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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza – Europa / Studi di mercato e settore alberghiero – La Commissione europea analizza le pratiche di distribuzione dell’offerta alberghiera nell’UE

Il 26 agosto scorso, la Commissione europea (la Commissione) ha pubblicato i risultati dello studio condotto nel 2021 sulle pratiche di distribuzione dell’offerta alberghiera nell’Unione Europea (il Report). Il Report è stato condotto prendendo a campione sei territori dei territori dell’UE, ovvero Austria, Belgio, Cipro, Polonia, Spagna e Svezia, e ha ricoperto un arco temporale che si estende dal 2017 al 2021.

In particolare, il Report è finalizzato a: (i) ottenere una serie di dati aggiornati sulle pratiche di distribuzione dell’offerta alberghiera in UE; (ii) stabilire se tali pratiche differiscono da uno Stato membro all’altro; (iii) confrontare gli effetti dell’applicazione e dei divieti delle parity clauses (ossia una obbligazione contrattuale a carico dell’hotel attraverso cui quest’ultimo si obbliga ad offrire lo stesso prezzo indipendentemente dal canale distributivo utilizzato per promuovere la propria attività) e infine (iv) individuare eventuali trend comparando i risultati raggiunti con quelli pervenuti con lo studio condotto dall’European Competition Network nel 2016, il quale aveva fatto seguito alla c.d. Booking.com/Expedia saga che aveva visto varie autorità della concorrenza degli Stati membri (tra cui l’Italia, la Francia e la Svezia, oltre che la Germania) valutare la compatibilità col diritto della concorrenza delle pratiche poste in essere dalle principali OTA.

In base al Report le Online Travel Agency (OTA) rappresentano ad oggi il canale di vendita preferenziale nella distribuzione dell’offerta alberghiera, soprattutto grazie alla visibilità indirettamente ottenuta dagli hotel indipendenti di piccole e medie dimensioni, a cui fanno seguito però anche le catene alberghiere.Inoltre, l’analisi ha registrato differenze (i) nelle modalità di distribuzione dell’offerta tra i Paesi dello studio (ad esempio, a Cipro quasi tutti gli hotel indipendenti usano le OTA mentre in Polonia solo i 2/3), (ii) in relazione alle vendite generate dalle OTA (in Belgio le OTA registrano una quota del 55%, seguite dal 48% in Spagna, 44% a Cipro e con la quota più bassa rappresentata dall’Austria con il 34%) e (iii) in relazione alle commissioni da queste applicate; tale diversificazione non sembra essere attribuibile a specifici fattori di natura commerciale o legale, ma sarebbe legata al diverso sviluppo dei mercali nazionali e al grado di penetrazione delle OTA nei relativi mercati.

Interessante è stata anche l’analisi sulle parity clauses concernente il confronto dei dati emersi in quei Paesi in cui è permesso il loro utilizzo e quelli in cui invece è vietato (in Belgio il divieto è intervenuto nel 2018 e in Austria nel 2016). Tutti gli intervistati hanno dichiarato che nei contratti stipulati con le OTA è presente come standard contrattuale la c.d. narrow parity clause – ossia quella clausola che impedisce all’hotel di offrire prezzi o condizioni migliori sul proprio sito web ma non su altre OTA concorrenti – e ciò sarebbe vero anche in quei Paesi in cui, di regola, il loro utilizzo sarebbe proibito (stante quanto riportato dal 23% e dal 28% degli hotel indipendenti, rispettivamente, in Austria e in Belgio). Inoltre, dalle dichiarazioni effettuate dalle catene alberghiere è emerso che, oltre alle parity clauses, nei loro contratti sarebbero presenti condizioni – definite quali ‘sistema di enforcement’ – che nel loro complesso disincentiverebbero comunque l’offerta con diverse OTA di prezzi diversi quali, ad esempio, i requisiti di inventario che richiedono che l’hotel offra, a determinate condizioni (i.e., un periodo di tempo specifico), un numero minimo di camere prenotabili sulla piattaforma, o ancora attraverso il meccanismo del “quality score” – ritenuto ancora poco trasparente nei criteri su cui si basa – che determina la posizione di visibilità più vantaggiosa sulla piattaforma. Nel complesso, quindi, è emerso che le OTA hanno continuato a mantenere una presenza stabile anche in quei territori in cui è intervenuto il menzionato divieto, non essendosi registrata alcuna differenza sostanziale di distribuzione dell’offerta alberghiera tra i Paesi oggetto dello studio.

