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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 02 ottobre 2023
Diritto della concorrenza – Europa / Abusi e settore dell’informatica – Rideterminazione della sanzione da parte della Commissione europea ad Intel per abuso di posizione dominante nel mercato dei chip per computer
La Commissione europea (la Commissione) ha rideterminato la sanzione nei confronti di Intel per l’abuso di posizione dominante nel mercato dei chip per computer (CPU x86) accertato nel 2009, fissandola in circa 376 milioni di Euro, ossia circa 1/3 rispetto a quanto originariamente irrogato.
Nel 2009 Intel era stata infatti sanzionata dalla Commissione con oltre un miliardo di Euro per aver posto in essere due violazioni della normativa antitrust, ossia:
i. l’imposizione di sconti ai produttori di computer condizionati all’acquisto in via sostanzialmente esclusiva delle CPU x86 da Intel;
ii. la previsione del pagamento di somme ai produttori di computer per bloccare o ritardare il lancio di prodotti specifici in cui erano installate CPU x86 prodotte dai concorrenti di Intel e per limitarne i canali di vendita.
Questa – storica – decisione della Commissione in tema di abuso di posizione dominante aveva dato origine ad una serie di vicende giudiziarie ripercorse nella nostra Newsletter terminate con la sentenza del 26 gennaio 2022 del Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale), che ha annullato la decisione censurandone le conclusioni in tema dei c.d. conditional rebates, posto che non ha riconosciuto una capacità escludente intrinseca a tali sconti fedeltà condizionati e che la stessa, quindi, dovesse essere provata dalla Commissione.
Nonostante abbia confermato che le previsioni relative ai pagamenti costituissero un abuso di posizione dominante, il Tribunale ha annullato la sanzione nella sua interezza dopo aver concluso che non era possibile per lo stesso stabilire l’importo della sanzione relativo alle tali condotte.
La rideterminazione della sanzione in commento, quindi, si riferisce esclusivamente alle condotte di Intel relative a tali pagamenti, c.d. naked restrictions, che hanno avuto luogo tra il 2002 ed il 2006, e che sono state ritenute rappresentare una grave violazione del diritto della concorrenza: le stesse, infatti, sono oggetto di sanzione senza che sia necessario verificare la sussistenza di effetti sul mercato.
Questa decisione non pregiudica, peraltro, il ricorso pendente della Commissione contro l’annullamento parziale da parte del Tribunale della decisione del 2009 nella parte relativa agli sconti condizionati.
La sanzione irrogata rappresenta un ulteriore tassello rilevante all’interno della complessa vicenda di cui, tra l’altro, sarà interessante conoscere l’esito del ricorso proposto dalla Commissione in proprio tema di conditional rebates.
Giuseppe Russo
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Concentrazioni e settore delle prenotazioni alberghiere online – La Commissione europea vieta l’acquisizione di eTraveli da parte di Booking
Con il comunicato stampa pubblicato lo scorso 25 settembre, la Commissione europea (la Commissione) ha comunicato di aver vietato l’acquisizione di Flugo Group Holdings AB, ovvero la società che gestisce la piattaforma online di prenotazione di voli eTraveli, da parte di Booking Holdings (Booking), società attiva nel mercato della fornitura di servizi di c.d. online travel agencies (OTA) per prenotazioni alberghiere nonché nella fornitura di servizi di metasearch tramite la piattaforma KAYAK.
La Commissione ha accertato che Booking detiene una posizione dominante nel mercato delle OTA per le prenotazioni alberghiere con una quota di mercato superiore al 60% nello Spazio Economico Europeo (SEE), a fronte di un solo concorrente comparabile, il quale tuttavia vanta una presenza in Europa notevolmente inferiore ed è principalmente rivolto al mercato statunitense. In secondo luogo, ad esito del market test che ha coinvolto numerosi stakeholders, tra cui circa 15.000 hotel, la Commissione ha accertato che le OTA per prenotazioni di voli – delle quali eTraveli risulta essere il secondo operatore principale nel SEE – sarebbero il complemento principale dell’offerta di OTA per prenotazioni alberghiere. Inoltre, la Commissione ha evidenziato che, tra i diversi servizi OTA per le prenotazioni di viaggi, quelli relativi ai voli presenterebbero la più alta possibilità di portare alla vendita incrociata di prenotazioni alberghiere.
