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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 11 aprile 2023

Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di dipendenza economica e settore della distribuzione di quotidiani e periodici – Il Consiglio di Stato conferma l’annullamento nel caso A525

Il Consiglio di Stato, con la sentenza del 5 aprile 2023, ha accolto sia il ricorso dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità), sia il terzo motivo di ricorso di primo grado riproposto dalle società appellate To-Dis S.r.l. e M-Dis Distribuzione Media S.p.A. (di seguito, le Società), riconfermando pertanto – seppur con una diversa motivazione – la sentenza del TAR Lazio che aveva annullato il provvedimento dell’AGCM del 20 dicembre 2019; con tale provvedimento alle Società era stata inflitta una sanzione pari a 321.597 euro per avere posto in essere un abuso di dipendenza economica interrompendo arbitrariamente le forniture in danno dell’impresa individuale Rovido Nello (Impresa), distributore locale di stampa quotidiana e periodica nell’area di Genova.

Il Consiglio di Stato – ritenendo l’appello dell’AGCM in parte fondato – ribadisce la propria adesione all’orientamento che prevede l’applicabilità anche ai procedimenti antitrust del termine di ragionevole durata (di 90 giorni) ex articolo 14 della L. 689/1981 per la contestazione dell’illecito, chiarendo che il rispetto di tale termine debba essere verificato – nei procedimenti istruttori antitrust – con l’avvio della fase istruttoria, e non con la comunicazione delle risultanze istruttorie; ove poi il procedimento istruttorio sia stato avviato sulla base di una segnalazione, il termine di 90 giorni per la contestazione dell’illecito decorre da tale momento solo qualora la segnalazione sia veritiera e, soprattutto, completa. Nel caso di specie, è quindi riconosciuto l’errore in cui è incorso il TAR, che aveva annullato la decisione dell’AGCM ritenendo che la stessa fosse in possesso di tutti gli elementi necessari per delineare gli elementi base dell’illecito anche prima dell’ultima integrazione della segnalazione trasmessa dall’Impresa nell’ottobre 2018, e che pertanto, l’istruttoria – avviata nel dicembre 2018 – abbia avuto luogo tempestivamente, nel pieno rispetto del termine di cui all’articolo 14.

Tuttavia, nella stessa sede il Consiglio di Stato è stato chiamato a pronunciarsi anche sull’appello incidentale proposto dalle Società, secondo cui l’Autorità avrebbe erroneamente ritenuto che l’interruzione del rapporto di fornitura sarebbe avvenuto in modo “…assolutamente arbitrario e irragionevole…” e avrebbe determinato un danno per la concorrenza, avendo indebolito di fatto l’Impresa impedendo l’ingresso di un concorrente sul mercato. Secondo le Società, infatti, l’interruzione della fornitura sarebbe stata una conseguenza della cessione da parte dell’Impresa della propria azienda a terzi, senza fornire alle stesse alcuna informazione, in violazione del contratto di distribuzione che, invece, attribuiva alle Società un diritto ad essere informate e la facoltà di recedere dal contratto, nel caso in cui l’Impresa avesse concluso la cessione nonostante il loro dissenso.

Sul punto il Consiglio di Stato non ha ritenuto decisiva la circostanza – sollevata dall’AGCM – della tempistica con cui è stato comunicato il recesso da parte delle Società (avvenuto meno di 24 ore dalla notizia di avvenuta cessione dell’azienda a terzi), in quanto tale urgenza è giustificata secondo il giudice dell’appello dalla gravità della condotta dell’Impresa e dall’esigenza di rispettare il termine per il recesso. Pertanto, sulla base di tali considerazioni, il Consiglio di Stato ha ritenuto che non sia stata raggiunta la prova dell’abusività della condotta delle Società, derivandone da ciò l’annullamento del provvedimento sanzionatorio dell’Autorità, seppure con una diversa motivazione rispetto a quella adottata dal TAR.

