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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e settore dell’editoria – Indagine della Commissione europea sull’acquisizione di Lagardère da parte di Vivendi
Con il comunicato stampa pubblicato lo scorso 30 novembre, la Commissione europea (la Commissione) ha reso noto di aver avviato un’indagine approfondita (c.d. “fase 2”) in merito alla proposta acquisizione del controllo esclusivo di Lagardère S.A. (Lagardère), società al vertice di un gruppo attivo nei settori dell’editoria, della stampa, della radio, dei viaggi e dell’intrattenimento live, da parte di Vivendi S.E. (Vivendi), società parte del gruppo Bolloré e attiva nei settori del cinema, della televisione, dell’editoria, dei videogiochi e della pubblicità.
La proposta concentrazione in oggetto determinerebbe una sovrapposizione orizzontale tra le attività delle parti nel settore dell’editoria, con particolare riferimento alla pubblicazione di libri in lingua francese, dove le società Editis (controllata da Vivendi) e Hachette (controllata da Lagardère) rappresentano i due principali attori in tutte le fasi della catena del prodotto. Nello specifico, la Commissione ritiene che l’operazione possa comportare una riduzione della concorrenza nello Spazio Economico Europeo nel mercato (i) dell’acquisto dei diritti d’autore per libri in lingua francese, (ii) della distribuzione e marketing di libri in lingua francese, e (iii) della vendita di libri in lingua francese ai rivenditori. Vivendi non solo diventerebbe quindi di gran lunga la principale casa editrice in tali mercati, ma anche quella maggiormente integrata, con potenziali effetti anti-competitivi sia a discapito dei concorrenti, sia delle librerie e, in ultima analisi, dei lettori. Infatti, i primi sarebbero privati di fonti critiche di ricavi per sostenere le loro attività derivanti dalla pubblicazione di autori di libri best-seller, nonché sarebbero limitati nel loro accesso a servizi essenziali di marketing e distribuzione, mentre i secondi subirebbero rispettivamente una riduzione dei margini e un innalzamento dei prezzi. Infine, secondo la Commissione, l’operazione sarebbe idonea ad avere un impatto negativo su prezzi, qualità e varietà dell’offerta anche nel segmento della pubblicazione di riviste in Francia, poiché Vivendi otterrebbe in tal modo il controllo di tre delle principali testate francesi (Paris Match, Gala e Voici).
La prospettata operazione ha generato una forte opposizione da parte dei sindacati e delle associazioni di categoria rappresentative delle librerie e degli autori in Belgio e in Francia. Questi avrebbero infatti evidenziato come la presenza di una pluralità di fornitori sia necessaria per la sostenibilità economica dell’attività delle librerie indipendenti, la quale si basa su una prassi commerciale caratterizzata da importanti sconti. Più nello specifico, l’esigenza di garantire continuità a tale prassi appare un elemento di fondamentale rilevanza se si considera che, secondo i dati da queste riportati, le librerie hanno una marginalità già di per sé particolarmente ridotta (che oscilla tra 1% e 1,5%), e che una riduzione degli sconti permetterebbe loro di coprire al più i costi della locazione e del personale. La concentrazione in oggetto, sempre secondo tali associazioni, sarebbe idonea ad impattare anche su aspetti ulteriori, come la diversità culturale; a seguito dell’operazione, infatti, si ridurrebbe il margine di scelta delle librerie sui contenuti da offrire ai propri clienti.
In considerazione della sovrapposizione orizzontale appena illustrata, Vivendi ha già comunicato pubblicamente la propria disponibilità a cedere le sue partecipazioni in Editis attraverso la quotazione in borsa (IPO) della stessa, senza tuttavia presentare una proposta formale di impegni di fronte alla Commissione. In ogni caso, i sindacati e le associazioni menzionate sopra hanno espresso la loro perplessità anche sull’idoneità di tale modalità di disinvestimento, in quanto non sarebbe asseritamente in grado di assicurare l’effettiva indipendenza di Editis e, di conseguenza, il ripristino della sua posizione come fattore di effettiva pressione concorrenziale nei confronti di Hachette.
