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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e prezzi equivalenti in libera concorrenza – La Corte di Giustizia annulla la decisione della Commissione che disponeva il recupero degli importi non pagati da alcune società multinazionali al Belgio nel contesto di un asserito schema di aiuti di Stato
La Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) lo scorso 14 febbraio ha annullato la decisione dell'11 gennaio 2016 con la quale la Commissione europea (la Commissione) aveva accertato che uno schema di aiuti di Stato attuato dal Regno del Belgio, attraverso la concessione di sgravi fiscali asseritamente selettivi (lo Schema contestato), fosse incompatibile con il mercato interno e, di conseguenza, aveva imposto il recupero della differenza tra quanto corrisposto dalle imprese che ne avevano beneficiato e quanto avrebbero dovuto pagare in assenza dello Schema contestato.
Lo Schema contestato è orientato ad assicurare la corretta applicazione del principio della tassazione della sola quota di profitti dei gruppi di imprese multinazionali con sede in Belgio pari ai profitti che sarebbero stati ottenuti da un’impresa altrettanto efficiente, ed in una situazione equivalente, ma non appartenente ad un gruppo multinazionale. In altre parole, lo Schema contestato disponeva che ai fini fiscali le transazioni intra-gruppo transnazionali dovessero essere valutate secondo il principio del profitto equivalente in libera concorrenza (“arm’s length principle”). In conseguenza dello Schema contestato, le imprese parte di un gruppo multinazionale possono, ai fini fiscali, detrarre dai propri profitti la quota rappresentata dal plusvalore associato alle economie di scala e agli altri effetti positivi associati alla condizione di essere parte di un gruppo multinazionale, e dunque dichiarare esclusivamente la quota di profitti che sarebbero stati generati da un’impresa equivalente che si fosse trovata a realizzare le stesse operazioni in qualità di impresa indipendente. Ciascuna impresa che intenda avvalersi dei vantaggi fiscali appena descritti deve farlo attraverso la richiesta allo Stato belga di una c.d. decisione fiscale anticipata (“advance tax ruling”), ovverossia una decisione con cui lo Stato effettui le valutazioni associate al regime fiscale applicabile e le comunichi all’impresa con riferimento alle operazioni che quest’ultima intende mettere in atto (ma non ha ancora compiuto).
La Commissione ha ritenuto che l’approccio seguito dallo Stato belga nella concessione delle detrazioni fiscali in discorso corrispondesse, per sistematicità e assenza di valutazioni ad hoc riferite a ciascuna singola circostanza sottoposta in una richiesta di decisione fiscale anticipata, ad un regime fiscale generale e astratto; peraltro, di tali misure possono avvantaggiarsi esclusivamente imprese parte di un gruppo multinazionale, le quali pertanto godrebbero di un vantaggio competitivo rispetto alle imprese che non fanno parte di un gruppo multinazionale. Di conseguenza, lo Schema contestato equivarrebbe ad un aiuto di Stato selettivo incompatibile con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, comma 1, del Trattato di Funzionamento dell’Unione europea.
In sede di impugnazione, la CdG ha in primo luogo stabilito, contrariamente a quanto sostenuto dallo Stato belga, che l’intervento della Commissione non violi il principio di autonomia degli Stati membri in materia fiscale, in ragione del fatto che tale autonomia debba essere esercitata coerentemente con le norme europee e pertanto anche con le norme relative agli aiuti di Stato. Ne deriva che la Commissione è sempre competente ad analizzare le statuizioni in tema fiscale degli Stati sotto il profilo della loro compatibilità con il mercato interno alla luce del divieto di aiuti di Stato.
Tuttavia, la CdG ha riconosciuto l’insufficienza degli argomenti presentati dalla Commissione a provare l’esistenza di uno schema generale ed astratto. In particolare, la Commissione ha argomentato la qualificazione dello Schema contestato quale generale ed astratto, individuando nelle valutazioni effettuate dallo Stato belga una sistematicità tale da rendere la valutazione una mera applicazione delle norme regolatrici dello Schema contestato senza margine di apprezzamento del merito delle circostanze afferenti a ciascuno specifico ricorrente; peraltro, secondo la CdG, tale valutazione della Commissione non sarebbe stata supportata da elementi di fatto, in quanto in primo luogo la Commissione avrebbe esaminato un campione molto ristretto delle decisioni in proposito, senza giustificare la scelta di non analizzarne un numero superiore; ed in secondo luogo, sempre secondo la CdG, tale analisi non avvalorerebbe in alcun modo la conclusione che margini di discrezionalità riferiti a ciascuna fattispecie concreta sarebbero stati assenti. La CdG ha quindi stabilito l’impossibilità di rinvenire l’esistenza di un regime fiscale generale in violazione del divieto di aiuti di Stato, e, per l’effetto, ha annullato la decisione della Commissione.
