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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Antitrust e settore della pubblicità online – La Commissione europea ha avviato un’indagine per valutare se l’accordo ‘Jedi Blue’ tra Google e Meta sui servizi di pubblicità online violi le norme sulla concorrenza

Con il press release dello scorso 11 marzo, la Commissione Europea (Commissione) ha annunciato l’apertura di un’istruttoria nei confronti di Google e Meta (già Facebook) per valutare un possibile coordinamento tra le due società – designato internamente con il nome in codice di ‘Jedi Blue’ – asseritamente volto a ostacolare la concorrenza nel settore della pubblicità online e potenzialmente rilevante ai sensi degli artt. 101 e/o 102 TFUE. In concomitanza con l’annuncio della Commissione, anche la CMA ha reso noto di aver aperto un’analoga indagine.

I dettagli dell’asserita intesa possono ricavarsi da un procedimento tuttora pendente negli Stati Uniti e instaurato da una coalizione di Stati americani guidata dal Texas, il cui atto di citazione è stato parzialmente desecretato lo scorso ottobre. Dal ricorso – nonché dalle indagini settoriali svolte dalle autorità antitrust sul tema, tra cui si segnalano quelle della CMA e dell’Autorità Australiana – si ricava che la vendita degli spazi pubblicitari online è un settore a marcata intermediazione. Stante l’impossibilità di prevedere in anticipo l’entità delle visualizzazioni di un sito web, i titolari di siti e pagine web che intendono offrire spazi pubblicitari sul proprio sito fanno ricorso a meccanismi di vendita in tempo reale, tramite cui gli spazi pubblicitari vengono aggiudicati a chi offre il prezzo più alto nel corso di un’asta della durata di poche frazioni di secondo. Per consentire questo tipo di operazioni, il mercato del trading degli spazi pubblicitari online è imperniato su tre elementi essenziali: (i) l’ad server, cui fa ricorso il venditore dello spazio pubblicitario, ossia un sistema di gestione degli spazi che identifica e profila l’utente che accede alla pagina, entrando in contatto con i marketplace per il trading degli spazi; (ii) il marketplace per la compravendita di spazi pubblicitari, che mette in contatto venditori e acquirenti per la creazione di aste sugli spazi pubblicitari (nel caso in cui l’asta abbia oggetto un volume di spazi contenuto, i marketplace generalmente non offrono alcuna visibilità sui prezzi delle aste); (iii) gli ad buying tools, strumenti di intermediazione che gli acquirenti di spazi pubblicitari devono impiegare per l’accesso ai marketplace e alle aste.

Su ciascuno dei tre fattori in commento, Google detiene una posizione di dominanza. Secondo l’atto di citazione desecretato cui sopra, Google avrebbe fatto leva su tale potere di mercato esercitato sull’intera value chain della pubblicità online per vincolare sia la domanda sia l’offerta di spazi pubblicitari all’utilizzo dei propri ad server, marketplace e ad buying tools, così da estrarre da ciascuna transazione una commissione sul prezzo finale di vendita fuori mercato. Tale privilegio sarebbe stato insidiato a partire dal 2016 dall’avvento di una nuova tecnologia, c.d. header bidding, che avrebbe permesso ai venditori di spazi di adire più marketplace allo stesso tempo e di vendere lo spazio pubblicitario all’offerta risultata più elevata tra le diverse piattaforme di scambio. Nel marzo 2017, Facebook dichiarò il suo supporto per la soluzione header bidding, con ciò prefigurando la possibilità per un’ampia parte degli inserzionisti di aggirare la piattaforma di Google, migrando sulle altre piattaforme incluso il marketplace pubblicitario di Facebook. Google avrebbe quindi concluso un accordo con Facebook – Jedi Blue, per l’appunto – con il quale Facebook si sarebbe impegnata a non adottare la tecnologia header bidding in cambio di una serie di privilegi, tra cui, ad esempio, la riduzione delle commissioni per le transazioni con gli ad server di Google, una miglior profilazione degli utenti destinatari delle singole inserzioni e una percentuale di aste vittoriose predeterminate in favore di Facebook.