Sulla base di questi elementi, la Commissione ha sostanzialmente confermato le preoccupazioni concorrenziali evidenziate in sede di avvio dell’istruttoria approfondita (c.d. fase 2), già commentate in questa Newsletter, per cui la combinazione dei servizi offerti dalle parti sarebbe stata idonea a permettere a Booking di espandere significativamente il proprio ecosistema di servizi, nel quale i servizi di viaggio gravitano attorno a quelli alberghieri e i primi rappresentano un canale essenziale per l’acquisizione di clienti a vantaggio dei secondi. L’operazione comporterebbe pertanto un significativo aumento delle barriere all’entrata nel mercato degli OTA per prenotazioni alberghiere, limitando la capacità dei concorrenti di Booking di accedere a nuovi clienti e innalzando i prezzi a discapito sia degli utenti finali, sia degli operatori alberghieri (che pagano alle OTA una commissione proporzionale al corrispettivo pagato dall’utente finale in sede di prenotazione).
Nel tentativo di fugare queste preoccupazioni, Booking ha proposto degli impegni che sono stati tuttavia ritenuti inadeguati dalla Commissione. In particolare, Booking ha proposto di rendere visibile agli utenti che acquistano un volo tramite la piattaforma e che si trovano nel SEE, oppure viaggiano verso il SEE, alcune offerte di sistemazioni alberghiere di un’OTA concorrente, di volta in volta selezionata tramite KAYAK in base al criterio del minor prezzo tra quelle OTA che (i) rispondono agli standard qualitativi già richiesti da KAYAK e (ii) generano almeno il 60% del proprio fatturato attraverso prenotazioni alberghiere. Tale rimedio è stato ritenuto tuttavia inadeguato, poiché la sua attuazione sarebbe avvenuta tramite KAYAK, che si ricorda essere una piattaforma proprietaria di Booking, e ciò non renderebbe sufficientemente trasparenti i criteri di selezione delle OTA concorrenti, rendendo altresì difficile il monitoraggio in quanto il relativo algoritmo opera come una “black box” (e quindi, senza possibilità di verificarne le variabili). Inoltre, il meccanismo proposto sarebbe esclusivamente limitato ad uno dei vari canali in cui può avvenire il cross-selling tra le offerte, tra i quali figurerebbero anche, ad esempio, notifiche ed e-mail che invece non erano contemplate nel meccanismo offerto.
Pertanto, con il veto in commento – l’undicesimo esercitato negli ultimi dieci anni – la Commissione ha proibito un’operazione applicando per la prima volta un’innovativa theory of harm degli effetti conglomerali basata sul concetto di ecosistema, in totale contrasto con la valutazione della medesima operazione effettuata dalla Competition and Markets Authority del Regno Unito e dalla Federal Trade Commission degli Stati Uniti, che hanno entrambe già concesso la propria autorizzazione incondizionata; resta quindi da vedere quali saranno gli esiti del già annunciato ricorso di Booking dinanzi al Tribunale dell’Unione europea.
Niccolò Antoniazzi
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Intese e settore del gaming – Il Tribunale dell’Unione europea conferma la sanzione a Valve Corporation per un’intesa restrittiva della concorrenza nel settore della distribuzione di videogiochi per PC
Con la sentenza resa nella causa T-172/21, il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha respinto l’appello proposto da Valve Corporation (Valve) nei confronti della decisione della Commissione europea (la Commissione) che l’aveva ritenuta responsabile – assieme a cinque case editrici di videogiochi (le Case Editrici) – di altrettante violazioni dell’art. 101 TFUE, realizzate mediante l’introduzione di strumenti di geo-blocking nell’ambito della distribuzione di giochi per PC compatibili con Steam, piattaforma online di gaming di proprietà di Valve (i Videogiochi Compatibili).
