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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di dipendenza economica e franchising – L’AGCM conclude il procedimento nei confronti di Benetton accogliendo gli impegni proposti dall’impresa

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha chiuso il procedimento A543 (il Procedimento) nei confronti di Benetton S.r.l. e Benetton Group S.r.l. (congiuntamente, Benetton o il franchisor), relativo a condotte suscettibili di integrare un abuso di dipendenza economica in danno dei franchisee, accettando gli impegni presentati dal franchisor.

Il Procedimento era stato avviato nel 2020 a seguito di una articolata segnalazione proveniente dal legale rappresentante di una società – fallita nel 2007 – attiva nella gestione due punti vendita in franchising e legata al marchio Benetton da diversi anni. Nella propria segnalazione, il franchisee segnalava la propria dipendenza economica da Benetton in ragione dei significativi investimenti richiesti per adeguare la struttura di vendita alle richieste del franchisor ed il prodursi di una significativa esposizione debitoria nei confronti di quest’ultimo, il quale avrebbe inoltre abusato di tale condizione di dipendenza economica imponendo clausole contrattuali eccessivamente gravose ed idonee a condizionare seriamente l’autonomia imprenditoriale del franchisee (in particolare, con riguardo alle scelte strategiche nella gestione dei punti di vendita, come l’acquisto di determinati quantitativi di merce, la predisposizione di complessi sistemi di gestione degli ordini e sistemi di riassortimento automatico dello stock).

Nel corso dell’istruttoria, il franchisor si è determinato a presentare un set di impegni, successivamente integrato all’inizio dell’anno per dare seguito alle osservazioni formulate dal segnalante. Tra gli impegni di maggiore significato si evidenziano:

  • la definizione di una procedura di sospensione delle forniture – c.d. blocco merci – in caso di inadempimento dell’affiliato alle specifiche obbligazioni derivanti dal contratto di franchising (ovvero, nell’eventualità del mancato pagamento della merce ordinata e consegnata), in virtù dell’indipendenza dei diversi rapporti negoziali tra il franchisor e l’affiliato;
  • l’eliminazione del riferimento contrattuale di un budget minimo di acquisto nei rapporti contrattuali di franchising;
  • l’eliminazione del sistema automatico di riassortimento;
  • l’introduzione di una disposizione contrattuale che, in caso di cessazione del rapporto di franchising, prevede il riacquisto al valore di mercato degli arredi identificati al momento della firma del contratto. La nuova modalità di calcolo del valore degli arredi in caso di riacquisto è tale da permettere l’ammortamento dei costi sostenuti per l’avvio dell’attività, tendenzialmente ancorato al valore corrente del bene sul mercato;
  • il riconoscimento del diritto del franchisee di recedere dal contratto una volta decorso il primo anno di durata del rapporto, con preavviso di 6 mesi. Ciò, con l’impegno del franchisor a non consegnare la merce ordinata per la stagione successiva in caso di cessazione anticipata del rapporto contrattuale e a non avanzare alcuna pretesa in ordine al pagamento di tali prodotti non consegnati.

Nelle proprie conclusioni l’Autorità ha riconosciuto che le modifiche contrattuali proposte dal franchisor “…appaiono proprio volte a ripristinare una dinamica commerciale informata ai principi di leale collaborazione tra imprese...”. Quanto agli aspetti risarcitori pure invocati dal segnalante, l’Autorità si è limitata a precisare – richiamando consolidata giurisprudenza sul punto – che gli impegni devono essere in grado di rimediare integralmente alle preoccupazioni concorrenziali prospettate in sede di avvio, non essendo invece necessario che questi siano inoltre idonei a riparare le condotte poste in essere con effetto retroattivo. Nemmeno hanno trovato accoglimento le misure invocate dal segnalante al fine di mitigare il rischio di impresa del franchisee – per esempio, attraverso la restituzione della merce invenduta o l’applicazione del contratto di conto vendita – perché tali misure potrebbero trovare applicazione nella sola eventualità in cui il quantitativo di merce da vendere fosse definito in autonomia dal franchisor; proprio al contrario – rileva l’Autorità – il modello commerciale che Benetton si impegna ad introdurre prevede che tale variabile sia determinata e gestita liberamente dal franchisee.

L’AGCM ha quindi concluso che le modifiche proposte da Benetton sono di per sé idonee a garantire un adeguato margine di autonomia nelle più importanti scelte imprenditoriali dei franchisee, pur garantendo il mantenimento di quegli standard qualitativi e di quell’uniformità di immagine del brand necessari al corretto funzionamento del rapporto di franchising.

