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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni sotto-soglia ed esame della Commissione – Il Tribunale dell’UE ha confermato la legittimità del rinvio dell’Autorité de la Concurrence Française alla Commissione nel caso della concentrazione Illumina/Grail
Con la sentenza pubblicata lo scorso 13 luglio, il Tribunale dell’Unione Europea (Tribunale) ha respinto l’appello presentato da Illumina Inc. (Illumina o ricorrente) per ottenere l’annullamento della decisione con cui la Commissione Europea (Commissione) ha accettato la richiesta di rinvio per la valutazione della proposta acquisizione da parte della ricorrente del controllo esclusivo di Grail LLC (Grail), presentata dall’Autorità Nazionale della Concorrenza Francese, e successivamente dalle autorità nazionali di Grecia, Belgio, Olanda, Norvegia e Islanda, ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento 139/2004 (Regolamento europeo sulle concentrazioni o EUMR).
L’operazione in esame, come già commentato in questa Newsletter, essendo relativa a due imprese scarsamente presenti in Europa, non era soggetta ad alcun obbligo di notifica nell’UE (né alla Commissione, né a livello nazionale) in quanto non presentava né la cosiddetta dimensione europea ai sensi dell’ EUMR (ossia, le soglie di fatturato ivi previste non erano raggiunte), richiesta per attivare la competenza giurisdizionale della Commissione, né una dimensione tale da attivare i meccanismi di controllo predisposti dai singoli Stati Membri.
Tuttavia, la Commissione ha ritenuto che la concentrazione fosse ugualmente meritevole di esame in quanto il suo potenziale anticompetitivo non era adeguatamente colto dal meccanismo delle soglie prestabilite di fatturato, e pertanto ha invitato le autorità nazionali a presentare una richiesta di rinvio. Con il presente appello, il Tribunale si è quindi trovato per la prima volta a decidere sulla competenza della Commissione ad esaminare operazioni di concentrazione che siano oggetto di un rinvio richiesto da uno Stato Membro senza essere soggette ad alcun obbligo di notifica nemmeno a livello nazionale.
In via preliminare, nella sentenza è stata giudicata ammissibile la richiesta di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE con riguardo alle decisioni con cui la Commissione ha accettato i rinvii, essendo queste vere e proprie decisioni che concludono di fatto la fase speciale del rinvio con lo spostamento della competenza e con la produzione di effetti sostanziali in capo alle parti (primo tra tutti, il cosiddetto obbligo di standstill).
Il Tribunale dell’UE, sulla base di un’ampia argomentazione che coinvolge i canoni interpretativi tradizionali, ha quindi avallato l’interpretazione dell’articolo 22 EUMR su cui la Commissione ha fondato la propria competenza giurisdizionale nel caso di specie. In particolare, il Tribunale ha evidenziato come nel dettato dell’articolo stesso sia affermata la propria applicabilità a “qualsiasi concentrazione” a condizione che sussistano i quattro requisiti ivi richiamati, e segnatamente: i) la richiesta di rinvio deve essere inviata da uno Stato Membro; ii) l’operazione deve poter essere qualificata come concentrazione ai sensi dell’articolo 3 EUMR senza superare le soglie che conferiscono la dimensione comunitaria; iii) deve condizionare il commercio tra Stati Membri, e iv) deve presentare il rischio di incidere in misura significativa sul regime concorrenziale degli Stati che presentano la richiesta.
Ad avviso del Tribunale, non appare possibile desumere una interpretazione più ristretta neanche dai documenti che hanno accompagnato l’introduzione di tale norma. In particolare, dal Libro Verde della Commissione del gennaio 1996 si legge che il meccanismo dell’articolo 22 risulta uno strumento utile “specialmente”, e pertanto non esclusivamente, per permettere la revisione di concentrazioni qualora uno Stato Membro non disponga di un meccanismo nazionale di controllo. Inoltre, il Tribunale ha evidenziato la vera essenza del meccanismo di rinvio in questione, ovvero quella di un flessibile strumento correttivo e supplementare del rigido meccanismo delle soglie.
