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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Parental liability e settore del private equity - Il Tribunale dell’Unione europea ha respinto il ricorso di Goldman Sachs confermando l’applicabilità della presunzione di responsabilità della capogruppo in relazione all’intesa nel settore dei cavi elettrici ad alta tensione
Con la sentenza nella causa T-419/14, il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) ha respinto il ricorso di Goldman Sachs (GS o la Ricorrente) avverso la decisione della Commissione europea (la Commissione) con cui GS era stata considerata responsabile in solido con Prysmian, società di cui era la controllante all’epoca dei fatti, in relazione al cartello dei cavi elettrici ad alta tensione sotterranei e sottomarini.
Nell’aprile 2014 la Commissione aveva constatato che, dal febbraio 1999 fino alla fine del gennaio 2009, i principali produttori europei, giapponesi e sudcoreani di cavi elettrici sottomarini e sotterranei avevano partecipato ad una rete di riunioni multilaterali e bilaterali ed avevano avuto numerosi contatti finalizzati a restringere la concorrenza in relazione alle gare per la fornitura di cavi elettrici sotterranei e sottomarini ad alta (altissima) tensione in territori specifici, ripartendosi i mercati e i clienti, in violazione dell’art. 101 TFUE (la Decisione).
Per quanto qui rileva, la Commissione aveva riconosciuto la responsabilità della Ricorrente unicamente avvalendosi della presunzione applicabile in quanto società controllante di Prysmian dal 29 luglio 2005 al 28 gennaio 2009. Come è noto, la consolidata giurisprudenza europea afferma che “…è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una società partecipata è detenuto dalla società madre per poter presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale della partecipata. La Commissione potrà conseguentemente considerare la società madre responsabile in solido per il pagamento dell’ammenda inflitta alla partecipata, a meno che detta società madre, sulla quale incombe l’onere di superare la presunzione, fornisca elementi di prova sufficienti, idonei a dimostrare che la partecipata tiene un comportamento autonomo sul mercato…”.
Secondo la Ricorrente, in primo luogo la Commissione avrebbe commesso un errore nel presumere l’esistenza di un’influenza determinante da parte di GS, in quanto la sua partecipazione in Prysmian, attraverso il fondo GSCP V (e altre società interposte), era stato di molto inferiore al 100% per la maggior parte del suo investimento: ad eccezione di un limitatissimo periodo di tempo (41 giorni), la partecipazione di GS in Prysmian è stata solo tra il 91.1% e l’84.4% fino al 3 maggio 2007. Da tale data, le azioni della Prysmian sono state quotate in Borsa attraverso un’offerta pubblica di acquisto. GS ritiene che la Commissione nella propria prassi non aveva mai applicato la presunzione in parola sull’esercizio effettivo di un’influenza determinante (la Presunzione) per partecipazioni al capitale inferiore al 93%. GS ha altresì contestato, tra le altre cose, che la Commissione avrebbe erroneamente applicato la Presunzione in riferimento ai diritti di voto associati alle azioni di Prysmian e non al capitale di quest’ultima.
Il Tribunale prende atto che la Commissione abbia applicato la Presunzione nonostante, a seguito delle cessioni di azioni nel 2005 a favore di Apollo Investment Corp. e nel luglio 2006 a favore degli amministratori di Prysmian, la partecipazione di GS in Prysmian fosse inferiore al 100%. Tuttavia, come ricorda il Tribunale, la Commissione non ha basato l’applicazione della Presunzione sul livello di partecipazione della ricorrente al capitale della Prysmian ma sul fatto che, nonostante la cessione di alcune azioni, la Ricorrente continuava a controllare il 100% dei diritti di voto collegati alle azioni di detta società, il che, secondo la Commissione, poneva la ricorrente in una situazione del tutto analoga a quella di un proprietario unico ed esclusivo del gruppo Prysmian.