In particolare, i Videogiochi Compatibili possono essere acquistati dagli utenti direttamente sulla piattaforma Steam, oppure tramite distributori terzi. Mentre nel primo caso è sufficiente l’acquisto affinché l’utente possa utilizzare il videogioco, nel caso dell’acquisto tramite distributori terzi Valve imponeva la previa registrazione del videogioco nell’ecosistema online Steam, mediante l’inserimento di un codice alfanumerico (la Chiave) nel proprio account. Tali Chiavi contenevano due funzionalità di geo-blocking, che possono impedire direttamente o indirettamente il funzionamento dei videogiochi a seconda del Paese in cui l’utente si trova.
Ad avviso della Commissione, l’accordo tra Valve e le Case Editrici volto all’adozione di tali strumenti di geo-blocking costituiva un’illegittima restrizione della concorrenza ai sensi dell’art. 101 TFUE, diretta a ostacolare le importazioni parallele e, dunque, il commercio transfrontaliero all’interno del mercato unico. L’impugnazioe e proposta da Valve nei confronti della decisione della Commissione è basato su due motivi principali, entrambi respinti dal Tribunale.
Con un primo motivo, Valve ha contestato la ricostruzione offerta dalla Commissione sul ruolo svolto dalla società nei fatti rilevanti. Secondo Valve, infatti, essa ricopriva un ruolo passivo e meramente esecutivo di predisposizione delle Chiavi (corredate dalle funzionalità di geo-blocking contestate), dietro richiesta delle singole Case Editrici. Conseguentemente, ad avviso di Valve, la Commissione non avrebbe dimostrato la “comune volontà” tra la prima e le Case Editrici, con la conseguenza, così, di aver qualificato come accordo restrittivo della concorrenza un comportamento in realtà unilaterale (quello di concreta richiesta e attuazione, da parte delle Case Editrici, del geo-blocking sui propri titoli).
Rigettando il motivo, il Tribunale ha rilevato come la Commissione abbia invece correttamente inquadrato il ruolo centrale di Valve, e la “comune volontà” tra questa e le Case Editrici: Valve, infatti, aveva posto in essere condotte attive volte a promuovere presso le Case Editrici la possibilità di inserire nelle Chiavi le funzionalità di geo-blocking contestate anche al fine di compartimentare il mercato interno, in ultimo beneficio sia delle Case Editrici, sia della stessa Valve la quale, nell’ambito della distribuzione diretta dei Videogiochi Compatibili sulla piattaforma Steam, applica una commissione del 30%, e pertanto benefica direttamente da eventuali prezzi più alti.
Secondo il Tribunale, pertanto, la Commissione non ha accertato l’intesa sulla sola base della conoscenza da parte di Valve di un “possibile” intento anticompetitivo delle Case Editrici, o sul mero fatto che essa non si sia distanziata dalle loro richieste, ovvero ancora sulla base della “mera possibilità” che tali Chiavi venissero usate come strumento per restringere le vendite transfrontaliere nel mercato interno, bensì su un comportamento molto più articolato, proattivo e connivente da parte di Valve.
Anche il secondo motivo proposto da Valve – avverso la qualificazione dell’intesa contestata come restrittiva “per oggetto” – è stato respinto dal Tribunale. Tra i diversi argomenti addotti da Valve a sostegno di tale motivo, il principale riguardava il complesso rapporto tra i diritti di proprietà intellettuale – come il diritto d’autore – e la disciplina antitrust, nella misura in cui strumenti astrattamente previsti ai sensi della prima disciplina (come, per l’appunto, strumenti tecnologici che impediscono la comunicazione al pubblico in territori non coperti dalla licenza d’uso di contenuti, quali i Videogiochi Compatibili) possono risultare, tuttavia, illegittimi ai sensi del diritto antitrust.
Sul punto, il Tribunale ha chiarito come nulla osti al ritenere che le concrete modalità di esercizio di un diritto astrattamente riconosciuto – come la predisposizione di strumenti tecnologici a tutela del diritto d’autore – possano risultare tuttavia illegittime ai sensi dell’art. 101 TFUE se, come nel caso di specie, mirano esclusivamente a rendere impossibili le vendite transfrontaliere all’interno del mercato unico, determinando artificiose differenze di prezzo tra i diversi mercati nazionali, in detrimento ultimo dell’obiettivo fondamentale dei trattati europei, vale a dire la realizzazione del mercato interno.
