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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e finanziamenti – Il TAR conferma l’irrilevanza del limitato danno causato da una pratica commerciale scorretta nella valutazione della gravità della stessa, rigettando il ricorso di Fiditalia avverso la sanzione dell’AGCM
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR) ha rigettato il ricorso con cui Fiditalia S.p.A. (Fiditalia) chiedeva l’annullamento della sanzione, pari a Euro 117.000, irrogata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per avere messo in atto una pratica commerciale ingannevole (la Condotta Contestata).In particolare, la Condotta Contestata dall’AGCM a Fiditalia consisteva nella conclusione di contratti di finanziamento, sottoscritti dai clienti per l’acquisto di impianti fotovoltaici propagandati e venduti da un’impresa terza (“dealer”). Secondo l’AGCM Fiditalia avrebbe mancato di adottare istruzioni volte ad assicurare la corretta formazione e acquisizione del consenso del consumatore da parte del dealer, che avrebbe generato confusione nel consumatore sul tipo di contratto che stava sottoscrivendo. In particolare, la fornitura del modulo per la conclusione del finanziamento, congiuntamente a quello relativo al trattamento dei dati personali, avrebbe impedito al consumatore di comprendere che stava sottoscrivendo un contratto di finanziamento.
Attraverso il ricorso in parola, Fiditalia contesta in particolare che l’AGCM non avrebbe adeguatamente valutato la gravità della condotta, anche in considerazione dello scarso peso economico dei contratti sottoscritti, e, in generale, degli effetti limitati risultanti dalla Condotta Contestata.
Il TAR ha colto l’occasione per reiterare il principio, già stabilito anche dal Consiglio di Stato (da ultimo il 27 febbraio 2020), secondo cui per determinare il grado di offensività di una pratica commerciale scorretta risulti inconferente il concreto pregiudizio economico causato al consumatore, ovvero il numero di segnalazioni concretamente pervenute all’AGCM: il TAR ha ricordato invece che la disciplina consumeristica delinea illeciti di pericolo, preordinati a prevenire le potenziali distorsioni causate dalle iniziative commerciali prodromiche a quelle contrattuali. Se da un lato non è possibile derivare una gravità della pratica da poche segnalazioni, allo stesso tempo non è richiesto all’AGCM di dare contezza del maturarsi di un pregiudizio economico per i consumatori, essendo sufficiente la lesione potenziale della loro libera determinazione. Peraltro, il TAR ha riconosciuto nella posizione di mercato non insignificante di Fiditalia un ulteriore indice della valenza lesiva della condotta, in ragione della sua notorietà e conseguente, secondo il TAR, credibilità come operatore.
In conclusione, la sentenza in commento si pone nel solco di quel filone giurisprudenziale che squalifica considerazioni relative al limitato danno economico causato in concreto da una pratica commerciale scorretta quali argomenti che ne mitighino la gravità.
Riccardo Fadiga
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Pratiche commerciali scorrette e prodotti terapeutici- L’AGCM sanziona BIRO S.r.l. per aver diffuso comunicazioni ingannevoli in relazione alle proprietà terapeutiche dei braccialetti magnetici
Con il provvedimento n. 28520 dello scorso 12 gennaio 2020 (la Decisione), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha inflitto una sanzione di Euro 50.000 a Biro S.r.l. (Biro), per aver posto in essere una pratica commerciale scorretta, in violazione degli art. 20 e 21 del d.lgs. n. 206 del 2005 (Codice del Consumo), consistente nell’aver promosso e commercializzato il braccialetto magnetico “Therapeutic Bracelet” (il Braccialetto), promuovendone una certa efficacia terapeutica e preventiva contro svariate patologie, in assenza di alcun consolidato riscontro scientifico.Il procedimento era stato avviato a seguito di una segnalazione dell’associazione dei consumatori “Codacons”, sia nei confronti di Biro, sia di AWS S.r.l. (AWS); ai sensi di un “contratto di distribuzione” in essere tra le due società la prima si occupava, oltre che della commercializzazione, anche della predisposizione delle campagne pubblicitarie e dei materiali di marketing dei Braccialetti mentre la seconda, in qualità di advertiser, si limitava a pubblicare gli annunci sulla piattaforma online di cui era affiliata. Nonostante il ruolo svolto da AWS nella diffusione dei messaggi pubblicitari ingannevoli, l’AGCM ha ritenuto opportuno non sanzionarla, alla luce del mero ruolo di “intermediario professionale” della stessa e dell’autonomia con cui Biro ha elaborato il contenuto delle proprie campagne pubblicitarie.
Con riferimento alla condotta di Biro oggetto di istruttoria, il Braccialetto era stato pubblicizzato online al prezzo di 59 Euro mediante claim promozionali che recitavano che, inter alia, esso “migliora la circolazione sanguigna, l’energia, l’equilibrio e la qualità del sonno”. Inoltre, si affermava che il Braccialetto fosse efficace per la cura per un’ampia serie di malattie quali l’insonnia, il mal di testa, l’emicrania, l’artrite e i dolori articolari, oltre che essere in grado di migliorare problemi di sovrappeso, di cellulite e, addirittura relativi a fratture ossee, il tutto senza alcuna prova o studio scientifico a supporto.