Con la decisione dell’AGCM gli impegni sono stati resi vincolanti, senza l’accertamento di alcuna infrazione. Il provvedimento in esame, inoltre, conferma la tendenza dell’AGCM all’utilizzo di tale istituto nel contesto dei procedimenti per abuso di dipendenza economica – a sua volta una fattispecie per molto tempo non perseguita dall’AGCM, e che è invece divenuto uno strumento importante nell’enforcement negli ultimi 3 anni.

Antonino Iago Gentile

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Abuso di posizione dominante e settore ferroviario – Le Sezioni Unite della Cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso di RFI e Trenitalia contro la decisione del Consiglio di Stato relativa alla condotta escludente delle imprese sul mercato del trasporto ferroviario

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (la Cassazione), con ordinanza del 13 febbraio 2023, n. 4291, hanno dichiarato inammissibile il ricorso delle società Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. e Trenitalia S.p.A. (gruppo FS) contro la decisione del Consiglio di Stato (il CdS) – già commentata in questa Newsletter – che, nel 2021, aveva parzialmente confermato le sanzioni dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per complessivi 200.000 euro alle suddette società per un abuso di posizione dominante consistente, nella sostanza, nell’aver frapposto ostacoli all’ingresso di nuovi operatori nel mercato ferroviario, fornendo a questi ultimi informazioni ad esclusiva disposizione del gruppo FS in ritardo e con modalità non corrette.

A fronte del ricorso presentato, la Cassazione definisce i confini del suo sindacato giurisdizionale ai sensi dell’articolo 111, comma 8, della Costituzione. Conferma, al riguardo, l’orientamento di legittimità che, in merito alla sindacabilità dei provvedimenti giudiziari resi dai giudici speciali per motivi di giurisdizione, la intende limitata alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (ossia, quelle ipotesi in cui il giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa ovvero, erroneamente, neghi che la materia possa formare oggetto di cognizione giurisdizionale) ovvero di difetto relativo di giurisdizione (ossia, quando il giudice violi i limiti esterni della propria giurisdizione pronunciandosi su materie attribuite alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero ometta di pronunciarsi su materie che vi rientrano). La Cassazione richiama a sostegno le determinazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) che, nel caso Ranstad c. Italia (C-497/20), ha sancito la compatibilità di una disposizione nazionale come quella italiana, che impedisce di contestare la conformità al diritto europeo di una sentenza del CdS dinanzi alla Cassazione, con il principio di tutela effettiva ed equivalente delle posizioni soggettive garantite dal diritto europeo rispetto a quelle di diritto interno.

È confermato, in questo modo, il superamento del precedente orientamento delle Sezioni Unite, più ampio, che attribuiva alla nozione di eccesso di potere giurisdizionale la più estesa accezione di radicale stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o europee, e per cui si riconoscevano ipotesi di denegata giustizia anche in caso di errori in procedendo che si traducessero in una interpretazione delle norme europee in contrasto con quelle fornite dalla Corte di Giustizia Europea, sì da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo (in tal senso SS.UU. 29 dicembre 2017, n. 31226).

Le Sezioni Unite evidenziano, inoltre, il principio per cui il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell'AGCM, pur non estendendosi al merito con conseguente sostituzione di un proprio provvedimento con quello impugnato, comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento dell’atto e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicarne della legittimità. Rimangono, perciò, esclusi i soli profili che includano valutazioni ed apprezzamenti che presentino un oggettivo margine di opinabilità, nel qual caso il sindacato è limitato alla verifica della non esorbitanza dai suddetti margini di opinabilità, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità.

Infine, è stata esclusa la possibilità di sindacare il mancato rinvio pregiudiziale alla CGUE da parte del CdS che è, nella controversia, unico giudice chiamato ad applicare il diritto europeo. La Cassazione si riconosce, infatti, non competente, essendo giudice della sola giurisdizione e nei soli limiti suddetti.

In conclusione, la sentenza in commento rappresenta un nuovo, importante punto di riferimento sia, in generale, con riguardo alle tematiche dell’ambito della giurisdizione della Cassazione e del CdS nell’esame delle decisioni dell’AGCM sia, più specificamente, in relazione alla possibilità, nei rispettivi giudizi, di invocare la contrarietà con il diritto dell’Unione europea (il quale ovviamente costituisce un parametro fondamentale nell’applicazione nazionale del diritto antitrust, ma la cui rilevanza è ora stata fermamente sottratta alla cognizione della Cassazione in sede di ricorsi avverso decisioni del CdS).