Un ulteriore punto rilevante della sentenza verte sull’individuazione del momento a partire dal quale la concentrazione si possa ritenere “resa nota” agli Stati Membri e dal quale decorre di conseguenza il termine di 15 giorni lavorativi entro i quali questi possono legittimamente presentare la richiesta di rinvio alla Commissione. Il Tribunale, infatti, ha ritenuto che tale conoscenza debba derivare da un’azione “attiva” e che debba consistere nell’avere contezza degli elementi necessari a consentire una valutazione prima facie della sussistenza dei requisiti per il rinvio esposti in precedenza. Il Tribunale ha quindi individuato tale momento nell’invio della lettera con cui la Commissione ha invitato gli Stati Membri a richiedere il rinvio, respingendo l’argomentazione della ricorrente secondo la quale tale momento debba coincidere invece con la data in cui l’operazione veniva annunciata dalle parti sul proprio sito o, in ogni caso, con un momento antecedente alla lettera, alla luce dei precedenti colloqui informali tenuti dalla Commissione con le autorità nazionali.
Con tale sentenza, il Tribunale ha pertanto confermato l’ambito di applicazione del Regolamento europeo sulle concentrazioni e la competenza giurisdizionale della Commissione nella valutazione di operazioni rilevanti dal punto di vista antitrust ma che siano sfuggite alle “maglie” degli obblighi di notifica. Non resta quindi da vedere se questa posizione troverà ulteriore e definitiva consacrazione di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nel caso in cui Illumina appelli la pronuncia del Tribunale.
Niccolò Antoniazzi
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Accordi di pay-for-delay e settore farmaceutico – L’AG Kokott rende le sue conclusioni nell’appello proposto da Servier nel caso relativo al Perindropil
Con l’opinione resa il 14 luglio scorso, l’Avvocato Generale (AG) Kokott ha chiesto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) di annullare la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea (Tribunale) nel caso Servier and Others v Commission (T‑691/14), che aveva a sua volta annullato la decisione della Commissione Europea (Commissione) di sanzionare gli accordi tra Servier e Krka Tovarna Zdravil d.d. (Krka) ai sensi dell’art. 101 TFUE.
Servier è la società che ha sviluppato il farmaco per la pressione sanguigna Perindropril, per il quale deteneva un brevetto scaduto in diversi Stati membri negli anni 2000. Contestualmente alla scadenza, diversi produttori di Perindropril generico hanno intentato azioni giudiziarie sulla validità di alcuni brevetti successivi allo stesso connesso. Servier ha quindi concluso tali vertenze tramite transazioni, prevedendo l’impegno da parte dei produttori generici di astenersi dall’entrare nel mercato dei prodotti Perindropril nonché garantendo un trasferimento di valore da Servier ai rispettivi produttori. Tali trasferimenti di valore consistevano in pagamenti o rinunce ad azioni giudiziarie.
Nel 2014, la Commissione aveva ritenuto che tutti questi accordi costituissero una violazione dell'Art. 101 TFUE e, inoltre, che Servier avesse violato l’art. 102 TFUE. Successivamente, le società hanno presentato un ricorso al Tribunale chiedendo l’annullamento della decisione della Commissione. Nel 2018, il Tribunale ha ritenuto che la decisione fosse legittima, ad eccezione dell’accertamento della violazione dell’art. 102 TFUE. La sentenza ha tuttavia ritenuto che l’accordo tra Servier e Krka fosse l’unico a non violare l’art. 101 TFUE, trattandosi di un accordo di licenza in base al quale Krka avrebbe potuto vendere i prodotti Perindropril su licenza di Servier in cambio di un compenso in termini di royalties e dell’impegno a non entrare nei mercati dell’Europa occidentale non coperti dall’accordo di licenza. Per accertare effettivamente un’infrazione, secondo il Tribunale, la Commissione avrebbe dovuto dovrebbe fornire prove sufficienti del fatto che il compenso per le royalties fosse anormalmente inferiore agli standard di mercato e che quindi l’unica reale remunerazione prevista fosse l’impegno di non concorrenza della controparte.
