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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE/Intese e settore dell’acciaio – La Corte di Giustizia accoglie parzialmente il ricorso di Pometon e riduce la sanzione di 1,24 milioni di euro
Con la sentenza pubblicata il 18 marzo 2021, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha parzialmente annullato, riducendo ulteriormente l’ammenda, la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea (Tribunale UE), che a sua volta aveva ridotto la sanzione che la Commissione europea (Commissione) aveva comminato a Pometon S.p.A. (Pometon) per aver partecipato, tra il 2003 e il 2007, ad un’intesa illecita volta al coordinamento dei prezzi degli abrasivi in acciaio nello Spazio Economico Europeo.Pometon, diversamente dalle altre quattro imprese coinvolte nell’infrazione, decidendo di non pervenire ad una transazione con la Commissione, si era vista comminare una sanzione pari a 6 milioni e 197 mila euro per aver concordato, congiuntamente con le altre società, un metodo di calcolo uniforme che ha portato alla maggiorazione dei prezzi degli abrasivi e per aver, almeno in parte, coordinato i prezzi per i singoli clienti.
Il Tribunale UE, accogliendo il ricorso di Pometon, aveva tuttavia ridotto la sanzione a 3 milioni e 873 mila euro, ovvero del 75% rispetto all’ammontare di base, ritenendo che Pometon avesse partecipato solo sporadicamente al profilo dell’intesa riguardante il concreto coordinamento dei prezzi e che dunque l’incidenza concreta del suo comportamento illecito fosse piuttosto limitata rispetto alle altre imprese coinvolte.
Nonostante ciò, Pometon presentava un ulteriore appello, lamentando che il Tribunale UE non solo avesse erroneamente applicato il principio dell’onere probatorio e dell’onere di motivazione, ma anche violato il principio di parità di trattamento e obbligo di motivazione nel modificare l’importo dell’ammenda.
Infatti, secondo Pometon, il Tribunale UE le aveva ridotto la sanzione nella stessa percentuale (75%) applicata dalla Commissione nel diminuire la sanzione irrogata ad un’altra delle quattro imprese coinvolte, Winoa S.p.A. (Winoa), imputata però di condotte anticoncorrenziali più gravi rispetto a Pometon. Egualmente, un’altra di dette società, nella stessa posizione di Pometon ma con un fatturato minore, avrebbe beneficiato di una riduzione del 90% della sanzione. La CGUE, statuendo sul punto, ritenuto che il Tribunale UE non avesse correttamente adempiuto all’onere di motivazione nello stabilire la medesima riduzione che era stata accordata a Winoa, violando pertanto il principio di parità di trattamento.
Per tali ragioni, la CGUE ha complessivamente ridotto la sanzione dell’83% rispetto all’ammontare di base, riducendola di circa 1 milione di euro rispetto alla pronuncia di prima grado. Dalla sentenza in oggetto emerge tuttavia un altro profilo interessante evidenziato dalla Corte, ossia che nella commisurazione dell’ammenda il fatturato è un’indicazione “approssimativa e imperfetta” della dimensione di un’impresa e del relativo potere economico e ad esso non deve pertanto essere attribuito eccessivo peso nella valutazione finale. Sembra quindi di potersi dedurre che, se il calcolo delle sanzioni non può ridursi a un mero esercizio matematico sulla base del fatturato delle imprese interessate, è fondamentale una rigorosa aderenza al principio di parità di trattamento, tramite un percorso logico-argomentativo adeguatamente motivato.
Luca Campise
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Concentrazioni e settore farmaceutico – Istituito un nuovo gruppo di lavoro multilaterale tra autorità della concorrenza
Il 16 marzo 2021 la Commissione europea (Commissione) ha annunciato la creazione di un gruppo di lavoro con altre autorità della concorrenza con l’obiettivo di condividere le best practice e analizzare gli effetti collegati alle concentrazioni nel settore farmaceutico.Oltre alla DG Concorrenza della Commissione, a tale gruppo hanno per il momento aderito anche la Federal Trade Commission, lo U.S. Department of Justice e tre uffici dei General Attorneys per gli Stati Uniti, il Canadian Competition Bureau per il Canada e la Competition and Market Authority per il Regno Unito.