In conclusione, la sentenza si pone, dal punto di vista procedurale, in linea con i costanti orientamenti del Consiglio di Stato in materia di applicabilità dei termini di tempestivo avvio della fase istruttoria ai procedimenti antitrust e più in generale, l’applicazione dei principi di buon andamento, efficienza e legalità dell’azione amministrativa anche all’operato dell’AGCM. Sotto il profilo sostanziale, la decisione in commento appare invece individuare nel trasferimento della proprietà della controparte contrattuale una giustificazione obiettiva per l’interruzione di una relazione contrattuale che, altrimenti, potrebbe configurare un abuso di dipendenza economica.

Shirin Farvid

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Advocacy e servizi di pagamento della sosta con app – L’AGCM ha pubblicato una segnalazione omnibus volta ad incentivare la concorrenza in tale mercato

Con la delibera adottata nella riunione dello scorso 14 marzo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha ritenuto di adottare una segnalazione c.d. omnibus ai sensi dell’articolo 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (la Segnalazione), in merito agli ostacoli all’accesso al mercato dei servizi di pagamento della sosta mediante app riscontrati in numerosi comuni italiani.

Il pagamento della sosta delle aree pubbliche di parcheggio può essere eseguito tramite pagamento fisico presso un parcometro (con denaro contante o carta di debito/credito), tramite l’acquisto di titoli di sosta fisici presso rivenditori autorizzati (es. tagliandi presso le tabaccherie) ovvero, infine, tramite l’utilizzo di app presenti su smartphone che consentono l’acquisto diretto del titolo di sosta sia tramite carta di credito, sia tramite operatore, sia via SMS. Come già chiarito dall’AGCM con il parere n. AS-1198 del 18 giugno 2015 sulle “modalità di affidamento dei servizi di pagamento della sosta su strisce blu in aree comunali tramite smartphone”, nonché con il più recente parere n. AS-1770 del 3 giugno 2021 sul “pagamento nelle aree di sosta tramite smartphone”, gli operatori che erogano tali servizi di pagamento agiscono in un mercato liberalizzato, aperto alla concorrenza e non soggetto in linea di principio ad alcuna “privativa pubblicistica”.

Dalle evidenze raccolte è invece emerso che solo in pochi comuni le amministrazioni che gestiscono le aree pubbliche di sosta (oppure le società concessionarie, pubbliche o private, da queste selezionate per lo svolgimento di tale attività) hanno adottato una regolazione “aperta” che favorisce la concorrenza nel mercato nell’offerta dei servizi di pagamento della sosta mediante app da parte degli operatori di mercato, senza alcuna restrizione. Un numero rilevante di comuni italiani, invece, ha posto in essere una regolazione ovvero una serie di condotte con effetti escludenti, quali (i) l’affidamento in esclusiva del servizio di pagamento, con inevitabili effetti preclusivi tout court di qualsiasi pressione concorrenziale sull’affidatario unico; (ii) l’introduzione di un numerus clausus di operatori attivi sul mercato; nonché (iii) l’imposizione di elevate barriere economiche all’ingresso di nuovi operatori.

A fronte di tali condotte, l’AGCM rileva che l’affidamento in esclusiva del servizio di pagamento in questione – al pari delle altre misure ostative alla concorrenza – “non trova alcuna giustificazione sotto il profilo antitrust”, non sussistendo alcun ostacolo tecnico alla gestione simultanea del servizio da parte di diversi operatori. Non si ravvisa quindi in tutti questi casi “…il principale presupposto per l’affidamento di un diritto di esclusiva a favore di un solo fornitore né è giustificabile il ricorso al concetto del ‘numero chiuso’ di operatori da selezionare…”, dal momento che tutti coloro che sono in grado di garantire all’ente locale il possesso di adeguati requisiti tecnici e finanziari devono avere la possibilità di erogare il servizio. In altri termini, afferma l’AGCM, “…l’ente gestore della sosta si dovrebbe limitare, come già avviene in molti Comuni, a bandire una manifestazione di interesse aperta alla partecipazione di tutti gli operatori. Il regime di concorrenza nel mercato è infatti quello più idoneo a garantire un corretto confronto competitivo tra operatori…”.

