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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 03 luglio 2023
Diritto della concorrenza – Europa / Intese e reti di distribuzione – la Corte di Giustizia si è pronunciata in materia di clausole RPM
Con la sentenza pubblicata lo scorso 29 giugno (la Sentenza) su rinvio pregiudiziale operato dalla Corte d’Appello di Lisbona, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) ha offerto importanti chiarimenti in merito alla valutazione ai sensi del diritto antitrust delle clausole di fissazione di prezzi minimi di rivendita (Clausole RPM), nonché in merito ad alcuni elementi generali dell’analisi di condotte potenzialmente illegittime ai sensi dell’art. 101 TFUE.
La controversia de qua vede opposti Super Bock Bebidas SA, società attiva nella produzione di bevande di vario genere (Super Bock) e l’autorità antitrust portoghese (l’Autoridade), che aveva sanzionato Super Bock (e due dirigenti della società) per un’intesa restrittiva della concorrenza per oggetto, realizzata mediante la fissazione di Clausole RPM, accompagnate da stringenti meccanismi di sorveglianza sul loro rispetto da parte dei distributori e dalla previsione di misure di ritorsione nei confronti degli eventuali distributori dei prodotti di Super Bock non allineati (le Condotte Contestate). In tale contesto, la Corte d’Appello di Lisbona ha sottoposto alla CGUE sei questioni pregiudiziali; per esigenze di brevità, il presente commento si concentrerà unicamente sulle tre questioni principali.
Con una prima questione, la Corte d’Appello di Lisbona ha domandato alla CGUE se un accordo verticale di fissazione di Clausole RPM possa qualificarsi come intesa restrittiva “per oggetto” solo a seguito dell’accertamento di un sufficiente grado di dannosità di tale accordo, ovvero se possa essere presunto che tale tipologia di accordo presenti in sé un siffatto grado di dannosità.
Dopo aver ricordato che la nozione di restrizione della concorrenza “per oggetto” deve essere interpretata restrittivamente – applicandosi unicamente a quelle forme di coordinamento tra le imprese che rivelino un grado di dannosità tale da non richiedere l’analisi dei loro effetti – la CGUE ha chiarito che un accordo verticale di fissazione di Clausole RPM non può presumersi che costituisca in quanto tale una restrizione per oggetto.
Spetterà dunque al giudice nazionale accertare se detto accordo costituisca o meno una restrizione per oggetto, con una valutazione caso per caso che tenga in considerazione (i) il tenore delle sue disposizioni, (ii) gli obiettivi che mira a raggiungere, (iii) il contesto economico e giuridico in cui si colloca, (iv) la natura dei beni o servizi coinvolti, (v) le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato, ed (vi) eventuali effetti favorevoli alla concorrenza collegati all’accordo individuati dalle imprese (a condizione che tali effetti positivi siano “…[p]rovati, pertinenti, specifici all’accordo in questione e sufficientemente significativi…”, tali dunque da “…[f]ar sorgere un ragionevole dubbio sul fatto che l’accordo sia sufficientemente dannoso per la concorrenza”).
Non vale, peraltro, ad esonerare il giudice dal compimento di tale valutazione il fatto che i regolamenti europei di esenzione dall’applicazione dell’art. 101 TFUE per alcune categorie di accordi verticali (da ultimo, il Regolamento (UE) 2022/720), qualifichino l’imposizione di Clausole RPM come restrizioni “fondamentali” (hardcore restrictions) – ossia restrizioni che, se presenti, determinano l’eliminazione tout court del beneficio dell’esenzione. Secondo la CGUE, infatti, restrizioni “fondamentali” e restrizioni “per oggetto” non sono concetti interscambiabili, e non coincidono necessariamente.
Con la seconda questione, la Corte d’Appello di Lisbona ha domandato alla CGUE chiarimenti in merito alla nozione di “accordo” ai sensi dell’art. 101, comma 1 TFUE (considerato che i distributori avevano sostanzialmente prestato acquiescenza alle Condotte Contestate ma non era chiaro che si fosse raggiunto un vero e proprio “accordo” sul punto).
A tal proposito, la CGUE ha chiarito che un atto o un comportamento apparentemente unilaterale può ben costituire un “accordo” laddove, in realtà, sia comunque espressione di una volontà concorde di due o più imprese, in qualsiasi modo essa sia espressa. Pertanto, conclude sul punto la CGUE, dopo un’attenta valutazione caso per caso, è ben possibile individuare un “accordo” ai sensi dell’art. 101, comma 1 TFUE, laddove un fornitore imponga determinate condizioni di vendita dei propri prodotti o servizi ai propri distributori, e questi ultimi – anche obtorto collo – vi prestino acquiescenza, procedendo alla loro applicazione. Dove, invece, non risulti tale acquiescenza, emergerebbe la natura unilaterale delle condotte adottate dal distributore.