Il Tribunale ha altresì ribadito che, poiché la Commissione ha il diritto di ricorrere alla Presunzione “…quando la società madre si trova in una situazione analoga a quella di un proprietario esclusivo per quanto concerne il suo potere di esercitare un’influenza determinate sul comportamento della propria partecipata…”, qualora “…una società madre detiene tutti i diritti di voto associati alle azioni della propria partecipata, in particolare in combinazione con una partecipazione largamente maggioritaria al capitale di detta partecipata, come nel caso di specie, tale società madre si trova in una situazione analoga a quella del proprietario esclusivo della partecipata…”. Infatti, secondo il Tribunale, anche in questo caso la società madre è in grado di esercitare il controllo sul comportamento della partecipata senza che dei terzi, in particolare altri azionisti, possano, in linea di principio, opporvisi. Secondo la Commissione, e il Tribunale lo ha confermato, “…le due cessioni di azioni della Prysmian che la ricorrente ha effettuato, da un lato, a favore della Apollo e, dall’altro, a favore del gruppo di amministratori della Prysmian, sono state subordinate a condizioni intese a garantire che i nuovi azionisti sarebbero stati meri investitori passivi e non avrebbero esercitato alcun diritto di voto associato alla loro partecipazione al capitale…”.
In secondo luogo, la Ricorrente contestava altresì gli elementi di prova sui quali la Commissione aveva fondato la decisione impugnata. Ciò in quanto non avrebbe dimostrato che GS fosse in grado di esercitare un’influenza determinante su Prysmian. Al contrario, per il Tribunale la Commissione aveva concluso che GS avesse esercitato un’influenza determinante basandosi su “…fattori obiettivi, alla luce dei legami economici, organizzativi e giuridici tra la ricorrente e il gruppo Prysmian…”. In particolare, erano stati considerati, tra gli altri: il potere di nominare i membri dei consigli di amministrazione (CdA) di Prysmian; il potere di convocare gli azionisti alle assemblee e di proporre la revoca degli amministratori o dei CdA; la rappresentanza effettiva di GS all’interno del CdA di Prysmian; i poteri di gestione dei rappresentanti di GS all’interno del CdA; la ricezione di aggiornamenti regolari e rapporti mensili; le misure volte ad assicurare la prosecuzione del controllo decisivo dopo la data dell’offerta pubblica, in quanto il CdA, anche dopo la quotazione e fino alla data della fine dell’infrazione, non era mutato; infine, la prova di un comportamento tipico di un proprietario industriale.
Il Tribunale ha altresì escluso che l’investimento di GS nel gruppo Prysmian avesse le caratteristiche di un mero investimento finanziario. Come noto, l’imputazione della responsabilità alla società controllante per l’infrazione commessa dalla sua partecipata non è possibile nel caso di meri investitori finanziari (ossia quegli investitori che detengono partecipazioni in una società ai fini della realizzazione di un profitto finanziario ma si astengono da qualsiasi intervento nella gestione e nel controllo di detta società). Nel caso concreto, nonostante GS sostenesse che l’acquisizione di Prysmian fosse stata effettuata “…da azionisti di professione, e non da manager o strateghi…”, il Tribunale ha affermato che “…non [si] può mettere in discussione il fatto che gli amministratori in questione erano coinvolti nella politica commerciale della Prysmian in quanto […] essi facevano parte dei consigli di amministrazione e del suo comitato strategico e hanno detenuto deleghe di poteri di gestori…”.
Infine, il Tribunale ha negato, seguendo una giurisprudenza consolidata, che la Presunzione possa costituire una violazione del principio della responsabilità personale e della presunzione di innocenza, in quanto “…il fatto che sia difficile fornire la prova contraria per confutare la [Presunzione] non implica, di per sé, che essa sia di fatto assoluta…”.
La sentenza in commento si inserisce nel filone di giurisprudenza comunitaria che conferma la legittimità della Presunzione, senza tuttavia (ancora una volta) fornire alcun elemento positivo e concreto circa gli elementi che devono essere dimostrati per poter ribattere alla sua applicazione, superandola. La mera affermazione circa la sua natura di presunzione relativa non appare inoltre fornire alcun elemento di replica all’obiezione, da più parti formulata, circa l’essere in realtà una presunzione assoluta e quindi una forma nascosta di (inaccettabile) responsabilità oggettiva.