In conclusione, l’AGCM sollecita i comuni verso la “…adozione di un regime volto a favorire la concorrenza nel mercato tra i vari operatori nel settore dei servizi di pagamento della sosta tramite app, essendo tale regime il più idoneo a garantire un corretto confronto competitivo”, demandando all’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) di rendicontare entro il termine di 30 giorni le iniziative adottate per promuovere la rimozione delle violazioni della concorrenza menzionate sopra; resta quindi da vedere se, nel silenzio eventuale delle amministrazioni, l’AGCM interverrà con altri strumenti.

Alessandro Canosa

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore delle telecomunicazioni – L’AGCM sanziona quattro società di telecomunicazioni per un totale di un milione di euro per pratiche commerciali scorrette in esito al recesso esercitato dai consumatori dai servizi di telefonia

Mediante quattro provvedimenti adottati lo scorso 14 marzo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha irrogato ammende per un totale di un milione di euro nei confronti di altrettante società attive nel mercato delle telecomunicazioni – Vodafone Italia S.p.A., Fastweb S.p.A., Telecom Italia S.p.A. e Wind Tre S.p.A. (congiuntamente, le Società) – ritenendole responsabili di pratiche commerciali scorrette nello svolgimento delle attività di gestione delle cessazioni delle utenze di telefonia fissa e mobile.

Secondo l’AGCM, le Società avrebbero posto in essere condotte, analoghe tra di loro, a danno dei consumatori e delle microimprese (i Soggetti Danneggiati) che avevano comunicato la propria intenzione di recedere da utenze di telefonia fissa o mobile, ovvero avevano richiesto la migrazione dell’utenza verso un altro operatore. In particolare, oltre a non informare adeguatamente i Soggetti Danneggiati in merito allo stato del rapporto contrattuale a seguito delle loro richieste, le Società avrebbero continuato ad emettere fatture per tali servizi anche a distanza di mesi (i) dalla comunicazione da parte dei Soggetti Danneggiati della cessazione del rapporto di fornitura, nonché (ii) dalla migrazione verso altri operatori e dando luogo, in tale ultimo caso, ad una doppia fatturazione, dal momento che ai Soggetti Danneggiati veniva richiesto di saldare le fatture del nuovo e del vecchio operatore.

Il tutto, nonostante una penetrante disciplina di settore disponga (i) un pieno diritto dei consumatori al recesso dai contratto di servizio di fonia in qualunque momento, anche prima della naturale scadenza dello stesso, senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e con obbligo di preavviso massimo di 30 giorni; (ii) che la gestione delle pratiche di recesso e/o migrazione debba avvenire entro un termine massimo di 30 giorni; e che, infine, (iii) eventuali spese per la gestione di tali pratiche debbano essere “commisurate al valore del contratto e ai costi reali sopportati dall’azienda ovvero ai costi sostenuti per dismettere la linea telefonica o trasferire il servizio”, non potendosi domandare alcunché (ad esempio, multe penitenziali, penali) agli utenti a seguito del recesso o della migrazione.

Nei provvedimenti in commento, l’AGCM sembra aver solo marginalmente tenuto conto del parere dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCom) secondo cui (almeno parte dei) disservizi e problemi verificatisi sarebbero da imputare non tanto a inefficienza o scorrettezza delle Società, bensì alla complessità tecnica-regolatoria delle procedure di recesso e migrazione.