La pronuncia del Tribunale risulta di particolare interesse specialmente con riguardo al primo gruppo di argomentazioni, dal momento che contribuisce a chiarire quale sia il limite tra condotte unilaterali, da un lato, e accordi anticompetitivi, tra l’altro, sottolineando l’imprescindibilità di una prova concreta della comune volontà tra le imprese coinvolte al fine di individuare, dietro apparenti condotte unilaterali, una concertazione illegittima.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Diritto della concorrenza – Italia / Aiuti di Stato e restituzione di aiuti illegali – Rinvio pregiudiziale del TAR della Campania alla Corte di Giustizia in tema di individuazione del soggetto passivo dell’ordine allo Stato di recupero degli aiuti di Stato
In data 18 settembre 2023, con l’ordinanza n. 05138 (l’Ordinanza), il Tribunale Amministrativo per la Campania (TAR) ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) due quesiti pregiudiziali relativi alla compatibilità della normativa nazionale che disciplina il recupero degli aiuti di Stato, per effetto della quale le autorità amministrative interne possono procedere all’individuazione, secondo il principio di continuità economica tra imprese, del soggetto passivo presso cui recuperare un aiuto di Stato accertato da una decisione della Commissione e nella quale era stata individuata come beneficiaria un’altra impresa.
Il contenzioso, da cui trae origine l’ordinanza di rinvio in commento, riguarda l’impugnazione da parte della società SCAI S.r.l. (SCAI) del Decreto Dirigenziale del Direttore Generale per la Mobilità della Regione Campania volto al recupero dell’aiuto di Stato SA.35843 avente ad oggetto una compensazione integrativa riconosciuta alla società Buonotourist S.r.l. (Buonotourist) dalla Regione Campania dichiarata quale aiuto di Stato incompatibile dalla Commissione Europea con decisione del gennaio 2015 (Aiuto di Stato). Nello specifico, in ottemperanza alla decisione della Commissione la Regione Campania aveva tentato il recupero dell’Aiuto di Stato nei confronti della società Buonotourist e altresì delle società Buonotourist TPL e Autolinee Buonotourist S.r.l., risultanti titolari del ramo di azienda da atti di scissione aziendale dalla prima, ma le relative azioni erano risultate infruttuose perché le società sono state, nel frattempo, dichiarate fallite. Pertanto, sul presupposto dell’accertamento della “continuità economica” tra le Buonotourist S.r.l. e SCAI, ha esteso l’ambito soggettivo della decisione di recupero ingiungendo la restituzione dell’Aiuto di Stato alla SCAI, la quale aveva preso in affitto il ramo di azienda originariamente di Buonotourist.
Tra i motivi di doglianza SCAI lamenta, da un lato, che la continuità economica tra la stessa e Buonotourist S.r.l. non sia mai stata accertata dalla Commissione e non possa desumersi dall’affitto di ramo d’azienda intervenuto nel 2019 ed esauritosi nel 2021 da Autolinee Buonotuorist a SCAI e, dall’altro, la violazione dei suoi diritti di difesa in quanto non avrebbe partecipato al procedimento dinnanzi alla Commissione avente ad oggetto la dichiarazione di illegalità dell’Aiuto di Stato.