Infine, come conseguenza dell’incertezza sulle limitazioni ai viaggi e delle diffuse cancellazioni delle prenotazioni causate soprattutto dopo la pandemia, è emersa una nuova tendenza sui modelli di pagamento grazie all’offerta dei motori di metasearch (quali TripAdvisor, Trivago, Google Hotel Search), in quanto si sta passando da un modello di pagamento pay-per-click (PPC) al modello pay-per-acquisition (PPA), ovvero il metasearch addebita la propria commissione all’hotel solo quando viene generata una prenotazione sul sito web dell’albergo. Questo modello, utilizzato dal 41% degli hotel intervistati, non prevede gli stessi costi applicati dalle OTA tramite il PPC, e costituirebbe ad oggi la più valida alternativa concorrenziale alle OTA.

I risultati del Report saranno verosimilmente presi in considerazione dalla Commissione e dalle autorità garanti della concorrenza nelle loro attività di monitoraggio nel settore della distribuzione dell’offerta alberghiera; sarà interessante anche valutare le prossime dinamiche concorrenziali che si svilupperanno nel rapporto tra OTA ed il nuovo ruolo svolto dai motori metasearch.

Maria Spanò

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Diritto della concorrenza – Italia / Abuso di posizione dominante e settore trasporti – Faro dell’AGCM su Trenitalia per una possibile condotta escludente nella fornitura di servizi di trasporto ferroviario sulla rete ad alta velocità

Con il provvedimento pubblicato lo scorso 8 agosto 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato il procedimento istruttorio per il possibile abuso di posizione dominante in violazione dell’articolo 102 TFUE da parte di Trenitalia S.p.A. (Trenitalia). Nella ricostruzione iniziale dell’AGCM, Trenitalia avrebbe posto in essere una condotta di natura escludente al fine di danneggiare Italo – Nuovo Trasporto Viaggiatori S.p.A. (Italo) nel mercato dei servizi di trasporto passeggeri ad alta velocità.

Il provvedimento di avvio dà atto che Trenitalia opera in posizione di monopolio nell’offerta di servizi di trasporto ferroviario di passeggeri (i) regionale, sull’intero territorio nazionale (salvo sporadiche sovrapposizioni con operatori locali) in virtù di contratti di servizio assegnati in via diretta dalle Regioni; nonché (ii) di media-lunga percorrenza (Intercity e Frecciabianca), in virtù di un contratto stipulato a livello nazionale con il Ministero delle Infrastrutture. Di contro, i servizi di trasporto ferroviario passeggeri ad alta velocità sono considerati un mercato distinto in cui – a valle del processo di liberalizzazione – nel 2012 ha iniziato ad operare Italo, ad oggi unico concorrente di Trenitalia.

Con la segnalazione inizialmente presentata nel marzo 2022, Italo ha denunciato una possibile condotta abusiva che sarebbe stata posta in essere da Trenitalia e volta a “legare” artificialmente l’offerta dei servizi regionali/intercity, gestiti da Trenitalia in regime di monopolio, con i servizi ad alta velocità attraverso un’interfaccia di vendita ai clienti – sia su canali fisici, sia online – che non sarebbe replicabile da Italo, in quanto non abilitato a vendere i biglietti di treni regionali/intercity sui propri canali (fisici e online) o su piattaforme terze. Italo, pertanto, non sarebbe in grado di offrire ai clienti che cercano soluzioni combinate alta velocità-regionale/intercity una proposta che preveda un abbinamento tra alta velocità operato dalla stessa Italo e un treno regionale/intercity operato da Trenitalia. Di contro, Trenitalia potrebbe offrire, tramite un’unica interrogazione all’interfaccia, l’acquisto di biglietti integrati con un’unica transazione. Per superare il preteso svantaggio, Italo avrebbe ripetutamente chiesto a Trenitalia di consentirle di replicare sui propri canali soluzioni di viaggio integrate, cui avrebbero fatto seguito prima comportamenti ostruzionistici e dilatori e, successivamente, il raggiungimento di un accordo commerciale nel giugno 2022 che, tuttavia, prevederebbe condizioni più restrittive di quelle adottate da Trenitalia nei confronti di altri soggetti, per cui la possibilità per Italo di vendere biglietti integrati rimarrebbe di fatto impossibile o comunque più onerosa.