Nel suo parere, l’AG Kokott propone di considerare anche questo accordo come anticoncorrenziale, e quindi di annullare la sentenza della Corte sul punto. A tal fine, l’AG ha ribadito i criteri in base ai quali un accordo di questo tipo sui brevetti può costituire una violazione per oggetto ai sensi dell’art. 101 TFUE indicando che: l’originatore del farmaco e il produttore generico devono essere potenziali concorrenti; l’accordo deve includere clausole di non contestazione; l’impegno a non competere sul rispettivo mercato deve essere stato assunto a fronte di un trasferimento di valore.
Contrariamente al Tribunale, l’AG ritiene che, in sostanza, l’unica contropartita imposta a Krka fosse l’impegno a non competere con Servier sui mercati per i quali non aveva ricevuto la licenza. Secondo la casistica in merito ad accordi di questo tipo, il trasferimento di valore nei confronti del produttore di farmaci generici deve sempre essere giustificato da un ritorno considerevole, perché in caso contrario tale trasferimento costituirebbe un reverse payment e integrerebbe quindi una violazione dell’art. 101 TFUE per oggetto.
Inoltre, l’AG Kokott sostiene che il Tribunale ha errato nel ritenere che l’accordo tra Servier e Krka non avesse prodotto effetti anticoncorrenziali. L’accordo ha infatti portato al risultato di eliminare completamente Krka come concorrente, mediante i prodotti generici, sui mercati per i quali non aveva ottenuto la licenza. Pertanto, si l’infrazione era non solo per oggetto ma anche per effetto.
Si attende ora la sentenza della Corte, per vedere se i giudici seguiranno o meno l’impostazione dell’AG Kokott.
Laurin Ingo Rudloff
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Abuso di posizione dominante e rete di distribuzione– L’Avvocato Generale Rantos si pronuncia in merito ai parametri per l’individuazione di una singola unità economica e affronta nuovamente il nodo del principio del “concorrente efficiente”
Lo scorso 15 luglio, l’Avvocato Generale (l’AG) Rantos ha rassegnato le proprie conclusioni in merito al rinvio operato dal Consiglio di Stato (il CdS) nella causa che vede opposta Unilever Italia Mkt. Operations S.r.l. (Unilever) all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM). Il rinvio è volto ad ottenere chiarimenti (i) in merito ai criteri che identificano l’esistenza di una singola unità economica tra imprese formalmente indipendenti, in presenza di soli vincoli contrattuali tra esse, nonché (ii) in merito alla portata applicativa dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) nella sentenza Intel con riguardo al principio del c.d. as efficient competitor (AEC).
La vicenda ha origine nel 2017, quando l’AGCM sanzionò Unilever con un’ammenda superiore a 60 milioni di euro per un asserito abuso di posizione dominante ai sensi dell’articolo 102 TFUE (la Decisione) nel mercato dei gelati preconfezionati da impulso. In particolare, con tale Decisione l’AGCM aveva ritenuto Unilever direttamente (ed esclusivamente) responsabile delle condotte poste in essere dai propri distributori nei confronti dei rivenditori finali dei prodotti Unilever (come ad esempio stabilimenti balneari e bar), aventi carattere escludente nei confronti di altri produttori di gelati concorrenti; ciò, in virtù di vincoli contrattuali particolarmente stringenti, per effetto dei quali, secondo l’AGCM, i distributori di Unilever dovevano ritenersi una sorta di longa manus di quest’ultima, e non, invece, degli operatori economici indipendenti.
È dalla conferma di tale Decisione da parte del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (il TAR Lazio), già oggetto della presente Newsletter, che scaturisce l’appello presso il CdS e l’ordinanza di rimessione delle questioni pregiudiziali sopra menzionate.
Con il primo quesito, viene domandato alla CGUE quale debba essere il collegamento tra due imprese (in questo caso, in un rapporto di fornitura-distribuzione) formalmente indipendenti e legate tra loro esclusivamente da vincoli contrattuali, per potersi ritenere sussistente tra di esse una singola entità economica ai sensi del diritto antitrust. Secondo Unilever, infatti, la sanzione irrogata con la Decisione e confermata dalla sentenza del TAR Lazio dovrebbe essere annullata in quanto sarebbe stata erroneamente applicata la nozione di “unica unità economica” al caso di specie, sottostimando il grado di autonomia organizzativa e commerciale dei distributori.