Riccardo Fadiga
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Lo Schema contestato è orientato ad assicurare la corretta applicazione del principio della tassazione della sola quota di profitti dei gruppi di imprese multinazionali con sede in Belgio pari ai profitti che sarebbero stati ottenuti da un’impresa altrettanto efficiente, ed in una situazione equivalente, ma non appartenente ad un gruppo multinazionale. In altre parole, lo Schema contestato disponeva che ai fini fiscali le transazioni intra-gruppo transnazionali dovessero essere valutate secondo il principio del profitto equivalente in libera concorrenza (“arm’s length principle”). In conseguenza dello Schema contestato, le imprese parte di un gruppo multinazionale possono, ai fini fiscali, detrarre dai propri profitti la quota rappresentata dal plusvalore associato alle economie di scala e agli altri effetti positivi associati alla condizione di essere parte di un gruppo multinazionale, e dunque dichiarare esclusivamente la quota di profitti che sarebbero stati generati da un’impresa equivalente che si fosse trovata a realizzare le stesse operazioni in qualità di impresa indipendente. Ciascuna impresa che intenda avvalersi dei vantaggi fiscali appena descritti deve farlo attraverso la richiesta allo Stato belga di una c.d. decisione fiscale anticipata (“advance tax ruling”), ovverossia una decisione con cui lo Stato effettui le valutazioni associate al regime fiscale applicabile e le comunichi all’impresa con riferimento alle operazioni che quest’ultima intende mettere in atto (ma non ha ancora compiuto).
La Commissione ha ritenuto che l’approccio seguito dallo Stato belga nella concessione delle detrazioni fiscali in discorso corrispondesse, per sistematicità e assenza di valutazioni ad hoc riferite a ciascuna singola circostanza sottoposta in una richiesta di decisione fiscale anticipata, ad un regime fiscale generale e astratto; peraltro, di tali misure possono avvantaggiarsi esclusivamente imprese parte di un gruppo multinazionale, le quali pertanto godrebbero di un vantaggio competitivo rispetto alle imprese che non fanno parte di un gruppo multinazionale. Di conseguenza, lo Schema contestato equivarrebbe ad un aiuto di Stato selettivo incompatibile con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, comma 1, del Trattato di Funzionamento dell’Unione europea.
In sede di impugnazione, la CdG ha in primo luogo stabilito, contrariamente a quanto sostenuto dallo Stato belga, che l’intervento della Commissione non violi il principio di autonomia degli Stati membri in materia fiscale, in ragione del fatto che tale autonomia debba essere esercitata coerentemente con le norme europee e pertanto anche con le norme relative agli aiuti di Stato. Ne deriva che la Commissione è sempre competente ad analizzare le statuizioni in tema fiscale degli Stati sotto il profilo della loro compatibilità con il mercato interno alla luce del divieto di aiuti di Stato.
Tuttavia, la CdG ha riconosciuto l’insufficienza degli argomenti presentati dalla Commissione a provare l’esistenza di uno schema generale ed astratto. In particolare, la Commissione ha argomentato la qualificazione dello Schema contestato quale generale ed astratto, individuando nelle valutazioni effettuate dallo Stato belga una sistematicità tale da rendere la valutazione una mera applicazione delle norme regolatrici dello Schema contestato senza margine di apprezzamento del merito delle circostanze afferenti a ciascuno specifico ricorrente; peraltro, secondo la CdG, tale valutazione della Commissione non sarebbe stata supportata da elementi di fatto, in quanto in primo luogo la Commissione avrebbe esaminato un campione molto ristretto delle decisioni in proposito, senza giustificare la scelta di non analizzarne un numero superiore; ed in secondo luogo, sempre secondo la CdG, tale analisi non avvalorerebbe in alcun modo la conclusione che margini di discrezionalità riferiti a ciascuna fattispecie concreta sarebbero stati assenti. La CdG ha quindi stabilito l’impossibilità di rinvenire l’esistenza di un regime fiscale generale in violazione del divieto di aiuti di Stato, e, per l’effetto, ha annullato la decisione della Commissione.
Riccardo Fadiga
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Diritto della concorrenza Italia / Intese e servizi di radiotaxi – L’AGCM apre un’istruttoria nei confronti di alcune società che svolgono servizi di radiotaxi nel comune di Napoli al fine di verificare la sussistenza di un’intesa volta a ostacolare l’ingresso nel mercato di Mytaxi Italia S.r.l. e Digitaxi S.r.l.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha aperto un procedimento istruttorio nei confronti di Consortaxi, Taxi Napoli S.r.l., Radio Taxi Partenope S.c.a.r.l. e Desa Radiotaxi S.r.l., attive nella gestione di servizi di radiotaxi nel comune di Napoli (congiuntamente, i Radiotaxi), per verificare la sussistenza di un’asserita intesa volta a ostacolare l’ingresso nel mercato delle società MyTaxi Italia S.r.l. e DigiTaxi S.r.l., dalle quali è partita la segnalazione (le Segnalanti). Il provvedimento in oggetto si inserisce nel più ampio contesto degli altri interventi già adottati dall’AGCM per simili condotte nei confronti, in particolare, di MyTaxi Italia S.r.l. da parte di altre cooperative di radiotaxi nei comuni di Roma, Milano e Torino (si vedano le nostre Newsletter del 16 luglio 2018, 22 ottobre 2018).