Nelle valutazioni preliminari dell’AGCM, Trenitalia sarebbe l’unico operatore ferroviario in grado di offrire sui propri canali le diverse tipologie di collegamenti in bundle su un’unica interfaccia di vendita e godrebbe quindi di un vantaggio competitivo non replicabile e non ascrivibile a meriti imprenditoriali, bensì alla sua posizione di operatore incumbent. Di fronte alle istanze di Italo, Trenitalia avrebbe posto in essere un “rifiuto costruttivo” a contrarre, dapprima ritardando ingiustificatamente la trattativa e successivamente imponendo condizioni asseritamente irragionevoli per l’accesso alla vendita delle tratte regionali/intercity su cui essa opera in via esclusiva. Trenitalia farebbe quindi leva sulla posizione dominante detenuta nei mercati dei servizi dei collegamenti ferroviari regionali/intercity per preservare ed estendere il proprio potere di mercato anche nel mercato dei servizi ad alta velocità, a danno dell’unico concorrente esistente. Nonostante la successiva stipula di un accordo commerciale tra Italo e Trenitalia, a detta dell’AGCM il problema concorrenziale sarebbe tuttora esistente.

Il caso in commento desta interesse in quanto – oltre al riecheggiare (tra le righe) la recente pronuncia della Corte di giustizia nel caso Servizio Elettrico nazionale (commentato nella nostra newsletter del 16 maggio 2022) – riporta alla mente l’articolo 8 comma 2-bis della L. 287/90, che imporrebbe alle imprese pubbliche e in monopolio legale di svolgere attività in mercati diversi da quelli in cui agiscono in regime di monopolio mediante società separate. L’unico precedente che si ricorda in cui l’AGCM aveva specificatamente contestato la violazione dell’obbligo di separazione era stato nel caso Italgas del 2004. Inoltre, il fatto che – ad oggi – Italo abbia iniziato a vendere soluzioni integrate sia sul proprio sito, sia su altre piattaforme online potrebbe far pensare ad una possibile risoluzione per il tramite di impegni. Sarà quindi interessante seguire gli sviluppi del procedimento in commento, la cui conclusione è (salvo proroghe) fissata al 31 ottobre 2023.

Cecilia Carli

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Abuso di dipendenza economica e settore della telefonia mobile – L’AGCM ha accettato gli impegni proposti da Wind Tre S.p.A. volti a risolvere le criticità concorrenziali nascenti da un abuso di dipendenza economica nei confronti dei rivenditori autorizzati

Nella sua adunanza del 4 agosto 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato di rendere obbligatori per la società Wind Tre S.p.A. (Wind Tre) la proposta di impegni presentati da quest’ultima con riferimento al procedimento A547 (il Procedimento) relativo alle condotte poste in essere nei confronti di rivenditori autorizzati, in quanto ritenute suscettibili di determinare uno squilibrio contrattuale soprattutto con riferimento al flusso di entrate e uscite tra il rivenditore e il gestore telefonico.

Con il Procedimento, avviato nel Novembre del 2021, era stata contestata a Wind Tre l’applicazione di (i) un meccanismo di reverse charge, in base al quale il costo dell’IVA viene sostenuto dal rivenditore, senza che quest’ultimo incassi direttamente il prezzo di vendita dei servizi e dei dispositivi; (ii) di un meccanismo di storni pro-rata; nonché (iii) di modifiche unilaterali volte a peggiorare la remunerazione economica del rivenditore e le condizioni di recesso.

In risposta alle criticità di natura concorrenziale sollevate dall’AGCM, Wind Tre aveva presentato la proposta di una serie di impegni che, dopo essere sottoposti al market test (a cui hanno partecipato operatori quali TIM e altri rivenditori autorizzati di Wind Tre), sono stati modificati e successivamente ritenuti idonei dall’AGCM a sanare le criticità evidenziate nel provvedimento di avvio.