Dato il potenziale impatto sul core business di una delle più grandi società al mondo – si osserva in questo senso che, dei 75 miliardi di fatturato realizzati dal gruppo Alphabet nell’ultimo semestre del 2021, 61 miliardi sono riconducibili al segmento pubblicitario – e la presenza di plurimi procedimenti concomitanti in diverse giurisdizioni, il caso in esame si candida ad essere una delle più importanti vicende di enforcement antitrust degli ultimi anni.

Alessandro Canosa

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Concentrazioni e settore dei contenuti audiovisivi – La Commissione approva incondizionatamente l’acquisizione di MGM da parte di Amazon

Con il comunicato stampa pubblicato il 15 marzo scorso, la Commissione europea (Commissione) ha approvato senza condizioni l’acquisto, per circa 8,45 miliardi di dollari (l’Operazione), di MGM Holdings Inc. (MGM) da parte di Amazon.com Inc. (Amazon).

Come è noto, Amazon è una società multinazionale che fornisce una serie di attività tra cui servizi di vendita al dettaglio, la produzione e vendita di prodotti di elettronica di consumo e la fornitura di servizi tecnologici. In particolare, per quanto qui rileva, Amazon è attiva nella (co)produzione e distribuzione attraverso gli Amazon Studios di contenuti audiovisivi (AV) che sono disponibili – insieme ad altri prodotti di terzi – sulla propria piattaforma Amazon Prime Video. MGM è la società madre dello storico studio cinematografico statunitense Metro-Goldwyn-Mayer Studios e produce e distribuisce contenuti AV oltre ad offrire il proprio canale “MGM+” a piattaforme come Prime Video, Zattoo e Mediaset. Entrambe le società sono attive all’interno dello Spazio economico europeo (SEE) e a livello globale.

La concentrazione è stata analizzata considerando le eventuali sovrapposizioni orizzontali e i collegamenti verticali nei seguenti mercati: la produzione e fornitura di contenuti AV, la fornitura all’ingrosso di canali televisivi, la fornitura al dettaglio di servizi AV, la produzione e concessione in licenza dei diritti di distribuzione a distributori terzi di film per l’uscita nelle sale e la fornitura di servizi tramite marketplace.

L’accertamento svolto dalla Commissione ha rivelato la non problematicità della concentrazione in ragion del fatto che, in primo luogo, sotto il profilo orizzontale le quote di mercato delle parti risultano poco rilevanti in quanto le due società sono per lo più attive in diverse parti della catena del valore dei contenuti AV; inoltre, sotto il profilo dei possibili effetti verticali, è stato accertato il ruolo marginale di MGM, sia come produttore e operatore titolare di contenuti AV, sia come venditore al dettaglio nello SEE (considerando anche l’ampia varietà di contenuti AV alternativi al momento esistenti).

L’Operazione, contribuendo a rafforzare il catalogo video disponibile su Amazon Prime Video attraverso la libreria dei successi di MGM, permetterà al contrario ad Amazon di migliorare la propria offerta per i nuovi clienti, concorrendo al pari delle altre e numerose piattaforme streaming video ora emergenti in un settore sempre più competitivo.

L’autorizzazione dell’Operazione da parte della Commissione, adottata in base all’analisi dei suoi effetti all’interno del SEE, non esclude tuttavia il sindacato di altre autorità di concorrenza, come ad esempio la US Federal Trade Commission la quale, in base al diverso quadro normativo, ben potrebbe intervenire anche dopo il perfezionamento dell’Operazione.

Maria Spanò

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Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – La Corte di Giustizia si pronuncia sul diritto di intervento di Fastweb nel giudizio avviato da una terza parte contro la clearance della Commissione sulla costituzione della joint venture INWIT

Con l’ordinanza adottata nel caso C 649/21, la Corte di Giustizia (Corte) riconosce il diritto di Fastweb S.p.A. (Fastweb) ad intervenire nel procedimento instaurato da Iliad Italia S.p.A. (Ricorrente) contro la decisione della Commissione Europea (Commissione) con cui era stata autorizzata la costituzione della joint venture INWIT tra Vodafone Europe BV e Telecom Italia S.p.A. (Società).

