Ricorrenti il pagamento degli interessi di mora dovuti sulla Sanzione, calcolati a partire dalla Decisione. Le Ricorrenti hanno impugnato tale lettera prima davanti al Tribunale, che ha respinto integralmente il ricorso, e poi davanti alla CGUE: è in questo contesto che l’AG ha presentato le proprie conclusioni, oggi in commento.

L’AG si mostra d’accordo con le argomentazioni del Tribunale, che nella sentenza del 2022 aveva affermato come tutte le doglianze delle Ricorrenti si basavano sull’errata premessa secondo cui la Sanzione inflitta con la Decisione non sarebbe stata “mantenuta” o “confermata” dalla sentenza del Tribunale del 2022, ma era invece stata annullata ex tunc e sostituita da una nuova e distinta sanzione.

Secondo l’AG, nonostante dal dispositivo della Sentenza del Tribunale si possa ricavare che questo da un lato annulli la Decisione nella parte relativa alla Sanzione e dall’altro fissi nuovamente l’importo della stessa, “ritenere che tale scelta riveli la volontà del Tribunale di stabilire una nuova ammenda giuridicamente distinta da quella fissata dalla Commissione peccherebbe di eccesso di formalismo”; ciò, in particolare, andrebbe contro la regola fondamentale derivante da giurisprudenza costante, secondo la quale il dispositivo di una sentenza va interpretato alla luce della motivazione da cui discende.

Sebbene l’AG rimproveri una certa mancanza di coerenza, capace di generare confusione, nella prassi del Tribunale – che a volte annulla una sanzione per poi determinarla nuovamente, ed a volte si limita a riformare la sanzione senza annullare il relativo articolo della decisione della Commissione – in realtà ciò sarebbe irrilevante sul piano delle conseguenze giuridiche qui in discussione.

Le conclusioni in oggetto risultano di particolare interesse in quanto forniscono alcuni chiarimenti sulla natura giuridica dell’esercizio della giurisdizione estesa al merito del Tribunale nonché sulle conseguenze giuridiche che derivano dall’annullamento o dalla riforma di una sanzione della Commissione – in particolare in relazione al dies a quo dell’esigibilità, e dunque, degli interessi di mora dovuti. Non resta adesso che attendere la sentenza della CGUE e osservare se deciderà di confermare quanto suggerito dall’AG.

Fabio Bifarini

Concentrazioni e settore dei compressori per refrigerazione – Il Tribunale dell’Unione europea ha annullato la decisione della Commissione europea che autorizzava Nidec Corp. a riacquistare Secop GmbH

Con la sentenza pubblicata lo scorso 31 gennaio, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha annullato la decisione (la Decisione) della Commissione europea (la Commissione) con la quale Nidec Corp. (Nidec), era stata autorizzata a riacquistare Secop Gmbh (Secop), precedentemente ceduta dalla stessa Nidec in attuazione degli impegni assunti nel corso della concentrazione tra Nidec ed Embrago, in deroga a suddetti impegni.

La vicenda trae origine quando, nel 2018, Nidec aveva notificato alla Commissione la proposta di acquisizione della totalità delle azioni della Embraco (all’epoca dei fatti detenute da Whirpool Corp.) La Commissione, nel procedimento di esame di questa concentrazione, aveva aperto una fase II ravvisando dei possibili profili anticoncorrenziali. Questi sarebbero stati esacerbati, in particolare, dal piano di Nidec di convertire l’impianto di produzione austriaco di Secop al fine di produrre compressori di refrigerazione a velocità variabile per uso domestico. In tal modo, Nidec avrebbe rafforzato la propria posizione in tale mercato rilevante, il quale è contiguo a quello dei compressori di refrigerazione per uso commerciale, caratterizzato per essere di quasi esclusivo appannaggio delle due imprese coinvolte nella concentrazione.

Al fine di mitigare i profili anticoncorrenziali sollevati dalla Commissione, Nidec aveva proposto degli impegni, i quali prevedevano, inter alia, la cessione di Secop ed il divieto di riacquisizione della stessa per un periodo di dieci anni. Impegni che sono stati reputati idonei dalla Commissione per approvare, nel 2019, la concentrazione in commento. Quando nel 2020, Secop – ceduta ad un fondo di investimento da circa 10 mesi – annunciava di voler delocalizzare la produzione di compressori per uso domestico in Cina e Slovacchia, e di convertire l’impianto austriaco per compressori ad uso commerciale, Nidec ha richiesto alla Commissione di essere autorizzata, in deroga al divieto contenuto negli impegni del 2019 di riacquistare Secop. Richiesta che è stata approvata dalla Commissione, la quale ha riconosciuto che la struttura del mercato rilevante era cambiata in modo significativo poiché (i) i concorrenti della Nidec avevano acquisito maggiori quote di mercato successivamente alla cessione di Secop; e (ii) il progetto iniziale della Nidec di convertire l’impianto austriaco della Secop era ormai abbandonato in quanto di difficile attuazione.