A fronte dell’incremento del numero di concentrazioni riscontrato nel settore farmaceutico negli ultimi anni, le autorità antitrust coinvolte hanno infatti identificato come di primaria importanza l’esigenza di combattere i rischi connessi all’aumento dei prezzi dei farmaci, alla riduzione dell’innovazione e a possibili condotte anticompetitive che possono derivare dal progressivo consolidamento dell’industria farmaceutica. Pertanto, la Commissione ha accolto con favore la possibilità di rafforzare la cooperazione con alcune delle principali autorità attive nella tutela della concorrenza a livello globale, con l’obiettivo comune di identificare azioni concrete ed efficaci per perfezionare l’analisi delle concentrazioni nel settore farmaceutico. L’azione del gruppo di lavoro si prevede comporterà conseguenze in termini di un rafforzamento dello scrutinio a cui saranno sottoposte le operazioni, con analisi più dettagliate che nell’intenzione delle autorità coinvolte beneficeranno i consumatori.
Appare senz’altro apprezzabile la scelta di creare una cooperazione rafforzata tra le autorità anzidette in un settore, come quello farmaceutico, in cui le operazioni oggetto di scrutinio hanno spesso carattere e implicazioni transnazionali. Resta solo da augurarsi che questo sforzo di coordinamento non si traduca in un aumento delle formalità e di un allungamento dei tempi delle procedure di analisi delle concentrazioni, che certamente non porterebbero alcun beneficio ai consumatori.
Roberta Laghi
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Intese e appalti pubblici - La Commissione europea ha pubblicato una comunicazione sugli strumenti per combattere i fenomeni collusivi nell’ambito degli appalti pubblici
Lo scorso 15 marzo 2021, la Commissione europea (Commissione) ha pubblicato una Comunicazione sugli strumenti per combattere la collusione negli appalti pubblici e sugli orientamenti riguardanti le modalità di applicazione del relativo motivo di esclusione (la Comunicazione).La Comunicazione si inserisce nel contesto di un più ampio progetto dell’Unione Europea volto all’ottimizzazione della spesa pubblica e all’efficientamento delle procedure ad evidenza pubblica, intrapreso a seguito dell’emanazione delle Direttive nn. 23, 24 e 25 del 2014 in materia di contratti pubblici e proseguito con la pubblicazione nel 2017 di una prima comunicazione (dal titolo “Appalti pubblici efficaci in Europa e per l'Europa”), i cui principi ivi espressi sono stati confermati in una successiva pubblicazione (“Piano d'azione a lungo termine per una migliore attuazione e applicazione delle norme del mercato unico” del marzo 2020).
Lo Comunicazione illustra gli strumenti che la Commissione ha intenzione mettere a disposizione degli Stati membri al fine di contrastare il problema della collusione. In particolare, gli obiettivi perseguiti sono: (i) aumentare le competenze specifiche delle pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento al miglioramento della loro conoscenza del mercato, all’adattamento delle procedure per incoraggiare la massima partecipazione degli operatori economici e ad aumentare in generale la sensibilizzazione sul tema; e (ii) promuovere la cooperazione tra le autorità nazionali competenti, rispettivamente, in materia di appalti e di concorrenza.
Con riferimento al punto sub (i), le Commissione suggerisce una serie di misure che gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione, fra cui: l’introduzione di incentivi per premiare il personale amministrativo che, nell'ambito delle procedure di gara, denuncia casi di possibile collusione e l’organizzazione di seminari e corsi formativi per i dipendenti pubblici. La Commissione si impegna inoltre a promuovere azioni mirate a supporto della condivisione fra Stati membri delle competenze e delle buone pratiche, nonché a cooperare con altre organizzazioni internazionali per accrescere la propria esperienza in materia e trasmetterla ai singoli Stati membri.
Quanto al punto sub (ii), la Commissione ha annunciato di voler organizzare un primo workshop europeo che riunisca le comunità professionali di esperti in materia di appalti pubblici e concorrenza; nonché di impegnarsi a trasmettere competenze per la cooperazione a livello nazionale tra autorità della concorrenza e centrali di committenza. La Commissione ha inoltre suggerito agli Stati membri, inter alia di: adeguare il proprio ordinamento nazionale al fine di permettere l’accesso da parte delle autorità antitrust nazionali ai database elettronici delle pubbliche amministrazioni in materia di appalti; creare database nazionali che raccolgano informazioni sugli operatori economici esclusi da gare ad evidenza pubblica per collusione; attuare un sistema di revisione periodica delle gare assegnate; e infine condurre campagne di sensibilizzazione.
