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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Competition policy e mercato digitale – Pubblicato il report, redatto dagli esperti incaricati dalla Commissione europea sulle nuove sfide nel settore dei mercati digitali
Lo scorso 4 aprile, la Commissione europea (Commissione) ha pubblicato il tanto atteso Report relativo alle nuove sfide poste dalla digitalizzazione ad un’efficace applicazione delle regole della concorrenza. Il documento, intitolato “Competition policy for the digital era” (il Report), è stato redatto congiuntamente da un panel di tre esperti – Jacques Crémer (economista e membro del Conseil national du numérique francese), Yves-Alexandre de Montjoye (Assistente alla cattedra presso il Data Science Institute ed il Dipartimento di calcolo informatico dell’Imperial College di Londra) e Heike Schweitzer (professoressa di diritto antitrust presso la Humboldt University di Berlino) – nominati come ‘consulenti speciali’ (gli Esperti) dalla Commissaria europea della concorrenza Margrethe Vestager.
Il Report si apre con un’analisi degli aspetti fondamentali del mercato digitale, ossia: i) notevoli rendimenti di scala (il costo di produzione dei servizi online non aumenta numero di utenti serviti); ii) esternalità di rete (c.d. ‘network effect’); e iii) il ruolo preponderante dei dati (la vera “ricchezza” all’interno dei mercati digitali). Da queste caratteristiche di fondo deriverebbero, secondo gli Esperti, svariata conseguenze, tra cui: a) il fatto che le grandi piattaforme online presenti sul mercato hanno la possibilità di espandere la loro sfera di attività in settori adiacenti sfruttando l’importante bagaglio di dati in loro possesso; (b) “fondati motivi di preoccupazione” circa il fatto che le imprese attive dei mercati digitali che si trovano in posizione di dominanza avrebbero particolare interesse a porre in essere comportamenti anticoncorrenziali. Tali problematiche – ad avviso degli Esperti – richiederebbero, quindi, una vigorosa politica di enforcement da parte delle autorità poste a tutela della concorrenza.
In ragione di ciò, il Report suggerisce di intraprendere un’azione di aggiornamento e di generale ‘ripensamento’ degli strumenti e dei meccanismi di analisi e di enforcement attualmente a disposizione delle autorità garanti della concorrenza (nazionali e non). Il fine è quello di perseguire efficacemente – nonostante le complicate problematiche sollevate da mercati digitali in continuo mutamento – quello che dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale del diritto della concorrenza, ossia – secondo gli Esperti – la tutela del generale ‘benessere’ dei consumatori.
A tal riguardo, il Report riconosce che i principi fondamentali del diritto della concorrenza sono sempre stati in grado di adattarsi ed evolvere nel tempo, reagendo alle nuove sfide lanciate dai vari cambiamenti (più o meno rilevanti) del mercato, assicurando un’applicazione coerente delle regole antitrust. Tuttavia, gli Esperti – identificando alcune particolari caratteristiche comuni ai mercati digitali (la cui analisi, ad avviso non solo di chi scrive, non viene almeno per il momento particolarmente approfondita) – propugnano la necessità di un affinamento ed adattamento delle sue modalità di enforcement. A tal fine, il Report sembra suggerire, almeno in alcuni casi, un alleggerimento dell’onere della prova posto in capo alla Commissione circa la sussistenza di una condotta anticoncorrenziale. Infatti, viene riconosciuta la necessità di porre meno enfasi sull’analisi tecnica delle definizioni del mercato rilevante (in quanto nel settore digitale possono essere decisamente fluidi e di non facile individuazione) a favore di una più attenta valorizzazione (e, nell’ambito del controllo delle concentrazioni, anche una rivisitazione) dell’individuazione delle possibili strategie anticoncorrenziali. Inoltre, in alcune situazioni, il Report giunge addirittura a sostenere un’inversione dell’onere della prova, ponendo in capo alla piattaforma interessata il compito di provare la natura pro-competitiva della condotta adottata. Attraverso tale suggerimento, in particolare, gli Esperti sembrerebbero de facto suggerire l’applicazione estensiva – anche al mercato digitale – della categoria delle violazioni della concorrenza ‘per oggetto’ come soluzione per gli asseriti problemi di ‘under-enforcement’ sopra ricordati.