Alberto Galasso

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Abuso di posizione dominante e settore dell’editoria – Il Consiglio di Stato rigetta il ricorso della SIAE e conferma l’abuso di posizione dominante accertato dall’AGCM

Con la sentenza n. 1580 del 2023 il Consiglio di Stato (il CdS) ha rigettato il ricorso proposto dalla Società Italiana degli Autori ed Editori (la SIAE) contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR Lazio), che aveva anche essa rigettato il ricorso contro il provvedimento n. 27359 del 25 settembre 2018 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità). Con tale decisione, adottata ad esito del procedimento A508, l’AGCM aveva accertato un abuso di posizione dominante in violazione dell’articolo 102 del TFUE da parte della SIAE.

L’AGCM, più in particolare, aveva addebitato alla SIAE una pluralità di condotte poste in essere almeno dal 1° gennaio 2012 fino al momento dell’adozione del provvedimento sanzionatorio e complessivamente finalizzate a escludere i concorrenti dai mercati relativi ai servizi di gestione dei diritti d’autore non inclusi nella riserva, a favore della SIAE, originariamente prevista dall’articolo 180 della legge sul diritto d’autore (LDA), nonché a impedire il ricorso all’autoproduzione da parte dei titolari dei diritti d’autore, garantita dallo stesso articolo 180, comma 4, mediante lo svolgimento sine titulo di attività economiche che il singolo avrebbe potuto compiere personalmente. La strategia escludente frutto di tali condotte avrebbe permesso alla SIAE di perpetuare una situazione di monopolio non supportato dalla normativa prevista dalla LDA, determinando una compressione del diritto di scelta dell’autore e la preclusione all’offerta dei servizi di gestione dei diritti d’autore da parte dei concorrenti.

Il CdS, pur confermando la violazione dell’articolo 102 TFUE e la sanzione simbolica di 1.000 euro inflitta alla SIAE, cui si aggiungeva il divieto di prosecuzione delle condotte contestate e l’ordine di astensione da condotte analoghe a quelle censurate, ha ridimensionato le contestazioni dell’AGCM, non avendo riscontrato abusi per estensione ai mercati non riservati, con riferimento al settore della tutela delle opere dal plagio e in relazione agli utilizzi online delle opere.

Con riguardo al primo profilo, in particolare, il CdS ha ritenuto non sussistente la pratica di bundling tra il servizio di tutela dal plagio e i servizi di gestione. Vista la mancata individuazione da parte dell’AGCM di elementi documentali idonei a dimostrare l’esistenza di clausole negoziali che richiedevano un’accettazione cumulata da parte dell’autore sia del servizio di intermediazione, sia del servizio di deposito degli inediti o, comunque, di pratiche della SIAE tese ad impedire il deposito presso terzi degli inediti (per la tutela dal plagio) delle opere acquisite ai meri fini di intermediazione.

Circa l’onere della prova dell’AGCM, è importante osservare il richiamo operato dal CdS alla sentenza resa dallo stesso organo giudicante ad esito del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea relativo alla causa C-377/20 (Servizio Elettrico Nazionale S.p.A.) e oggetto di analisi in questa Newsletter, nella misura in cui si ribadisce che l’Autorità sia chiamata a dimostrare che una pratica di un’impresa in posizione dominante sia idonea a pregiudicare una struttura di effettiva concorrenza ricorrendo a risorse o mezzi diversi da quelli su cui si basa una concorrenza fondata sui meriti (pur senza dover dimostrare la capacità della condotta di arrecare un danno diretto ai consumatori).

Rispetto al secondo dei profili prima indicati, ossia l’utilizzo online delle opere tutelate, il CdS ha accertato che la SIAE consentiva agli autori – sia all’atto del conferimento dell’incarico di intermediazione, sia in pendenza del rapporto negoziale – di limitare l’ambito oggettivo dell’attività commissionata alla stessa, di modo tale da escludere detti utilizzi online.