Il TAR, ritenendo che la valutazione sulla effettiva sussistenza del requisito della continuità economica sia riservata alla Commissione, ha dapprima richiamato i principali orientamenti giurisprudenziali della CGUE in materia. In particolare, secondo la CGUE, laddove la Commissione abbia individuato nella sua decisione il beneficiario dell’aiuto di Stato, il ruolo dello Stato membro dovrebbe essere puramente esecutivo e volto alla garanzia del diritto di difesa dei soggetti coinvolti. Nell’ipotesi di trasferimento dell’aiuto mediante trasferimento delle attività attraverso, ad esempio, un accordo di cessione di beni ovvero di affitto di ramo d’azienda (come nel caso di specie), secondo il giudice a quo, emergerebbe dalla interpretazione della giurisprudenza della CGUE che l’adozione della relativa decisione circa il beneficiario presso cui recuperare l’Aiuto di Stato sia sempre riservata alla Commissione; secondo il TAR, infatti, tale interpretazione si fonderebbe, tra le altre, sulla pronuncia nella causa C-127/16 in cui si afferma che “gli aiuti illegittimi devono esser recuperati nei confronti della società che prosegue l’attività economica dell’impresa che ha beneficiato di tali aiuti, qualora venga accertato che tale società mantiene il godimento effettivo del vantaggio concorrenziale connesso al beneficio degli aiuti in questione. Nel caso di trasferimento degli attivi, la continuità economica tra le società parti del trasferimento deve essere valutata in funzione dell’oggetto del trasferimento… del prezzo del trasferimento, dell’identità degli azionisti o dei proprietari...del momento in cui il trasferimento è realizzato od anche della logica economica dell’operazione…”. In relazione al rispetto del contradditorio e del diritto di difesa, secondo l’interpretazione che il TAR dà ai precedenti della CGUE, viene richiamato il principio secondo cui il soggetto interessato da un provvedimento sfavorevole nei suoi confronti deve essere messo nelle condizioni di far conoscere efficacemente il proprio punto di vista sulla sussistenza e sulla pertinenza dei fatti e delle circostanze allegate nonché sugli elementi di prova raccolti.
Sulla scorta di queste riflessioni, il TAR ha ritenuto che la normativa nazionale in materia di recupero degli aiuti di Stato (e, specificamente, l’articolo 48 della legge n. 234 del 24 dicembre 2012, rubricato “Procedure di recupero”), consentendo all’autorità nazionale l’estensione del recupero ad altri beneficiari su cui si ritiene traslato l’aiuto di Stato mediante la rilevazione della continuità economica in un procedimento puramente interno, non fosse conforme al diritto europeo, in quanto sembrerebbe restringere indebitamente le competenze della Commissione e implicherebbe la violazione del principio del contraddittorio e dei diritti di difesa.
È stato quindi richiesto alla CGUE di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto europeo della normativa nazionale che consente all’autorità nazionale, nella fase esecutiva di recupero, l’estensione del perimetro dei soggetti tenuti alla restituzione degli aiuti illegali, mediante una valutazione di continuità economica tra imprese, anche quando la Commissione abbia già individuato i beneficiari dell’Aiuto, così escludendo la competenza di quest’ultima in materia di aiuti di Stato. Inoltre, nel caso di risposta negativa al primo quesito, si chiede se possa ammettersi la violazione delle garanzie procedimentali e processuali del diritto dell’Unione e, in particolare, del contradditorio garantito dagli articoli 41 della Carta di Nizza e del diritto di difesa di cui all’articolo 47 della Carta di Nizza.
L’Ordinanza in commento risulta peculiare in quanto, con l’interpretazione fornita dal TAR, sarebbe facile aggirare la normativa in materia di Aiuto di Stato semplicemente procedendo a trasferire continuamente il ramo di azienda oggetto dell’accertato aiuto, in quanto così facendo si dovrebbe ogni volta subordinare il recupero a nuove decisioni della Commissione. In ogni caso, se la CGUE si esprimerà sul punto, la relativa sentenza permetterà di chiarire ulteriormente la definizione delle competenze della Commissione.
Sabina Pacifico
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Appalti, Concessioni e Regolazione / Libertà di stabilimento e settore idrico – La Corte di Giustizia specifica le circostanze per cui le norme europee in materia di concorrenza possano ostare ad un affidamento diretto di una concessione
Con la sentenza del 21 settembre 2023 (la Sentenza), in esito ad un rinvio pregiudiziale operato dall’Alta corte di cassazione e di giustizia romena, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) ha specificato quali condizioni devono ricorrere per poter disapplicare le norme interne che garantiscono ad un concessionario la proroga della propria licenza senza procedura di gara.