L’AG Rantos suggerisce, nelle proprie conclusioni, di applicare mutatis mutandis i medesimi principi sviluppati dalle corti europee in materia di gruppi societari – nel caso specifico con una verifica caso per caso (a) della capacità del fornitore, in astratto, di esercitare un’influenza determinante sul distributore, nonché (b) in concreto, l’effettivo esercizio di tale influenza nella pratica.
A tal proposito andrebbero considerati numerosi indici contemporaneamente, quali: la sussistenza di particolarmente forti vincoli (a) economici (come la portata dell’eventuale posizione dominante del produttore, l’importanza rappresentata dal fatturato generato dalle vendite dei prodotti del produttore dominante per il fatturato globale del distributore e l’assunzione o meno, da parte dell’intermediario, di un rischio economico nell’esercizio della propria attività), (b) organizzativi (come l’esistenza di pratiche di controllo sul rispetto delle clausole di esclusiva e di altre clausole di esclusione) e (c) giuridici (come la previa definizione da parte del produttore di condizioni specifiche di vendita per gli esercenti) tra le diverse imprese.
Su tale punto, conclude l’AG Rantos, “…non [è] necessario accertare ‘la [sussistenza di] un collegamento gerarchico’[…] è importante che, al di fuori dei vincoli gerarchici formalizzati da atti di indirizzo, il suddetto distributore non sia libero di decidere su tutto quanto potrebbe ridurre l’efficacia delle pratiche di esclusione previamente stabilite dal produttore dominante […] perché teme a ragione ripercussioni economiche”, fermo restando che, essendo in re ipsa nei c.d. rapporti verticali come quello del caso di specie un certo livello di ingerenza da parte di un’impresa a monte sull’impresa a valle, “il mero coordinamento o l’ingerenza nelle decisioni adottate da un altro soggetto, per quanto significativi e idonei a rappresentare un comportamento restrittivo della concorrenza […] non possono di per sé indicare che il distributore non agisce autonomamente…”.
Con il secondo quesito, invece, viene domandato alla CGUE di chiarire, da un lato, (i) se i principi enunciati nella sentenza Intel (in particolare, ai paragrafi 137-140) debbano essere applicati anche a casi dove vengano in rilievo non soltanto sconti di esclusiva, (vale a dire, sconti offerti da un’impresa alla propria clientela a condizione che quest’ultima si rifornisca unicamente da detta impresa), ma anche clausole di esclusiva e ulteriori sconti e compensi di c.d. fidelizzazione, come nel caso di specie; e, dall’altro, (ii) se nell’ambito dell’analisi degli effetti delle clausole di esclusiva, le autorità antitrust debbano necessariamente e puntualmente analizzare le analisi economiche prodotte dalle imprese al fine di dimostrare l’incapacità in concreto delle condotte contestate di escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti. Tanto l’AGCM, nella Decisione, quanto il TAR nella sentenza impugnata presso il CdS, infatti, avevano ritenuto che i principi derivanti dalla sentenza Intel si applicassero unicamente al caso di sconti di esclusiva, e non anche in caso di obblighi di esclusiva combinati con sconti vari.
Sul punto, l’AG Rantos afferma che alcune affermazioni contenute nella sentenza della CGUE nel caso Intel, in particolare quella secondo cui, laddove l’impresa soggetta all’istruttoria dimostri nel corso del procedimento l’incapacità della condotta posta in essere di restringere la concorrenza e, in particolare, “di produrre gli effetti di esclusione del mercato addebitati”, l’autorità antitrust “è tenuta ad analizzare, tra l’altro, se le pratiche oggetto dell’indagine siano effettivamente idonee ad escludere dal mercato concorrenti quantomeno altrettanto efficaci”, enunciano principi che hanno “portata generale, e indipendentemente dal tipo di restrizione”.