Confermando, dunque, l’esistenza di condotte della SIAE idonee a produrre effetti escludenti capaci di rendere più difficile la penetrazione o il mantenimento di concorrenti nei mercati aperti alla concorrenza e non coperti dalla riserva di cui all’articolo 180 della LDA e altresì idonee a ostacolare l’autoproduzione autoriale (operante anche nei mercati riservati), il CdS ha ritenuto che il comportamento della SIAE avesse inciso sui rapporti con gli autori (i) imponendo loro una gestione da parte della SIAE del loro intero repertorio presente e futuro; (ii) impedendo la limitazione dei mandati in relazione alle modalità e alle forme di esercizio dello stesso diritto suscettibili, invece, di autonoma considerazione; (iii) estendendo, peraltro, la gestione ad autori o coautori non iscritti alla SIAE con effetti escludenti nei confronti degli altri operatori nel mercato; (iv) ritenendo incorrettamente riconducibile alla riserva di cui all’articolo 180 della LDA anche la gestione del repertorio straniero (i.e., delle opere pubblicate per la prima volta all’estero o di autori non domiciliati in Italia).

Le condotte abusive della SIAE – sottolinea il CdS – avrebbero anche inciso sui rapporti con le controparti emittenti televisive dei contratti di concessione di licenza, in quanto le clausole negoziali di detti contratti erano inidonee a tenere conto, nella determinazione del sistema tariffario, della variabilità dell’indice di rappresentatività della SIAE e della portata dell’uso del repertorio cui gli utilizzatori erano effettivamente interessati, così riducendo il budget a disposizione delle emittenti televisive per la contrattazione con gli operatori alternativi in virtù della applicazione di tariffe eccessive.

I giudici di Palazzo Spada hanno chiarito, peraltro, che gli effetti negativi sul piano concorrenziale delle condotte contestate dall’Autorità e confermate in giudizio di appello, non fossero controbilanciati da vantaggi in termini di efficienza a beneficio degli utenti (autori, editori e utilizzatori), in particolare in termini di prezzi, di scelta, di qualità o di innovazione, ed anzi, è stata evidenziata la limitazione dell’offerta di servizi di intermediazione caratterizzati dall’elevata componente tecnologica, sia nel controllo sull’utilizzo delle opere tutelate, sia nei procedimenti di ripartizione tra gli aventi diritto.

La sentenza del CdS conferma dunque che, in mercati oggetto di riserva legale, nel caso di specie ai sensi dell’articolo 180 LDA, tale riserva debba essere interpretata ed applicata restrittivamente, potendo altrimenti un operatore monopolista incorrere in un abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE.

Francesca Incaprera Huerta

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Appalti, concessioni e regolazione / Riforma dei servizi pubblici locali – Entrato in vigore il 31 dicembre 2022 il nuovo testo unico, che ha totalmente riformato la disciplina di settore, anche con riferimento a definizioni, affidamento e organizzazione dei servizi pubblici locali

Con il decreto legislativo n. 201 del 23 dicembre 2022 è stato adottato l’atteso testo unico di riforma dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (la Riforma) che, finalmente, tenta di mettere ordine alla disciplina dei servizi pubblici erogati dagli enti locali, da almeno un decennio frammentata in numerose disposizioni eterogenee. Si ricorda infatti che il settore in questione era caratterizzato da una ricchezza di fonti normative quasi senza precedenti, in cui concorrevano, inter alia, sia alcune disposizioni generali previste nel Testo unico degli Enti Locali, sia disposizioni di dettaglio contenute in diversi decreti-legge, nonché fonti europee direttamente applicabili oltre a numerose discipline settoriali (e.g., per acqua, rifiuti, trasporto pubblico locale, ecc.) il cui rapporto con la disciplina generale era spesso incerto.

In tale contesto, la Riforma stabilisce, da un lato, un regime generale applicabile a tutti i servizi pubblici erogati a livello locale con abrogazione della precedente disciplina generale e, dall’altro, la prevalenza della nuova disciplina, salvo espressa disposizione della Riforma stessa, anche sulla normativa speciale prevista per i diversi settori. Nondimeno, alcuni servizi pubblici sono stati comunque esclusi dall’applicazione della Riforma con la conseguenza che tali settori (i.e., i servizi di distribuzione dell’energia elettrica e del gas) continueranno ad essere disciplinati dalla normativa speciale di riferimento.