L’AGCM, tuttavia, ha ritenuto che le Società avrebbero dovuto fare fronte a tali complessità evidenziate dall’AGCom attraverso una adeguata organizzazione dei propri processi. In particolare, facendo leva (i) sul numero particolarmente alto di reclami promossi dai Soggetti Danneggiati nei confronti del totale delle procedure di recesso/migrazione, e (ii) sugli alti valori di fondatezza dei medesimi reclami, l’AGCM ha sostanzialmente ritenuto che le procedure aziendali interne alle Società per la gestione di tali operazioni presentassero criticità ben superiori a quelle fisiologiche, idonee a rappresentare un insormontabile ostacolo per i Soggetti Danneggiati ad esercitare i propri diritti.

Al tempo stesso, dal momento che (i) tutte le Società, nelle more dei rispettivi procedimenti, hanno adottato numerosissime misure volte a rendere i procedimenti di gestione delle richieste di cessazione e migrazione delle utenze più trasparenti ed efficaci – per esempio, informando tempestivamente gli utenti della presa in carico della propria richiesta, l’interruzione delle attività di recupero crediti in caso di reclamo da parte del cliente, così da poter procedere alle necessarie verifiche in merito alla sua fondatezza prima di esporre il consumatore a pressione e sollecitazioni per il recupero dei crediti – e (ii) hanno altresì predisposto numerose misure di ristoro nei confronti dei Soggetti Danneggiati, le sanzioni finali irrogate dall’AGCM alle Società sono state ridotte rispetto al valore di base di oltre il 90% (con punte del 95%, nel caso di Telecom Italia S.p.A.).

I provvedimenti in commento rappresentano validi esempi, da un lato, della particolare attenzione da parte dell’AGCM all’analisi di tale tipologie di condotte che, sebbene inserite in un contesto di particolare complessità tecnica e regolatoria, possono dar luogo a danni economici ingenti per i consumatori, nonché, dall’altro, della seria disponibilità dell’AGCM a considerare in maniera significativa eventuali misure a carattere correttivo e ripristinatorio (c.d. ravvedimento operoso) poste in essere dagli operatori soggetti ad istruttoria nelle more dei procedimenti.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Legal News / Corte europea dei diritti dell’uomo e ispezioni antitrust – La Corte EDU si pronuncia sulla necessità di un controllo giurisdizionale sull’operato di un’autorità garante della concorrenza durante dawn raids alla luce delle garanzie previste dalla Convezione Europea sui Diritti dell’Uomo

Il 4 aprile scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo (la Corte Edu) si è pronunciata su un ricorso volto a far dichiarare che l’assenza di un controllo giurisdizionale sull’operato del Consiglio della concorrenza lituana (CC) durante l’ispezione effettuata presso i locali commerciali di UAB Kesko Senukai Lithuania (la Società), società che gestisce una catena di negozi di fai-da-te, non garantisse una salvaguardia effettiva ed adeguata dei diritti dei soggetti ispezionati.

La vicenda ha avuto origine nell’aprile del 2018, quando il CC apriva un’indagine nei confronti della Società e di altre quattro società attive nel settore retail per asserite pratiche anticoncorrenziali aventi ad oggetto la fissazione di prezzi di taluni beni venduti nei loro negozi. Nel corso dell’istruttoria, il CC aveva ottenuto un’autorizzazione giudiziale per effettuare delle ispezioni presso le società sospettate di far parte di tale intesa, tra cui la Società. Durante le ispezioni presso quest’ultima, il CC aveva esaminato e sequestrato una quantità ingente di documenti cartacei (più di 400 pagine) ed elettronici (più di 250GB).

Dopo l’ispezione, a seguito di un’istanza di restituzione e/o stralcio della documentazione irrilevante ai fini dell’istruttoria da parte della Società, il CC rispondeva manifestando la necessità che la Società giustificasse tale richiesta per ciascuno dei documenti acquisiti. Il CC, dopo essere stato informato che la mole di documenti non avrebbe permesso alla Società di soddisfare tale ordine, rigettava la richiesta. La Società depositava quindi un reclamo al CC lamentando la violazione di una serie di diritti individuati dalla legislazione lituana a tutela dei diritti dei soggetti durante le ispezioni e, in particolare, denunciava che il CC non avrebbe chiarito il perimetro dell’ispezione né spiegato le motivazioni del coinvolgimento del corpo di polizia ai dipendenti della Società, non avendo neppure informato adeguatamente questi ultimi in merito ai loro diritti e, da ultimo, acquisendo una quantità sproporzionata di documenti senza accertarne la rilevanza ai fini dell’istruttoria.

