Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 17 luglio 2023

Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e settore farmaceutico – La Commissione europea sanziona Illumina e Grail, per gun jumping

Un altro importante, atteso sviluppo nella “saga” Illumina/Grail. In data 12 luglio 2023 la Commissione europea (la Commissione) ha sanzionato le due società, rispettivamente, per 432 milioni di euro e 1000 euro (la Decisione), per aver attuato la relativa operazione (l’Operazione) prima di aver ottenuto la clearance ai sensi del Regolamento 139/2004 (EUMR o il Regolamento).

Come noto, secondo l’articolo 7, paragrafo 1, dell’EUMR una concentrazione di dimensioni comunitarie non può essere perfezionata, o anche solo parzialmente attuata, senza che la Commissione la abbia prima autorizzata (obbligo di c.d. “standstill”). La Decisione qui in rilievo ha quindi accertato una violazione di tale obbligo.

Tale Decisione va ad inserirsi in una vicenda che ha già dato luogo ad altri sviluppi significativi da un punto di vista antitrust. Invero, l’Operazione era stata in precedenza bloccata dalla stessa Commissione, in quanto ritenuta produttiva di effetti anti-competitivi nel mercato dei test predittivi del cancro; in particolare, Illumina possiede quella che è stata indicata come l’unica tecnologia adeguata allo sviluppo dei nuovi sistemi diagnostici, e l’acquisizione di Grail avrebbe quale conseguenza – ad avviso della Commissione – quella di escludere o svantaggiare ulteriori sviluppatori, da ultimo ostacolando il progresso nel settore a discapito del benessere sociale.

Inoltre, l’Operazione è stata esaminata dalla Commissione nonostante la stessa fosse “sottosoglia”, e quindi non avesse inizialmente determinato un obbligo di notifica ai sensi dell’EUMR. La Commissione ha acquisito “giurisdizione” sull’Operazione in seguito alla richiesta di sei Stati Membri, ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento, ossia tramite il meccanismo di rinvio ivi previsto, nonostante questi ultimi non avessero essi stessi competenza a rivedere l’Operazione.

A tale riguardo – e come già commentato in questa Newsletter - il Tribunale dell’UE ha nel frattempo confermato la competenza nel caso della Commissione, chiarendo come il meccanismo di rinvio appena richiamato possa essere utilizzato anche qualora una concentrazione risulti sottosoglia e quindi sia sottratta allo scrutinio di merger control ai sensi delle normative nazionali (oltre che dell’EUMR).

Nell’agosto 2021, mentre l’esame da parte della Commissione era ancora in corso, e quindi senza attendere la decisione di quest’ultima, le due società hanno annunciato il closing dell’Operazione. Di lì, la Commissione aveva avviato un procedimento ad hoc per valutare l’ipotesi di per gun-jumping, procedimento concluso con a Decisione ora in commento.

In particolare, l’Autorità ha imposto ad Illumina una sanzione di 432 milioni di euro, il massimo irrogabile, che equivale al tetto del 10% del fatturato - come previsto dal Regolamento. Ciò, in particolare, in quanto Illumina avrebbe deliberatamente realizzato l’Operazione in spregio all’obbligo di standstill anche in virtù del fatto che tale decisione era stata presa al fine di evitare di dover pagare ai venditori di Grail una c.d. break fee di oltre 300 milioni di dollari e quindi per la Commissione, era importante che l’effetto deterrente della sanzione tenesse conto di ciò.

La multa nei confronti di Grail ammonta alla cifra simbolica di 1.000 euro. Nonostante la sua irrisorietà, il fatto è in sé rilevante, in quanto si tratta della prima sanzione nella UE nei confronti di una società target nell’ambito di un procedimento per gun-jumping. A Grail, in particolare, è stato “rimproverato” di aver contribuito attivamente all’infrazione agevolando il perfezionamento dell’Operazione.

Illumina ha già annunciato il proposito di impugnare la Decisione, definendo la multa “illegale ed inadeguata”: non siamo dunque ancora giunti all’ultima “puntata” della saga Illumina/Grail.

Francesca Grandolini

---------------------------

Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – La Corte di Giustizia ha annullato con rinvio la decisione del Tribunale dell’UE sull’acquisizione di O2/Telefónica Europe da parte di CK Telecoms UK Investments Ltd.