Tra i punti più rilevanti della Riforma, si segnala la decisione di far coincidere la nozione di servizi pubblici locali di rilevanza economica (SPL), presente da tempo nell’ordinamento italiano e tradizionalmente riferita a quelle attività riservate alle amministrazioni pubbliche o a concessionari privati, con quella di servizi di interesse economico generale (SIEG), prevista dalla disciplina europea e ben più ampia della prima, in quanto riferibile anche ai casi in cui le attività sono svolte da operatori privati in regime di concorrenza (non in concessione) ma con la previsione di specifici obblighi di servizio pubblico. La Riforma ha ora identificato i servizi pubblici con quelle attività che (a) sono o potrebbero essere svolte sul mercato; (b) senza un intervento pubblico, non sarebbero svolte, oppure sarebbero svolte a condizioni differenti; e (c) sono necessarie per soddisfare i bisogni delle comunità locali di riferimento.

In linea con quanto sopra, con riferimento all’istituzione di un servizio pubblico da parte dell’ente locale di riferimento, la Riforma stabilisce, da un lato, una procedimentalizzazione di tale decisione – con previsione dell’obbligo di procedere ad apposita istruttoria ed eventualmente ad una consultazione pubblica e, dall’altro, impone una graduazione dell’intervento pubblico, secondo i principi di proporzionalità e sussidiarietà: da una decisione di non intervenire sul mercato, eventualmente accompagnata dalla previsioni di sussidi o finanziamenti, all’imposizione di obblighi di servizio pubblico sugli operatori esistenti sul mercato (eventualmente dietro corrispettivo), alla decisione di riservare una data attività all’amministrazione ovvero ad un soggetto terzo da essa designato (i.e., il concessionario), fino ad ipotesi di gestione o affidamento diretti.

In particolare, ove gli enti locali ritengano non sufficiente l’imposizione di obblighi di servizio pubblico per salvaguardare l’interesse della comunità di riferimento, e ritengano quindi di svolgere direttamente il servizio pubblico, ovvero affidarlo ad un singolo operatore o a un numero limitato di operatori, la Riforma conferma le diverse modalità di affidamento già previste dalla precedente disciplina: (a) l’indizione di una procedura di gara ad evidenza pubblica (in linea con il D.lgs. n. 50 del 2016 – Codice degli Contratti Pubblici); (b) l’affidamento ad una società mista (in linea con il D.lgs. n. 175 del 2016 – Testo Unico delle società pubbliche); (c) l’affidamento in house ovvero (d) in casi particolari, l’affidamento ad una azienda speciale. Per quanto qui interessa, si segnala che l’affidamento in house viene inteso come l’extrema ratio dell’intervento pubblico sul mercato e, pertanto, le condizioni per il suo ricorso sono state ulteriormente irrigidite, con la previsione di un obbligo di motivazione rafforzata in capo all’ente locale e la limitazione della sua durata a cinque anni, salva diversa ed adeguata motivazione dell’ente affidante.

La Riforma presenta ulteriori elementi di interesse, tra cui, inter alia, il principio di separazione dell’attività di regolazione dei servizi pubblici, affidata agli enti nazionali e regionali di regolazione già istituiti, dall’attività di concreta gestione del servizio. A tal fine, vengono stabilite rigide incompatibilità tra gli incarichi presso gli enti di regolazione e i gestori dei servizi pubblici anche con riferimento ai consulenti che, nel caso abbiano prestato attività nei confronti del regolatore, non potranno ricevere per un anno alcun incarico da parte dei gestori.

In conclusione, si deve riconoscere alla Riforma il pregio di aver razionalizzato la frammentaria disciplina che per anni aveva interessato il settore di riferimento, in parte confermando i principi e le regole già previste e, dall’altro, introducendo alcune significative novità, quale l’equiparazione tra SPL e SIEG. Ancora potenzialmente problematica appare invece l’esclusione di alcuni rilevanti settori, come quello dell’energia elettrica e del gas, ovvero il mantenimento di ampie porzioni della normativa settoriale (non abrogata e suscettibile di applicazione per profili su cui la Riforma non disponga), così da frustrare, almeno in parte, l’ambizione della Riforma di diventare un “vero” testo unico dei servizi pubblici locali.