La vicenda trae origine nell’ormai lontano 1999, quando il governo rumeno tramite l’Agenzia nazionale per le Risorse Minerarie (l’ANRM o la Concedente), aveva proceduto all’affidamento diretto alla Società nazionale per le Acque minerali (la SNA o il Concessionario) della concessione riguardante l’utilizzazione di tutte le risorse di acqua minerale utilizzate in Romania per una durata di 20 anni. La normativa nazionale in materia prevedeva che l’indizione di una gara pubblica per la nomina di nuove società concessionarie fosse possibile solo su in caso l’attuale concessionario decidesse di non chiedere il rinnovo.
In tale contesto, la Romaqua Group (la Romaqua o la Ricorrente) aveva in ogni caso richiesto all’ANRM di mettere a bando le licenze precedentemente assegnate a SNA. La concedente aveva rifiutato la richiesta sostenendo, appunto, che fosse necessaria la rinuncia del concessionario; circostanza non verificatasi dato che SNA aveva comunicato che non intendeva rinunciare alle proprie licenze di utilizzazione.
Pertanto, la Romaqua ha impugnato il diniego da parte di ANRM presso la corte d’appello di Bucarest, chiedendo di dichiarare ingiustificato il rifiuto ricevuto, e contestualmente di ingiungere a quest’ultima di organizzare una procedura di evidenza pubblica allo scadere delle licenze di concessione. Detto giudice ha respinto il ricorso presentato, da cui il ricorso di Romaqua presso l’Alta Corte di cassazione e di giustizia, adducendo l’incompatibilità della normativa nazionale con varie disposizioni del diritto dell’Unione.
In tale sede, i giudici dell’Alta Corte romena hanno quindi formulato un rinvio pregiudiziale, chiedendo alla CGEU se il diritto europeo, e nello specifico l’art. 106 TFUE, possa ostare all’applicazione di una normativa nazionale che consente, tramite un sistema di proroghe di concessioni – di fatto, senza limiti temporali – di mantenere un regime di monopolio all’impresa concessionaria.
I giudici della CGEU hanno in primo luogo riformulato la questione pregiudiziale, ricordando che l’art. 106 TFEU non sia dotato di portata autonoma; la sua applicazione è possibile solo se in combinato disposto con un’altra disposizione che, nel caso di specie, evidenzia la stessa CGEU, è rappresentata dall’art. 102 TFUE. Successivamente i giudici del Lussemburgo hanno chiarito che al fine di poter rispondere alla questione pregiudiziale in questione è necessario accertare il realizzarsi degli elementi costitutivi delle relative fattispecie.
Più nello specifico, se da un lato era pacifico affermare che l’attribuzione di un diritto di utilizzazione esclusivo, come avvenuto nel caso di specie, rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 106 TFUE, dall’altro non era altrettanto immediato constatare lo stesso riguardo ad un ipotetico abuso di posizione dominante del precedente concessionario. Difatti la CGEU sottolinea che è compito del giudice di rinvio accertarne le tre condizioni costitutive della fattispecie, nello specifico: (i) la posizione dominante; (ii) la condotta abusiva; e (iii) il pregiudizio al commercio tra Stati membri, il quale non è configurabile in via meramente ipotetica.
In ogni caso, la CGUE ha comunque indicato che, con riguardo la condotta, se analizzata nella fattispecie in cui un’impresa sia beneficiaria di diritti speciali o esclusivi e pertanto indotta a sfruttare abusivamente la propria posizione, non sarà necessario che l’abuso si sia verificato effettivamente.
La CGEU demanda al giudice del rinvio l’accertamento degli elementi costitutivi di un abuso di posizione dominante e affermando che, qualora questi fossero accertati, gli artt. 106 e 102 TFUE osterebbero alla normativa nazionale in materia di concessioni che permette una tale infrazione delle norme sulla concorrenza.
Il caso in commento rappresenta un interessante esempio di come soggetti privati possano contestare la persistenza di regimi di monopolio utilizzando le norme europee a tutela della concorrenza, qualora non sia più impugnabile l’atto – in questo caso l’affidamento della concessione – che abbia dato origine a tale regime.
Giuseppe Schinella