Il 17 gennaio 2020 la Commissione aveva ricevuto la notifica dell’operazione tramite cui le Società intendevano creare una rete infrastrutturale wireless comune, costituendo la joint venture INWIT (Infrastrutture Wireless Italiane SpA). La Commissione, benché inizialmente avesse espresso seri dubbi in merito alla creazione di INWIT, l’aveva poi autorizzata alla luce degli impegni con effetti sui mercati italiani della fornitura dei servizi di telecomunicazione wireless e mobile e dei servizi di hosting su infrastrutture passive per gli operatori di settore.

Il 18 novembre 2020 la Ricorrente impugnava la clearance della Commissione, cui seguiva la domanda di intervento ad adiuvandum proposta da Fastweb. La Commissione si opponeva quindi a tale richiesta, posto che Fastweb avrebbe utilizzato reti infrastrutturali diverse da quelle conferite in INWIT e, quindi, venendo a mancare l’interesse all’intervento. Secondo la Commissione, infatti, Fastweb non era interessata a sottoscrivere accordi con INWIT, né aveva dimostrato alcun pregiudizio concreto connesso con la creazione della joint venture, risolvendosi la doglianza in un pregiudizio futuro e meramente ipotetico (laddove, invece, per intervenire in un giudizio pendente è richiesto un interesse diretto ed esistente); in sostanza, secondo la Commissione, il pregiudizio di Fastweb si sarebbe concretizzato solamente se gli accordi con gli operatori che le garantivano l’accesso alle rispettive infrastrutture fossero venuti meno.

Il Tribunale dichiarava quindi con l’ordinanza T-692/20 (non pubblicata) inammissibile la richiesta di intervento; tale decisione era impugnata da Fastweb dinanzi alla Corte, lamentando il vizio di motivazione, il travisamento dei fatti e l’erronea applicazione del diritto. Nella ordinanza in commento, quindi, la Corte ha accolto tale ricorso, sulla base delle seguenti argomentazioni:

  • la circostanza che Fastweb non si servisse delle infrastrutture di INWIT non era giuridicamente rilevante, in quanto l’interesse a intervenire è considerato diretto se il risultato della decisione possa anche solamente modificare la posizione legale o economica del richiedente. In questo senso l’operazione notificata avrebbe avuto quantomeno un effetto sul potere negoziale di Fastweb nei confronti degli attuali partners commerciali. La Commissione, infatti, aveva omesso di considerare che l’annullamento dell’autorizzazione poteva migliorare le condizioni competitive di Fastweb, sia nei confronti dei suoi partners commerciali sia nei confronti delle società che avevano costituito INWIT;
  • un’impresa già attiva in uno o più mercati identificati dalla Commissione come rilevanti nell’ambito di una concentrazione ha un interesse attuale e diretto a partecipare al giudizio, non potendosi quindi invertire l’onere della prova ponendo a carico della stessa la dimostrazione di come la prospettata operazione potrebbe avere effetti sulla sua posizione giuridica e/o economica;
  • Fastweb è un’impresa operante nel settore delle telecomunicazioni e utilizza servizi di hosting su infrastrutture passive simili a quelli offerti da INWIT, pertanto rientra nel novero delle imprese che, a detta della Corte, possono subire un pregiudizio dalla costituzione della joint venture: ne consegue che la Commissione ha erroneamente attribuito a Fastweb l’onere di provare che l’attuazione della concentrazione le avrebbe reso più difficoltoso usufruire delle infrastrutture gestite dagli altri operatori, nonché di dimostrare che gli impegni assunti dalle Società fossero insufficienti a garantire il permanere di una concorrenza effettiva.