Pertanto, ad avviso dell’AG Rantos, laddove un’impresa dominante produca elementi di prova diretti a dimostrare che il comportamento controverso non era idoneo a produrre gli effetti escludenti astrattamente ipotizzati dall’Autorità, quest’ultima non può ignorarli, ed anzi sorge in capo ad essa un obbligo di valutazione nell’ambito della analisi sulla possibilità che le condotte contestate possano escludere dal mercato concorrenti altrettanto efficienti rispetto all’impresa dominante. Secondo l’AG, infatti, la “valutazione degli argomenti difensivi dedotti dall’impresa dominante, vale a dire le giustificazioni oggettive o i vantaggi in termini di efficienza, può essere effettuata solo in esito a un’analisi relativa alla capacità di esclusione dal mercato di concorrenti altrettanto efficaci”. Resta ancora irrisolto, peraltro, il nodo relativo alla concreta attuazione del principio/criterio AEC: di fatti, resta incerto se il “test AEC” come descritto dalla CGUE nel caso Intel costituisca o meno l’unica concreta modalità di applicazione del “principio AEC”.
Le presenti conclusioni risultano particolarmente rilevanti. Da un lato, l’impostazione ivi adottata potrebbe portate ad una significativa espansione del concetto di “singola unità economica” (anche se la effettiva pertinenza di tale concetto rispetto alla controversa a quo appare discutibile, posto che la stessa questione sarebbe potuta essere affrontata invece sul piano dell’imputabilità di condotte materialmente attuate anche attraverso terzi ovvero, ancora più correttamente, attraverso l’uso dell’art. 101 TFEU e quindi di un possibile accordo escludente); e, dall’altro, essa potrebbe determinare in capo alle autorità antitrust oneri maggiori in sede di applicazione del principio dell’AEC. Non resta che attendere la pronuncia della CGUE per avere risposta a tutti i quesiti sollevati.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Concentrazioni e settore del trasporto aereo – L’Avvocato generale Rantos si pronuncia in merito all’interpretazione di specifiche disposizioni di impegni
Con le proprie conclusioni pubblicate lo scorso 14 luglio, l’Avvocato generale Rantos (l’AG) si è pronunciato sull’interpretazione di alcuni degli impegni presentati da US Airways e American Airlines (le Parti) volti a risolvere le preoccupazioni concorrenziali della Commissione in merito alla concentrazione (l’Operazione) tra le due società nel 2013.
L’Operazione aveva sollevato alcune preoccupazioni in merito alla rotta tra l’aeroporto di London Heathrow e Philadelphia International Airport e, al fine di risolvere tali perplessità, le Parti avevano assunto diversi impegni. In particolare, per la rotta in questione, i terzi concorrenti avevano la possibilità di presentare un’offerta per l’assegnazione di bande orarie per tale tratta e di acquistare, successivamente a un periodo di utilizzo, i c.d. diritti acquisiti (grandfather rights) che consentono di mantenere lo slot della rotta in via definitiva. Più precisamente, la concessione di tali diritti viene subordinata, oltre che alla valutazione sulla solidità e serietà del candidato e all’offerta tariffaria del servizio, alla effettiva utilizzazione e quindi frequenza del servizio per lo meno nella misura del’80% del tempo per la quale dette bande orarie sono state assegnate (la regola 80/20).
In seguito, il 9 ottobre 2014 la Delta Air Lines, Inc. (Delta) aveva presentato un’offerta per l’assegnazione delle bande orarie conformemente agli impegni finali delle Parti e, nel 2018, la Commissione, a seguito della valutazione sull’”uso adeguato” secondo la regola 80/20 delle bande orarie, aveva concesso a Delta i c.d. diritti acquisiti. Contro tale decisione, le Parti proponevano ricorso dinanzi al Tribunale dell’UE deducendo un errore di diritto in cui la Commissione sarebbe incorsa nell’interpretazione del termine “uso adeguato” propedeutico alla concessione dei diritti acquisiti. Tuttavia, il Tribunale, analizzando l’interpretazione della Commissione sul termine “uso adeguato”, aveva constatato che lo stesso era stato interpretato correttamente nel senso di “assenza di uso improprio” e conformemente ad una lettura sistematica della clausola in questione con gli impegni. Il ricorso, dunque, veniva respinto e la sentenza impugnata dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE).