Sennonché, con ricorso per annullamento promosso da una impresa concorrente, Italia Wanbao-ACC S.r.l. (la Ricorrente) avverso la Decisione Impugnata, è stato contestato alla Commissione di aver commesso un errore di diritto nell’accordare l’autorizzazione a derogare dagli impegni precedentemente resi dalla Nidec. Più nello specifico, la Ricorrente ha sostenuto che, nella ricostruzione della Commissione, è stato tenuto in considerazione il solo significativo mutamento della struttura del mercato dei compressori a velocità variabile per uso domestico, risultando assente l’analisi sul carattere duraturo di tali cambiamenti.

Tale motivo di ricorso è stato accolto dal Tribunale, il quale ha avallato la tesi della Ricorrente, sostenendo che un arco temporale di dieci mesi (ossia quanto trascorso dalla cessione della Secop alla successiva richiesta della Nidec per riacquistarla) non sia di per sé idoneo a dimostrare il carattere duraturo di tali cambiamenti, non potendo di conseguenza escludere che questi siano meramente temporanei (essendo per l’appunto necessaria un’apposita analisi). Motivo per cui, non sarebbe stato sufficientemente provato che il mancato controllo della Nidec sull’impianto austriaco della Secop non fosse più necessario per rendere la concentrazione in questione compatibile con il mercato interno. Pertanto, avendo accertato tale errore di diritto compiuto dalla Commissione, il Tribunale ha annullato la Decisione impugnata.

Rimangono ora da attendere gli eventuali sviluppi della vicenda, sia dal punto di vista dell’impatto giuridico sulle operazioni effettuate, sia qualora la sentenza del Tribunale sarà impugnata dinanzi la Corte di Giustizia dell’Unione europea.

Giuseppe Schinella 

Intese e settore degli autocarri – La Corte di Giustizia respinge il ricorso di Scania e conferma l’ammenda inflitta dalla Commissione per la sua partecipazione all’intesa tra costruttori di autocarri

Con la sentenza del 1° febbraio 2024, la Corte di Giustizia Europea (la CGUE) ha integralmente respinto il ricorso proposto da Scania AB, Scania CV AB e Scania Deutschland GmbH (collettivamente, Scania o le Ricorrenti) avverso la sentenza del Tribunale dell’UE (il Tribunale) che, a sua volta, aveva confermato la decisione della Commissione europea (la Commissione) di sanzionare Scania con un’ammenda di circa 880 milioni di euro per aver partecipato ad un’intesa volta a limitare la concorrenza sul mercato degli autocarri medi e pesanti.

La vicenda trae origine il 20 settembre 2010 quando una delle società partecipanti all’intesa presentava domanda di leniency dinanzi alla Commissione. La successiva istruttoria, durata vari anni, si concludeva con la notifica alle parti dell’intesa della c.d. comunicazione degli addebiti, nella quale veniva contestato alle principali case di produzione di autocarri in Europa la partecipazione all’infrazione;  tuttavia, mentre le altre parti decidevano di presentare la richiesta formale di transazione (c.d. settlement) e raggiungevano un accordo con la Commissione nel 2016 (con il relativo accertamento di responsabilità ed una riduzione degli importi delle sanzioni), Scania optava di non procedere nello stesso senso. In tal modo, il 27 settembre 2017 la Commissione, a seguito di un ulteriore approfondimento, adottava anche nei suoi confronti un provvedimento pieno di violazione dell’art. 101 TFUE (il Provvedimento).

Nel dicembre del 2017 Scania presentava ricorso innanzi al Tribunale, il quale confermava in toto il Provvedimento (si veda il contributo pubblicato nella Newsletter del 7 febbraio 2022).

Scania appellava quindi la sentenza del Tribunale, lamentando (i) la violazione del diritto ad una buona amministrazione; (ii) l’errata qualificazione della portata geografica degli effetti del comportamento tenuto in Germania, che erano stati estesi all’intero territorio SEE; (iii) l’erronea qualificazione dell’intesa come un’infrazione unica e continuata; e (iv) la prescrizione del potere della Commissione di irrogare l’ammenda per uno dei comportamenti oggetto dell’intesa.

