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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE/Intese e prescrizione – Corte di Giustizia: vanno disapplicate le norme nazionali che ostacolino l’effettiva applicazione del diritto antitrust UE determinando un sistematico rischio di impunità

Con la sentenza dello scorso 21 gennaio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) ha risposto a due domande di pronuncia pregiudiziale propostele dall’Alta Corte di Cassazione e di Giustizia della Romania (il Giudice del rinvio) nell’ambito di una controversia tra la società Whiteland Import Export SRL (Whiteland) ed il Consiliu Concurentei, ossia l’Autorità antitrust rumena (AAR).

La vicenda trae origine da un procedimento avviato nel 2009 dall’AAR nei confronti di Whiteland e di altre società attive nel settore dei prodotti alimentari al dettaglio, al fine di accertare l’esistenza di eventuali violazioni della normativa antitrust nazionale e comunitaria. L’AAR aveva concluso l’indagine nel 2015, accertando l’esistenza di una intesa volta a ostacolare la concorrenza tramite la fissazione dei prezzi di vendita e di rivendita dei prodotti dei fornitori, irrogando ammende alle società coinvolte. Whiteland, sanzionata per circa 513 mila euro, aveva quindi impugnato la decisione davanti alla Corte d’appello di Bucarest, invocando l’intervenuta prescrizione del potere dell’AAR di comminare una sanzione. Ciò in ragione di un’interpretazione della legge nazionale rumena, secondo la quale i fatti oggetto del procedimento si sarebbero prescritti nel 2014, ovverosia cinque anni dopo la comunicazione di avvio procedimento, che sarebbe – secondo tale impostazione - l’ultimo atto dell’AAR idoneo ad interrompere il termine di prescrizione quinquennale.

La Corte d’appello di Bucarest, condividendo la sopra citata impostazione, aveva annullato la sanziona inflitta a Whiteland. L’AAR aveva appellato tale sentenza di fronte al Giudice del Rinvio, il quale ha deciso di sospendere il processo e di rivolgere due quesiti alla CGUE, ossia: (i) “se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che i giudici nazionali sono tenuti ad applicare l’articolo 25, paragrafo 3, del regolamento n. 1/2003” - il quale stabilisce che “…[l]a prescrizione riguardante l’imposizione di ammende o di penalità di mora si interrompe con qualsiasi atto della Commissione o dell’autorità garante della concorrenza di uno Stato membro destinato all’accertamento o alla repressione dell’infrazione…” (e dunque non solamente con il provvedimento di avvio); e (ii) se fosse conforme al diritto UE l’interpretazione di una norma di diritto nazionale secondo la quale, per atto interruttivo della prescrizione si intenda soltanto l’atto formale di avvio dell’indagine, senza attribuire il medesimo effetto interruttivo anche alle successive azioni intraprese dall’autorità.

Per rispondere al quesito sub (i), nella sentenza in commento la CGUE analizza dal punto di vista letterale il testo del citato art. 25, concludendo che i giudici nazionali non siano tenuti ad applicare tale norma, in quanto il paragrafo 1 del medesimo articolo fa esclusivo riferimento ai poteri della Commissione Europea in materia di sanzioni. Pertanto, inserendosi il paragrafo 3 nel contesto individuato dal primo paragrafo del medesimo articolo, non risulta che tale disposizione sia applicabile ai procedimenti delle autorità antitrust nazionali e questo nonostante le medesime vi siano citate.

Relativamente al quesito sub (ii), invece, la CGUE ha sostanzialmente concordato con quanto affermato dall’Avvocato Generale Pitruzzella nelle proprie conclusioni (già oggetto di commento nella nostra newsletter del 7 settembre 2020). La CGUE ha infatti affermato che, nonostante spetti ai singoli Stati membri l’adozione e l’applicazione di norme sulla prescrizione in materia di sanzioni antitrust, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e, in particolare, del principio di effettività.