Con la pronuncia della Corte è stato quindi chiarito che l’interesse di un’impresa ad intervenire in un giudizio pendente – ai fini di valutarne l’ammissibilità – deve essere valutato a prescindere dalla circostanza che l’interveniente usufruisca o meno di servizi analoghi offerti da altri operatori.

Elena Scanzano

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Diritto della concorrenza Italia / Concentrazioni e settore dei prodotti pet – L’AGCM approva con impegni l’acquisizione di Arcaplanet e Maxi Zoo Italia da parte di Cinven e Fressnapf

Con la decisione pubblicata nel Bollettino del 14 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha approvato l’acquisizione del controllo congiunto di Agrifarma S.p.A. (Arcaplanet) e Maxi Zoo Italia S.p.A. (Maxi Zoo), catene attive in Italia nella distribuzione al dettaglio di articoli per animali domestici (prodotti pet), da parte di Cinven Capital Management (VII) General Partner Limited (Cinven) e Fressnapf Beteiligungs GmbH (Fressnapf) (l’Operazione), subordinatamente alla cessione di alcuni punti vendita (sulla decisione di avvio dell’istruttoria si veda la Newsletter dello scorso 6 dicembre).

Il settore della vendita al dettaglio di prodotti pet, dal valore complessivo di circa 3,4 miliardi nel 2020, vede la presenza di numerosi operatori, tra cui: (i) le catene di pet shop, le quali comprendono anche punti vendita riconducibili a operatori della grande distribuzione organizzata (GDO, es. Amici di Casa Coop, Petstore Conad etc.); (ii) i negozi tradizionali specializzati (c.d. mom&pops); (iii) i punti vendita della GDO; e (iv) gli operatori online (come Amazon e Zooplus).

Superando sorprendentemente il precedente caso C12139 - Noah/Mondial Pet Distribution recentemente deciso in questo settore, in cui gli ipermercati erano stati considerati nell’ambito dell’analisi sugli effetti di un’analoga operazione nel settore pet, nel caso in esame l’AGCM ha al contrario escluso totalmente la GDO dal mercato del prodotto rilevante, sostenendo che vi sia una sostituibilità limitata rispetto al canale specializzato (comprendente le catene di pet shop e i cd. Mom&Pops), in virtù, essenzialmente, delle differenze nella profondità e qualità dell’assortimento, nonché nella tipologia di clientela. L’AGCM ha raggiunto tale conclusione principalmente sulla base di alcune elaborazioni economiche che hanno preso a riferimento i risultati di una survey rivolta ad un campione di consumatori a livello nazionale e delle risposte alle richieste di informazioni degli operatori del settore. È interessante notare che l’AGCM non sembra aver attribuito alcun peso effettivo al fatto che la GDO venga già utilizzata in modo pervasivo da una buona parte dei consumatori (basti pensare che, sulla base della survey, la GDO raccoglie oltre il 70% delle vendite complessive nel settore in questione). Nonostante l’elevata dinamicità del settore, ancor più sorprendentemente l’AGCM non ha attribuito alcun rilievo alla GDO neppure in termini di concorrenza potenziale, la cui analisi è stata totalmente omessa dalla decisione in commento. Dall’altro lato, il canale online è stato incluso nel mercato rilevante, segnando così un’importante evoluzione nella prassi dell’AGCM che si ritiene avrà effetti nel più ampio contesto dei mercati retail. La delimitazione geografica del mercato è stata individuata, in linea con i precedenti, nell’area concentrica inclusa in una distanza di 20 minuti di guida da ciascun negozio.