Il 13 luglio 2023 la Corte di Giustizia dell’UE (la CGUE) si è pronunciata sul ricorso presentato dalla Commissione europea (la Commissione) contro la sentenza del Tribunale dell’UE (il Tribunale) la quale aveva dichiarato l’illegittimità della decisione della Commissione del 16 maggio 2016 che a sua volta aveva vietato l’acquisizione di Telefónica Europe (O2) da parte di Hutchison 3G UK Investments, ora CK Telecoms UK Investments Ltd (CK Telecoms).

O2 e CK Telecoms (allora commercialmente nota come Three) rappresentavano, rispettivamente, il secondo e il quarto operatore nei mercati dei servizi di telefonia mobile (il Mercato Retail) e della fornitura di servizi di infrastruttura di rete mobile a operatori attivi solo nel Mercato Retail nel Regno Unito (il Mercato Wholesale). La Commissione aveva vietato la concentrazione sulla base dei suoi potenziali effetti unilaterali (c.d. effetti non coordinati) sul Mercato Retail e sul Mercato Wholesale, nonché sulla base di ulteriori potenziali effetti strutturali sugli incentivi all’innovazione delle infrastrutture di rete mobile nel Regno Unito.

Tale impostazione non era stata condivisa dal Tribunale dell’UE che aveva annullato la decisione della Commissione con la sentenza del 28 maggio 2020, successivamente impugnata dalla Commissione medesima.

Nella sentenza qui in esame, la CGUE ha ora, in primo luogo, ritenuto erronea la ricostruzione del Tribunale nella parte in cui aveva sostenuto la necessità per la Commissione, per poter pervenire ad una decisione di divieto, di dimostrare con “seria probabilità l’esistenza di ostacoli significativi” alla concorrenza effettiva Secondo i giudici, ciò non avrebbe fondamento nel diritto dell’UE e la Commissione dovrebbe, invece, limitarsi a considerare se la sussistenza di un ostacolo significativo a una concorrenza effettiva sia “più probabile che improbabile”. Nelle sue valutazioni, inoltre, la Commissione - secondo quanto riaffermato dalla CGUE - godrebbe di un’ampia discrezionalità che può essere sindacata dalle corti dell’UE nei soli casi (i) di errata ricostruzione in fatto, o (ii) di manifesto errore di valutazione.

La CGUE ha, in secondo luogo, ritenuto infondata la posizione del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto necessario, per la prova dei potenziali effetti unilaterali in mancanza della creazione o del rafforzamento di una posizione dominante, la dimostrazione, cumulativa, (i) dell’eliminazione di importanti vincoli concorrenziali reciprocamente esercitati dalle parti tra di loro, e (ii) della riduzione della pressione concorrenziale sui restanti operatori. Una tale impostazione impedirebbe, secondo la CGUE, un controllo completo ed efficace di tutte le concentrazioni restrittive, lasciando escluse fattispecie pur problematiche.

La CGUE ha inoltre riconosciuto la legittimità della condotta della Commissione, la quale aveva correttamente considerato tutti i fattori della concentrazione, non limitandosi – come aveva invece sostenuto il Tribunale – a considerare la sola qualificazione di CK Telecoms come un’ ”importante forza concorrenziale” e la sua natura di “diretto concorrente” rispetto ad O2. La CGUE ha quindi riconosciuto - dando adito peraltro a qualche dubbio in virtù delle conseguenze che ne possono derivare -, l’erronea valutazione del Tribunale che aveva, da un lato, circoscritto la nozione di ”importante forza concorrenziale” ai soli casi in cui un’impresa eserciti una concorrenza particolarmente aggressiva e tale da influenzare la politica dei prezzi dei concorrenti e, dall’altro, imposto alla Commissione di dimostrare le imprese coinvolte costituissero “concorrenti particolarmente stretti” (e non solo “diretti”). Invero, la CGUE, affermando la non necessità di un elemento di particolarità tra le imprese oggetto dell’operazione e le altre presenti sul medesimo mercato, rende concettualmente difficile ipotizzare che possa essere autorizzata una qualsiasi operazione di concentrazione nei mercati oligopolistici dove, secondo questa interpretazione, tutti sono “concorrenti stretti” e tutti sono anche verosimilmente “importanti forze concorrenziali”.