Pertanto, la CGUE ha affermato che gli Stati membri non possono e non devono rendere sostanzialmente impossibile o eccessivamente difficile l’attuazione del diritto dell’Unione e, con specifico riferimento alla normativa antitrust, devono assicurarsi che le norme che adottano o applicano non pregiudichino l’effettiva applicazione degli articoli 101 e 102 TFUE. Di conseguenza, un regime nazionale di prescrizione che osti in modo sistemico all’irrogazione di sanzioni effettive e dissuasive per infrazioni al diritto della concorrenza UE sarebbe atto a rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione di tali norme.

La CGUE ha quindi conclusione che spetta al Giudice del Rinvio decidere, qualora ritenesse sussistere tale sistematico ostacolo all’applicazione della normativa antitrust nel caso concreto, se disapplicare la norma in oggetto o interpretarla in maniera maggiormente estensiva per renderla conforme al diritto comunitario.

Luca Casiraghi
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Intese e settore dei video game – La Commissione sanziona Valve e altri colossi del gaming per 7,8 milioni di euro

Lo scorso 20 gennaio, la Commissione europea (Commissione) ha annunciato di aver sanzionato Valve, società proprietaria della piattaforma di gaming online per PC ‘Steam’, e altri cinque produttori di videogiochi (Bandai Namco, Capcom, Focus Home, Koch Media e ZeniMax) per un totale di 7,8 milioni di euro per aver limitato le vendite transfrontaliere di circa 100 videogiochi per PC, in base alla posizione geografica degli utenti all’interno dello Spazio economico europeo (SEE) (c.d. geo-blocking).

Come anticipato, Valve è la società americana che possiede Steam, una piattaforma di digital delivery da cui è possibile scaricare oltre 35.000 video giochi in tutto il mondo. Valve fornisce ai produttori di videogiochi i mezzi tecnici per attivare e giocare ai videogiochi su Steam, inclusi quelli acquistati al di fuori di Steam, attraverso le cosiddette “chiavi di attivazione di Steam”. I produttori integrano queste chiavi nei loro videogiochi per PC per l’autenticazione/attivazione dell’utente. I videogiochi per PC sono poi venduti da distributori terzi in tutto il SEE.

I produttori hanno richiesto a Valve di impostare delle restrizioni geografiche nelle chiavi di attivazione di Steam. Il software impedisce quindi ai consumatori di un dato Paese di attivare e giocare ai videogiochi per PC acquistati da distributori presenti in altri territori, attraverso supporti fisici o tramite download. I produttori sarebbero stati spinti a adottare tale tecnologia per fermare il diffondersi di un ‘mercato nero’ del gaming legato alle rivendite illegali con chiavi ‘rubate’.

Nondimeno, la Commissione ha ritenuto che le pratiche di Valve e dei produttori abbiano comportato la compartimentazione del mercato SEE in violazione delle norme antitrust dell'UE. In particolare, la Commissione ha censurato:

- gli accordi tra Valve e i cinque produttori di videogiochi per PC che prevedevano chiavi di attivazione Steam “geo-bloccate” che impedivano l’attivazione di alcuni videogiochi per PC di questi produttori al di fuori della Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria, Romania, Slovacchia, Estonia, Lettonia e Lituania;

- gli accordi di licenza e distribuzione conclusi tra quattro dei cinque produttori di videogiochi per PC e alcuni dei loro rispettivi distributori di videogiochi per PC nel SEE (diversi da Valve), contenenti clausole che limitavano le vendite transfrontaliere dei videogiochi per PC interessati nel SEE, compresi i suddetti paesi dell’Europa centrale e orientale.

I cinque produttori hanno collaborato con la Commissione, fornendo prove rilevanti per l’indagine e riconoscendo espressamente i fatti alla base della violazione. La Commissione ha quindi concesso riduzioni delle sanzioni che vanno dal 10% (per Bandai, Focus Home, Koch Media e ZeniMax) al 15% (per Capcom). Al contrario, Valve avrebbe deciso di non cooperare con la Commissione ed è quindi stata sanzionata in pieno per € 1.624.000.