Nello specifico, Wind Tre, si è obbligata a: (i) effettuare un accredito al rivenditore pari al prezzo di vendita al consumatore finale (quindi compreso di IVA) dedotto dell’importo previsto per acquistare il singolo prodotto che “è il corrispettivo per la retrocessione da parte del rivenditore a Wind Tre del credito vantato verso il cliente finale”; (ii) mantenere gli storni al di sotto di un determinato valore e garantire un maggiore contradditorio e trasparenza nell’applicazione del meccanismo; nonché (iii) garantire agli imprenditori mono-marca la stabilità delle modalità e dei termini di approvvigionamento e di pagamento dei terminali nel periodo di preavviso mantenendo invariate, per tutta la durata degli impegni, le modalità che questi hanno in essere durante la vigenza contrattuale. Tali impegni avranno una validità di tre anni e Wind Tre si avvarrà di un Monitoring Trustee, dotato di adeguate competenze tecniche, incaricato di monitorare l’effettiva attuazione degli impegni, di esercitare il ruolo di arbitro in eventuali dispute relative ad essi e di produrre periodiche relazioni all’AGCM.

Questo Procedimento si inserisce nella crescente utilizzo da parte dall’AGCM dell’articolo 9 della Legge 192/1988 volto alla valutazione dei rapporti contrattuali tra società che, pur non essendo dominanti, sono comunque dotate di un c.d. potere di mercato relativo, e i loro rivenditori. Ciò nel contesto di un rivitalizzato interesse a livello legislativo, essendo stata da ultimo modificata la norma in questione con l’introduzione di una presunzione di dipendenza economica nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da una piattaforma digitale che rivesta un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati.

Sabina Pacifico

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Concentrazioni e settore bancario – L’AGCM chiude un procedimento di inottemperanza nei confronti di BPER Banca senza accertare alcuna violazione

Con il provvedimento dello scorso 19 luglio 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso, senza accertare alcuna violazione, il procedimento avviato nei confronti di BPER Banca S.p.A. (BPER) per valutare se la stessa avesse disatteso le condizioni imposte con il provvedimento n. 27842, con il quale aveva autorizzato l’acquisizione da parte di BPER dell’intero capitale sociale di Unipol Banca S.p.A. (Unipol).

L’operazione era stata autorizzata dall’AGCM il 17 luglio 2019, subordinatamente ad alcune condizioni strutturali, consistenti nella dismissione di cinque sportelli bancari situati in diverse provincie della Sardegna, identificate come aree in cui la concentrazione avrebbe determinato il rafforzamento della posizione dominante di BPER nei mercati della raccolta del risparmio e degli impieghi alle famiglie e piccole imprese. Nello specifico, la dismissione dei cinque sportelli sarebbe dovuta avvenire entro un termine di 6 mesi dalla data di autorizzazione dell’operazione (c.d. Fase 1). Qualora, spirato il termine, non fossero stati ceduti tutti gli sportelli, le parti avrebbero dovuto conferire mandato ad un soggetto indipendente, incaricandolo a cedere i suddetti sportelli senza indicazione di un prezzo minimo, al fine concludere la cessione entro un termine massimo di 12 mesi dalla data di autorizzazione dell’operazione (c.d. Fase 2).

Nel corso della Fase 1, al fine di trovare un potenziale acquirente per i cinque sportelli, BPER aveva contattato circa 40 banche, di cui solamente una – BCC Arborea (BCC) – aveva manifestato un interesse. L’offerta vincolante successivamente presentata da BCC non era stata tuttavia considerata accettabile da BPER, in quanto riguardava solamente 4 dei 5 sportelli, il prezzo offerto era negativo ed includeva altresì condizioni contrattuali ritenute particolarmente onerose.

BPER aveva quindi avviato la Fase 2 con la nomina di un fiduciario indipendente, espressamente incaricato di portare a termine la vendita dei cinque sportelli senza indicazione di un prezzo minimo e comunque “in alcun modo condizionata alla realizzazione di un prezzo non negativo”, come richiesto dall’AGCM in una comunicazione inviata a BPER e Unipol a seguito della Fase 1.

