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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Accordi di cooperazione orizzontale – La Commissione europea invita a formulare osservazioni sul progetto di revisione delle norme relative agli accordi di cooperazione tra concorrenti
La Commissione europea (la Commissione) ha avviato in data 1° marzo 2022 una consultazione pubblica (la Consultazione) invitando a formulare osservazioni in merito a due progetti di revisione dei regolamenti orizzontali di esenzione per categoria relativi agli accordi di ricerca e sviluppo e di specializzazione (congiuntamente, HBER o Regolamenti) e al progetto di revisione degli orientamenti sugli accordi di cooperazione orizzontali (gli Orientamenti). Le parti interessate sono invitate a presentare le loro osservazioni entro il 26 aprile 2022. La Commissione finalizzerà poi i nuovi regolamenti e Orientamenti che entreranno in vigore il 1° gennaio 2023.
Tale progetto di revisione (la Revisione) mira principalmente ad adattare le norme attuali agli sviluppi economici e sociali verificatisi negli ultimi dieci anni, in particolare con riferimento alla transizione digitale e a quella c.d. verde. Inoltre, dal momento che alcune delle disposizioni delle HBER e degli Orientamenti sono state considerate rigide, complesse e non sempre uniformi, la Revisione mira anche a migliorare la certezza del diritto, facilitando la stipulazione di accordi di cooperazione legittimi e favorendo un approccio più coerente a queste questioni.
Alla luce di quanto sopra, sono stati proposti molti cambiamenti e novità tra cui un leggero ampliamento del campo di applicazione del regolamento di esenzione sulla specializzazione per includervi, ad esempio, gli accordi di specializzazione unilaterali conclusi da più di due parti (al contrario di come era in precedenza), l’esenzione degli accordi di ricerca e sviluppo relativi a prodotti, tecnologie e processi completamente nuovi o degli sforzi nell’ambito della ricerca e sviluppo orientati a un obiettivo specifico, ma che non sono ancora definiti in termini di un prodotto o di una tecnologia specifici, qualora oltre all’accordo in questione non restino sufficienti sforzi concorrenti comparabili nel settore della ricerca e dello sviluppo.
Una delle novità degne di nota è sicuramente quella relativa all’inclusione da parte della Commissione di un nuovo capitolo sulla valutazione degli accordi orizzontali che perseguono obiettivi di sostenibilità.
In primo luogo, la Commissione ha adottato una definizione molto ampia di “sostenibilità”: non sembra esserci, infatti, una distinzione tra accordi che affrontano obiettivi legati al climate change e quelli relativi ad altri obiettivi più ampi (es. protezione degli animali o diritti umani). In secondo luogo, dal momento che la Commissione si aspetta che questa sarà la forma più frequente di cooperazione, viene prestata particolare attenzione agli accordi che stabiliscono standard di sostenibilità. A tal proposito, vengono stabilite una serie di condizioni cumulative che, se soddisfatte, renderebbero l’accordo conforme al diritto antitrust. Queste includono: trasparenza, accesso aperto e non discriminatorio, partecipazione volontaria, libertà di adottare uno standard più elevato e nessuno scambio di informazioni commercialmente sensibili. I partecipanti dovranno altresì dimostrare che lo standard non porterà a un aumento significativo del prezzo o a una riduzione della scelta. Se questo non fosse possibile, l’accordo potrebbe comunque essere salvato se si riesce a provare che i consumatori sarebbero integralmente compensati attraverso altri benefici.
Al riguardo, la Commissione delinea tre categorie di benefici che possono essere rilevanti per la valutazione: (i) il valore d’uso individuale (per esempio una migliore qualità o varietà del prodotto); (ii) il valore individuale non d’uso (quando i consumatori valutano l’impatto del loro consumo sostenibile sugli altri); e (iii) i benefici collettivi (quando anche un gruppo più ampio di consumatori al di fuori del mercato rilevante ne beneficia). Di questi benefici e di come i consumatori saranno compensati a fronte di eventuali effetti restrittivi dovrà essere fornita adeguata prova.