In tale contesto, dunque, l’AG propone oggi le sue considerazioni su questo genere di impegni e sull’interpretazione del c.d. “uso adeguato” delle bande orarie.
In primo luogo, l’AG ha chiarito che lo scopo degli impegni relativi alle bande orarie è quello di garantire l’entrata di nuovi concorrenti nel mercato in grado di presentare un’offerta competitiva sulle rotte in questione. In particolare, l’AG ha precisato che l’obiettivo di tale impegno non è quello di permettere ad un concorrente di riprodurre un servizio quotidiano già offerto, bensì quello di generare una concorrenza effettiva o potenziale nei confronti della nuova entità creata dalla concentrazione. A tal proposito, infatti, l’AG sottolinea che il prevedere la concessione di diritti acquisiti a seguito di un utilizzo adeguato delle bande orarie non persegue un obiettivo specifico ma uno più generale volto a risolvere problematiche antitrust quali, ad esempio, ridurre il rischio di creazione di barriere all’ingresso da parte della nuova entità entrante.
In secondo luogo, l’AG precisa il corretto significato dell’”uso adeguato” che costituisce il criterio giuridico propedeutico alla concessione dei diritti acquisiti. Questa nozione, secondo l’AG, deve essere interpretata alla luce del principio delle “bande orarie utilizzate o bande orarie perse” del Regolamento (CE) n. 95/93 (di cui all’articolo 10, par. 2). Sulla base di queste premesse, l’AG ha ritenuto che l’”uso adeguato” debba essere interpretato nel senso di “assenza di uso improprio”, come ripreso in una specifica clausola che menziona il numero di frequenze (80%) che deve essere operato. Dunque, affinché un vettore aereo possa acquistare diritti acquisiti, deve dimostrare di aver operato tali bande orarie perlomeno nella misura flessibile dell’80% del tempo durante la stagione di traffico per la quale dette bande orarie sono state assegnate. Inoltre, data la portata generale e flessibile delle clausole sottostanti gli impegni, nessuna clausola ha previsto o potrà (mai) richiedere che il potenziale concorrente utilizzi il 100% le bande orarie di cui ha chiesto l’utilizzo e verrà esclusa qualsiasi richiesta di giustificazione della deviazione rispetto all’offerta e all’utilizzo.
L’opinion risulta interessante poiché si tratta – come notato da molti commentatori – della prima volta in cui viene affrontata in sede di rinvio pregiudiziale una questione relativa al significato e alla portata di alcuni impegni assunti nell’ambito di una concentrazione. Resta da vedere se la CGUE accoglierà o meno le considerazioni dell’AG.
Maria Spanò
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Diritto della concorrenza Italia / Abusi di posizione dominante e big data – L’AGCM avvia un’istruttoria nei confronti di Google per un asserito abuso di posizione dominante rispetto al diritto di portabilità dei dati
Il 14 luglio scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria nei confronti di Google LLC (“Google”) per accertare un abuso di posizione dominante nel settore dei big data. Nello specifico, Google avrebbe cercato di ostacolare l’esercizio del diritto di portabilità dei dati di cui all’art. 20 GDPR limitando la condivisione dei propri dataset con altri operatori concorrenti.
Il procedimento trae origine da una denuncia presentata nel settembre 2021 da Hoda S.r.l. (“Hoda”), start-up italiana nata nel 2018 e attiva nel settore dell’intermediazione di dati personali attraverso l’app “Weople”. Quest’ultima è un’applicazione che consente agli utenti che vi si iscrivano di “…immettere i propri dati in una sorta di conto/cassetta e di beneficiare di un guadagno ogni volta che le imprese richiedono tali dati, in forma statistica, aggregata e anonima, per lo svolgimento della propria attività di targhettizzazione della clientela o per altri fini, come la creazione di database statistici o strumenti di enrichment”. Per giungere a tale risultato, l’utente registrato conferisce una delega a favore di Hoda affinché la stessa proceda a raccogliere i dati dell’utente disponibili nelle principali piattaforme Internet o di erogatori di altri servizi e applicazioni digitali. Si pone quindi come imprescindibile un’interlocuzione fra Weople e la piattaforma interessata, che garantisca un aggiornamento costante del flusso di dati.