Con particolare riferimento alle piattaforme online più rilevanti (le quali sono attive in prima persona sul marketplace che pure mettono a diposizione di soggetti terzi), al fine di evitare fenomeni di c.d. ‘self-preferencing’. Per quanto concerne, infine, i dati, il Report analizza la tematica sotto il punto di vista, in particolare, dell’abuso ex articolo 102 TFUE. A tal proposito, gli Esperti affermano che non tutti i dati sarebbero ‘indispensabili’ a fini competitivi, ma con riferimento al sottoinsieme di dati ‘indispensabili’ dovrebbe esserne assicurata l’accessibilità e l’interoperabilità.
Non resta che vedere se la Commissione e le istituzioni europee più in generale adotteranno misure (anche di natura legislativa) volte a recepire tali suggerimenti e, soprattutto, se la Corte Europea di Giustizia le approverà in ultima analisi.
Per quanto riguarda il nostro Paese, si è in attesa da giorni della conclusione dell’indagine conoscitiva avviata ormai quasi due anni fa e svolta congiuntamente dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e dal Garante per la Protezione dei Dati Personali.
Luca Feltrin
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Il Report si apre con un’analisi degli aspetti fondamentali del mercato digitale, ossia: i) notevoli rendimenti di scala (il costo di produzione dei servizi online non aumenta numero di utenti serviti); ii) esternalità di rete (c.d. ‘network effect’); e iii) il ruolo preponderante dei dati (la vera “ricchezza” all’interno dei mercati digitali). Da queste caratteristiche di fondo deriverebbero, secondo gli Esperti, svariata conseguenze, tra cui: a) il fatto che le grandi piattaforme online presenti sul mercato hanno la possibilità di espandere la loro sfera di attività in settori adiacenti sfruttando l’importante bagaglio di dati in loro possesso; (b) “fondati motivi di preoccupazione” circa il fatto che le imprese attive dei mercati digitali che si trovano in posizione di dominanza avrebbero particolare interesse a porre in essere comportamenti anticoncorrenziali. Tali problematiche – ad avviso degli Esperti – richiederebbero, quindi, una vigorosa politica di enforcement da parte delle autorità poste a tutela della concorrenza.
In ragione di ciò, il Report suggerisce di intraprendere un’azione di aggiornamento e di generale ‘ripensamento’ degli strumenti e dei meccanismi di analisi e di enforcement attualmente a disposizione delle autorità garanti della concorrenza (nazionali e non). Il fine è quello di perseguire efficacemente – nonostante le complicate problematiche sollevate da mercati digitali in continuo mutamento – quello che dovrebbe essere l’obiettivo fondamentale del diritto della concorrenza, ossia – secondo gli Esperti – la tutela del generale ‘benessere’ dei consumatori.
A tal riguardo, il Report riconosce che i principi fondamentali del diritto della concorrenza sono sempre stati in grado di adattarsi ed evolvere nel tempo, reagendo alle nuove sfide lanciate dai vari cambiamenti (più o meno rilevanti) del mercato, assicurando un’applicazione coerente delle regole antitrust. Tuttavia, gli Esperti – identificando alcune particolari caratteristiche comuni ai mercati digitali (la cui analisi, ad avviso non solo di chi scrive, non viene almeno per il momento particolarmente approfondita) – propugnano la necessità di un affinamento ed adattamento delle sue modalità di enforcement. A tal fine, il Report sembra suggerire, almeno in alcuni casi, un alleggerimento dell’onere della prova posto in capo alla Commissione circa la sussistenza di una condotta anticoncorrenziale. Infatti, viene riconosciuta la necessità di porre meno enfasi sull’analisi tecnica delle definizioni del mercato rilevante (in quanto nel settore digitale possono essere decisamente fluidi e di non facile individuazione) a favore di una più attenta valorizzazione (e, nell’ambito del controllo delle concentrazioni, anche una rivisitazione) dell’individuazione delle possibili strategie anticoncorrenziali. Inoltre, in alcune situazioni, il Report giunge addirittura a sostenere un’inversione dell’onere della prova, ponendo in capo alla piattaforma interessata il compito di provare la natura pro-competitiva della condotta adottata. Attraverso tale suggerimento, in particolare, gli Esperti sembrerebbero de facto suggerire l’applicazione estensiva – anche al mercato digitale – della categoria delle violazioni della concorrenza ‘per oggetto’ come soluzione per gli asseriti problemi di ‘under-enforcement’ sopra ricordati.