Accogliendo i motivi di impugnazione presentati dalla Commissione e sulla base dell’ampiezza e della natura degli errori evidenziati, la CGUE ha così annullato la sentenza del Tribunale e rinviato la decisione ad una diversa composizione dello stesso.

La sentenza in commento, seppur di fondamentale importanza in ragione della profondità e dell’ampiezza delle questioni trattate, tra cui i limiti della giurisdizione delle corti dell’UE e gli standard di prova richiesti alla Commissione nell’adozione delle decisioni in materia di concentrazioni, rappresenta un passo indietro rispetto alla sentenza del Tribunale, il quale sembrava aver fissato chiari criteri per la valutazione delle operazioni di concentrazioni nei mercati oligopolistici, con particolare riferimenti alla valutazione dei c.d. effetti unilaterali.

Rimangono da valutare le modalità con cui i principi espressi dalla CGUE saranno ora applicati dal Tribunale nella decisione sul rinvio, nonché l’impatto che gli stessi produrranno sulle prassi applicative della Commissione.

Alberto Galasso

---------------------------

Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore del gelato da impulso – Il Consiglio di Stato chiude il cerchio sulla vicenda Unilever confermando la sanzione di oltre 60 milioni di euro per abuso di posizione dominante

Con la sentenza pubblicata lo scorso 11 luglio 2023, il Consiglio di Stato (CdS) - a valle della pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia (CGUE) dello scorso gennaio 2023 - ha respinto il ricorso presentato da Unilever Italia Mkt. Operations S.r.l. (Unilever), confermando la sanzione di oltre 60 milioni di euro impostagli dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

Riepilogando brevemente i fatti, nel 2017 l’AGCM aveva sanzionato Unilever per un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE (la Decisione) nel mercato dei gelati preconfezionati da impulso. L’AGCM aveva ritenuto Unilever responsabile delle condotte poste in essere dai propri distributori nei confronti dei rivenditori finali dei prodotti Unilever, in particolare di esclusive ed altri vincoli contrattuali di carattere escludente nei confronti di altri produttori di gelati concorrenti. La Decisione era stata impugnata prima dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR), poi dinanzi al CdS, che aveva rimesso la questione alla CGUE su due quesiti che andavano al cuore delle valutazioni svolte dall’AGCM:

  • da un lato, l’imputabilità della condotta asseritamente abusiva ad  Unilever, pur essendo stata di fatto attuata dai suoi distributori,
  • dall’altro, lo standard probatorio richiesto nella valutazione di clausole di esclusiva quali quelle poste in essere da Unilever, con particolare riferimento alla necessità o meno di svolgere il c.d. test del concorrente altrettanto efficiente (AECT) e di replicare agli studi economici presentati da Unilever nel contesto della propria difesa.

Sul primo quesito, la CGUE aveva indicato di poter ritenere responsabile l’operatore in posizione dominante per una condotta attuata dai propri distributori laddove venisse dimostrato che tali comportamenti non fossero stati adottati in modo indipendente dai distributori, ma facessero parte di una politica decisa unilateralmente dal produttore. Sul secondo punto, la CGUE aveva in certa misura esteso i principi espressi nella giurisprudenza Intel anche in relazione alle clausole di esclusiva, richiedendo alle autorità garanti della concorrenza di dimostrare alla luce di tutte le circostanze del caso – ed anche delle analisi economiche eventualmente prodotte dall’impresa indagata – l’idoneità della condotta di escludere concorrenti quantomeno altrettanto efficienti.

In sede di rinvio, il CdS ha rigettato in toto il ricorso di Unilever. In particolare, ha ritenuto che, nel caso di specie, l’AGCM avesse correttamente ritenuto responsabile Unilever dell’accertato abuso nella misura in cui la sua rete di distributori (150 distributori all’ingrosso legati da un mandato di concessione con esclusiva bilaterale conferita a tempo indeterminato con divieto di produrre o commercializzare prodotti di operatori concorrenti) altro non era che la longa manus di Unilever nell’attuazione della sua strategia escludente. In particolare, Unilever definiva unilateralmente il piano operativo dei distributori, fissava i loro obiettivi commerciali ed i prezzi finali di listino ed imponeva ai distributori – nelle parole del CdS – contratti standard da “prendere o lasciare” e specifiche istruzioni che i distributori si limitavano ad eseguire. In altre parole, essi si trovavano in una situazione di “sottomissione economica”. Per il tramite dei distributori, quindi, Unilever riusciva ad obbligare i rivenditori a rifornirsi esclusivamente da Unilever. Pertanto, il “rapporto contrattualecontribuiva alla creazione di dipendenze e, per esse, a rendere asfittico il mercato…”. Per tali motivi, doveva ritenersi corretta l’individuazione di una responsabilità in capo ad Unilever, a nulla rilevando che la condotta fosse stata realizzata da soggetti “… formalmente indipendenti [ma che erano] tenuti a eseguirne le istruzioni…”.