Nel corso della Fase 2 erano state contattate complessivamente ben 240 banche, alle quali, secondo la relazione del fiduciario, erano state fornite “le informazioni essenziali relative all’operazione” per consentire loro di “cogliere rapidamente le caratteristiche dell’operazione prospettata”. Ciononostante, anche in questo caso, l’unico soggetto a mostrare interesse all’acquisizione era stata BCC, la quale tuttavia aveva da ultimo rinunciato alla formulazione di un’offerta, in ragione della “fase di contingenza e di incertezza attuale di mercato”.

Decorso il termine della Fase 2, BPER aveva inviato una comunicazione all’AGCM, informandola dell’impossibilità di cedere gli sportelli secondo le modalità prefissate e richiedendo la revoca dell’obbligo di cessione dei 5 sportelli, o la sua sostituzione con una misura comportamentale adeguata. Di contro, con il provvedimento del 1° dicembre 2020, l’AGCM aveva avviato un procedimento di inottemperanza nei confronti di BPER, ritenendo che la stessa non avrebbe posto in essere tutte le procedure opportune per realizzare la cessione degli sportelli bancari. In particolare, l’AGCM ha contestato a BPER che, nel corso della Fase 2, pur con una platea di 240 istituti bancari, non si sarebbe data opportuna visibilità al fatto che la vendita non era condizionata alla realizzazione di un prezzo minimo o comunque non negativo, in quanto il fiduciario avrebbe fornito solamente “informazioni di sintesi”, non sufficientemente dettagliate sul punto.

In seguito all’avvio del procedimento di inottemperanza, BPER ha comunque perseguito nella ricerca di potenziali acquirenti per gli sportelli bancari, pubblicando un invito a trasmettere manifestazioni di interesse sui principali quotidiani economici nazionali, specificando chiaramente la possibilità di presentare offerte con il prezzo negativo. A valle di tale ulteriore procedura, non era comunque sopraggiunta alcuna offerta. Solo in data 20 maggio 2022, BPER aveva comunicato all’AGCM di aver individuato, nell’ambito della cessione di un più ampio complesso aziendale, un soggetto terzo interessato all’acquisto dei cinque sportelli bancari, ossia il Banco di Desio e della Brianza S.p.A. (Banco di Desio). In particolare, l’offerta presentata dal Banco di Desio riguardava 48 sportelli bancari dislocati in varie regioni.

Alla luce di tali sviluppi successivi, l’AGCM, pur avendo inizialmente ritenuto che nel corso della Fase 2 non fossero stati impiegati mezzi adeguati a dare sufficiente pubblicità alla possibilità di presentare offerte senza vincoli di prezzo per i cinque sportelli, ha concluso il procedimento senza accertare alcuna violazione, rilevando all’opposto l’oggettiva difficoltà riscontrata da BPER nel dare attuazione all’impegno strutturale assunto, a causa sia della pandemia da Covid-19, sia della consequenziale crisi economica, sia della natura economico finanziaria degli sportelli interessati (non particolarmente appetibili).

Luca Casiraghi

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Pratiche commerciali scorrette / Pratiche commerciali scorrette e settore assicurativo – L’AGCM sanziona UnipolSai e Generali per una articolata pratica commerciale scorretta nella fase di liquidazione del danno RC auto

Con i provvedimenti nn. 30255 e 30256 (le Decisioni), adottati lo scorso 19 luglio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha irrogato due sanzioni pari a 5 milioni di euro rispettivamente ad UnipolSai Assicurazioni S.p.A. (UnipolSai) e Generali Italia S.p.A. (Generali) (congiuntamente, le Società), per aver entrambe posto in essere una pratica commerciale scorretta nell’ambito della procedura di liquidazione del danno RC auto.