Pertanto, con la fase 2 oggetto di commento – la quale fa seguito a quella recentemente avviata per valutare nel dettaglio la prospettata acquisizione di eTraveli da parte di Booking (già oggetto di commento in questa Newsletter) – la Commissione si trova a valutare un’operazione dai risvolti particolarmente significativi non solo per il settore dell’editoria in lingua francese nel suo complesso, ma anche per la sostenibilità economica di alcuni operatori, come le piccole librerie indipendenti. Non resta quindi che vedere quali saranno le sorti di tale vicenda, per la quale si attende una decisione entro il 19 aprile 2023.
Niccolò Antoniazzi
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Intese e settore chimico / La Commissione europea sanziona un cartello di acquisto fra sei imprese attive nel settore chimico per 157 milioni di euro
Con il comunicato stampa pubblicato lo scorso 28 novembre, la Commissione europea (la Commissione) ha reso noto di aver accertato l’esistenza di un cartello fra le società Sunpor, Synbra, Synthomer, Synthos, Trinseo e INEOS (le Società) relativo agli acquisti nel mercato commerciale dello stirene monomero (stirene), un prodotto chimico intermedio che costituisce un input essenziale per la produzione di plastiche, resine, gomme e lattici.
Nello specifico, secondo la ricostruzione della Commissione, le Società si sarebbero scambiate informazioni sensibili al fine di coordinare la propria strategia di acquisto dello stirene, cercando di abbassare artificialmente l’indice di mercato (lo Styrene Monthly Contract Price, SMCP) utilizzato come prezzo di riferimento nel settore e spesso incluso nella formula di determinazione dei prezzi negli accordi di fornitura di stirene. In particolare, le Società avrebbero coordinato le loro strategie di negoziazione dei prezzi prima e durante le trattative bilaterali con i venditori di stirene per influenzare lo SMCP a loro vantaggio. Si tratta dunque, come osserva la Commissione nel citato comunicato stampa, di un cartello di acquisto, in quanto tale finalizzato non all’incremento dei prezzi di vendita ma, piuttosto, alla diminuzione dei costi sopportati dalle società interessate dall’accordo collusivo.
Le Società – la cui azione concertativa è stata accertata dal 2012 al 2018 – sono state sanzionate per un totale di 157 milioni di euro. Preme rilevare a tal proposito che INEOS non ha ricevuto alcuna sanzione avendo ottenuto l’immunità in qualità di primo leniency applicant, mentre tutte le altre società interessate hanno beneficiato di una riduzione della sanzione pari al 10% per aver aderito alla procedura di settlement. Di queste ultime, quattro società hanno altresì beneficiato di una ulteriore riduzione della sanzione per avere prestato la loro collaborazione all’attività investigativa della Commissione ai sensi della Leniency Notice del 2006.
Il comunicato stampa è piuttosto scarno. Ulteriori informazioni saranno ottenibili solo a seguito della pubblicazione della versione non confidenziale della decisione della Commissione.
Alessandro Canosa
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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore energetico – Il Consiglio di Stato accoglie i ricorsi di SEN, ENEL ed ENEL Energia e annulla il provvedimento dell’AGCM per abuso di posizione dominante
Il Consiglio di Stato (il CdS) ha accolto il ricorso presentato da Servizio Elettrico Nazionale S.p.A. (SEN), Enel Energia S.p.A. (EE) e Enel S.p.A. (Enel), annullando il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) n. 27494 del 2018, con il quale era stata irrogata una sanzione alle ricorrenti per un totale di circa 93 milioni di euro per abuso di posizione dominante nell’ambito del procedimento A511-Enel/Condotte anticoncorrenziali nel mercato della vendita di energia elettrica.
L’AGCM contestava al gruppo ENEL di avere attuato una strategia escludente volta a traghettare i clienti da SEN a EE in vista della prospettata eliminazione del servizio di maggior tutela (il SMT) e conseguente necessità di passaggio al mercato libero nel settore elettrico. In particolare, SEN avrebbe raccolto i consensi degli utenti a ricevere proposte commerciali, secondo quanto previsto dalla disciplina in materia di privacy, mediante modalità discriminatorie, consistenti nel chiedere consensi separati per le società del gruppo Enel da un lato, e per i terzi concorrenti dello stesso dall’altro. I risultati di tale attività sarebbero confluiti nelle c.d. Liste SEN – secondo l’AGCM un “asset” strategico e non replicabile – per poi essere trasferite a EE mediante contratti a titolo oneroso e utilizzate per lanciare “specifiche offerte esclusivamente dedicate” alla clientela SMT (per lo più utenti domestici) al fine di convincerla a passare al mercato libero (per una approfondita descrizione della vicenda, si veda il commento pubblicato in questa Newsletter avente ad oggetto le conclusioni dell’Avvocato Generale Rantos rese nell’ambito del rinvio pregiudiziale operato dal CdS).