Per quanto riguarda l’analisi degli effetti dell’operazione, l’AGCM ha parzialmente riadattato al caso in esame nel settore pet la metodologia utilizzata nelle concentrazioni realizzate nei mercati della GDO (in particolare, C12247B - BDC Italia - Conad/Auchan). In particolare, l’analisi delle quote di mercato nelle isocrone in cui si verificano sovrapposizioni orizzontali è stata integrata, in senso cumulativo, con parametri volti a misurare l’incentivo per l’entità post-merger a incrementare i prezzi praticati, come i c.d. diversion ratio (un indice che misura la prossimità concorrenziale delle parti di una concentrazione), gli indici di concentrazione Herfindahl-Hirschmann Index (‘HHI’) e la distanza dall’entità post-merger del secondo operatore in termini di quota di mercato; anche in questo caso, tali indici non sembrano avere incluso nell’analisi alcun parametro dinamico (come ad esempio il ruolo svolto dalla concorrenza potenziale) che tenesse conto del fatto che il mercato in questione è caratterizzato dall’assenza di barriere all’entrata. Sulla base di tali indici – in particolare, considerando soglie di quote di mercato e di diversion ratio rispettivamente del 40% e 20% – l’AGCM ha ritenuto che l’Operazione fosse suscettibile di creare o rafforzare una posizione dominante in 78 mercati locali.

Al fine di risolvere le preoccupazioni dell’AGCM, Cinven e Fressnapf hanno presentato delle misure correttive strutturali consistenti nella cessione di un certo numero di negozi a soggetti terzi e indipendenti. L’AGCM ha ritenuto tali cessioni idonee a risolvere le criticità concorrenziali riscontrate nei mercati locali, in quanto era ceduto il punto vendita da cui originava l’identificazione del mercato locale, o in alternativa, veniva a mancare uno dei richiamati parametri cumulativi di criticità.

Con la decisione in esame l’AGCM ha dimostrato ancora una volta di volere approfondire l’analisi economica delle operazioni nei settori della distribuzione al dettaglio. Se a ciò si aggiunge che, in esito a tali analisi, i risultati si pongono in contrasto con le precedenti decisioni adottate dall’Autorità nello stesso settore, non può che prendersi atto della ancora più elevata discrezionalità che l’AGCM detiene nel completare la valutazione prognostica sugli effetti delle operazioni di concentrazione soggette alla notifica.

Luca Casiraghi

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Concentrazioni e settore siderurgico – L’AGCM ha avviato un procedimento per valutare l’irrogazione di una sanzione alla società Dea Capital Alternative Funds SGR S.p.A. per possibile gun jumping

Nella sua adunanza del 22 febbraio 2022, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha adottato la decisione con cui ha aperto il procedimento (il Procedimento) nei confronti della società Dea Capital Alternative Funds SGR S.p.A. (Dea Capital AF) per valutare l’eventuale irrogazione di una sanzione per inottemperanza agli obblighi di preventiva comunicazione di una concentrazione ai sensi della legge n. 287/1990 (la Legge Antitrust).

La concentrazione non comunicata all’AGCM, oggetto del Procedimento (la Concentrazione), consisteva nel passaggio da una situazione di controllo congiunto sulla società Calvi Holding S.p.A. (Calvi), attiva a livello internazionale nel settore siderurgico, al controllo esclusivo di Dea Capital AF su tale società. Prima della Concentrazione Calvi era soggetta al controllo congiunto di Dea Capital AF, Calfin S.p.A. (Calfin) e altri soci persone fisiche, acquisito ad esito di una concentrazione valutata dall’AGCM nel gennaio 2019 (la Prima Concentrazione). La Prima Concentrazione si era inserita nell’ambito di un accordo di risanamento tra Calvi e i suoi creditori (tra cui, appunto, figurava Dea Capital AF che aveva sottoscritto un aumento di capitale di Calvi ad essa riservato).

La situazione di controllo congiunto era stata ben delineata da un patto parasociale stipulato nel dicembre del 2018 in occasione della Prima Concentrazione tra Calfin, Dea Capital e gli altri soci (il Patto Parasociale), secondo il quale:

  • Dea Capital AF deteneva il 51,32% dei diritti di voto esercitabili in assemblea, mentre il restante 48,7% dei diritti di voto era in capo a Calfin e agli altri soci;
  • il Consiglio di Amministrazione di Calvi (il CdA) era composto da sette membri, di cui, fino al verificarsi di alcuni cosiddetti “eventi rilevanti” (non meglio definiti nel provvedimento dell’AGCM), cinque designati da Calfin e dagli altri soci e due da Dea Capital AF;
  • alcune materie qualificate richiedevano l’approvazione con voto favorevole di almeno sei amministratori.