Con una terza questione, infine, la CGUE ha avuto modo di ribadire che – sebbene nel rispetto del principio di autonomia procedurale degli Stati membri dell’Unione europea – il principio di effettività della tutela dei diritti conferiti dal diritto europeo impone che un “accordo” ai sensi dell’articolo 101, comma 1 TFUE possa essere provato sia mediante prove dirette, sia mediante prove indiziarie che siano oggettive e concordanti (e che considerate nel loro insieme possano costituire, in mancanza di un’altra spiegazione coerente, la prova di una violazione della normativa antitrust).
La sentenza oggetto del presente commento risulta di particolare interesse soprattutto con riferimento a ciò che costituisce RPM e alla nozione di restrizione “per oggetto”. Se tale indirizzo, da un lato, impone alle autorità antitrust maggiori sforzi al fine di individuare sia una fattispecie di RPM, sia un possibile accordo anticompetitivo, dall’altro è sicuramente apprezzabile, in quanto mostra una maggiore sensibilità verso una necessaria valutazione caso per caso di eventuali effetti pro-competitivi anche nel contesto di pratiche di RPM.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore del teleriscaldamento – L’AGCM ha avviato due istruttorie per un presunto abuso di posizione dominante consistente nell’imposizione di condizioni e di prezzi eccessivamente gravosi
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), ha aperto due istruttorie parallele nei confronti di Iren S.p.A e A2A S.p.A. (le Società), per presunto abuso di posizione dominante nel mercato del servizio di teleriscaldamento nelle aree servite dalle Società. Tale abuso si sarebbe concretizzato nell’imposizione di prezzi eccessivamente onerosi ai consumatori, che non sarebbero giustificabili in considerazione del semplice aumento del costo della materia prima e, di conseguenza, costituirebbero una violazione dell’art.3, comma 1, lett. (a) della legge 1990 n. 287.
Il teleriscaldamento (TLR) è un è un sistema di fornitura di calore alternativo rispetto al tradizionale sistema di riscaldamento tramite caldaie a gas. Il calore fornito attraverso una rete di TLR può provenire da diverse tipologie di impianto e derivare da diverse fonti energetiche, anche diverse dal gas metano, come rifiuti urbani, carbone, biomasse e altri tipi di combustibili. Il servizio di TLR era già stato oggetto di un’indagine dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), il cui esito era stato pubblicato a novembre del 2022 (Allegato A alla Delibera 547/2022/R/TLR), nella quale erano emerse alcune criticità relative ai prezzi applicati da parte degli esercenti del servizio TLR, nonché la necessità di una regolazione di tali tariffe che fosse maggiormente cost reflective (Indagine ARERA 2022).
Nello specifico, il meccanismo di determinazione del prezzo utilizzato dalle Società in numerose aree (c.d. metodo del costo evitato) riflette i costi sostenuti per il soddisfacimento del proprio fabbisogno attraverso la climatizzazione mediante caldaia gas. In tal modo il prezzo del servizio è correlato alle fluttuazioni del prezzo del gas naturale, indipendentemente dall’effettiva fonte di approvvigionamento di calore per il servizio. In proposito, l’AGCM evidenzia come alcune delle aree servite dalle Società abbiano una elevata percentuale di calore proveniente da fonti diverse dal gas: nello specifico, fino all’80% del calore nell’area di Parma e Piacenza e il 90-100% dell’area di Como, risulta essere proveniente da termovalorizzazione dei rifiuti. Di conseguenza, come già evidenziato dall’esito dell’Indagine ARERA 2022, i prezzi del servizio TLR sono indicizzati alle quotazioni del gas, anche laddove quest’ultimo costituisce solo una minima parte della materia prima utilizzata per produrre calore. La divaricazione fra costi e ricavi determinerebbe pertanto potenziali extraprofitti per le Società e impedirebbe che il beneficio del minor costo della materi asia trasferito ai consumatori.
Con riguardo alla determinazione del mercato rilevante, l’AGCM ha rilevato che il mercato del servizio di TLR dal punto di vista merceologico deve essere considerato come un mercato a sé stante, separato dagli altri servizi di riscaldamento, anche in considerazione degli elevati switching costs da sostenere una volta che sia optato per un sistema di TLR. Da ultimo, il servizio di TLR presenta secondo l’AGCM evidenti caratteristiche di monopolio naturale, per cui le Società risultano monopoliste nelle rispettive aree geografiche e, di conseguenza, si trovano certamente in posizione dominante nel mercato locale di riferimento.