Il caso in esame dimostra che la Commissione intende mantenere la sua linea dura in relazione a comportamenti che hanno l’effetto di creare compartimentazioni nell’ambito del mercato comune. E ciò anche nei casi che coinvolgono un’interazione tra i diritti di proprietà intellettuale e le regole antitrust. Valve, tuttavia, ha già annunciato il ricorso, e da tale contenzioso è possibile attendersi nuove, significative indicazioni sul complesso rapporto fra queste due aree del diritto nell’ambito dell’Unione europea.

Luigi Eduardo Bisogno
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Autorità nazionali e settore digitale – Entra in vigore la riforma della legge sulla concorrenza tedesca volta a contrastare il potere delle grandi piattaforme digitali

Lo scorso 19 gennaio è entrato in vigore l’emendamento alla legge sulla concorrenza tedesca principalmente volto a contrastare il potere di mercato delle grandi imprese digitali (per un maggiore approfondimento si veda il blog dello Studio). La riforma è stata approvata con una maggioranza più ampia della coalizione attualmente al governo.

In base alla nuova riforma, l’autorità della concorrenza tedesca (Bundeskartellamt) potrà iniziare a compilare l’elenco delle società con potere di mercato identificate mediante l’anodino riferimento al criterio della “paramount signficance on competition across markets”. Tali società, che con tutta probabilità non potranno non comprendere i cosiddetti ‘Gafam’ (ossia Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft), saranno soggette ad una serie di regole stabilite ex ante, tra cui il divieto di riconoscere un trattamento preferenziale alle proprie offerte rispetto a quelle dei concorrenti (cd. ‘self-preferencing’) e di ostacolare l’interoperabilità tra prodotti. Per assicurare una maggiore tempestività dell’intervento, l’emendamento prevede che i ricorsi contro le decisioni del Bundeskartellamt saranno decisi direttamente dalla Corte federale di giustizia.

La riforma introduce anche un aumento delle soglie di fatturato che fanno scattare l’obbligo di notifica delle concentrazioni, allo scopo di ridurre il carico burocratico e consentire al Bundeskartellamt di concentrarsi sui casi più critici. Allo stesso tempo, la legge consentirà al Bundeskartellamt di ordinare a un’impresa di notificare le acquisizioni di società di minore entità in determinati settori (in seguito a una precedente indagine settoriale) qualora vi siano ragioni obiettive per temere che l’acquisizione ostacoli in modo significativo la concorrenza in Germania.

La riforma in esame evidenzia il ruolo pioneristico della Germania nella regolamentazione del settore digitale. Resta da vedere come la nuova legge si concilierà con il ‘Digital Markets Act’ attualmente al vaglio del legislatore europeo.

Luigi Eduardo Bisogno
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Diritto della concorrenza Italia/Abuso di posizione dominante e settore della vendita dei biglietti per eventi live – L’AGCM sanziona TicketOne per abuso di posizione dominante finalizzato a monopolizzare il mercato del ticketing

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso un procedimento già in precedenza analizzato su questa Newsletter, sanzionando in solido le società CTS Eventim AG & Co. KGaA, TicketOne S.p.A., Di and Gi S.r.l., F&P Group S.r.l. in liquidazione, Friends & Partners S.p.A., Vertigo S.r.l. e Vivo Concerti S.r.l. (congiuntamente, TicketOne) per un totale di oltre 10 milioni di Euro per avere messo in atto una strategia commerciale in violazione del divieto di abuso di posizione dominante (ai sensi dell’articolo 102 del TFUE).