Le condotte poste in essere dalle Società e censurate dall’AGCM, sostanzialmente coincidenti, consistevano: (i) nella frapposizione di ostacoli all’accesso agli atti del c.d. fascicolo del sinistro; (ii) nell’omessa indicazione in forma chiara ed esaustiva delle motivazioni sottese alla formulazione dell’offerta risarcitoria, o al suo eventuale diniego; e (iii) nell’imposizione di ostacoli all’esercizio dei diritti derivanti dal contratto di assicurazione RC auto, quali il mancato rispetto dei termini legali fissati per l’espletamento della procedura liquidativa. Nel caso di UnipolSai, peraltro, alle predette si aggiungevano anche ulteriori ostacoli, quali l’omessa risposta alle richieste provenienti dai consumatori con riguardo allo stato della pratica e la difficoltà nella presa di contatto con il liquidatore.

Con riguardo alla prima condotta, secondo l’AGCM dalle risultanze procedimentali è emerso come in un numero elevato di casi le richieste di accesso al fascicolo del sinistro non siano state evase nei termini di legge, e che “in moltissimi casi, la richiesta di accesso agli atti è stata anche rigettata in ritardo”: nel caso di Generali, dai report interni aziendali emergeva che su 11.111 accessi effettuati, in 777 casi l’accesso era stato concesso oltre il termine di 60 giorni previsto dalla legge, con punte di ritardi superiori a 100 giorni ; con riferimento a UnipolSai, inoltre, in diverse occasioni i documenti richiesti dagli assicurati non venivano inviati direttamente a questi, bensì venivano unicamente messi a disposizione presso appositi Centri di Liquidazione, rendendone l’accesso sicuramente più difficoltoso.

A nulla è valsa l’argomentazione delle Società secondo cui in termini relativi, e sul totale delle pratiche gestite nel periodo rilevante (2019-2021), i ritardi così evidenziati costituivano frazioni percentuali minime. Secondo l’AGCM, infatti, la mera presenza di un numero significativo (in termini assoluti) di pratiche oggetto di tali ritardi, e il riconoscimento da parte delle Società della fondatezza di buona parte dei reclami ricevuti per “mancato o ritardato accesso agli atti”, costituisce un ostacolo oneroso e sproporzionato all’esercizio dei diritti dei consumatori, in violazione dell’art. 25, lettera d, del Codice del Consumo.

La medesima argomentazione, peraltro, è stata altresì ribadita con riguardo alla terza condotta: richiamando, infatti, anche il parere ritualmente domandato all’IVASS, l’AGCM ha sottolineato come “ogni superamento [dei limiti legali] rappresenta un vulnus ai diritti degli assicurati oltre che una violazione della legge” – e ciò, nonostante i ritardi segnalati, nel caso di UnipolSai, rappresentassero solamente circa l’1,6% del totale dei sinistri gestiti da quest’ultima.

Con riguardo alla seconda condotta, l’AGCM ha rilevato come le concrete modalità adottate dalle Società nella formulazione delle proposte risarcitorie, ovvero del loro diniego, risultassero assolutamente generiche e inidonee a stabilire con chiarezza, nonché con un sufficiente grado di individualizzazione con riguardo alle singole richieste formulate dagli assicurati, an e quantum dell’eventuale proposta risarcitoria – secondo l’AGCM, infatti, “…tale onere informativo non può considerarsi assolto in considerazione delle informazioni note al destinatario che, viceversa, […] deve sempre essere messo nella condizione di comprendere con riferimento allo specifico caso e in modo dettagliato i motivi che spingono la società a considerare incoerenti i fatti denunciati e quelli accertati…”.

Le Società hanno inoltre avanzato un possibile difetto di competenza da parte dell’AGCM, nella misura in cui (i) le condotte censurate risultano già oggetto del Codice delle Assicurazioni (il CAP), applicato in via esclusiva dall’IVASS (che in diverse occasioni, aveva irrogato sanzioni alle Società), e, conseguentemente, (ii) un intervento sanzionatorio da parte dell’AGCM ai sensi della disciplina generale a tutela dei consumatori violerebbe il principio di ne bis in idem.

Sul punto, l’AGCM ha affermato come per ipotizzare un possibile caso di ne bid in idem è necessario il soddisfacimento di tre requisiti: (a) il contrasto (in termini di vera e propria “incompatibilità” tra le regole), tra la disciplina di settore e quella del Codice del Consumo; (b) il rango europeo della disciplina di settore (e dunque, sul piano interno, “lo status di norma nazionale che recepisce puntualmente una norma dettagliata dell’Unione Europea”); e (c) che la disciplina di settore riguardi solo specifici aspetti della pratica commerciale. Ad avviso dell’AGCM l’assenza di un caso di ne bis in idem e la propria competenza è invece confermata già considerando che né le disposizioni in materia di procedure liquidative né, in particolare, le norme in materia di procedura di risarcimento del danno sono di rango europeo.