Le Segnalanti gestiscono piattaforme digitali che, tramite app, offrono servizi di raccolta e smistamento delle chiamate taxi. In particolare, si tratta, secondo la definizione data dall’AGCM, di piattaforme c.d. “aperte”, le quali si servono di tassisti che usano in modo promiscuo vari canali di intermediazione della domanda. I tassisti, pertanto, possono essere già iscritti a una radiotaxi e scegliere, di volta in volta, se utilizzare il servizio fornito dalle Segnalanti o dalla propria cooperativa radiotaxi per raccogliere le corse. I clienti, dall’altro lato, possono accedere all’app e verificare la presenza di tassisti disponibili, prenotando la corsa ed effettuando il pagamento direttamente dalla piattaforma. Al fine di poter operare, pertanto, è essenziale per le Segnalanti poter accedere ad una base di tassisti sufficientemente ampia e, in particolare, per quanto riguarda l’area di Napoli, ai tassisti affiliati alle Radiotaxi, detenendo queste una quota di mercato congiunta dell’80% circa.
Secondo le segnalazioni pervenute, e sulle basi delle quali l’AGCM ha avviato il procedimento in rilievo, i Radiotaxi avrebbero posto in essere un accordo anticoncorrenziale teso ad ostacolare nel mercato napoletano l’ingresso delle piattaforme concorrenti. Tale accordo sarebbe stato siglato in occasione di un incontro avvenuto tra i Radiotaxi nel novembre 2018, dove sarebbe stata definita una strategia comune consistente nel divieto ai rispettivi tassisti aderenti di utilizzare, per raccogliere le domande del servizio taxi, qualsiasi applicazione diversa da quelle fornite dal Radiotaxi di appartenenza. All’accordo sarebbe stato dato seguito, poiché i Radiotaxi avrebbero inviato ai rispettivi tassisti dei messaggi, scritti o verbali, che comunicavano il divieto in oggetto, pena la disdetta del contratto di servizio in essere. Infatti, da alcune dichiarazioni fornite da tassisti, risulta che, a seguito dell’adesione a una delle Segnalanti, i primi si sono visti terminare il contratto per mezzo di condotte concludenti (ad esempio la disattivazione del terminale installato sulle vetture), oppure hanno ricevuto l’intimazione a scegliere con quale piattaforma operare. Le Segnalanti, inoltre, hanno sottolineato che l’asserita intesa avrebbe già prodotto effetti gravi per la loro attività, registrando come il numero di nuovi tassisti registrati settimanalmente alle loro piattaforme si sia drasticamente ridotto nel periodo successivo all’accordo.
L’AGCM, nella sua valutazione, ha dapprima evidenziato come il mercato rilevante dal punto di vista del prodotto, ossia quello della fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi, sia particolarmente connesso con il mercato distinto, e a valle, della fornitura del servizio di trasporto taxi, il quale risente in maniera sensibile delle condizioni concorrenziali del primo. Nel mercato rilevante concorrono sia le piattaforme c.d. “chiuse”, rappresentate dai Radiotaxi, i quali si basano su un numero di tassisti che lavorano in maniera prevalente o esclusiva con loro, sia le piattaforme aperte. Fra le due tipologie di piattaforme, ha osservato l’AGCM, esiste un elevato grado di sostituibilità sia dal lato dell’offerta, poiché i tassisti potrebbero utilizzare i diversi canali per aumentare la probabilità di procacciare corse, sia dal lato della domanda, poiché i clienti possono rivolgersi alla piattaforma più conveniente secondo le necessità del contesto. Pertanto, vista anche l’alta quota di mercato detenuta congiuntamente dalle concorrenti, l’AGCM ha ritenuto che l’asserita intesa sarebbe idonea a mantenere la posizione di mercato dei Radiotaxi e impedire l’ingresso di nuovi entranti, generando un danno concorrenziale non solo nei confronti di questi ultimi ma anche dei tassisti e dei consumatori finali, ai quali sarebbe impedito di usufruire di un servizio ulteriore e più innovativo per accedere ai servizi taxi.