TicketOne è la società leader in Italia nella vendita di biglietti per eventi live di musica leggera (c.d. ticketing), che esercita nella forma della vendita a favore dell’organizzatore dell’evento (c.d. promoter). Tale modalità di vendita rappresenta la modalità maggiormente diffusa, mentre la vendita diretta da promoter a pubblico ricopre un ruolo assolutamente residuale. In particolare, TicketOne ha consolidato la propria posizione commerciale anche grazie agli accordi quindicennali con cui essa si è assicurata nel 2001 l’esclusiva della vendita tramite il canale online – all’epoca di rilievo ridotto rispetto al canale fisico – da parte dei maggiori organizzatori di eventi. Questi accordi (note come c.d. Intese Panischi) sono stati a suo tempo notificati all’AGCM (ai sensi del regime previgente che consentiva di richiedere ed ottenere una esenzione individuale) (la quale peraltro non aveva ritenuto necessario avviare un’istruttoria), e hanno permesso a TicketOne di acquisire e consolidare una posizione dominante, raggiungendo quote di mercato tra il 70 e l’80%. A ciò si aggiunga che la porzione di mercato libera dalle esclusive di TicketOne sarebbe riconducibile ai numerosi operatori di dimensioni molto minori che si occupano di artisti meno famosi e di eventi in location con minore capienza.

Secondo l’AGCM, TicketOne avrebbe abusato del proprio potere di mercato acquisendo i principali promoter nazionali e imponendo clausole di esclusiva ai rimanenti promoter indipendenti, così da minimizzare la contendibilità della maggior parte del mercato del ticketing nazionale.

Per raggiungere tale obiettivo, TicketOne avrebbe messo in atto condotte di boicottaggio e/o comunque di carattere ritorsivo nei confronti dei promoter locali che non avessero accettato le imposizioni della società. In particolare, TicketOne avrebbe ostacolato l’attività dell’operatore Zed, intervenuto nel procedimento, anche trattenendo pagamenti dovuti, al fine di punirlo poiché questi avrebbe concluso un accordo di partnership con l’operatore concorrente Ticketmaster, rifiutando l’esclusiva a favore di TicketOne.

Le condotte di TicketOne, secondo l’AGCM, hanno permesso a TicketOne di applicare commissioni molto più alte di quanto sarebbe stato possibile in una situazione di maggiore concorrenza nel settore; e in secondo luogo, hanno impedito lo sviluppo di una offerta da parte di più operatori.

L’AGCM ha ricondotto la totalità di queste condotte – ivi incluse, vale la pena di sottolineare, anche le acquisizioni dei maggiori promoter - a un’unica strategia escludente volta a impedire l’accesso sul mercato del ticketing online degli operatori concorrenti.

L’AGCM, pertanto, non solo ha irrogato la sanzione pecuniaria di cui sopra ma in particolare ha imposto una limitazione all’esclusiva a favore di TicketOne, ordinando a quest’ultima di consentire agli altri operatori di ticketing, secondo termini equi, ragionevoli e non discriminatori, di vendere con qualsiasi modalità e canale almeno il 20% del totale dei biglietti relativi agli eventi prodotti e distribuiti da promoter e operatori vincolati al gruppo TicketOne. Tale misura è finalizzata a provocare un’apertura “forzata” del mercato nei confronti dei concorrenti, e gettare le basi per lo sviluppo di una maggiore concorrenza nel settore.

Risulta particolarmente interessante l’applicazione di una simile misura comportamentale da parte dell’AGCM nell’ambito di procedimenti comportamentali, che generalmente, in assenza di impegni offerti dalle parti, si limita a diffidare genericamente dal proseguire le condotte rilevanti, invece di prescrivere uno specifico comportamento attivo come nel caso in esame. Non solo: un’ulteriore peculiarità del provvedimento nei confronti di TicketOne è l’inclusione delle acquisizioni della società nel perimetro della condotta abusiva (avente quindi altresì carattere c.d. “strutturale”), gettando così interessanti dubbi sulla portata della diffida a desistere da tale condotta.

Riccardo Fadiga
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Tutela del consumatore/Pratiche commerciali scorrette e settore energetico – L’AGCM ha sanzionato Enel e ENI per violazione della normativa sulla prescrizione biennale sulle bollette arretrate

Con le due decisioni dello scorso 20 gennaio (le Decisioni), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha sanzionato le società Enel Energia S.p.A. e Servizio Elettrico Nazionale S.p.A. (congiuntamente, Enel) e Eni Gas e Luce S.p.A. (ENI) (congiuntamente, le Parti) per un ammontare complessivo di 12,5 milioni di euro, per aver adottato una comune pratica commerciale scorretta in violazione degli articoli 20, 24 e 25 del decreto legislativo n. 206 del 6 settembre 2005 (il Codice del Consumo).