Sul piano normativo, la trasmissibilità cross-platform dei dati costituisce un diritto garantito dal GDPR, il cui art. 20, comma 2, dispone che “…nell’esercitare i propri diritti relativamente alla portabilità dei dati a norma del paragrafo 1, l’interessato ha il diritto di ottenere la trasmissione diretta dei dati personali da un titolare del trattamento all’altro, se tecnicamente fattibile…”. Come già rilevato dall’AGCM nel report finale dell’indagine conoscitiva in materia di big data pubblicato nel 2019, la norma ha una duplice valenza pro-concorrenziale nell’ambito dei mercati digitali, in quanto “…da un lato, offre ad operatori alternativi la possibilità di esercitare una pressione concorrenziale su operatori come Google che fondano la propria dominanza sulla creazione di un ecosistema basato sulla gestione di quantità tendenzialmente illimitate di dati funzionale esclusivamente al proprio modello di business; dall’altro, offre agli utenti la possibilità di conseguire il massimo potenziale economico conseguente all’utilizzo dei dati personali che, in particolare, può derivare da modalità economiche alternative di utilizzo degli stessi…”.
Coerentemente con tali premesse, nel maggio 2019 Hoda ha avviato dei contatti con Google per individuare i meccanismi di interoperabilità necessari affinché l’utente Weople potesse procedere al trasferimento dei propri dati nell’account Weople. Le richieste di Hoda avrebbero incontrato le resistenze di Google, in procinto di elaborare “…un progetto per lo sviluppo di un framework condiviso per l’interoperabilità, nelle more del quale non avrebbe avuto le necessarie risorse per realizzare soltanto con Hoda il protocollo di interoperabilità…”. Google avrebbe in ogni caso assicurato l’espletamento delle richieste di portabilità tramite Google Takeout, un servizio fornito agli utenti Google per richiedere e ottenere una copia dei loro dati, raggiungibile solo direttamente e individualmente da ciascun utente e previa autenticazione tramite ID e password. Stando a quanto contenuto nel provvedimento di avvio, tale articolata procedura avrebbe scoraggiato l’esercizio del diritto sancito dall’art. 20 GDPR da parte degli utenti. Dall’introduzione del servizio Google Takeout, Hoda avrebbe infatti registrato un calo delle richieste di portabilità di circa il 90-95%. Tra le potenziali causa di tale crollo, Hoda avrebbe segnalato le difficoltà nel fornire agli utenti una guida immediata sull’espletamento delle complesse procedure di trasmissione dei dati previste da Google Takeout.
A fronte del quadro legale e fattuale di cui sopra, l’AGCM ipotizza con il provvedimento in esame che la creazione di ostacoli all’individuazione di meccanismi di interoperabilità dei dati in proprio possesso, nel pregiudicare l’esercizio, da parte dell’utente finale, del diritto alla portabilità dei propri dati, stabilito dal menzionato articolo 20 del GDPR, costituisca un sfruttamento indebito da parte di Google della propria posizione di dominanza nei confronti, in primo luogo, dei consumatori finali “…nella misura in cui determina una limitazione dei benefici che i consumatori potrebbero trarre dalla valorizzazione dei loro dati personali…”,nonché, in seconda battuta, nei confronti di Hoda “…nella misura in cui limita la possibilità di operatori alternativi a Google di sviluppare forme innovative di utilizzo dei dati personali…”.
L’avvio dell’istruttoria in commento concerne un settore chiave per l’economia digitale – quale quello dei big data - la cui centralità è testimoniata dalla già citata indagine conoscitiva del 2019. Se a tale premessa si aggiunge la natura disruptive del modello di business proposto da Hoda rispetto alla prassi di mercato nel settore dei big data, si evince la rilevanza del procedimento in commento, che merita indubbiamente di essere seguito nelle sue future evoluzioni.
Alessandro Canosa
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