Altra questione su cui si è soffermato il CdS era se – pur in presenza di comportamenti astrattamente idonei a generare effetti restrittivi – l’AGCM fosse tenuta a verificare se la condotta contestata fosse o meno priva di offensività in concreto, in particolare svolgendo un AECT e replicando agli studi economici presentati da Unilever nel corso dell’istruttoria. Sul punto, il CdS ha ritenuto che l’AGCM non avesse omesso di valutare le difese economiche di Unilever (fondate sull’AECT). Di contro, con una valutazione tecnico-discrezionale ritenuta dal CdS immune ad un giudizio di legittimità, l’AGCM aveva considerato tali difese non pertinenti ai fatti oggetto del procedimento istruttorio. E ciò nella misura in cui l’utilità dell’AECT test sussisterebbe solo quando sono in analisi condotte di natura “predatoria”, mentre non sarebbe “…decisivo né tanto meno utile…” in presenza di politiche anti-competitive che presentino una più ampia estensione e diversa natura, non direttamente quantificabile in termini economici. Inoltre, l’AGCM avrebbe invero ragionevolmente ritenuto che la ricostruzione analitico-economica di Unilever con riferimento all’AECT fosse viziata nelle sue premesse metodologiche.

In conclusione, la sentenza in commento si inserisce a giusto titolo nel folto panorama che – negli ultimi anni – ha arricchito le indicazioni delle corti nazionali ed europee sui comportamenti escludenti posti in essere dagli operatori dominanti. Il messaggio per le imprese è nel senso di una estensione della possibile responsabilità ai sensi dell’articolo 102 TFUE per condotte poste in essere dai propri distributori qualora esse siano il riflesso di politiche non attuate (di fatto) in modo indipendente da questi ultimi. Come visto, contratti standard (invero frequenti in alcuni modelli distributivi) unilateralmente imposti potrebbero essere interpretati come sintomo di un tale scenario. Inoltre, in linea con quanto suggerito di recente nelle modifiche agli orientamenti della Commissione europea sugli abusi escludenti, l’importanza dell’AECT test è stata in certa misura ridimensionata.

Cecilia Carli

---------------------------

Controllo degli investimenti esteri / Investimenti esteri e interpretazione del Regolamento UE 2019/452 – La CGUE si esprime sulla nozione di investitore extra-EU e sui rapporti con il diritto di stabilimento

In data 13 luglio 2023, con la sentenza C-106/2022 (la Sentenza), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata sulla domanda di rinvio pregiudiziale formulata dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest–Capitale, Ungheria, il Giudice del Rinvio) avente ad oggetto la normativa ungherese sugli investimenti diretti esteri e il Regolamento dell’Unione europea (UE) n. 2019/452 “…che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti esteri diretti nell’Unione…” (il Regolamento FDI) nell’ambito della controversia tra la società Xella Magyarország Építőanyagipari Kft. (Xella) contro l’Innovációs és Technológiai Miniszter (ossia, il Ministero dell’Innovazione e della Tecnologia ungherese, il Ministro).

Come già spiegato nella nostra Newsletter del 3 aprile 2023 dove sono state commentate le conclusioni dell’Avvocato Generale Tamara Ćapeta in relazione alla vicenda, quest’ultima ha origine nel 2021, quando il Ministro ha esercitato il diritto di veto ai sensi della normativa ungherese sugli investimenti diretti esteri (la Normativa Ungherese), vietando l’acquisizione di una società di diritto ungherese, ossia «JANES ÉS TÁRSA» Szállítmányozó, Kereskedelmi és Vendéglátó Kft. (la Target) da parte di Xella, anch’essa società di diritto ungherese ma controllata in ultima istanza da una società registrata nelle Bermuda. La Target è infatti proprietaria di una cava dalla quale sono estratte sabbia, argilla e ghiaia, materie prime considerate “strategiche” ai sensi della Normativa Ungherese. Nella sua decisione di veto (il Veto), il Ministro ha motivato tale provvedimento sottolineando che sarebbe contrario agli interessi nazionali ungheresi, fra i quali la sicurezza dell’approvvigionamento di tali materie prime, permettere a una società indirettamente controllata da una società di un paese terzo (Bermuda) di acquisire il controllo di una società ritenuta “strategica” per gli interessi nazionali.