Per tali ragioni, l’AGCM ha ritenuto di avviare un’istruttoria nei confronti delle Società per accertare se la condotta in questione possa configurare un abuso di posizione dominante nel mercato dei servizi di TLR.
Le istruttorie in questione, che risultano candidate per una chiusura con impegni, pongono una questione di sicuro interesse circa il rapporto tra regolazione e diritto antitrust (considerate anche le osservazioni dell’ARERA circa la necessità di individuare “… criteri generali per la determinazione delle tariffe, comprensivi delle modalità di recupero dei costi di capitale e dei costi operativi, nonché dei criteri di separazione contabile per l’attribuzione dei costi comuni a più attività”).
Irene Indino
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Concentrazioni e settore petrolifero – L’AGCM ha avviato un’istruttoria per valutare gli effetti dell’operazione Italiana Petroli/Esso Italiana
Con il provvedimento del 19 giugno scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha avviato un’istruttoria per valutare gli effetti della prospettata acquisizione del controllo esclusivo da parte di Italiana Petroli S.p.A. (IP), società attiva nella raffinazione, distribuzione e commercializzazione di prodotti petroliferi per autotrazione, di una società di nuova costituzione nella quale Esso Italiana S.r.l. (Esso) (con IP, le Parti), società anch’essa attiva nel settore petrolifero, conferirà le proprie attività di raffinazione e distribuzione in Italia (fatta eccezione per il ramo relativo ai lubrificanti e ai prodotti chimici), nonché le proprie partecipazioni in alcune società, alcuni contratti di fornitura e asset logistici (l’Operazione).
In via preliminare e contrariamente a quanto sostenuto dalle Parti, l’AGCM ha ritenuto che nella valutazione degli effetti dell’Operazione debbano essere considerati come appartenenti alla rete distributiva delle compagnie petrolifere anche i punti vendita che operano in regime di c.d. branded wholesale (BW), ossia i punti vendita che non sono di proprietà delle Parti ma appartengono a (e sono gestiti da) soggetti terzi che ne vendono i prodotti in esclusiva con il marchio di IP o di Esso. Secondo l’AGCM, infatti, il regime di esclusiva comporta necessariamente che ad ogni unità di prodotto aggiuntiva venduta dal punto vendita corrisponda un’unità aggiuntiva di prodotto venduto dalla compagnia petrolifera distributrice e che quest’ultima ha la facoltà di influenzare indirettamente il prezzo praticato a valle, essendo necessariamente il prezzo all’ingrosso il limite minimo applicabile per il gestore del punto vendita. Secondo l’AGCM i punti vendita BW sopportano quindi il medesimo trade-off prezzo/quantità di quelli gestiti direttamente dalle Parti, ovvero ne subiscono i medesimi vincoli competitivi.
Per quanto riguarda la valutazione degli effetti sostanziali dell’Operazione, già autorizzata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi della c.d. disciplina Golden Power nel marzo scorso, il Provvedimento si concentra in particolare sui mercati della vendita all’ingrosso e al dettaglio di prodotti petroliferi extra-rete (ovvero quelli non venduti tramite le stazioni di servizio), nonché su quelli della distribuzione di carburanti per autotrazione su rete stradale e autostradale.
Con riferimento alla vendita di prodotti petroliferi extra-rete, ove i singoli prodotti (benzina, gasolio per autotrazione, gasolio agricolo, gasolio marino, gasolio per riscaldamento, GPL, kerosene e oli combustibili) costituiscono mercati separati, l’AGCM non ha accolto la proposta delle Parti di attribuire un’estensione geografica macroregionale ai relativi mercati wholesale e una dimensione provinciale ai relativi mercati retail, poiché simile definizioni non terrebbero conto del vincolo effettivo rappresentato dai costi di trasporto. Pertanto, sulla scorta di richieste di informazioni indirizzate sia alle Parti, sia ad alcuni concorrenti, nonché alla luce dei risultati di una survey, l’AGCM ha prospettato una definizione basata in entrambi i casi su catchment areas dal raggio di 150 km dai rispettivi impianti. Tuttavia, l’AGCM si è riservata di addivenire ad una più compiuta definizione nel corso dell’istruttoria.