La Comunicazione fornisce altresì una serie di linee guida interpretative sull’applicazione dell’articolo 57(4)(d) della direttiva n. 24 del 2014, il quale prevede che un’impresa possa essere esclusa da una gara ad evidenza pubblica nei casi in cui “l’amministrazione aggiudicatrice dispone di indicazioni sufficientemente plausibili per concludere che l’operatore economico ha sottoscritto accordi con altri operatori economici intesi a falsare la concorrenza”.
A tal proposito, fra i vari argomenti affrontati, la Commissione ha chiarito che sarebbe opportuno che gli Stati membri interpretassero tale disposizione in senso conforme ad dettato dell’art. 101 TFUE, ossia in modo tale da includere nell’oggetto della norma non solo gli “accordi con altri operatori intesi a falsare la concorrenza”, ma piuttosto “tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza”.
Inoltre, la Commissione ha anche ricordato che le stazioni appaltanti godono di ampia discrezionalità nella valutazione delle “indicazioni” che potrebbero portare all’esclusione di un operatore economico da una gara ad evidenza pubblica. Sul punto, la Commissione ha indicato che tale discrezionalità sarebbe comunque limitata, da un lato, dal dovere di informazione e dal principio di proporzionalità e, dall’altro, dalla necessità che la stazione appaltante svolga sempre una attenta analisi delle circostanze presenti nel caso concreto.
Da ultimo, la Comunicazione contiene un allegato che indica una serie di ulteriori indicazioni pratiche per contrastare efficacemente il fenomeno collusivo nelle gare ad evidenza pubblica.
Complessivamente, il documento fornisce un’interessante panoramica delle iniziative e parametri interpretativi che probabilmente vedremo affermarsi anche a livello italiano, fermo restando che nel nostro Paese svariati principi e best practice identificati nella Comunicazione sono comunque operativi da tempo. Invero, già nel 2013 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva adottato un vademecum volto proprio a fornire alle stazioni appaltanti gli strumenti necessari per poter segnalare comportamenti collusivi.
Luca Casiraghi
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Diritto della Concorrenza Italia/Intese e settore farmaceutico – Il Consiglio di Stato ha respinto le doglianze avanzate da Roche e Novartis in materia di revocazione della nota sentenza del 2019, rimettendo in parte la questione alla Corte di Giustizia
Con quattro sentenze ‘gemelle’ pubblicate in data 15 marzo 2021 (le Sentenze), il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto le doglianze avanzate da Roche S.p.A., F. Hoffmann-La Roche LtdF. (congiuntamente, Roche), Novartis Farma S.p.A. e Novartis AG (congiuntamente, Novartis) (insieme, le Parti) volte ad ottenere la revocazione della sentenza del CdS (già oggetto di commento su questa Newsletter), in cui il CdS – adottando l’approccio fatto proprio dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR Lazio) nella sentenza del 2014 (oggetto a suo tempo di commento su questa Newsletter) – aveva confermato il provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) (il Provvedimento) (anch’esso trattato nella presente Newsletter). Con tale Provvedimento, l’AGCM aveva sanzionato le Parti per un totale complessivo di quasi 183 milioni di euro per aver posto in essere un’intesa anticoncorrenziale volta a garantire un allineamento delle varie strategie di commercializzazione di determinati farmaci ad uso ospedaliero per la cura di patologie oftalmiche (Avastin e Lucentis), così ostacolando la possibilità dell’utilizzo ‘off-label’ del più economico Avastin a favore del più costoso Lucentis.La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è già pronunciata sulla vicenda nel 2018 (si veda anche in questo caso la presente Newsletter), confermando la possibilità per un’autorità garante della concorrenza di definire il mercato rilevante includendo nello stesso oltre ai medicinali autorizzati anche un altro farmaco la cui AIC non copra il trattamento de quo, il quale quindi rientra in un concreto rapporto di sostituibilità con i primi. Inoltre, la CGUE ha riconosciuto la natura di violazione ‘per oggetto’ dell’intesa tra le Parti, in quanto volta a diffondere “informazioni ingannevoli sugli effetti collaterali negativi dell’uso di uno di tali medicinali” (ossia l’Avastin), in modo così da ridurre la pressione concorrenziale su Lucentis e facilitarne la vendita, benché sensibilmente più costoso. Tenuto conto delle conclusioni della CGUE, il CdS nel 2019 ha confermato l’illiceità delle condotte poste in essere dalle Parti e, quindi, la sanzione irrogata dall’AGCM (la Sentenza 2019).