Nel corso del procedimento, Biro si è difesa sostenendo che il prezzo contenuto del prodotto e l’inverosimiglianza ed il carattere iperbolico delle indicazioni terapeutiche pubblicizzate fossero tali da rendere sostanzialmente nulla la portata offensiva delle condotte in oggetto. Biro ha inoltre sostenuto di aver confidato, in buona fede, sulla liceità dei messaggi pubblicizzati, sulla base del fatto che in Internet fossero pubblicizzati numerosi prodotti pressoché identici al Braccialetto.
L’AGCM non ha tuttavia condiviso le argomentazioni di Biro, ribadendo che ai fini della violazione delle norme consumeristiche “… è necessaria e sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso …”.
Pertanto, l’AGCM ha concluso che la condotta in questione costituisse una pratica commerciale scorretta ed ha inflitto a Biro una sanzione di 50.000 Euro, ai sensi dell’art. 27 del Codice del Consumo. Nel determinarne l’ammontare l’AGCM ha tenuto conto della modesta dimensione economica di Biro e della breve durata della violazione, non mancando tuttavia di sottolinearne la gravità, in quanto la condotta di Biro esplicava i propri effetti negativi sfruttando la vulnerabilità di consumatori che soffrono di specifiche patologie o malesseri, anche invalidanti.
Luca Casiraghi
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Legal news / Rinvio pregiudiziale e appalti pubblici – La CGUE afferma che la FICG può essere soggetta alle norme sull’affidamento degli appalti pubblici se qualificata come organismo pubblico
Lo scorso 3 febbraio la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) si è pronunciata sulla questione pregiudiziale rimessa dal Consiglio di Stato nell’ambito del giudizio di appello in merito alla controversia fra la società De Vellis e la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), nella quale la prima contestava il mancato rispetto da parte della seconda delle regole di pubblicità dettate per le procedure di affidamento degli appalti pubblici.Il Consiglio di Stato, nel decidere il rinvio pregiudiziale, ha ritenuto che, preliminarmente, si dovesse chiarire se la FIGC fosse qualificabile o meno come organismo di diritto pubblico, ai sensi della Direttiva 2014/24/UE (la Direttiva). La Corte ha evidenziato che, ai sensi dell’art. 2, paragrafo 1 della Direttiva, è richiesto il soddisfacimento di tre requisiti cumulativi affinché un’entità possa essere qualificata come “organismo di diritto pubblico”, ossia la stessa: (i) sia istituita per lo svolgimento di attività di interesse generale, a carattere non industriale o commerciale, (ii) sia dotata di personalità giuridica, e (iii) sia finanziata prevalentemente dallo Stato o soggetta a controlli da parte di un’autorità pubblica.
In merito al requisito sub (i), la CGUE ha affermato che non è rilevante, ai fini della qualificazione della FIGC come organismo pubblico, né il fatto che questa sia costituita in forma di ente privato su base associativa, né che svolga contestualmente altre attività, seppure autofinanziate. È sufficiente invece che l’entità sia istituita per lo svolgimento di un’attività di interesse generale tassativamente individuata dallo Stato affidato alle singole federazioni sportive, come nel caso del calcio e della FIGC.
Verificata positivamente anche la condizione sub (ii), in quanto la FIGC ha personalità giuridica, la CGUE ha esaminato la sussistenza del requisito sub (iii): la questione verteva sulla possibilità di affermare che la FIGC fosse soggetta al controllo del CONI, in quanto autorità pubblica. A tal proposito, la CGUE ha chiarito che un controllo può dirsi esercitato quando l’autorità è in grado di influire sulla gestione delle attività. La Corte ha quindi constato che, alla luce dell’ordinamento italiano, sembrerebbe evincersi che le federazioni sportive siano dotate di un autonomo potere di gestione.
Infatti, a parere della CGUE, il controllo ex post sulle attività esercitato dal CONI si pone, almeno in linea di principio, in contrasto con l’idea di un controllo attivo sulla gestione. La CGUE ha considerato che il CONI, in quanto organo di massima rappresentanza dello sport italiano, si limita ad indicare alle federazioni regole sportive, etiche e strutturali comuni, favorendo così l’esercizio della pratica sportiva in maniera armonizzata e coerente con i princìpi internazionali. Al CONI non spetta, tuttavia, il compito di regolamentare lo svolgimento della pratica sportiva nel quotidiano, né di influire sull’organizzazione concreta e sui rapporti intrattenuti dalle federazioni. Non rileva, secondo la CGUE, nemmeno il fatto che il riconoscimento delle federazioni a fini sportivi sia subordinato all’approvazione del CONI, in quanto si tratta soltanto di un’azione preliminare che non comporta l’esercizio di alcun potere attivo sulla gestione. Da ultimo, non sarebbero determinanti nemmeno i poteri spettanti al CONI sui bilanci preventivi e consuntivi delle federazioni o il potere di nomina di revisori contabili di propria rappresentanza e di commissariamento delle federazioni in caso di gravi irregolarità nella gestione.
La Corte ha quindi conclusione che spetterà al giudice del rinvio stabilire, alla luce di un’analisi complessiva dei poteri esercitati dal CONI, se questo in concreto eserciti sulle federazioni sportive un controllo tale da far venir meno la loro autonomia di gestione. Di contro, dovrà altresì valutarsi se tale potere sia di fatto neutralizzato dalla partecipazione agli organi di amministrazione del CONI di esponenti delle singole federazioni. Andrà dunque verificato se ciascuna federazione sia, a prescindere dalle altre, in grado di esercitare un’influenza determinante sulle decisioni assunte da tali organi.
Elena Mandarà
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