In primo luogo, con l’argomento sub (i) Scania evidenziava l’errore commesso dal Tribunale, il quale aveva valutato il rispetto del principio di imparzialità nel contesto del procedimento “ibrido” scaglionato – come quello in esame, avviato a seguito di una leniency e concluso con settlement per tutte le imprese con l’eccezione di Scania – unicamente sotto il profilo dell’imparzialità soggettiva, omettendo erroneamente di esaminare il principio, giuridicamente distinto, di imparzialità c.d. oggettiva. Secondo Scania, in particolare, la Commissione, affidando i fascicoli relativi ai procedimenti di transazione e al procedimento ordinario al medesimo team di funzionari, non avrebbe offerto garanzie sufficienti per escludere qualsiasi legittimo dubbio quanto alla sua imparzialità oggettiva. La CGUE, sul punto, ha osservato come il Tribunale avesse in realtà esaminato anche il profilo oggettivo dell’imparzialità, seppur in maniera implicita. In particolare, sottolineando la non vincolatività nel procedimento ordinario delle risultanze emerse nella decisione di transazione e rilevando come il ricorso ad un procedimento “ibrido” non configuri una violazione del dovere di imparzialità, il Tribunale aveva di fatto valutato come alle ricorrenti fossero state offerte garanzie sufficienti.

In secondo luogo, con l’argomento sub (ii) Scania contestava che il Tribunale si fosse limitato a valutare la natura e il contenuto delle informazioni scambiate per l’individuazione della portata geografica dell’intesa senza tener conto dell’intenzione delle imprese. Per la CGUE tali censure non sarebbero condivisibili: è sufficiente dimostrare, come avvenuto nel caso di specie, il contributo dell’impresa agli obiettivi comuni anticoncorrenziali e la partecipazione della stessa a riunioni nel corso delle quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale.

In terzo luogo, con quanto argomentato sub (iii), Scania contestava la qualificazione dell’intesa come “infrazione unica e continuata” da parte del Tribunale, il quale non avrebbe fornito indicazioni sufficienti sul punto. Inoltre, ritenendo i diversi comportamenti parte di un “piano di insieme”, il Tribunale avrebbe erroneamente attribuito carattere anticoncorrenziale a tre scambi di informazioni totalmente legittimi avvenuti tra taluni quadri intermedi della sede delle parti dell’intesa (c.d. “livello inferiore della sede”). La CGUE ha rigettato tale interpretazione e, seguendo una giurisprudenza costante, ha ricordato come, qualora i diversi comportamenti facciano parte del suddetto piano, non sia necessario dimostrare che ciascuno di essi si sostanzi in una violazione dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.

Infine, con il motivo sub (iv), le ricorrenti contestavano la prescrizione in relazione al comportamento a livello dirigenziale, cessato nel 2004 (mentre la Commissione ha avviato il proprio procedimento nel 2010). Orbene, la CGUE ha condiviso la tesi della Commissione e del Tribunale secondo cui, trattandosi di “un’infrazione unica e continuata”, l’intesa è cessata nel gennaio 2011, essendo quindi salvo il potere della Commissione di infliggere l’ammenda.

La sentenza in esame risulta di particolare interesse non solo per la definitiva conferma dell’ammenda inflitta dalla Commissione a Scania per la sua partecipazione all’intesa tra costruttori di autocarri, ma anche per la ricostruzione del principio di imparzialità effettuata dalla CGUE nell’ambito di procedimenti c.d. “ibridi”.

Giulia Taglioni 


Diritto della concorrenza – Italia 

AGCM e poteri di indagini di settore – Il Consiglio di Stato ha escluso che i nuovi poteri attribuiti all’AGCM dal c.d. “decreto asset” debbano ritenersi limitati al solo settore aereo

Con il parere pubblicato il 29 gennaio 2024, la prima sezione consultiva del Consiglio di Stato (CdS) si è pronunciata sull’ambito di applicazione dei nuovi poteri dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (AGCM), attribuiti dal d.l. 104/2023, come convertito dalla legge n. 136/2023 (Decreto Asset).

Nell’ambito di una serie di disposizioni relative alla tutela della concorrenza e dei consumatori nel settore aereo, il Decreto Asset ha riconosciuto, tra le altre cose, il potere dell’AGCM di adottare, all’esito delle indagini conoscitive di cui all’articolo 12 della l. n. 287/1990, “ogni misura strutturale o comportamentale necessaria e proporzionata” a carico delle imprese interessate, “al fine di eliminare le distorsioni della concorrenza”, nel rispetto dei princìpi dell'ordinamento dell’Unione europea e previa consultazione del mercato. Con nota del novembre 2023, l’AGCM aveva formulato richiesta di parere al CdS in ordine all’ambito di applicazione di tali poteri, domandando, in particolare, se questi dovessero ritenersi limitati ad un particolare ambito settoriale o merceologico o potessero essere applicati senza restrizioni.