In aggiunta a quanto sopra, si ricorda che lo scorso 28 febbraio è stata altresì aperta la consultazione relativa agli accordi di sostenibilità nel settore agricolo. Si tratta di regole importanti non soltanto per le aziende che rientrano nella politica agricola comune (i.e. produttori agricoli) ma anche per tutti gli altri operatori di mercato che sono attivi nella catena di approvvigionamento alimentare. Ciò, alla luce di una recente norma (del 2021) che riguarda le iniziative verticali e orizzontali per la sostenibilità nel settore agricolo e che può riguardare anche gli accordi di cui sono parte non solo i produttori agricoli ma altri operatori a diversi livelli della produzione, della trasformazione e del commercio nella catena di approvvigionamento alimentare, compresa la distribuzione.
Mila Filomena Crispino
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ICN e politica internazionale – L’International Competition Network sospende l’adesione dell’autorità della concorrenza russa
Con un comunicato stampa pubblicato il 2 marzo scorso, l’International Competition Network (ICN) ha reso nota la sua decisione di sospendere la partecipazione della autorità della concorrenza russa, i.e. Servizio Federale Antimonopoli della Federazione Russa (FAS Russia), dalla rete internazionale delle autorità della concorrenza.
Come è noto, l’ICN costituisce una sede informale di dialogo a cui partecipano su base volontaria 140 Autorità della concorrenza di 130 giurisdizioni diverse al fine di facilitare il confronto su diverse problematiche comuni. Fermo restante la non vincolatività delle decisioni prese al suo interno, scopo ultimo dell’ICN è quello di costruire e garantire un’unità di azione, attraverso raccomandazioni o “best practice” per una migliore applicazione globale del diritto della concorrenza al fine di arrivare, per quanto possibile, ad una convergenza di fatto nell’enforcement antitrust.
Alla luce degli ultimi eventi in Ucraina e delle attività intraprese dalla Russia, il Presidente dell’ICN ora in carica, su richiesta dello Steering Group e di altri membri dell’ICN, ha adottato la sopra menzionata decisione in base alla sezione 3.4 iv (e) del quadro operativo interno, secondo cui il Presidente è responsabile del “general conduct of the affairs of the ICN to be within the responsibility of any Group or Committee”. Dunque, il conflitto in corso è stato ritenuto idoneo a compromettere, con riguardo alla Russia, i principi di dialogo e cooperazione interna, capisaldi costitutivi dell’intero network. Tuttavia, allorquando le circostanze dovessero cambiare, il Presidente dell’ICN si è detto disponibile a riconsiderare e riformare la posizione adottata, previa consultazione dello Steering Group.
Questa decisione si affianca e si somma a quelle serie di misure già intraprese a livello internazionale volte a condannare la Russia attraverso un suo isolamento dallo scenario politico ed economico.
Maria Spanò
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Diritto della concorrenza Italia / Abusi di posizione dominante e fibra ottica – Il TAR Lazio conferma la sanzione di oltre 116 milioni di euro imposta a Telecom Italia per aver ostacolato lo sviluppo infrastrutturale delle reti in fibra
Con la sentenza del 28 febbraio 2022, il Tribunale Regionale Amministrativo per il Lazio (TAR Lazio) ha rigettato il ricorso presentato da Telecom Italia S.p.A. (Telecom) avverso la decisione con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del mercato (AGCM) le aveva imposto una sanzione di oltre 116 milioni di euro per abuso di posizione dominante nei mercati all’ingrosso e al dettaglio di servizi su rete fissa a banda ultra-larga.