Con particolare riferimento alle piattaforme online più rilevanti (le quali sono attive in prima persona sul marketplace che pure mettono a diposizione di soggetti terzi), al fine di evitare fenomeni di c.d. ‘self-preferencing’. Per quanto concerne, infine, i dati, il Report analizza la tematica sotto il punto di vista, in particolare, dell’abuso ex articolo 102 TFUE. A tal proposito, gli Esperti affermano che non tutti i dati sarebbero ‘indispensabili’ a fini competitivi, ma con riferimento al sottoinsieme di dati ‘indispensabili’ dovrebbe esserne assicurata l’accessibilità e l’interoperabilità.
Non resta che vedere se la Commissione e le istituzioni europee più in generale adotteranno misure (anche di natura legislativa) volte a recepire tali suggerimenti e, soprattutto, se la Corte Europea di Giustizia le approverà in ultima analisi.
Per quanto riguarda il nostro Paese, si è in attesa da giorni della conclusione dell’indagine conoscitiva avviata ormai quasi due anni fa e svolta congiuntamente dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e dal Garante per la Protezione dei Dati Personali.
Luca Feltrin
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Abuso di posizione dominante e ne bis in idem – La Corte di Giustizia si pronuncia sull’applicazione, nell’ambito della medesima decisione di un’autorità nazionale, di due separate sanzioni per violazione delle norme nazionali e di quelle europee
Con la sentenza del 3 aprile 2019 la Corte di Giustizia dell’UE (CdG) si è pronunciata su un rinvio pregiudiziale da parte della Corte suprema polacca riguardante una vicenda in cui l’autorità nazionale della concorrenza aveva inflitto, con un’unica decisione, due sanzioni ad un’impresa che aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato delle assicurazioni-vita per lavoratori in Polonia: una a titolo di violazione delle disposizioni di diritto nazionale della concorrenza (periodo dell’infrazione: 2001-2007), e l’altra a titolo di violazione dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’UE (TFUE) (periodo dell’infrazione: 2004-2007, in ragione dell’ingresso della Polonia nell’UE avvenuto appunto nel 2004).
La CdG, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità di una tale vicenda con l’articolo 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE (la Carta) che sancisce il principio del ne bis in idem, ha ritenuto che tale principio non ostasse ad una pronuncia di un’autorità nazionale della concorrenza come quella del caso in parola.
Anzitutto la CdG ha richiamato l’articolo 3 del Regolamento (CE) n.1/2003 del Consiglio, in virtù del quale “…[q]uando le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in materia di concorrenza agli sfruttamenti abusivi vietati dall'articolo [102] del trattato, esse applicano anche l'articolo [102] del trattato...”. Ciò è significativo in quanto, come precisato dalla stessa CdG anche nella citata sentenza resa nella causa C-17/10 Toshiba del 14 febbraio 2012, le norme nazionali ed europee a tutela della concorrenza “…considerano le pratiche restrittive sotto aspetti diversi e i loro ambiti di applicazione non coincidono…”.