Con i diversi appelli oggetto del presente commento, le Parti avevano richiesto la revocazione della Sentenza 2019, basando – per motivi parzialmente diversi ma comunque trattati congiuntamente dal CdS – le proprie ragioni sul concetto di errore di fatto revocatorio ex art. 106 c.p.a. e art. 395 c.p.c. In particolare: (i) Roche aveva sottolineato la mancanza di accertamenti da parte delle autorità preposta al controllo del rispetto della normativa farmaceutica e dei giudici nazionali per quanto concerne l’illiceità delle condizioni di prescrizione dell’Avastin per uso ‘off-label’; (ii) Novartis aveva sostenuto che il CdS avrebbe ignorato l’evidente assenza di qualsivoglia responsabilità parentale da parte di Novartis AG; e (iii) in ultimo, Roche e Novartis avevano sostenuto che il CdS nel 2019 avrebbe mancato di accertare la natura ingannevole delle informazioni da queste circolate in relazione alla presunta pericolosità del farmaco Avastin, mancando di effettuare il test di ingannevolezza a ciò necessario (come suggerito dall’interpretazione dell’art. 101 TFUE fornito dalla CGUE nel 2018).
Il CdS ha rigettato in toto tali motivi in quanto non ha considerato applicabile alla situazione in esame l’istituto dell’errore revocatorio. Infatti, come chiaramente spiegato nelle Sentenze de qua, tale errore consiste in un c.d. “abbaglio dei sensi”, ossia in un travisamento delle risultanze processuali causato da una svista degli organi giuridici preposti, la quale spinga a ritenere come inesistenti circostanze che si sono palesemente dimostrate esistenti e viceversa. Un errore del genere, al contrario, non è ravvisabile ogniqualvolta si lamenti – come nel caso in questione – una “presunta erronea valutazione delle risultanze processuali o una anomalia del procedimento logico”. Il CdS ha quindi indicato come la Sentenza 2019 – rifacendosi esplicitamente alla precedente pronuncia della CGUE – ha trattato esaurientemente tutte le questioni avanzate dalle Parti in maniera ragionevole ed argomentata, evitando, quindi, l’avverarsi del suddetto “abbaglio”. In particolare, il CdS ha sottolineato – inter alia – come la Sentenza 2019 abbia adeguatamente tenuto in conto le indicazioni della CGUE sulla determinazione del mercato, sottolineando come l’Avastin – poiché prescritto per il trattamento di malattie oftalmiche, nonostante la rispettiva AIC non coprisse tale uso – rientrava nella definizione di mercato rilevante, in quanto sussistente un rapporto di concreta sostituibilità tra il medicinale in questione e Lucentis; nonché come l’asserita mancata analisi di alcune “prese di posizione” non costituisce un errore di fatto revocatorio. Su tale ultimo punto, il CdS ha sottolineato come l’eventuale mancata pronuncia su alcune delle eccezioni difensive è suscettibile di configurare al più un mero vizio del procedimento logico-giuridico ma non certamente un vizio revocatorio. Per quanto concerne, inoltre, l’ingannevolezza delle informazioni, il CdS ha sostenuto come la Sentenza 2019 abbia valorizzato numerosi elementi probatori al fine di giustificare anche tale assunto, così impedendo anche in questo caso la presenza di una fattispecie di errore revocatorio.
Nonostante quanto detto in precedenza, il CdS – alla luce delle argomentazioni avanzate dalle Parti, secondo cui la Sentenza 2019 avrebbe violato i principi di diritto espressi dalla CGUE – ha ritenuto opportuno richiedere – per la seconda volta – l’intervento della CGUE, chiedendo delucidazioni su tre punti specifici, ossia: (i) se il giudice nazionale (nei confronti della di cui decisione non sia proponibile appello) possa “verificare la corretta applicazione nel caso concreto dei principi espressi dalla Corte di Giustizia nel medesimo giudizio”; (ii) se la Sentenza 2019 abbia effettivamente violato i principi espressi dalla CGUE nel 2018; e (iii) se il sistema di cui agli articoli 106 c.p.a. e 395 c.p.c confligga con i principi fondanti dell’UE nel non consentire l’utilizzo del ricorso per revocazione “per impugnare sentenze del Consiglio di Stato confliggenti con sentenze della Corte di Giustizia”.
Non è quindi ancora scritta la parola fine ad una vicenda che oramai si trascina da oltre 7 anni.