Come si ricorderà, la strategia escludente sanzionata dall’AGCM nel 2020 si era articolata su diversi livelli. In primo luogo, era stata accertata l’esistenza di una modifica improvvisa dei piani di investimento di Telecom in relazione alle c.d. “aree bianche” (ossia le aree identificate dalla stazione appaltante Infratel come aree a fallimento di mercato nel contesto delle gare per l’affidamento della costruzione e gestione di una rete a banda ultra-larga finanziata da sussidi pubblici) pur in assenza di un ritorno economico. Tale modifica era stata giudicata dall’AGCM non avere altro fine se non quello di rendere più difficile l’ingresso nel mercato dell’operatore nuovo entrante Open Fiber (OF), che era risultato aggiudicatario delle gare per la realizzazione di una rete FTTH (fiber to the home) nelle aree bianche. Inoltre, l’AGCM aveva accertato l’esistenza di una strategia di sham litigation posta in essere da Telecom (ossia una serie di contenziosi strumentali volti a creare un’azione complessiva di disturbo ed un clima di incertezza e ritardo nella finalizzazione delle procedure amministrative di Infratel). Sempre sul mercato all’ingrosso, era stato ritenuto che le tariffe introdotte da Telecom per i nuovi profili ad alta velocità FTTH fossero sottocosto (come peraltro rilevato anche dall’AGCom) e che l’offerta a lungo termine (5 o 7 anni) Easy Fiber di Telecom contenesse sconti fidelizzanti idonei a determinare una pre-emption della domanda prima che OF potesse entrare nel mercato, così da privarlo del bacino di utenza minimo per competere efficacemente. Infine, quanto al mercato al dettaglio, secondo l’AGCM le offerte predisposte da Telecom includevano meccanismi di lock-in idonei a disincentivare la mobilità dei consumatori, così da “drenare” il mercato sia retail che, indirettamente, wholesale. La serie di condotte appena ricordate, per l’AGCM, aveva costituito un’unica strategia anticoncorrenziale idonea ad escludere dal mercato OF (la Decisione, commentata nella nostra Newsletter del 16 marzo 2020).
Telecom aveva quindi presentato ricorso avverso la Decisione, ritenendo in particolare che l’AGCM avesse mancato di dimostrare sia l’esistenza di una posizione dominante nei mercati rilevanti, sia la presenza di un disegno strategico abusivo. Inoltre, a detta di Telecom, l’AGCM non aveva dimostrato un’effettiva preclusione concorrenziale delle condotte contestate e dei loro pretesi effetti.
Con la sentenza in commento, il TAR ha rigettato in toto il ricorso di Telecom.
Sul fronte della definizione del mercato e dell’accertamento della posizione dominante di quest’ultima, il TAR ha ritenuto che l’analisi svolta dall’AGCM – basata anche sull’evoluzione delle quote di mercato nel periodo di riferimento – fosse stata approfondita, così da giungere a conclusioni coerenti con gli elementi emersi dall’istruttoria.
Il TAR ha poi sposato a pieno la ricostruzione fattuale e giuridica dell’AGCM circa le condotte oggetto di analisi: il TAR, citando ampi estratti della Decisione, ha confermato l’esistenza di una complessiva strategia escludente atta a preservare la posizione di Telecom e (quantomeno) rallentare l’ingresso di altri operatori che – come OF – intendevano costruire una propria rete FTTH. Quanto ai piani di investimento di Telecom, il TAR ha ribadito che non fosse sotto accusa il diritto di Telecom di investire nelle aree bianche, quanto piuttosto la riformulazione spiazzante dei piani di investimento nonostante le analisi di redditività interne confermassero l’assenza di condizioni di convenienza economica dell’investimento. Il TAR ha ritenuto quindi che gli elementi che emergevano dagli atti (inclusi documenti interni di Telecom) confermassero l’esistenza di una strategia opportunistica ed un intento escludente. Telecom si era limitata – per il TAR – a fornire una diversa interpretazione dei fatti ma senza fornire plausibili giustificazioni alternative dei “mutamenti di rotta”.