In tale contesto, il CdS ha riconosciuto come il dato testuale delle disposizioni e l’analisi della c.d. volontà del legislatore sembrerebbero, prima facie, deporre per un’interpretazione restrittiva dell’ambito dei nuovi poteri, sostenendo, tuttavia, come questi stessi elementi ad un’analisi più approfondita debbano indicare una conclusione opposta.

In particolare, rispetto al dato testuale, il CdS ha evidenziato come la disposizione che riguarda i nuovi poteri dell’AGCM – pur essendo inserita in un articolo per la maggior parte dedicato al settore aereo – manchi di qualsiasi riferimento ad eventuali limitazioni settoriali o merceologiche, fondando tali poteri sulla sola sussistenza di “problemi concorrenziali che ostacolano o distorcono il corretto funzionamento del mercato con conseguente pregiudizio per i consumatori”. In quest’ottica, secondo il CdS, con una interpretazione che si può considerare difficilmente coerente col dato letterale, l’elencazione degli elementi di fatto da considerare per l’esercizio dei poteri, prevista dalla disposizione in esame ed attinenti al mercato del trasporto aereo di passeggeri (e che evidentemente suggeriscono una diversa ratio legis), dovrebbe in qualche modo considerarsi una specificazione settoriale delle modalità di esercizio di poteri più ampi.

Rispetto al criterio relativo all’interpretazione della volontà del legislatore, il CdS, da un lato, ha evidenziato l’eterogeneità delle disposizioni contenute nel complessivo Decreto Asset, che riguarderebbero solo in numero limitato il settore aereo. Dall’altro, con un salto logico non indifferente, ha identificato la ratio dell’estensione dei poteri dell’AGCM nella volontà di permetterne l’intervento in tutti i contesti in cui il pregiudizio ai consumatori non derivi da specifiche condotte (illecite) delle imprese, quanto dalla struttura stessa del mercato.

In questa prospettiva, il CdS ha inoltre osservato come un’opzione interpretativa che confini ad uno specifico settore economico l’ambito di applicazione dei nuovi poteri dell’AGCM risulterebbe viziata da un duplice profilo di irragionevolezza in ragione dei temi di disparità di trattamento che sorgerebbero rispetto ai settori economici diversi da quello del trasporto aereo (ma è in realtà vero che la maggior parte della regolazione è sector-specific alla luce delle caratteristiche dei singoli settori), nonché di incoerenza tra il contenuto delle misure previste dalla normativa e la loro logica generale di intervento sulla struttura dei mercati. Tali rilievi sarebbero corroborati, nella ricostruzione del CdS, dall’analisi comparativa con altre legislazioni europee, come quelle inglese e tedesca, che riconoscono alle rispettive autorità per la concorrenza poteri analoghi, senza prevedere alcuna limitazione settoriale.

Il parere in commento, pur non del tutto convincente in relazione ad alcune argomentazioni di carattere sistematico, sembra destinato ad avere un fondamentale impatto sui poteri dell’AGCM. Sarebbe infatti possibile per quest’ultima imporre misure rimediali molto incisive – tanto comportamentali quanto strutturali – anche al di fuori dei procedimenti istruttori tradizionali (legati – come noto – solo a comportamenti illeciti o a concentrazioni). Rimane quindi da capire quali saranno le conseguenze di tali nuovi poteri sulle sue tendenze di enforcement dell’AGCM. Dovrà inoltre considerarsi se vi saranno sul punto altri interventi del legislatore ovvero l’adozione di normativa secondaria o soft-law (a specificare le modalità sostanziali e procedurali di un potere molto penetrante e prima facie connotato da una fortissima discrezionalità).

Da ultimo, deve rilevarsi che, quando la Commissione europea due anni fa (già oggetto di questa Newsletter) aveva valutato l’introduzione di un analogo potere (c.d. New Competition Tool), aveva avviato una ampia consultazione preventiva a valle della quale aveva peraltro ritenuto di non procedere oltre. Un procedimento molto diverso da quanto avvenuto in Italia, dove poteri di una siffatta portata sono stati introdotti senza alcun dibattito e/o consultazione in un decreto che aveva tutt’altra origine e finalità.

Alberto Galasso