Da questo deriva che, se la Commissione non ha avviato alcun procedimento volto a verificare la sussistenza di un’infrazione del divieto di abuso di posizione dominante (o di intesa) nel momento in cui un’autorità nazionale della concorrenza applica la normativa nazionale che vieta l’abuso di posizione dominante detta autorità è tenuta, se la condotta ha effetti tra Stati membri, ad applicare, parallelamente alle norme nazionali, anche l’articolo 102 TFUE.
Peraltro, lo stesso Regolamento n.1/2003 prevede la possibilità per l’autorità nazionale che applichi l’articolo 102 TFUE di infliggere anche le relative sanzioni previste dal diritto nazionale.
Ciò posto, la CdG esamina il contenuto del principio del ne bis in idem in materia di concorrenza e, richiamando nuovamente la propria pronuncia sul caso Toshiba, chiarisce che esso “vieta […]che un’impresa venga nuovamente condannata o perseguita per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile…”. Una tale interpretazione, ad avviso della CdG, sarebbe confortata anche dal tenore letterale dell’articolo 50 della Carta, che si riferisce ad ipotesi in cui “…vi sia la ripetizione di un procedimento conclusosi con una decisione definitiva riguardante il medesimo fatto materiale…”. Infatti, la ripetizione che l’articolo 50 della Carta mira ad evitare, constata la CdG, non è rinvenibile in un caso come quello in parola in cui le norme nazionali e quelle europee sono state applicate in parallelo.
Secondo la CdG alla medesima conclusione conduce, del resto, anche l’analisi della ratio del principio del ne bis in idem che, quale corollario del principio della res iudicata, è da intendersi come finalizzato a garantire la certezza del diritto e l’equità, assicurando che un dato soggetto perseguito ed eventualmente condannato per una data infrazione non sia perseguito nuovamente per la medesima infrazione.
Infine, la CdG nel confermare che il principio del ne bis in idem non osta ad un’ipotesi in cui un’autorità nazionale della concorrenza infligga due separate sanzioni di cui una a titolo di violazione della disciplina nazionale a tutela della concorrenza ed un’altra a titolo di violazione delle norme UE a tutela della concorrenza, fa proprie le osservazioni presentate nell’ambito del procedimento da parte dell’Autorità di vigilanza dell’EFTA, confermando che, in un’ipotesi come quella descritta, l’autorità nazionale deve assicurarsi che le ammende irrogate, considerate congiuntamente, siano proporzionate alla natura dell’infrazione.
In conclusione, la CdG opera una ricostruzione per molti versi restrittiva del principio del ne bis in idem, pur ribadendola fondamentale e imprescindibile garanzia rappresentata dal principio di proporzionalità.
Roberta Laghi
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La CdG, chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità di una tale vicenda con l’articolo 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE (la Carta) che sancisce il principio del ne bis in idem, ha ritenuto che tale principio non ostasse ad una pronuncia di un’autorità nazionale della concorrenza come quella del caso in parola.
Anzitutto la CdG ha richiamato l’articolo 3 del Regolamento (CE) n.1/2003 del Consiglio, in virtù del quale “…[q]uando le autorità garanti della concorrenza degli Stati membri o le giurisdizioni nazionali applicano la legislazione nazionale in materia di concorrenza agli sfruttamenti abusivi vietati dall'articolo [102] del trattato, esse applicano anche l'articolo [102] del trattato...”. Ciò è significativo in quanto, come precisato dalla stessa CdG anche nella citata sentenza resa nella causa C-17/10 Toshiba del 14 febbraio 2012, le norme nazionali ed europee a tutela della concorrenza “…considerano le pratiche restrittive sotto aspetti diversi e i loro ambiti di applicazione non coincidono…”.
Da questo deriva che, se la Commissione non ha avviato alcun procedimento volto a verificare la sussistenza di un’infrazione del divieto di abuso di posizione dominante (o di intesa) nel momento in cui un’autorità nazionale della concorrenza applica la normativa nazionale che vieta l’abuso di posizione dominante detta autorità è tenuta, se la condotta ha effetti tra Stati membri, ad applicare, parallelamente alle norme nazionali, anche l’articolo 102 TFUE.