Infine, l’AGCM ha ritenuto verificata la presenza del fumus boni iuris e del periculum in mora ai fini dell’imposizione di misure cautelari. Infatti, in particolare per quanto riguarda il periculum, i comportamenti asseritamente posti in essere dai Radiotaxi avrebbero ostacolato sin da subito il lancio e lo sviluppo delle piattaforme concorrenti nel comune di Napoli, impedendo loro di acquisire una base di tassisti in grado di fornire alla piattaforma una capacità, in termini di corse, compatibile con il proprio modello di business. Pertanto, data l’idoneità delle condotte segnalate a generare un danno grave e irreparabile alla concorrenza, l’AGCM si è riservata di valutare l’adozione di misure provvisorie volta ad impedire il proseguimento di tali condotte.
Non resta che attendere la conclusione del procedimento, tenendo a mente che, nei precedenti simili relativi ai comuni di Roma e Milano, fino ad ora l’AGCM ha accertato l’infrazione, ordinando la cessazione delle condotte ma senza procedere all’irrogazione di sanzioni.
Leonardo Stiz
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Le Segnalanti gestiscono piattaforme digitali che, tramite app, offrono servizi di raccolta e smistamento delle chiamate taxi. In particolare, si tratta, secondo la definizione data dall’AGCM, di piattaforme c.d. “aperte”, le quali si servono di tassisti che usano in modo promiscuo vari canali di intermediazione della domanda. I tassisti, pertanto, possono essere già iscritti a una radiotaxi e scegliere, di volta in volta, se utilizzare il servizio fornito dalle Segnalanti o dalla propria cooperativa radiotaxi per raccogliere le corse. I clienti, dall’altro lato, possono accedere all’app e verificare la presenza di tassisti disponibili, prenotando la corsa ed effettuando il pagamento direttamente dalla piattaforma. Al fine di poter operare, pertanto, è essenziale per le Segnalanti poter accedere ad una base di tassisti sufficientemente ampia e, in particolare, per quanto riguarda l’area di Napoli, ai tassisti affiliati alle Radiotaxi, detenendo queste una quota di mercato congiunta dell’80% circa.
Secondo le segnalazioni pervenute, e sulle basi delle quali l’AGCM ha avviato il procedimento in rilievo, i Radiotaxi avrebbero posto in essere un accordo anticoncorrenziale teso ad ostacolare nel mercato napoletano l’ingresso delle piattaforme concorrenti. Tale accordo sarebbe stato siglato in occasione di un incontro avvenuto tra i Radiotaxi nel novembre 2018, dove sarebbe stata definita una strategia comune consistente nel divieto ai rispettivi tassisti aderenti di utilizzare, per raccogliere le domande del servizio taxi, qualsiasi applicazione diversa da quelle fornite dal Radiotaxi di appartenenza. All’accordo sarebbe stato dato seguito, poiché i Radiotaxi avrebbero inviato ai rispettivi tassisti dei messaggi, scritti o verbali, che comunicavano il divieto in oggetto, pena la disdetta del contratto di servizio in essere. Infatti, da alcune dichiarazioni fornite da tassisti, risulta che, a seguito dell’adesione a una delle Segnalanti, i primi si sono visti terminare il contratto per mezzo di condotte concludenti (ad esempio la disattivazione del terminale installato sulle vetture), oppure hanno ricevuto l’intimazione a scegliere con quale piattaforma operare. Le Segnalanti, inoltre, hanno sottolineato che l’asserita intesa avrebbe già prodotto effetti gravi per la loro attività, registrando come il numero di nuovi tassisti registrati settimanalmente alle loro piattaforme si sia drasticamente ridotto nel periodo successivo all’accordo.
L’AGCM, nella sua valutazione, ha dapprima evidenziato come il mercato rilevante dal punto di vista del prodotto, ossia quello della fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi, sia particolarmente connesso con il mercato distinto, e a valle, della fornitura del servizio di trasporto taxi, il quale risente in maniera sensibile delle condizioni concorrenziali del primo. Nel mercato rilevante concorrono sia le piattaforme c.d. “chiuse”, rappresentate dai Radiotaxi, i quali si basano su un numero di tassisti che lavorano in maniera prevalente o esclusiva con loro, sia le piattaforme aperte. Fra le due tipologie di piattaforme, ha osservato l’AGCM, esiste un elevato grado di sostituibilità sia dal lato dell’offerta, poiché i tassisti potrebbero utilizzare i diversi canali per aumentare la probabilità di procacciare corse, sia dal lato della domanda, poiché i clienti possono rivolgersi alla piattaforma più conveniente secondo le necessità del contesto. Pertanto, vista anche l’alta quota di mercato detenuta congiuntamente dalle concorrenti, l’AGCM ha ritenuto che l’asserita intesa sarebbe idonea a mantenere la posizione di mercato dei Radiotaxi e impedire l’ingresso di nuovi entranti, generando un danno concorrenziale non solo nei confronti di questi ultimi ma anche dei tassisti e dei consumatori finali, ai quali sarebbe impedito di usufruire di un servizio ulteriore e più innovativo per accedere ai servizi taxi.