Come indicato dall’AGCM, in particolare, le Parti avrebbero agito in contrasto con l’articolo 1 della Legge di Bilancio 2018 (la Legge di Bilancio), la quale ha introdotto il regime di prescrizione biennale (c.d. ‘prescrizione breve’) per i crediti vantati dalle società di vendita del settore energetico (quali Enel ed ENI) per consumi pregressi. L’unica eccezione a tale regime di prescrizione – successivamente abrogata dalla Legge di Bilancio 2020 – risiedeva nella presenza di una “mancata o erronea rilevazione dei dati di consumo” dovuta a “responsabilità accertata dell’utente”. Alla luce di tale quadro normativo, pertanto, le società di vendita energetica che si vedevano opporre dai propri utenti la prescrizione di determinate voci di consumo per cui veniva richiesto il pagamento in bolletta, in quanto relative a un periodo temporale eccedente il biennio, potevano contestare ciò solo qualora i ritardi di fatturazione fossero imputabili all’impossibilità di accertare i rilevanti dati di consumo a causa di comportamento attivo in tal senso da parte dell’utente interessato.

Tramite il suddetto intervento il legislatore nazionale aveva voluto affrontare il problematico fenomeno delle cc.dd. ‘maxi-bollette’, dovute ad un errato sistema di fatturazione tardiva da parte delle società di vendita di energia, le quali emettevano fatture di conguaglio per i consumi pregressi di gas e luce riportanti importi anche considerevoli in quanto riferite a consumi anche risalenti nel tempo (in alcuni casi, anche di 5 anni).

Detto ciò, l’AGCM ha sottolineato come le Parti abbiano deliberatamente agito al fine di non accogliere (o comunque accogliere solo parzialmente) le istanze di prescrizione avanzate dai propri utenti a far data dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio e fino alla entrata in vigore della successiva legge di bilancio 2020, rigettando le richieste in esame tramite l’emanazione di comunicazioni laconiche e standardizzate. In particolare, ad avviso dell’AGCM, le Parti avrebbero ingiustificatamente addossato ai rispettivi utenti la responsabilità circa la mancata lettura dei contatori e la conseguente impossibilità di determinare in maniera chiara e precisa i consumi a ciascuno di essi ascrivibili, giustificando su tale base la tardività della fatturazione da queste emesse (relativa a lassi temporali anche superiori al biennio). Sul punto, l’AGCM sottolinea con particolare enfasi come le Parti abbiano determinato la suddetta responsabilità degli utenti esclusivamente su generiche e lacunose dichiarazioni avanzate dalle rilevanti società di distribuzione energetica (in prevalenza rispettivamente, e-Distribuzione S.p.A. per Enel e Italgas Reti S.p.A. per ENI), senza tuttavia tenere in conto le spiegazioni circostanziate e puntuali offerte dagli utenti – specialmente in sede di reclamo – a prova del fatto che la lamentata impossibilità di controllo non fosse decisamente attribuibile ad un loro agire ma esclusivamente ad una mala gestio da parte del distributore stesso. Così agendo, le Parti hanno adottato una procedura per il trattamento delle istanze di prescrizione – ad avviso dell’AGCM – palesemente inadeguata Infatti, in caso di divergenza tra le dichiarazioni del distributore e le spiegazioni avanzate dagli utenti, le Parti hanno dimostrato chiaramente di preferire le prime (benché non supportate da solidi elementi probatori), effettuando un’indebita inversione dell’onus probandi a totale detrimento del consumatore. Pertanto, Enel e ENI hanno posto in essere una gestione non diligente delle suddette istanze, in violazione non solo del Codice del Consumo ma anche dell’articolo 1 della Legge di Bilancio.

Il caso in esame risulta di certo interesse relativamente ai diritti del consumatore in un settore, quello energetico, su cui l’AGCM non ha mai lesinato le proprie attenzioni ed in relazione al quale sono pendenti altre istruttorie, sebbene aventi un diverso oggetto.