Peraltro, lo stesso Regolamento n.1/2003 prevede la possibilità per l’autorità nazionale che applichi l’articolo 102 TFUE di infliggere anche le relative sanzioni previste dal diritto nazionale.
Ciò posto, la CdG esamina il contenuto del principio del ne bis in idem in materia di concorrenza e, richiamando nuovamente la propria pronuncia sul caso Toshiba, chiarisce che esso “vieta […]che un’impresa venga nuovamente condannata o perseguita per un comportamento anticoncorrenziale per il quale sia stata sanzionata o dichiarata non responsabile in forza di una precedente decisione non più impugnabile…”. Una tale interpretazione, ad avviso della CdG, sarebbe confortata anche dal tenore letterale dell’articolo 50 della Carta, che si riferisce ad ipotesi in cui “…vi sia la ripetizione di un procedimento conclusosi con una decisione definitiva riguardante il medesimo fatto materiale…”. Infatti, la ripetizione che l’articolo 50 della Carta mira ad evitare, constata la CdG, non è rinvenibile in un caso come quello in parola in cui le norme nazionali e quelle europee sono state applicate in parallelo.
Secondo la CdG alla medesima conclusione conduce, del resto, anche l’analisi della ratio del principio del ne bis in idem che, quale corollario del principio della res iudicata, è da intendersi come finalizzato a garantire la certezza del diritto e l’equità, assicurando che un dato soggetto perseguito ed eventualmente condannato per una data infrazione non sia perseguito nuovamente per la medesima infrazione.
Infine, la CdG nel confermare che il principio del ne bis in idem non osta ad un’ipotesi in cui un’autorità nazionale della concorrenza infligga due separate sanzioni di cui una a titolo di violazione della disciplina nazionale a tutela della concorrenza ed un’altra a titolo di violazione delle norme UE a tutela della concorrenza, fa proprie le osservazioni presentate nell’ambito del procedimento da parte dell’Autorità di vigilanza dell’EFTA, confermando che, in un’ipotesi come quella descritta, l’autorità nazionale deve assicurarsi che le ammende irrogate, considerate congiuntamente, siano proporzionate alla natura dell’infrazione.
In conclusione, la CdG opera una ricostruzione per molti versi restrittiva del principio del ne bis in idem, pur ribadendola fondamentale e imprescindibile garanzia rappresentata dal principio di proporzionalità.
Roberta Laghi
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Pratiche commerciali scorrette / Pratiche commerciali scorrette e settore della fornitura multiservizi – L’AGCM sanziona Optima per un milione di euro
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha condannato Optima Italia S.p.A. (Optima), una società attiva nel settore della fornitura multiservizi di energia elettrica, gas naturale, telefonia e connessione internet, al pagamento di una sanzione pari a Euro 1.000.000 per avere realizzato una pratica commerciale che l’AGCM ha qualificato come ingannevole ed aggressiva nell’ambito dell’offerta “Optima Vita Mia”, un prodotto integrato consistente nella fornitura di energia elettrica, gas naturale, telefonia e connessione internet.
L’AGCM ha riscontrato il profilo di ingannevolezza della pratica nella fase precontrattuale dell’offerta al consumatore, in cui Optima pubblicizzava enfaticamente diversi vantaggi, tra cui, per esempio, la semplicità di gestione dell’offerta e l’unicità dell’operatore, omettendo di fare riferimento, anche indirettamente, ad alcuna delle significative limitazioni del servizio previste dalle condizioni generali di contratto, quali l’esistenza di un vincolo di durata minima dell’offerta, l’esistenza di un conguaglio allo scadere dell’anno contrattuale, e la limitazione all’ottenimento dei risparmi prospettati ai potenziali utenti solo agli utenti che non avessero effettuato il recesso. Optima, nel materiale promozionale, enfatizzava altresì l’invariabilità e la prevedibilità della tariffa, descritta come tariffa fissa (o “flat”), nonostante il successivo conguaglio rendesse in realtà la tariffa difficilmente prevedibile e calcolabile dal consumatore.