Infine, l’AGCM ha ritenuto verificata la presenza del fumus boni iuris e del periculum in mora ai fini dell’imposizione di misure cautelari. Infatti, in particolare per quanto riguarda il periculum, i comportamenti asseritamente posti in essere dai Radiotaxi avrebbero ostacolato sin da subito il lancio e lo sviluppo delle piattaforme concorrenti nel comune di Napoli, impedendo loro di acquisire una base di tassisti in grado di fornire alla piattaforma una capacità, in termini di corse, compatibile con il proprio modello di business. Pertanto, data l’idoneità delle condotte segnalate a generare un danno grave e irreparabile alla concorrenza, l’AGCM si è riservata di valutare l’adozione di misure provvisorie volta ad impedire il proseguimento di tali condotte.
Non resta che attendere la conclusione del procedimento, tenendo a mente che, nei precedenti simili relativi ai comuni di Roma e Milano, fino ad ora l’AGCM ha accertato l’infrazione, ordinando la cessazione delle condotte ma senza procedere all’irrogazione di sanzioni.
Leonardo Stiz
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Tutela del consumatore / Tutela del consumatore e servizi di trasporto aereo – L’AGCM sanziona le compagnie aeree low cost Ryanair e Wizz Air per le modifiche apportate alle loro policy relative al trasporto di bagaglio a mano, in quanto costituenti pratiche ingannevoli a danno dei consumatori
Con due distinti provvedimenti pubblicati lo scorso 21 febbraio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) ha concluso i due procedimenti istruttori avviati nei confronti delle compagnie aeree low cost Ryanair DAC (Ryanair) e Wizz Air Hungary Ltd (Wizz Air) (congiuntamente, le Compagnie), rispettivamente il 20 settembre e il 17 ottobre 2018. Con i provvedimenti in esame, l’AGCM ha stabilito che le modifiche apportate dalle sopracitate Compagnie aeree alle rispettive policy relative al trasporto in cabina di bagagli a mano ‘grandi’ (i cc.dd. trolley) costituissero una pratica commerciale scorretta, in quanto idonee ad ingannare il consumatore circa il reale costo del biglietto aereo. Per tale ragione, l’AGCM ha imposto una sanzione pecuniaria nei confronti di Ryanair e Wizz Air pari, rispettivamente, a € 3 milioni e € 1 milione.
Ad avviso dell’Autorità, infatti, le Compagnie aeree in questione hanno posto in essere una condotta contraria al Codice del Consumo, in quanto hanno scorporato dalla tariffa base (o standard) di un contratto di trasporto aereo un elemento essenziale e prevedibile dello stesso, ossia la possibilità di trasportare un bagaglio a mano ‘grande’. In tal modo, Ryanair e Wizz Air hanno imposto ai consumatori che intendessero avvalersi di tale servizio – ad avviso delle Compagnie aeree di natura meramente ‘opzionale’ – il pagamento di un surplus il cui importo poteva variare da un minimo di € 6 (nel caso in cui il consumatore avesse acquistato il supplemento al momento della prenotazione del biglietto aereo) fino ad un massimo di € 25 (se il cliente avesse deciso di pagare suddetto supplemento una volta giunto al gate d’imbarco).
Le suddette Compagnie aeree hanno sostenuto la conformità ai principi di correttezza e ragionevolezza delle loro condotte. Queste, infatti, hanno basato la propria posizione su una determinata interpretazione del disposto degli articoli 22 e 23 del Regolamento CE n. 1008/2008 (Regolamento) e sul dettato della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG), del 18 settembre 2014, Vueling Airlines. Più nel dettaglio, le due Compagnie hanno sostenuto, sulla base del disposto normativo dell’articolo 22 del Regolamento, che il cambiamento di policy effettuato doveva essere letto come espressione della piena libertà tariffaria e commerciale dei vettori aerei, i quali – seguendo il modello di business c.d. low cost – si vedono riconosciuta la facoltà di scorporare i servizi aggiuntivi dal prezzo della tariffa applicabile al biglietto aereo al fine di abbassarne i costi. Ad avviso di Ryanair e Wizz Air, infatti, i summenzionati trolley non rientrerebbero tra i “supplementi necessari ed inevitabili” (che devono categoricamente essere inclusi nella tariffa standard di un biglietto aereo) indicati dall’articolo 23 del Regolamento. A tal riguardo, le Compagnie aeree hanno sottolineato come, secondo il dettato della sentenza Vueling Airlines, sarebbero tali solo i bagagli contenenti gli effetti personali del passeggero (ossia “i documenti, le chiavi di casa, il cellulare, il laptop, il portafogli, il beauty case e un primo ricambio”). Inoltre, i due vettori in questione hanno tentato di giustificare l’introduzione della nuova policy (e la relativa rideterminazione delle dimensioni dei bagagli a mano consentiti in cabina, i quali sono passati dalle iniziali dimensioni di 55x40x20 cm alle attuali di 40x20x25 cm) anche dal punto di vista dell’efficienza. Queste, infatti, hanno sottolineato la rilevanza dei disservizi derivanti dai ritardi cui erano costrette a causa dell’impossibilità di assicurare a tutti i passeggeri di poter effettivamente portare in cabina i propri bagagli a mano (inizialmente rientranti nella tariffa standard) a causa delle dimensioni ridotte delle cappelliere. Ciò comportava, quindi, la necessità di imbarcare in stiva tutti i bagagli a mano eccedenti, causando, come detto, ritardi e relativi disservizi.