Enrico Mantovani

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Regolamentazione e telecomunicazioni – La Commissione europea presenta un nuovo pacchetto di misure per accelerare l’infrastrutturazione a banda ultralarga

Una (i) proposta di regolamento che propone nuove misure per consentire una diffusione più rapida ed efficace delle reti Gigabit in tutta l’Unione europea, tra cui la facilitazione degli iter amministrativi per la messa in posa delle infrastrutture in fibra e 5G; una (ii) proposta di raccomandazione che mira a fornire orientamenti alle autorità nazionali di regolamentazione sulle condizioni di accesso alle reti di telecomunicazioni degli operatori che detengono un significativo potere di mercato (SPM), al fine di incentivare lo switch-off delle tecnologie preesistenti e la diffusione accelerata delle reti Gigabit, nonché (iii) una consultazione volta – tra le altre cose – a comprendere come l’aumento della domanda di connettività e i progressi tecnologici possano incidere sugli sviluppi del settore e capire se e come debba chiedersi agli operatori OTT (over the top) di contribuire agli investimenti delle società di telecomunicazioni. Questi sono i tre documenti che compongono il “Connectivity package” presentato lo scorso 23 febbraio dalla Commissione europea (la Commissione) nel contesto degli obiettivi del Decennio digitale 2030.

Per quanto concerne la proposta di regolamento (il Gigabit Act), l’intento sottostante è quello di superare alcune difficoltà connesse alla realizzazione dell’infrastruttura fisica, riducendo la burocrazia, i costi e gli oneri amministrativi associati al dispiegamento delle reti Gigabit, semplificando e digitalizzando le procedure correlate. Le misure renderanno anche più agevole la richiesta dei permessi e dovrebbero ridurre i loro tempi di ottenimento. Il Gigabit Act rafforzerà inoltre il coordinamento delle opere tra gli operatori di rete per la realizzazione dell’infrastruttura fisica di posa sottostante (e.g., torri, condotti e piloni) che rappresentano una percentuale consistente dei costi di installazione della rete. Inoltre, uno dei punti principali attiene il fatto che tutti gli edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni importanti (tranne limitate eccezioni) dovranno disporre di infrastruttura in fibra. Saranno stabilite inoltre condizioni più chiare per l’accesso alle infrastrutture fisiche, incluse quelle in capo alle TowerCo indipendenti. Riguardo specificamente al 5G si valuta la possibilità di un accesso alle infrastrutture fisiche pubbliche, come i tetti degli edifici. L’iter prevede che la proposta di regolamento sia esaminata dal Parlamento e dal Consiglio UE e – una volta approvato – le nuove norme saranno direttamente applicabili in tutti gli Stati membri ed andranno a sostituire la Direttiva sulla riduzione dei costi dell’installazione di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità del 2014.

La proposta di raccomandazione (la Gigabit Recommendation) mira a sua volta a fornire orientamenti alle autorità nazionali di regolamentazione in merito alle condizioni di accesso alle reti degli operatori che detengono un SPM e sostituirà le Access Recommendations (costituite dalla Next generation access recommendation del 2010 e dalla Non-discrimination and costing methodology recommendation del 2013, ormai superate). In particolare, si intende rivedere l’impostazione degli obblighi di non discriminazione e aumentare la flessibilità dei prezzi per l’accesso alle reti regolamentate al fine sia di promuovere gli investimenti (garantendo un’adeguata remunerazione per i rischi di investimento in fibra), consentendo al tempo stesso una concorrenza sostenibile, sia di favorire la migrazione dalle reti in rame a quelle in fibra. È ora prevista una consultazione obbligatoria con il BEREC di circa 2 mesi, per arrivare all’adozione delle nuove misure verosimilmente nel secondo trimestre del 2023.

In ultimo, la Commissione ha avviato la tanto attesa consultazione esplorativa sul futuro del settore della connettività e delle relative infrastrutture. L’obiettivo dichiarato è quello di raccogliere opinioni dai vari stakeholders sull’evoluzione del contesto tecnologico e di mercato e sul modo in cui questa potrebbe incidere sul settore delle comunicazioni elettroniche. Invero, i riflettori sono tutti puntati su una delle sezioni della consultazione, che contiene quesiti volti a supportare le valutazioni della Commissione relative alla potenziale necessità che tutti i soggetti che beneficiano della trasformazione digitale contribuiscano equamente agli investimenti nelle infrastrutture. Il processo potrebbe portare all’introduzione di un contributo a carico di operatori tecnologici (quali, ad esempio, Google, società di social media e Netflix), tra cui in particolare, gli OTT, per la realizzazione delle nuove reti in fibra e 5G. Le aziende del settore tecnologico e delle telecomunicazioni avranno la possibilità di rispondere ad un articolato questionario entro il 19 maggio.

Cecilia Carli