Al fine di decidere in merito alla validità del Veto, il Giudice del Rinvio ha chiesto alla CGUE, in sostanza, se ed in che misura il diritto dell’UE, nonché il Regolamento FDI, consentano all’Ungheria di adottare una normativa, come la Normativa Ungherese di cui sopra, che limita gli investimenti esteri diretti in imprese situate nell’UE qualora detti investimenti siano realizzati mediante un’altra impresa situata nell’UE.

La Sentenza può essere sinteticamente riassunta nei seguenti due punti:

  • salvo casi specifici (e.g. casi di elusione della normativa), il Regolamento FDI non si applica alle acquisizioni effettuate da acquirenti con sede in uno Stato Membro dell’UE e ciò – e qui risiede un aspetto della sentenza che, immaginiamo, darà adito a non pochi dibattiti - anche se in ultima istanza controllati da soggetti extra-UE;
  • le misure previste dai meccanismi di screening FDI che limitano le libertà fondamentali (in particolare, nel caso di specie, la libertà di stabilimento di cui al Trattato sul Funzionamento dell’UE) possono essere giustificate solo in caso di “minaccia effettiva e sufficientemente grave” ad uno degli interessi fondamentali della collettività, ossia – con riferimento alla libertà di stabilimento – per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.

In particolare, con riferimento al punto i) (che è forse quello più innovativo della Sentenza), la CGUE ha stabilito che lo status di acquirente UE si applica anche alle società controllate stabilite e registrate in uno Stato membro dell’UE, anche in presenza azionisti di controllo indiretti o finali in giurisdizioni non-UE. Salvo casi di elusione, la proprietà diretta o indiretta di società stabilite nell’UE è irrilevante ai fini dell’applicazione de Regolamento FDI dal momento che “…lo status di società dell’UE si fonda […] sul luogo della sede sociale e sull’ordinamento giuridico di appartenenza della società, e non sulla nazionalità dei suoi azionisti…”. Ciò rende inapplicabile a tutti questi casi di proprietà indiretta extra-UE il Regolamento FDI (e meccanismi di consultazione connessi).

Alla luce di quanto sopra, con specifico riferimento alla vicenda in commento, la CGUE ha concluso che, siccome l’acquirente era una società stabilita nella UE (non essendo, per quanto detto, rilevante la presenza nella catena di controllo di un soggetto extra-UE), è necessario garantire a quest’ultimo il rispetto della sua libertà di stabilimento che, pertanto, poteva essere limitata solo in casi eccezionali (e debitamente motivati) di “minaccia effettiva e sufficientemente grave” a ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica. Secondo la CGUE, ciò non era avvenuto con il Veto inter alia perché non si poteva ritenere che l’obiettivo indicato in quest’ultimo, inteso a garantire la sicurezza dell’approvvigionamento a favore del settore edile, per quanto riguarda determinate materie prime di base, vale a dire la ghiaia, la sabbia e l’argilla, derivanti da un’attività di estrazione mineraria, rientri (alla pari dell’obiettivo legato alla sicurezza dell’approvvigionamento dei settori del petrolio, delle telecomunicazioni e dell’energia) tra gli interessi fondamentali della collettività.

Resta ora da vedere le implicazioni di questa innovativa presa di posizione della CGUE su punti rilevanti come la definizione di ‘investitore estero’ e i limiti alla discrezionalità dello Stato membro nell’applicare la normativa nazionale FDI in particolare su quella italiana e sulla sua recente giurisprudenza in materia di Golden Powers (si veda a tal proposito la sentenza del Consiglio di Stato relativa alla veto sull’acquisizione di Verisem, commentata nella nostra Newsletter del 16 gennaio 2023).

Mila Filomena Crispino

---------------------------