L’AGCM non ha accolto le posizioni avanzate delle due Compagnie aeree e ha stabilito – sottolineando la percentuale irrisoria di consumatori che viaggiano senza un bagaglio a mano sul totale dei passeggeri trasportabili – che i trolley devono essere considerati come elementi indispensabili ai sensi del sopracitato articolo 23 del Regolamento. A sostegno di tale affermazione, l’AGCM riporta non solamente il dettato della summenzionata sentenza della CdG Vueling Airlines – la quale riconosce il trasporto del bagaglio a mano come elemento essenziale del servizio di trasporto di persone – ma anche il contenuto degli Orientamenti della Commissione europea per l’attuazione della Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali (Orientamenti). Questi, infatti, precisano che i ‘servizi aggiuntivi’ possono riguardare i bagagli da stiva (e non quelli a mano che, al contrario, rientrano tra i servizi necessari). Inoltre, l’Autorità ha bocciato anche la giustificazione costruita sul concetto di efficienza presentata da Ryanair e Wizz Air, sottolineando come i ritardi addotti non giustificherebbero l’introduzione della modifica di cui sopra. Ad avviso dell’AGCM, le Compagnie non sono state in grado di addurre spiegazioni soddisfacenti sotto un punto di vista della ragionevolezza a giustificazione della summenzionata rideterminazione delle dimensioni dei trolley ‘ammessi’ in cabina (la quale ha comportato una riduzione dello spazio a disposizione del consumatore, e ricompreso nella tariffa standard, di oltre il 65%).
Per le ragioni appena esposte l’Autorità ha stabilito che Ryanair e Wizz Air hanno posto in essere una pratica commerciale scorretta, presentando sui propri siti internet, in maniera ingannevole per i consumatori, la tariffa standard per i servizi di trasporto aereo offerti.
Luca Feltrin
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Ad avviso dell’Autorità, infatti, le Compagnie aeree in questione hanno posto in essere una condotta contraria al Codice del Consumo, in quanto hanno scorporato dalla tariffa base (o standard) di un contratto di trasporto aereo un elemento essenziale e prevedibile dello stesso, ossia la possibilità di trasportare un bagaglio a mano ‘grande’. In tal modo, Ryanair e Wizz Air hanno imposto ai consumatori che intendessero avvalersi di tale servizio – ad avviso delle Compagnie aeree di natura meramente ‘opzionale’ – il pagamento di un surplus il cui importo poteva variare da un minimo di € 6 (nel caso in cui il consumatore avesse acquistato il supplemento al momento della prenotazione del biglietto aereo) fino ad un massimo di € 25 (se il cliente avesse deciso di pagare suddetto supplemento una volta giunto al gate d’imbarco).
Le suddette Compagnie aeree hanno sostenuto la conformità ai principi di correttezza e ragionevolezza delle loro condotte. Queste, infatti, hanno basato la propria posizione su una determinata interpretazione del disposto degli articoli 22 e 23 del Regolamento CE n. 1008/2008 (Regolamento) e sul dettato della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG), del 18 settembre 2014, Vueling Airlines. Più nel dettaglio, le due Compagnie hanno sostenuto, sulla base del disposto normativo dell’articolo 22 del Regolamento, che il cambiamento di policy effettuato doveva essere letto come espressione della piena libertà tariffaria e commerciale dei vettori aerei, i quali – seguendo il modello di business c.d. low cost – si vedono riconosciuta la facoltà di scorporare i servizi aggiuntivi dal prezzo della tariffa applicabile al biglietto aereo al fine di abbassarne i costi. Ad avviso di Ryanair e Wizz Air, infatti, i summenzionati trolley non rientrerebbero tra i “supplementi necessari ed inevitabili” (che devono categoricamente essere inclusi nella tariffa standard di un biglietto aereo) indicati dall’articolo 23 del Regolamento. A tal riguardo, le Compagnie aeree hanno sottolineato come, secondo il dettato della sentenza Vueling Airlines, sarebbero tali solo i bagagli contenenti gli effetti personali del passeggero (ossia “i documenti, le chiavi di casa, il cellulare, il laptop, il portafogli, il beauty case e un primo ricambio”). Inoltre, i due vettori in questione hanno tentato di giustificare l’introduzione della nuova policy (e la relativa rideterminazione delle dimensioni dei bagagli a mano consentiti in cabina, i quali sono passati dalle iniziali dimensioni di 55x40x20 cm alle attuali di 40x20x25 cm) anche dal punto di vista dell’efficienza. Queste, infatti, hanno sottolineato la rilevanza dei disservizi derivanti dai ritardi cui erano costrette a causa dell’impossibilità di assicurare a tutti i passeggeri di poter effettivamente portare in cabina i propri bagagli a mano (inizialmente rientranti nella tariffa standard) a causa delle dimensioni ridotte delle cappelliere. Ciò comportava, quindi, la necessità di imbarcare in stiva tutti i bagagli a mano eccedenti, causando, come detto, ritardi e relativi disservizi.