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (il TAR Lazio) con le sentenze nn. 11954 e 11958 del 2019, pronunciandosi sui ricorsi di EE e SEN, li accoglieva limitatamente alle censure relative alla durata del presunto abuso e ai criteri utilizzati dall’AGCM per calcolare la sanzione, riducendola a circa 27,5 milioni di euro.
Innanzi al ricorso presentato dal Gruppo Enel, il CdS, prima di applicare alla vicenda in analisi le enunciazioni di principio sancite dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) nella sentenza del maggio 2022 (causa C-377/20) già analizzata in questa Newsletter, ha osservato che: (i) SEN aveva offerto le Liste SEN sia a EE, sia ai concorrenti della stessa alle medesime condizioni; (ii) non soltanto analoghe liste erano disponibili nel mercato, ma anche che la quantità di contatti inseriti nelle liste SEN sarebbe stata modesta (circa 500.000 all’anno nel periodo 2012-2025, in mercati con decine di milioni di utenze); e, da ultimo (iii) la condotta asseritamente abusiva contestata dall’AGCM avrebbe comportato l’acquisizione di soli 478 clienti nei due mesi in cui sarebbe stata posta in essere.
Passando all’orizzonte eurounitario la CGUE aveva stabilito che, in linea di principio, una pratica può, ove sia attuata da un’impresa in posizione dominante, essere qualificata come “abusiva” se (i) sia idonea a produrre un effetto escludente, (ii) essendo parimenti basata sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sul merito.
Inoltre, la CGUE aveva affermato che un’impresa deve astenersi, durante la fase di liberalizzazione del mercato di riferimento, dal ricorrere ai mezzi di cui disponeva in forza del suo precedente monopolio al fine di conservare una posizione dominante sul mercato in questione. Rispetto alla richiesta di consensi privacy “separati”, si sarebbe quindi dovuto accertare che non fossero state utilizzate modalità discriminatorie rispetto a società terze diverse dal gruppo ENEL.
Il CdS ha quindi ritenuto che l’AGCM non avesse provato né le modalità discriminatorie di raccolta del doppio consenso privacy, né l’idoneità della condotta a produrre effetti escludenti, non essendo di per sé sufficiente richiamare la circostanza che tra i soggetti che avevano rilasciato il consenso privacy per finalità di natura commerciale, circa il 70% lo avrebbe limitato al solo trattamento intra-gruppo contro il 30% che avrebbe accettato di ricevere anche offerte da concorrenti. Alla luce di tali carenze istruttorie e motivazionali, il CdS ha annullato il provvedimento impugnato, non essendo stata provata sul piano oggettivo la sussistenza dell’abuso di posizione dominante da parte del Gruppo ENEL.
Con questa sentenza il CdS segna un'importante tappa per gli sviluppi applicativi dell’art. 102 TFUE, concorrendo a chiarire gli equilibri sul piano dell’onere della prova posto in capo all’AGCM ove voglia contestarsi l’abuso di posizione dominante nei settori in fase di liberalizzazione o, comunque, di transizione tra diversi regimi regolatori.
Francesca Incaprera Huerta
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Tutela del consumatore / Clausole vessatorie e settore tech – Il TAR conferma la natura vessatoria di alcune clausole contenute nel contratto relativo al servizio iCloud
Con la sentenza n. 15792, pubblicata lo scorso 25 novembre, il Tribunale Amministrativo per il Lazio (il TAR) ha respinto il ricorso presentato da Apple Distribution International ltd. (Apple) volto ad ottenere l’annullamento del provvedimento n. 29819 (la Decisione) con il quale l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) aveva accertato la vessatorietà di tre clausole contenute nel modello contrattuale relativo al servizio di archiviazione digitale iCloud.