Luca Feltrin
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Tutela del Consumatore/PCS e settore assicurativo – L’AGCM sanziona Telepass per 2 milioni di euro per non aver fornito informazioni adeguate sul trattamento dei dati degli utenti e sui criteri di selezione dei preventivi
Con il comunicato stampa pubblicato il 18 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha annunciato di aver sanzionato Telepass S.p.A. e Telepass Broker S.r.l. (controllata dalla prima, congiuntamente Telepass) per una pratica commerciale ingannevole relativa alle modalità con cui viene fornita l’informazione circa il servizio di distribuzione di polizze RC Auto tramite la propria app.L’indagine dell’AGCM, partita a giugno 2020 da una segnalazione di ANAPA (Associazione Nazionale Agenti Professionisti di Assicurazione), si è concentrata su due condotte: (i) l’assenza di un’informativa adeguata sull’utilizzo, per la profilazione degli utenti e per finalità di marketing, dei dati degli utenti che richiedono un preventivo assicurativo tramite l’app Telepass; e (ii) l’assenza di una chiara informativa sui criteri e i parametri seguiti per proporre preventivi e vendere prodotti assicurativi RC Auto.
In merito alla condotta descritta sub (i), l’AGCM ha osservato che i consumatori, invogliati da claim che enfatizzano la semplicità e convenienza nell’aderire alla polizza RC Auto tramite l’APP di Telepass, non fossero tuttavia in grado di apprendere chiaramente le modalità di gestione, conservazione e utilizzo dei propri dati. In particolare, l’AGCM non ha ritenuto sufficiente l’indicazione contenuta nell’informativa privacy, cui veniva fatto rinvio all’inizio del c.d. funnel di preventivazione, del fatto che la società raccoglieva le informazioni necessarie per il calcolo del preventivo e per finalità di marketing, “poiché le società adottano un processo di ‘patrimonializzazione’ dei dati assoggettati a sfruttamento economico, di cui l’utente finale deve venire a conoscenza”. L’AGCM non ha accettato l’argomentazione di Telepass secondo cui il consumatore medio sarebbe ormai a conoscenza dei possibili utilizzi commerciali dei dati dallo stesso forniti, sottolineando che la nuova modalità distributiva utilizzata da Telepass, attraverso la propria app, tecnologicamente avanzata, determina la necessità di un maggior rigore informativo a carico delle società nei confronti dei consumatori.
Sulla condotta descritta sub (ii), l’AGCM ha evidenziato che i clienti non hanno alcuna cognizione dell’effettiva rappresentatività delle compagnie di assicurazioni RC Auto oggetto di preventivazione. Sull’app e sul sito sarebbero stati riportati soltanto i loghi dei partner, tra cui vi sarebbero stati dei meri intermediari assicurativi nella veste di agenti mandatari di non individuate “Compagnie emittenti”. Di conseguenza, l’utente al momento del preventivo non sarebbe in grado di conoscere l’effettivo perimetro delle compagnie oggetto di confronto. L’AGCM, inoltre, ha sottolineato che i preventivi sarebbero il risultato di un algoritmo, il cui funzionamento non è stato specificato al consumatore, che seleziona la polizza con il premio RC Auto più contenuto a parità di massimale minimo offerto da ciascun partner. Infine, sarebbe emersa una specifica opzione commerciale di preferenza, non resa nota ai consumatori, che in fase di rinnovo accordava alle polizze assicurative di due compagnie assicurative un ranking migliore rispetto a soluzioni meno onerose di altri operatori.
Tali condotte sono state considerate dall’AGCM pratiche commerciali ingannevoli, in violazione degli articoli 21 e 22, commi 1 e 2 del Codice del Consumo. L’AGCM ne ha sottolineato la particolare gravità dal momento che vertevano sul trattamento dei dati di un numero notevole di utenti “che costituiscono patrimonio di rilevante valore economico per gli stessi”. Di conseguenza, L’AGCM ha inflitto a Telepass una sanzione pari a due milioni di euro.
La decisione in esame conferma l’orientamento dell’AGCM, già manifestato nei casi Facebook e Google, secondo cui i dati personali hanno un valore economico e la mancata adeguata informazione del modo in cui vengono utilizzati può essere considerata, al di là di eventuali ulteriori profili di violazione della disciplina di protezione dei dati nonché di violazione di ulteriori obblighi di trasparenza a favore del consumatore, una pratica ingannevole.
Luigi Eduardo Bisogno
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