In base a quanto rappresentato da Dea Capital AF, dopo meno di un anno dalla stipula dell’accordo di ristrutturazione di cui sopra, si sono verificati una serie di eventi qualificabili come “rilevanti” ai sensi del Patto Parasociale che hanno consentito a Dea Capital AF, a partire da novembre 2019, di esprimere in totale autonomia e senza vincoli il proprio diritto di voto nell’assemblea (anche quindi in relazione alla nomina del CdA e ad altre decisioni di carattere straordinario). Inoltre, a seguito di tali “eventi rilevanti”, il CdA non è più composto da sette membri ma, a partire da luglio 2021, da cinque membri tutti designati da Dea Capital AF.

Considerato che gli “eventi rilevanti” hanno comportato l’acquisizione da parte di Dea Capital AF di una situazione di controllo esclusivo su Calvi e che tale acquisizione – coinvolgendo società i cui fatturati superano le soglie di fatturato previste dalla Legge Antitrust – avrebbe dovuto essere preventivamente comunicata all’AGCM, quest’ultima sta valutando l’irrogazione di una sanzione nei confronti di Dea Capital AF.

Casi di gun jumping come quello oggetto della presente analisi sottolineano quanto sia importante per le società tenere monitorati non solo i casi di acquisizione del controllo de facto su una società prima di un’effettiva notifica all’autorità competente (si ricordi inter alia il caso Electrabel in cui la società Electrabel S.A. era stata sanzionata per aver acquisito il controllo de facto sulla società Compagnie National du Rhône S.A. prima di comunicarlo alla Commissione europea), ma anche i cambi di corporate governance quando questi comportano il passaggio da un controllo congiunto a uno esclusivo.

Mila Filomena Crispino

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Intese/abusi e settore dei carburanti – L’AGCM interviene con l’invio di alcune richieste di informazioni alle maggiori compagnie petrolifere in merito al recente aumento dei prezzi dei carburanti sperimentato dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia

In data 18 marzo, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha reso noto con un comunicato stampa di aver notificato alcune richieste di informazioni alle maggiori compagnie petrolifere a seguito dell’aumento dei prezzi dei carburanti che si è recentemente registrato in seguito all’inizio del conflitto russo-ucraino.

Le elaborazioni dei dati raccolti dal Ministero per lo Sviluppo Economico evidenziano infatti come, nel periodo tra il 20 febbraio e il 12 marzo, i prezzi medi nazionali della benzina (servito) siano passati da 1.95 €/l a 2.32 €/l e quelli del gasolio (servito) da 1.83 €/l a 2.33 €/l. Tenuto in considerazione che più dell’80% del trasporto delle merci in Italia avviene su gomma, tali incrementi – se duraturi – potrebbero avere un impatto anche sull’economia nazionale.

Nello specifico, l’obiettivo dell’istruttoria dell’AGCM è quello di analizzare le tempistiche e le motivazioni alla base di questi aumenti per verificare se siano riscontrabili ipotesi di violazioni del diritto antitrust, circoscritte in particolare alle forme dell’abuso di posizione dominante e delle intese restrittive della concorrenza, accogliendo in parte alcune segnalazioni ad essa pervenute e nel più ampio contesto in cui si è tornati a discutere di meccanismi regolatori che introducano un limite agli aumenti di prezzo dei carburanti.

Alla luce di questi eventi, come si legge nel comunicato ufficiale dell’AGCM, si consolida pertanto un trend che vede l’Autorità, come avvenuto nei primi mesi della pandemia, essere “attenta a monitorare gli eccezionali incrementi di prezzo che si registrano a volte durante le fasi di crisi e a verificare che tali fenomeni non siano frutto di comportamenti restrittivi della concorrenza.

Niccolò Antoniazzi

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