Quanto invece alle tariffe FTTH e alle offerte sia wholesale, sia retail, il TAR ha confermato, da un lato, la natura sottocosto dei prezzi FTTH proposti da Telecom (peraltro presentati all’AGCom – nelle parole del TAR – in modo da “render[le] artificiosamente compatibil[i]” con la regolamentazione vigente, secondo cui il modello utilizzato dall’AGCom, una volta definito il costo medio per cliente di una connessione FTTH, determinava i prezzi dei diversi profili sulla base della relativa distribuzione dei volumi), dall’altro l’esistenza di meccanismi di lock-in capaci di “svuotare” preventivamente la parte di domanda contendibile su cui i concorrenti avrebbero potuto competere. Per il TAR, simili condotte non si sarebbero limitate a difendere quindi l’attività economica imprenditoriale di Telecom.
Quanto all’asserita assenza di effetti delle condotte in oggetto, per il TAR, stante la natura di “pericolo” dell’illecito antitrust, non occorre che se ne verifichino anche gli effetti concreti purché venga appurata l’astratta idoneità della condotta ad alterare il gioco concorrenziale e, in ogni caso, l’AGCM aveva anche accertato l’esistenza di effetti spiegatisi sul mercato.
La sentenza in commento rappresenta una vittoria (quantomeno per adesso) per l’AGCM, che negli ultimi mesi si era invece vista annullata la decisione con cui aveva imposto – sempre nel settore delle telecomunicazioni – una sanzione di oltre 220 milioni di euro a Telecom, Vodafone, Fastweb e Wind per un’intesa anticoncorrenziale relativa alle modalità di ripristino della fatturazione mensile. Nel caso in commento, Telecom potrà ora presentare appello al Consiglio di Stato, anche se questa potrebbe essere una strada in salita, data la netta conferma espressa da parte del TAR circa la validità del percorso argomentativo dell’AGCM su tutti i profili contestati.
Cecilia Carli
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore creditizio – L’AGCM infligge una sanzione di un milione di euro a Crédit Agricole Italia SpA
Con il provvedimento dello scorso 15 febbraio (il Provvedimento), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha chiuso il procedimento istruttorio PS12146 (il Procedimento) avviato nei confronti di Crédit Agricole Italia SpA (Crédit Agricole), disponendo l’irrogazione di una sanzione amministrativa di 1 milione di euro per pratiche commerciali scorrette aggressive.
Oggetto del Procedimento è stata la condotta di Crédit Agricole, consistente nel proporre insistentemente, ai correntisti che procedono al pagamento tramite bonifico online, il bonifico c.d. istantaneo, con l’effetto di determinare l’esborso di una commissione più elevata. In particolare, l’AGCM ha valutato le modalità con cui Crédit Agricole ha informato e sollecitato i clienti all’utilizzo del sistema del bonifico istantaneo nell’App per i servizi di home banking, nella sua versione antecedente all’11 ottobre 2021.
Le evidenze acquisite dall’AGCM e riflesse nella sua decisione mostrano che, nella pagina dove veniva scelta la tipologia del bonifico da effettuare, accanto all’opzione di bonifico istantaneo, appariva la scritta “suggerito”. Inoltre, nella pagina successiva, in cui veniva chiesto di confermare la modalità del bonifico prescelto, veniva riproposta, anche a coloro che avevano già selezionato la modalità ordinaria, la scelta del bonifico istantaneo in una casella preimpostata di colore verde, mentre la casella “procedi con ordinario”, di colore bianco, doveva essere oggetto di una nuova scelta da parte del cliente con un apposito click, senza il quale non era possibile accedere al bonifico in modalità ordinaria.