L’AGCM non ha accolto le posizioni avanzate delle due Compagnie aeree e ha stabilito – sottolineando la percentuale irrisoria di consumatori che viaggiano senza un bagaglio a mano sul totale dei passeggeri trasportabili – che i trolley devono essere considerati come elementi indispensabili ai sensi del sopracitato articolo 23 del Regolamento. A sostegno di tale affermazione, l’AGCM riporta non solamente il dettato della summenzionata sentenza della CdG Vueling Airlines – la quale riconosce il trasporto del bagaglio a mano come elemento essenziale del servizio di trasporto di persone – ma anche il contenuto degli Orientamenti della Commissione europea per l’attuazione della Direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali (Orientamenti). Questi, infatti, precisano che i ‘servizi aggiuntivi’ possono riguardare i bagagli da stiva (e non quelli a mano che, al contrario, rientrano tra i servizi necessari). Inoltre, l’Autorità ha bocciato anche la giustificazione costruita sul concetto di efficienza presentata da Ryanair e Wizz Air, sottolineando come i ritardi addotti non giustificherebbero l’introduzione della modifica di cui sopra. Ad avviso dell’AGCM, le Compagnie non sono state in grado di addurre spiegazioni soddisfacenti sotto un punto di vista della ragionevolezza a giustificazione della summenzionata rideterminazione delle dimensioni dei trolley ‘ammessi’ in cabina (la quale ha comportato una riduzione dello spazio a disposizione del consumatore, e ricompreso nella tariffa standard, di oltre il 65%).
Per le ragioni appena esposte l’Autorità ha stabilito che Ryanair e Wizz Air hanno posto in essere una pratica commerciale scorretta, presentando sui propri siti internet, in maniera ingannevole per i consumatori, la tariffa standard per i servizi di trasporto aereo offerti.
Luca Feltrin
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Pratiche commerciali scorrette e diritti di trasmissione delle partite di Serie A – SKY sanzionata complessivamente per 7 milioni di euro dall’AGCM
Con il provvedimento pubblicato lo scorso 18 febbraio (il Provvedimento), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato complessivamente per 7 milioni di euro SKY Italia S.r.l. (SKY) i) per aver diffuso informazioni ingannevoli in sede di presentazione dell’offerta SKY ai nuovi clienti, con specifico riferimento al pacchetto “SKY Calcio” per la stagione 2018/19, e ii) per aver, di fatto, indotto i propri clienti al mantenimento (a costi invariati) dell’abbonamento comprensivo del summenzionato pacchetto, non avendo fornito sufficienti informazioni circa il ridimensionamento di quest’ultimo in termini di contenuti disponibili e senza aver offerto agli stessi abbonati la possibilità di recedere dal contratto (se non a titolo oneroso).
La vicenda trae origine dall’articolata assegnazione dei diritti per la trasmissione degli incontri di calcio di Serie A per il triennio 2018 – 2021 che si è conclusa, dopo alterne vicende e vari punti controversi non ancora integralmente risolti, il 13 giugno 2018, sulla base di pacchetti di eventi in esclusiva: SKY si è quindi aggiudicata la possibilità di trasmettere in esclusiva 7 delle 10 partite che compongono ciascuna delle giornate di Serie A, mentre le restanti 3 sono state assegnate a Perform Investment Limited (neo – entrante in Italia con la piattaforma su internet DAZN).
Dalla lettura del Provvedimento si evince che, in merito alla condotta sub i), l’AGCM ha respinto la tesi di SKY che sosteneva di aver utilizzato messaggi pubblicitari c.d. ‘emozionali’ non necessariamente volti ad informare esaustivamente i consumatori circa le caratteristiche del prodotto/sevizio; sul punto, l’Autorità ha ritenuto che anche questo tipo di messaggi promozionali costituisce comunque uno strumento di contatto con il consumatore, intervenendo nel processo di formazione della decisione circa il comportamento economico che lo stesso consumatore potrà adottare.