Con riguardo, poi, alla competenza concorrente dell’IVASS sul piano sanzionatorio, l’AGCM ha chiarito come, diversamente dall’intervento dell’IVASS – subordinato al soddisfacimento del requisito della rilevanza della condotta e finalizzato alla tutela dell’interesse del singolo istante – il suo intervento non incontri il primo limite e soddisfi una diversa funzione (la tutela del mercato dall’adozione di comportamenti scorretti da parte del professionista). Il potere sanzionatorio dell’AGCM, infatti, è finalizzato a “spiegare un effetto deterrente rispetto all’adozione da parte degli operatori del mercato di condotte ingannevoli e aggressive contrarie alla diligenza professionale”.

La vicenda è sicuramente interessante non soltanto per la sanzione irrogata (5 milioni di euro, il massimo edittale per una infrazione), ma anche per la natura degli operatori coinvolti; giova, peraltro, ricordare come un terzo procedimento – gemello di quelli in esame e aperto nei confronti di Allianz S.p.A. – era stato concluso dall’AGCM con l’accettazione degli impegni presentati da quest’ultima società. Non resta che vedere se UnipolSai e Generali impugneranno le Decisioni dinanzi ai giudici amministrativi.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Appalti, concessioni e regolazione / Il Tar Lombardia si pronuncia sull’impugnazione di un atto endoprocedimentale e abuso del diritto

In data 26 agosto 2022, con sentenza n. 1945/2022, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (TAR Lombardia) ha respinto il ricorso proposto da un operatore di telecomunicazione (l’impresa o ricorrente) contro la Provincia di Lodi (la Provincia o Amministrazione) in relazione ad una ‘classica’ vicenda contenziosa nel settore delle comunicazioni elettroniche.

Quanto ai fatti di causa, l’impresa aveva presentato un’istanza per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione, e della correlata occupazione di suolo pubblico, dei lavori di scavo e posa di una rete in fibra ottica lungo una strada provinciale.

La domanda veniva presentata ai sensi della disciplina ratione temporis applicabile contenuta nel d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, “Codice delle comunicazioni elettroniche” (il Codice).

Il Codice aveva introdotto una disciplina speciale e derogatoria atta a favorire lo sviluppo delle reti di comunicazione elettronica che, per quanto qui interessa, aveva tre caratteristiche essenziali: (a) il rilascio di un titolo autorizzatorio unico idoneo a coprire contestualmente sia la realizzazione della rete, sia la correlata concessione per l’occupazione di suolo pubblico; (b) la previsione di termini stringenti e abbreviati per il rilascio del titolo, prevedendo espressamente anche un meccanismo di formazione dello stesso per ‘silenzio assenso’ (v. art. 88, comma 7 del d.lgs. n. 259/03); (c) sul versante economico, l’applicazione della Tosap/Cosap (ora canone unico) a carico dell’operatore che realizza la rete, vietando l’applicazione di qualsivoglia ulteriore e diverso onere, spesa, importo di qualsiasi natura e a qualunque titolo richiesto. Tra le altre cose, al fine di uniformare le procedure sull’intero territorio nazionale, il Codice aveva anche introdotto un modulo specifico per la presentazione delle domande di questo tipo.

In apparente contrasto con la disciplina appena richiamata, la Provincia aveva tuttavia adottato un regolamento generale volto a regolamentare le occupazioni di suolo pubblico prevedendo, tra le altre cose, nuove tariffe relativi a diritti, oneri d’istruttoria, canoni relativi alle autorizzazioni, canoni di occupazione temporanea e permanente. In particolare, tale regolamento disciplinava, anche per le reti di comunicazioni elettroniche, il modus di presentazione della richieste di autorizzazione, individuando un apposito modello di domanda, all’uopo predisposto, ove, tra l’altro, il richiedente si obbligava a sostenere tutte le “spese di sopralluogo ed istruttoria”, ad individuare un tecnico “iscritto all’albo/ordine”, a presentare, in caso di occupazioni sia all’interno che fuori dai centri abitati, elaborati grafici sottoscritti da “professionista iscritto all’albo/ordine” o da tecnico comunale all’uopo abilitato, a stipulare una “polizza generale, quale copertura globale”.