Crédit Agricole, mediante le proprie argomentazioni difensive, ha inteso precisare la propria volontà di predisporre il servizio App in modo tale da soddisfare le esigenze di quei clienti che hanno la necessità di vedere eseguite con immediatezza le proprie operazioni bancarie. Così, nella schermata di conferma delle modalità di esecuzione del bonifico, viene riproposto il bonifico istantaneo in considerazione del fatto che un cliente che utilizza un device che privilegia la velocità di esecuzione, deve beneficiare di un ulteriore step di controllo che richiami la sua attenzione sulla scelta che sta effettuando. Ad avviso di Crédit Agricole, pertanto, non si poteva configurare alcuna ipotesi di indebito condizionamento del consumatore, essendo quest’ultimo reso edotto, in tutte le fasi necessarie per completare l’operazione bancaria, delle due opzioni disponibili (i.e. il bonifico ordinario e istantaneo). Peraltro, il termine “suggerito”, riferito al bonifico istantaneo, avrebbe avuto secondo la difesa della banca una valenza di consiglio/raccomandazione, e non di condizionamento. Infine, il fatto che vi sia un ulteriore passaggio di conferma delle modalità di bonifico sarebbe stata irrilevante, visto che non veniva riproposto solo il bonifico istantaneo, ma entrambi.
Di tutt’altro avviso è, invece, stata la conclusione dell’AGCM. Quest’ultima ha rilevato che l’uso del termine “suggerito” nella pagina iniziale del servizio non può essere interpretato come mero consiglio, bensì costituisce una precisa indicazione a tenere un determinato comportamento. Ciò in virtù del fatto che, nella pagina di conferma della modalità di servizio, la riproposizione del bonifico istantaneo con la casella preimpostata in verde costituisce, di fatto, una preselezione e una modalità per condizionare indebitamente il consumatore, che viene indotto a preferire questa tipologia di bonifico.
Pertanto, l’AGCM ha ritenuto come tale condotta costituisca una violazione degli articoli 24 e 25 del Codice del Consumo, in quanto idonea ad esercitare un indebito condizionamento e a limitare considerevolmente la libertà di comportamento del consumatore medio, in relazione alla scelta della tipologia di bonifico da utilizzare, inducendolo così ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Per quanto attiene alla quantificazione della sanzione, l’AGCM ha valutato in primo luogo l’ampiezza di diffusione della condotta, realizzata attraverso l’App della banca, che ha permesso di raggiungere una vasta platea di consumatori, vale a dire il complesso dei correntisti che utilizzano i devices mobili e usufruiscono dei servizi di home banking. Tenendo anche conto che la condotta ha avuto un’estensione temporale che va dal mese di settembre 2020 all’11 ottobre 2021, l’AGCM ha stabilito un importo della sanzione amministrativa pecuniaria pare ad un milione di euro.
In conclusione, il Provvedimento conferma come, anche sotto il profilo della tutela del consumatore, i servizi digitali di pagamento costituiscano un’area prioritaria di enforcement dell’Autorità.
Laura Pelagalli
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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti e falsità dichiarative - Il Tar Lombardia interviene sulla questione
Lo scorso 1 marzo, con sentenza n. 487/2022, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (TAR Lombardia) ha respinto il ricorso proposto da un’impresa edile (l’impresa o ricorrente) contro ANAS S.p.A. (ANAS o stazione appaltante) per l’annullamento di un provvedimento di esclusione da una gara d’appalto, motivato - ex art. 80, co. 5, lett. f-bis) del Codice dei contratti pubblici (Codice) - dalla produzione di una garanzia provvisoria rilasciata da un fideiussore non abilitato.