Premesso che iCloud è un servizio c.d. freemium, dove accanto ad una versione gratuita che mette a disposizione degli utenti di dispositivi Apple fino a 5Gb di memoria sul cloud, esiste anche una versione che consente di avere accesso ad un maggiore spazio di archiviazione scegliendo tra diversi piani di pagamento mensili – la prima delle tre clausole riguardava le ipotesi di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali del servizio iCloud da parte di Apple (la Prima Clausola).
In particolare, con riguardo alla parte gratuita del servizio, la Prima Clausola prevedeva che Apple potesse unilateralmente modificare le condizioni contrattuali del servizio con un preavviso di 30 giorni, salvo ragioni di urgenza, dettagliatamente indicate, che permettevano l’immediata modifica delle medesime condizioni. Con riguardo, invece, al servizio a pagamento, Apple si impegnava a non procedere alle modifiche delle stesse prima del termine del periodo già pagato dall’utente, salvo il ricorrere, anche in questo caso, delle ragioni di urgenza. In entrambi i casi, nel caso di modifiche “sfavorevoli” per i clienti, veniva loro lasciato il diritto di recedere dal contratto e a non utilizzare più il servizio iCloud.
In primo luogo, il TAR ha sottolineato come la mera gratuità di un servizio non valga ad escludere l’applicazione della disciplina delle clausole vessatorie di cui al Codice del Consumo, dal momento che essa è volta a impedire che si creino situazioni di eccessivo squilibrio tra le prestazioni di professionista e consumatore, indipendentemente dell’onerosità o gratuità del contratto. In secondo luogo, dopo aver evidenziato che il contratto tra Apple e utenti dei servizi di iCloud è a tempo indeterminato (non rappresentando le scadenze mensili del pagamento del servizio “premium” cesure tra plurimi contratti), ad avviso del TAR l’AGCM ha correttamente evidenziato come non fossero indicate le condizioni che giustificano lo ius variandi delle condizioni contrattuali né nella versione gratuita, né in quella a pagamento del servizio, in violazione dell’art. 33 del Codice del Consumo.
La seconda e la terza clausola statuivano, invece, che Apple non avrebbe prestato garanzia agli elementi salvati sul servizio a fronte di danno involontario, alterazione, perdita o rimozione degli stessi in conformità con i termini del contratto, né sarebbe stata ritenuta responsabile di tali danni, alterazioni, perdite o rimozioni, espressamente ammonendo gli utenti della necessità di conservare opportuni backup alternativi delle informazioni e dei dati salvati su iCloud. In più, Apple si riservava il diritto di cancellare i backup associati a dispositivi che non avessero effettuato un backup su iCloud nei 180 giorni precedenti. Anche in questo caso – correttamente, secondo il TAR – l’AGCM aveva ritenuto tali clausole in contrasto con il dettato del 33 Codice del Consumo.
A nulla è valsa l’argomento di Apple secondo cui la vessatorietà di tali clausole sarebbe stata sterilizzata alla luce di una formula di salvaguardia anteposta alle stesse, a tenore della quale “[a]lcune giurisdizioni non ammettono l’esclusione o la limitazione della responsabilità dei fornitori di servizi. Nella misura in cui dette esclusioni o limitazioni sono specificatamente vietate dalla legge applicabile, alcune di quelle stabilite di seguito potrebbero non riguardare l’utente”. Secondo l’AGCM prima, e il TAR poi, infatti, (i) tale incipit non indica chiaramente che l’Italia rientra tra le giurisdizioni ove tale limitazione di responsabilità non opera, impedendo così al consumatore di conoscere “precisamente i termini delle obbligazioni contrattuali delle parti e i relativi limiti di responsabilità”, e (ii) la formulazione di tali clausole non renderebbe palese il fatto che, in ogni caso, nelle ipotesi di dolo, colpa grave o violazione del contratto, sarebbe impossibile per il professionista sottrarsi alle sue responsabilità.
La sentenza risulta interessante dal momento che segnala la necessità di un sempre più alto grado di diligenza da parte dei professionisti nella redazione delle clausole contenute nei modelli contrattuali dei propri servizi. Non resta quindi che attendere la decisione di Apple in merito alla impugnazione della sentenza e, in tale caso, l’esito della vicenda dinanzi al Consiglio di Stato.
Ignazio Pinzuti Ansolini