In tale contesto, riscontrando la domanda, la Provincia aveva provveduto a richiedere una sua “integrazione”, rappresentando, tra le altre cose, che la domanda doveva essere presentata tramite il modello approvato con regolamento provinciale.

L’impresa procedeva così ad impugnare tale atto, unitamente al regolamento provinciale generale richiamato. Il ricorso deduceva, tra le altre cose, l’illegittimità delle previsioni regolamentari invocate con l’atto applicativo con cui la Provincia imponeva oneri ultronei e vietati dalla disciplina speciale e derogatoria contenuta del Codice. In particolare, l’obbligo di pagamento di oneri economici ulteriori a titolo di diritti di istruttoria, di sopralluogo o di garanzie ovvero la nomina di professionisti particolari per la redazione dei progetti contrastava con il regime di sostanziale gratuità di cui beneficiano le occupazioni di suolo pubblico effettuate con reti di comunicazioni elettroniche.

Il TAR Lombardia, con la pronuncia qui in commento, da un lato, ha accertato che l’atto impugnato dall’impresa non fosse autonomamente lesivo in quanto mero atto endoprocedimentale e, dall’altro lato, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Peraltro, in ragione di tale circostanza, il TAR Lombardia ha anche condannato il ricorrente per abuso del processo. Nello specifico:

- quanto alla pronuncia d’inammissibilità, il TAR Lombardia ha ritenuto che l’atto impugnato dovesse essere qualificato un atto meramente interlocutorio (tramite il quale la Provincia aveva soltanto richiesto delle integrazioni documentali);
- quanto alla condanna per abuso del processo, il TAR Lombardia ha stigmatizzato il comportamento processuale tenuto dall’impresa che, “in violazione dei principi generali di lealtà e solidarietà nei rapporti intersoggettivi, anche con la Amministrazione pubblica, non ha provveduto a tempestivamente fornire riscontro alla richiesta interlocutoria”, anche ed eventualmente allo scopo di manifestare nel procedimento le proprie ragioni di dissenso. In sintesi, secondo il TAR Lombardia, il silenzio serbato dall’impresa costituirebbe una mancata “collaborazione” in sede procedimentale renderebbe la successiva iniziativa giurisdizionale una forma d’inammissibile venire contra factum proprium, con connotazioni emulative e abusive.

La sentenza in commento appare rilevante sotto molteplici profili.

In primo luogo, non appare condivisibile la conclusione da questa raggiunta in ordine alla natura meramente endoprocedimentale dell’atto provinciale impugnato dall’impresa; ed infatti, pur implicitamente, la Provincia rigettava di fatto l’istanza presentata e imponeva l’accettazione del regolamento provinciale e delle relative onerose previsioni (anche di quelle specifiche previsioni in contrasto con il Codice).

In secondo luogo, appare singolare la condanna per abuso del processo effettuata nei confronti dell’impresa. In un processo caratterizzato da stringenti termini decadenziali, qual è quello amministrativo, non è inusuale che gli operatori economici privati, in via cautelativa, possano decidere di proporre dei ricorsi pur non avendo la totale certezza della pacifica definitività degli atti impugnati.

In attesa dell’eventuale proposizione dell’appello in Consiglio di Stato, le statuizioni contenute nella presente sentenza suggeriscono agli operatori privati di (a) condurre una attenta valutazione prima di proporre i ricorsi finalizzata a verificare con particolare attenzione la natura definitiva ovvero endoprocedimentale degli atti impugnati (portando a limitare le ipotesi dei ricorsi c.d. cautelativi) e (b) di avviare, per quanto possibile, una dialettica procedimentale con l’amministrazione al fine di evidenziare i motivi di doglianza nei confronti del potere da questa esercitato prima di proporre l’azione in sede giurisdizionale.

Tommaso Filippo Massari

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