Quanto ai fatti di causa, dopo essere, insieme al raggruppamento temporaneo di cui era capofila, risultata prima in graduatoria a valle della valutazione delle offerte tecniche ed economiche formulate in sede di presentazione in gara, la ricorrente aveva spontaneamente comunicato alla stazione appaltante di aver prodotto una garanzia provvisoria ex art. 93 del Codice che non era valida, in quanto emessa da una società assicurativa priva di agenzia in Italia e, pertanto, non legittimata. A valle di un contraddittorio procedimentale, ANAS aveva quindi disposto l’esclusione automatica dell’impresa in virtù dell’art. 80, comma 5, lett. f-bis del Codice, che prevede l’estromissione ipso iure da una procedura in corso di un operatore che “…presenti […)] documentazione o dichiarazioni non veritiere…”. Nel caso di specie, la non veridicità del documento era connessa alla circostanza che il terzo fideiussore avesse dichiarato di essere abilitato al rilascio della garanzia senza, in realtà, esserlo. Dal contraddittorio procedimentale emergeva, inoltre, che la ricorrente si fosse accorta della invalidità della garanzia prima della scadenza del termine di presentazione delle offerte e che avesse denunciato la circostanza alle autorità di polizia. Ciononostante, essa aveva comunque allegato la garanzia alla propria documentazione di partecipazione alla procedura in questione.
Il ricorso proposto dall’impresa, sia pure articolato in più censure, ha posto al Collegio giudicante un’unica questione giuridica: se l’aver scientemente prodotto in gara una garanzia rilasciata da un soggetto non abilitato integri una causa di esclusione automatica ex art. 80, comma 5, lett. f-bis), nei termini sopra indicati, ovvero una causa di esclusione facoltativa ex art. 80, comma 5, lett. c-bis) del Codice, che prevede l’estromissione di un operatore che “…abbia tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante o di ottenere informazioni riservate a fini di proprio vantaggio oppure abbia fornito […) informazioni false e fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione…”. La differenza tra le due fattispecie è che la seconda richiede una valutazione discrezionale a cura della stazione appaltante sulla idoneità della falsità dichiarativa a influenzare il processo decisionale degli organi dell’amministrazione aggiudicatrice e a incidere sull’affidabilità morale dell’operatore medesimo; la prima, invece, come detto, opera ipso iure in virtù del mero accertamento della dichiarazione non veritiera. La ricorrente deduceva che ANAS avrebbe dovuto applicare l’art. 80, coma 5, lett. c-bis) ed effettuare una valutazione discrezionale sulla idoneità della garanzia a influenzare il processo decisionale della stazione appaltante.
Il TAR Lombardia, nel rigettare il ricorso, ha richiamato un noto e recente precedente dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 16/2020) che ha chiarito i rapporti tra le due fattispecie, statuendo che l’art. 80, comma 5, lett. f-bis, pur avendo carattere residuale, si applica alle circostanze in cui “…le dichiarazioni rese o la documentazione presentata in sede di gara siano obiettivamente false, senza alcun margine di opinabilità…”. Ebbene, nel caso di specie, l’invalidità della garanzia era palese ed era conosciuta dalla stessa impresa che aveva, ciononostante, utilizzato ugualmente la polizza per partecipare alla gara ed è, dunque, incorsa nella causa di esclusione in oggetto. A ciò, a parere del giudice lombardo, si aggiungerebbe che “…ad ammettere l’obbligo per la Stazione appaltante di procedere ad una valutazione in concreto di affidabilità del concorrente anche in presenza di documenti non veritieri […) si rischia di favorire collusioni tra imprese o tra queste e l’Amministrazione…”. In tale scenario, e seppur con una motivazione non scevra di dubbi, il TAR Lombardia ha, dunque, considerato corretta la scelta di ANAS di applicare l’ipotesi di esclusione automatica anziché quella facoltativa.
In attesa di un eventuale appello dinanzi al Consiglio di Stato, la sentenza in commento ripropone una questione interpretativa che, nonostante il citato intervento del massimo organo della giustizia amministrativa, è ancora “aperta” e foriera di dubbi e orientamenti talvolta contrapposti. In tale contesto, in vista di annunciate riforme della disciplina degli appalti pubblici, appare auspicabile un intervento del legislatore anche sul punto oggetto del presente commento.
Alessandro Paccione
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