Una simile ridefinizione dei mercati geografici rilevanti viene prospettata anche per i distinti mercati della distribuzione di carburanti per autotrazione su rete stradale e autostradale, che l’AGCM identifica in via preliminare rispettivamente in isocrone delimitate da un raggio di percorrenza di 15 minuti dal punto vendita centroide e da catchment areas di 60 km. In tali mercati sembrerebbero (secondo l’AGCM) concretizzarsi i principali effetti anticompetitivi dell’Operazione. Infatti, ad esito della stessa si vedrebbe il passaggio a livello nazionale da 5 a 4 operatori integrati e le attività delle Parti si sovrapporrebbero in più di 3400 isocrone sulla rete stradale ordinaria, in ben più di 2000 delle quali l’entità post merger beneficerebbe di una quota di mercato, calcolata in termini di numero di impianti ivi presenti e volumi erogati, superiore al 25%, nonché superiore al 50% in 191 isocrone
L’operazione in commento rappresenta la prima fase 2 avviata dall’AGCM nel 2023 e risulta di particolare interesse per la prospettata ridefinizione della dimensione geografica di alcuni dei principali mercati rilevanti nel settore petrolifero e per il numero particolarmente elevato di mercati locali in cui l’AGCM dovrà condurre le proprie analisi.
Resta quindi da vedere quali saranno gli esiti di questa istruttoria, e, in particolare, se le Parti riusciranno a negoziare un pacchetto di rimedi strutturali adeguato a mitigare le rilevate criticità concorrenziali.
Niccolò Antoniazzi
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Relazione Annuale AGCM – È stata presentata la Relazione Annuale relativa al 2022
Il 27 giugno 2023 il presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), Roberto Rustichelli, ha presentato la Relazione annuale sull’attività svolta (la Relazione).
Riguardo al contesto macroeconomico in cui si è inserita l’attività di enforcement dell’AGCM, la Relazione, citando l’Inflaction Reduction Act e il Chips Act statunitensi, ha evidenziato l’emergere nell’economia globale di tendenze neo-protezionistiche. Ha riconosciuto come queste tocchino le fondamenta del modello di sviluppo economico europeo, essendosi posto, per la prima volta da decenni, il problema di conciliare l’autonomia strategica europea (in un contesto caratterizzato da tensioni geopolitiche e dal rallentamento della globalizzazione) con i fondamentali principi di un’economia aperta e concorrenziale.
Alla luce di tale contesto, la Relazione ha valorizzato il tema della competitività delle imprese europee e dell’adeguatezza degli strumenti di politica industriale a disposizione delle istituzioni nazionali e dell’UE. Secondo l’AGCM, gli aiuti di Stato rimangono il principale presidio per garantire un level playing field europeo, ma a ciò dovrebbe accompagnarsi una politica industriale comune. Il modello evidenziato nella Relazione è quello del Piano industriale Green Deal per l’economia verde dell’UE, individuato come esempio di sinergia tra politica industriale e politica della concorrenza.
L’Autorità ha, in secondo luogo, analizzato il tema della regolazione dei mercati digitali, evidenziando l’importanza dell’approvazione del Digital Markets Act (DMA). Quest’ultimo – ha ricordato l’AGCM – ha modificato l’ottica della gestione delle dinamiche di tali mercati, passando da un modello di regolazione ex post ad uno ex ante, fondato sulla collaborazione delle stesse imprese. L’AGCM ha in proposito auspicato che le nuove competenze istruttorie indicate nel DMA possano esserle attribuite dal Parlamento italiano in ragione della sua esperienza e delle competenze analoghe di cui è titolare in materia di concorrenza.
In tema di mercati digitali, l’AGCM ha inoltre ricordato il recente rafforzamento, nella legislazione italiana, dello strumento dell’abuso di dipendenza economica con l’introduzione della presunzione di dipendenza economica dalle piattaforme digitali e di una lista esemplificativa di pratiche abusive. Questo, insieme alle innovazioni apportate dalla legge annuale per la concorrenza e per il mercato 2021 in materia di esame delle concentrazioni sotto-soglia e di ampliamento del SIEC test, ha contribuito, secondo l’AGCM, a innovare e adeguare il diritto della concorrenza nazionale alle sfide del nuovo contesto economico e dei mercati emergenti.
Rispetto all’attività svolta nel 2022, la Relazione ha rimarcato la sostanziale continuità con i risultati raggiunti nel 2021 con 21 procedimenti conclusi in materia di concorrenza (20 nel 2021) e 117 in materia di tutela del consumatore (97 nel 2021). Risultano invece in crescita i procedimenti per abuso di dipendenza economica che, da fattispecie di applicazione marginale, hanno guadagnato spazio nel 2022 con l’avvio di tre procedimenti.
La Relazione ha effettuato, infine, un riferimento alle modifiche organizzative a cui è andata incontro l’Autorità nel 2022. Ad esito di tali riforme, la sua struttura è ora articolata in 9 dipartimenti, distinti in due dipartimenti istruttori in materia di concorrenza – di cui uno dedicato a cartelli, piattaforme digitali, concessioni e servizi pubblici locali e l’altro a tutti gli altri settori – e altrettanti di tutela del consumatore
Alberto Galasso