Suddetto reclamo veniva respinto dal CC e dal giudice amministrativo che rigettava i ricorsi qualificandoli come improcedibili, in quanto la decisione del CC in merito al proprio modus procedendi durante l’ispezione, trattandosi di un documento meramente procedurale adottato in attesa della conclusione dell’istruttoria, non arrecava alcun pregiudizio alla Società.

La Società, avendo esaurito i ricorsi interni, adiva quindi la Corte EDU lamentando, da un lato, l’illegittimità dell’operato del CC durante l’ispezione e, dall’altro, il rifiuto del giudice amministrativo di pronunciarsi sul suo ricorso, sostenendo la violazione degli articoli 6, paragrafo 1, 8 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (la Convenzione).

La Corte EDU si è ora pronunciata esclusivamente sulla seconda doglianza, ovvero sulla legittimità del rifiuto del giudice amministrativo di pronunciarsi sul ricorso della Società.

Pur ricordando che l’articolo 8 della Convenzione non deve essere interpretato nel senso che il ricorso giurisdizionale deve essere sempre garantito in tutti i casi che riguardano le ispezioni dei locali di società, la Corte EDU ha affermato che, nel valutare l’operato di un’autorità durante le ispezioni rispetto alle garanzie di cui all’articolo 8 della Convenzione, la possibilità di adire il giudice amministrativo dovesse essere considerata insieme ad altri fattori che la legge individua per tutelare i diritti dei soggetti ispezionati.

La Corte EDU dapprima riconosce non solo che la legislazione lituana indica regole e limiti ben precisi che devono essere rispettati da chi conduce un’ispezione, ma anche che prevede che un’istanza di una parte rigettata dal CC potesse essere impugnata di fronte al giudice amministrativo.

In secondo luogo, la Corte EDU rileva che il giudice amministrativo lituano si era pronunciato diverse volte su casi simili e/o analoghi e che il ricorso presentato della Società fosse stato l’unico ad essere dichiarato improcedibile. Inoltre, veniva riconosciuta la mancanza di ragionevolezza e proporzionalità nella richiesta del CC di rendere giustificazioni per ciascun documento per ottenerne la restituzione o lo stralcio.

Infine, posto che l’istruttoria veniva conclusa senza l’accertamento di un’infrazione, il reclamo della Società al CC concernente la proporzionalità della mole di documenti sequestrati e, più in generale, il suo operato durante l’ispezione, non è mai stato passato al vaglio di alcun controllo giurisdizionale.

In linea con la sua pregressa pratica decisionale, la Corte EDU ha quindi ritenuto che la mancanza di un controllo giurisdizionale sulla decisione del CC avesse integrato una violazione dell’articolo 8 della Convenzione, in quanto l’intervento del giudice amministrativo avrebbe rappresentato una garanzia efficace contro l’arbitrarietà del comportamento del CC per salvaguardare i diritti dei soggetti ispezionati.

Alla luce della recente giurisprudenza della Corte EDU, ma anche della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, è interessante rilevare un aumento del contenzioso relativo a decisioni adottate ad interim dalle autorità nazionali della concorrenza in tema di ispezioni, e ci si chiede come queste autorità saranno effettivamente in grado di svolgere le loro attività ispettive e, più in generale, di indagine, nel rispetto dei diritti di difesa delle parti, anche nell’interesse ultimo di preservare la legittimità dei procedimenti e per garantire un’applicazione efficace del diritto antitrust.

Sabina Pacifico

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