Luca Feltrin
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Tutela del consumatore e settore degli smartphones – Il TAR ha respinto il ricorso di Samsung avverso il provvedimento sanzionatorio dell’AGCM

In data 18 gennaio 2021, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha rigettato il ricorso presentato da Samsung Electronics Co. Ltd e Samsung Electronics Italia (congiuntamente, Samsung) nei confronti di un provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) le aveva sanzionate in quanto responsabili di una pratica commerciale ingannevole.

Più nello specifico, secondo l’AGCM, Samsung era responsabile di aver indebitamente indotto i consumatori che avevano già acquistato uno smartphone modello Galaxy Note 4 (Note 4) a installare l’aggiornamento alla nuova versione del sistema operativo Android, c.d. Marshmallow (Marshmallow). Ciò avrebbe, da un lato, causato una riduzione sensibile delle prestazioni dei Note 4 a suo tempo pubblicizzate; dall’altro, non si sarebbe adoperato a prestare assistenza ai consumatori per tali problemi.

Oltre ad una serie di motivi di rito (tutti rigettati), Samsung aveva addotto una serie di motivi di merito. In primo luogo, è stata lamentata la violazione del diritto di difesa con riferimento ai vari profili tecnico-fattuali sulla base dei quali l’AGCM ha ravvisato la sussistenza di una pratica commerciale scorretta. Più nello specifico, secondo la ricorrente l’AGCM sarebbe giunta a conclusioni erronee, in assenza di prove tecniche obiettive, sul peggioramento delle performance dei dispositivi, omettendo di considerare dati tecnico-scientifici. Il TAR ha, a dire il vero in maniera in qualche misura contraddittoria, rigettato questa censura, rilevando che il provvedimento dell’AGCM darebbe ampiamente conto, mediante le analisi delle richieste di riparazione, le relative elaborazioni grafiche e l’esame delle segnalazioni degli utenti, dell’incidenza statisticamente più che significativa di tali malfunzionamenti sui Note 4 in uso a partire dal rilascio di Marshmallow e che questo è sufficiente a provare la condotta ingannevole delle ricorrenti. In altre parole, per il TAR, con un ragionamento che a prima vista appare circolare, è risultato sufficiente che qualcuno si fosse lamentato dell’asserito malfunzionamento degli smarphone di Samsung a valle dell’aggiornamento per ritenerlo provato, senza necessità che l’AGCM si addentrasse negli aspetti tecnologici della questione.

Con altro motivo, poi, SEC e SEI hanno contestato il mancato coinvolgimento di Google, quale fornitore in open source del sistema Android e di Marshmallow, nel procedimento. Anche questa censura per il TAR è infondata. Infatti, i comportamenti sanzionati sarebbero riconducibili solo alle ricorrenti, quali fornitrici dei dispositivi su cui l’aggiornamento veniva scaricato: è i Samsung e non Google il soggetto con il quale il consumatore si mette in relazione per la fruizione del dispositivo e del connesso aggiornamento. Pertanto, le condotte sono ascrivibili a Samsung che, installando Android e i relativi aggiornamenti sui propri apparecchi, era tenuta a verificarne la compatibilità e l’eventuale dannosità. Peraltro, sottolinea infine il TAR, anche ove dovesse ravvisarsi un contributo di Google nella causazione dei danni, ciò potrebbe al più integrare una fattispecie di concorso nella produzione dell’illecito, senza comportare, comunque, l’illegittimità del provvedimento emesso nei confronti dell’impresa che trae un ritorno economico dalla condotta illecita.

Bisognerà ora aspettare, in caso di appello di Samsung – cosa che si ritiene molto probabile – il giudizio del Consiglio di Stato e vedere se anche il massimo grado della giustizia amministrativa confermerà la visione dell’AGCM e del TAR, che tuttavia lascia scoperta un punto fondamentale della vicenda, ossia se effettivamente l’aggiornamento ha determinato un malfunzionamento degli smartphone in questione.

Mila Filomena Crispino
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