Per quanto riguarda, invece, l’aggressività della pratica, l’AGCM ha così qualificato la condotta relativa alla fatturazione effettuata da Optima al consumatore alla scadenza del primo anno di contratto, richiedendo, in maniera inaspettata per il consumatore, un conguaglio rispetto al canone mensile, e calcolando tale conguaglio attraverso l’applicazione di tariffe individuali e personalizzate (e dunque difficilmente prevedibili) ai consumi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal “pacchetto” di offerta sottoscritto dal cliente, con il risultato di incrementare notevolmente la spesa del consumatore rispetto a quanto il consumatore avesse avuto la percezione durante la fase di conclusione del contratto e durante l’esecuzione del contratto fino a tale momento, e dunque di esporre il consumatore all’esborso, in soluzione unica e a fine anno contrattuale, di importi rilevanti, non facilmente prevedibili, conoscibili e controllabili.
Risulta di interesse notare come l’AGCM abbia caratterizzato come aggressiva una condotta i cui tratti caratteristici possono almeno in parte sovrapporsi con quelli dell’ingannevolezza, anche se in ultima battuta ha inquadrato la condotta come un’unica violazione della normativa a tutela dei consumatori, adottando un approccio che potrebbe significativamente incrementare i livelli di sanzioni in futuro laddove si arrivasse a un vero e proprio “sdoppiamento” della condotta.
Riccardo Fadiga
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L’AGCM ha riscontrato il profilo di ingannevolezza della pratica nella fase precontrattuale dell’offerta al consumatore, in cui Optima pubblicizzava enfaticamente diversi vantaggi, tra cui, per esempio, la semplicità di gestione dell’offerta e l’unicità dell’operatore, omettendo di fare riferimento, anche indirettamente, ad alcuna delle significative limitazioni del servizio previste dalle condizioni generali di contratto, quali l’esistenza di un vincolo di durata minima dell’offerta, l’esistenza di un conguaglio allo scadere dell’anno contrattuale, e la limitazione all’ottenimento dei risparmi prospettati ai potenziali utenti solo agli utenti che non avessero effettuato il recesso. Optima, nel materiale promozionale, enfatizzava altresì l’invariabilità e la prevedibilità della tariffa, descritta come tariffa fissa (o “flat”), nonostante il successivo conguaglio rendesse in realtà la tariffa difficilmente prevedibile e calcolabile dal consumatore.
Per quanto riguarda, invece, l’aggressività della pratica, l’AGCM ha così qualificato la condotta relativa alla fatturazione effettuata da Optima al consumatore alla scadenza del primo anno di contratto, richiedendo, in maniera inaspettata per il consumatore, un conguaglio rispetto al canone mensile, e calcolando tale conguaglio attraverso l’applicazione di tariffe individuali e personalizzate (e dunque difficilmente prevedibili) ai consumi aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal “pacchetto” di offerta sottoscritto dal cliente, con il risultato di incrementare notevolmente la spesa del consumatore rispetto a quanto il consumatore avesse avuto la percezione durante la fase di conclusione del contratto e durante l’esecuzione del contratto fino a tale momento, e dunque di esporre il consumatore all’esborso, in soluzione unica e a fine anno contrattuale, di importi rilevanti, non facilmente prevedibili, conoscibili e controllabili.
Risulta di interesse notare come l’AGCM abbia caratterizzato come aggressiva una condotta i cui tratti caratteristici possono almeno in parte sovrapporsi con quelli dell’ingannevolezza, anche se in ultima battuta ha inquadrato la condotta come un’unica violazione della normativa a tutela dei consumatori, adottando un approccio che potrebbe significativamente incrementare i livelli di sanzioni in futuro laddove si arrivasse a un vero e proprio “sdoppiamento” della condotta.