La condotta sub ii) è, invece, stata qualificata dall’AGCM come pratica aggressiva nell’ambito della gestione del rapporto contrattuale in essere con i clienti SKY, nonostante le insistenze di SKY di ricondurre anche tale condotta ad un’ingannevolezza informativa, anche in considerazione del fatto che questo comportamento era conforme alle condizioni generali di abbonamento, ai sensi delle quali SKY si riserva la facoltà di modificare il contenuto dei pacchetti senza obbligarsi a darne preventiva comunicazione all’abbonato o (ri)acquisirne il consenso. Proprio con riferimento alla citata condotta sub ii), ad ottobre 2018, era intervenuta anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che, con la delibera n.488/18/CONS, aveva diffidato SKY a concedere ai propri utenti un congruo termine entro il quale recedere senza applicazione di penali e di costi di disattivazione, a fronte del mantenimento dello stesso costo mensile dell’abbonamento nonostante la materiale decurtazione del numero di partite disponibili.
Anche tenuto conto della durata sostanzialmente breve delle condotte, l’AGCM è stata piuttosto severa nella quantificazione dell’importo sanzionatorio; peraltro, rispetto all’importo base della sanzione, è stata applicata una maggiorazione di 400.000 euro (200.000 euro per ciascuna pratica) a titolo di recidiva, in quanto SKY è risultata essere già destinataria di provvedimenti di accertamento di violazioni del Codice del Consumo. L’AGCM ha, altresì, disposto la pubblicazione dell’estratto del Provvedimento (sul sito internet di SKY), indicandone tempistica e modalità.
Non resta che attendere come si porrà il TAR Lazio rispetto al ricorso che SKY ha già annunciato di presentare avverso al Provvedimento, soprattutto in relazione all’elevato importo sanzionatorio stabilito dall’AGCM.
Filippo Alberti
La vicenda trae origine dall’articolata assegnazione dei diritti per la trasmissione degli incontri di calcio di Serie A per il triennio 2018 – 2021 che si è conclusa, dopo alterne vicende e vari punti controversi non ancora integralmente risolti, il 13 giugno 2018, sulla base di pacchetti di eventi in esclusiva: SKY si è quindi aggiudicata la possibilità di trasmettere in esclusiva 7 delle 10 partite che compongono ciascuna delle giornate di Serie A, mentre le restanti 3 sono state assegnate a Perform Investment Limited (neo – entrante in Italia con la piattaforma su internet DAZN).
Dalla lettura del Provvedimento si evince che, in merito alla condotta sub i), l’AGCM ha respinto la tesi di SKY che sosteneva di aver utilizzato messaggi pubblicitari c.d. ‘emozionali’ non necessariamente volti ad informare esaustivamente i consumatori circa le caratteristiche del prodotto/sevizio; sul punto, l’Autorità ha ritenuto che anche questo tipo di messaggi promozionali costituisce comunque uno strumento di contatto con il consumatore, intervenendo nel processo di formazione della decisione circa il comportamento economico che lo stesso consumatore potrà adottare.
La condotta sub ii) è, invece, stata qualificata dall’AGCM come pratica aggressiva nell’ambito della gestione del rapporto contrattuale in essere con i clienti SKY, nonostante le insistenze di SKY di ricondurre anche tale condotta ad un’ingannevolezza informativa, anche in considerazione del fatto che questo comportamento era conforme alle condizioni generali di abbonamento, ai sensi delle quali SKY si riserva la facoltà di modificare il contenuto dei pacchetti senza obbligarsi a darne preventiva comunicazione all’abbonato o (ri)acquisirne il consenso. Proprio con riferimento alla citata condotta sub ii), ad ottobre 2018, era intervenuta anche l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni che, con la delibera n.488/18/CONS, aveva diffidato SKY a concedere ai propri utenti un congruo termine entro il quale recedere senza applicazione di penali e di costi di disattivazione, a fronte del mantenimento dello stesso costo mensile dell’abbonamento nonostante la materiale decurtazione del numero di partite disponibili.
Anche tenuto conto della durata sostanzialmente breve delle condotte, l’AGCM è stata piuttosto severa nella quantificazione dell’importo sanzionatorio; peraltro, rispetto all’importo base della sanzione, è stata applicata una maggiorazione di 400.000 euro (200.000 euro per ciascuna pratica) a titolo di recidiva, in quanto SKY è risultata essere già destinataria di provvedimenti di accertamento di violazioni del Codice del Consumo. L’AGCM ha, altresì, disposto la pubblicazione dell’estratto del Provvedimento (sul sito internet di SKY), indicandone tempistica e modalità.
Non resta che attendere come si porrà il TAR Lazio rispetto al ricorso che SKY ha già annunciato di presentare avverso al Provvedimento, soprattutto in relazione all’elevato importo sanzionatorio stabilito dall’AGCM.
Filippo Alberti