Riccardo Fadiga
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Legal News / Riforme legislative e Class action – La nuova disciplina in materia di azione di classe diventa legge, ma l’entrata in vigore è prevista tra un anno
La riforma delle azioni di classe è ora diventata legge e attende di essere pubblicata in Gazzetta Ufficiale.
Lo scorso 3 aprile 2019, il Senato ha infatti messo la parola fine al lungo iter legislativo, approvando il disegno di legge in materia di class action, la cui disciplina, per effetto della citata riforma, verrà “spostata” dal Codice del Consumo al Codice di Procedura Civile, mediante l’inserimento del nuovo Titolo VIII-bis del Libro IV, intitolato “Dei procedimenti collettivi”.
Lo scorso 3 aprile 2019, il Senato ha infatti messo la parola fine al lungo iter legislativo, approvando il disegno di legge in materia di class action, la cui disciplina, per effetto della citata riforma, verrà “spostata” dal Codice del Consumo al Codice di Procedura Civile, mediante l’inserimento del nuovo Titolo VIII-bis del Libro IV, intitolato “Dei procedimenti collettivi”.
Una delle principali novità derivanti da tale nuova collocazione sistematica della materia è sicuramente l’estensione dei soggetti legittimati ad esperire la class action, non più circoscritta ai soli consumatori e utenti. La nuova azione di classe, come riformata, si configurerà come un rimedio esperibile da parte di tutti coloro che vantano un diritto al risarcimento di danni contrattuali e extracontrattuali relativi alla lesione di “diritti individuali omogenei”, a prescindere dalla loro qualità soggettiva. I soggetti legittimati a proporre tale azione saranno le organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendano la tutela dei predetti diritti, purché iscritte in un apposito elenco pubblico istituito presso il Ministro della Giustizia, così come ciascun singolo componente della “classe”.
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione oggettivo della class action, questa potrà riguardare sia l’accertamento della responsabilità dell’autore della condotta lesiva (impresa o ente gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità), sia la condanna del responsabile al risarcimento del danno e alle eventuali restituzioni.
Altra novità interessante è quella rappresentata da una significativa estensione dei tempi entro i quali è possibile aderire all’azione, che potrà avvenire non solo successivamente alla pubblicazione dell’ordinanza che ammette l’azione di classe, ma anche dopo la relativa sentenza di accoglimento. Un istituto, questo, sicuramente alieno alla cultura giuridica del nostro Paese. Inoltre, sempre per agevolare l’adesione all’azione di classe, è stata introdotta un’apposita procedura di adesione informatizzata nell’ambito del portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della Giustizia.
Quanto alla procedura, la domanda per l’azione di classe potrà essere proposta con ricorso esclusivamente davanti alla sezione specializzata del Tribunale in materia di imprese competente per il luogo ove ha sede la parte resistente. Il procedimento sarà regolato dal rito sommario di cognizione ex art. 702-bis ss., senza che possa essere disposto il mutamento del rito.
Una disciplina ad hoc è anche prevista per gli accordi transattivi tra le parti, spettando al Tribunale, “ove possibile” (qualunque cosa questo significhi), formulare una proposta transattiva o conciliativa. Inoltre, tra le spese del procedimento è stato inserito un apposito compenso che, in caso di condanna, il resistente dovrà corrispondere al rappresentante comune della “classe”. È altresì prevista la possibilità di esperire l’esecuzione forzata in forma collettiva, promossa dal rappresentante comune degli aderenti.
È infine specificamente disciplinata l’azione inibitoria collettiva rispetto ad atti e comportamenti posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti, che può essere proposta da chiunque abbia interesse ad ottenere la cessazione o il divieto di reiterazione di tale condotta.
La nuova disciplina in materia di class action, che indubbiamente ne estende il campo di applicazione promuovendo il ricorso a tale rimedio, entrerà in vigore decorsi 12 mesi dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e si applicherà alle condotte illecite poste in essere successivamente alla data di entrata in vigore. Alle condotte illecite poste in essere precedentemente continueranno ad applicarsi le disposizioni al momento vigenti.
Martina Bischetti