Da un punto di vista pratico, in considerazione del ruolo di GS, la vicenda in commento ribadisce che anche i fondi di private equity possono essere considerati non dei semplici investitori finanziari e, pertanto, incorrere in eventuali responsabilità solidali per le infrazioni del diritto antitrust commesse dalle società nel proprio portafoglio di investimenti.
Jacopo Pelucchi
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Nell’aprile 2014 la Commissione aveva constatato che, dal febbraio 1999 fino alla fine del gennaio 2009, i principali produttori europei, giapponesi e sudcoreani di cavi elettrici sottomarini e sotterranei avevano partecipato ad una rete di riunioni multilaterali e bilaterali ed avevano avuto numerosi contatti finalizzati a restringere la concorrenza in relazione alle gare per la fornitura di cavi elettrici sotterranei e sottomarini ad alta (altissima) tensione in territori specifici, ripartendosi i mercati e i clienti, in violazione dell’art. 101 TFUE (la Decisione).
Per quanto qui rileva, la Commissione aveva riconosciuto la responsabilità della Ricorrente unicamente avvalendosi della presunzione applicabile in quanto società controllante di Prysmian dal 29 luglio 2005 al 28 gennaio 2009. Come è noto, la consolidata giurisprudenza europea afferma che “…è sufficiente che la Commissione provi che l’intero capitale di una società partecipata è detenuto dalla società madre per poter presumere che quest’ultima eserciti un’influenza determinante sulla politica commerciale della partecipata. La Commissione potrà conseguentemente considerare la società madre responsabile in solido per il pagamento dell’ammenda inflitta alla partecipata, a meno che detta società madre, sulla quale incombe l’onere di superare la presunzione, fornisca elementi di prova sufficienti, idonei a dimostrare che la partecipata tiene un comportamento autonomo sul mercato…”.
Secondo la Ricorrente, in primo luogo la Commissione avrebbe commesso un errore nel presumere l’esistenza di un’influenza determinante da parte di GS, in quanto la sua partecipazione in Prysmian, attraverso il fondo GSCP V (e altre società interposte), era stato di molto inferiore al 100% per la maggior parte del suo investimento: ad eccezione di un limitatissimo periodo di tempo (41 giorni), la partecipazione di GS in Prysmian è stata solo tra il 91.1% e l’84.4% fino al 3 maggio 2007. Da tale data, le azioni della Prysmian sono state quotate in Borsa attraverso un’offerta pubblica di acquisto. GS ritiene che la Commissione nella propria prassi non aveva mai applicato la presunzione in parola sull’esercizio effettivo di un’influenza determinante (la Presunzione) per partecipazioni al capitale inferiore al 93%. GS ha altresì contestato, tra le altre cose, che la Commissione avrebbe erroneamente applicato la Presunzione in riferimento ai diritti di voto associati alle azioni di Prysmian e non al capitale di quest’ultima.
Il Tribunale prende atto che la Commissione abbia applicato la Presunzione nonostante, a seguito delle cessioni di azioni nel 2005 a favore di Apollo Investment Corp. e nel luglio 2006 a favore degli amministratori di Prysmian, la partecipazione di GS in Prysmian fosse inferiore al 100%. Tuttavia, come ricorda il Tribunale, la Commissione non ha basato l’applicazione della Presunzione sul livello di partecipazione della ricorrente al capitale della Prysmian ma sul fatto che, nonostante la cessione di alcune azioni, la Ricorrente continuava a controllare il 100% dei diritti di voto collegati alle azioni di detta società, il che, secondo la Commissione, poneva la ricorrente in una situazione del tutto analoga a quella di un proprietario unico ed esclusivo del gruppo Prysmian.
Il Tribunale ha altresì ribadito che, poiché la Commissione ha il diritto di ricorrere alla Presunzione “…quando la società madre si trova in una situazione analoga a quella di un proprietario esclusivo per quanto concerne il suo potere di esercitare un’influenza determinate sul comportamento della propria partecipata…”, qualora “…una società madre detiene tutti i diritti di voto associati alle azioni della propria partecipata, in particolare in combinazione con una partecipazione largamente maggioritaria al capitale di detta partecipata, come nel caso di specie, tale società madre si trova in una situazione analoga a quella del proprietario esclusivo della partecipata…”. Infatti, secondo il Tribunale, anche in questo caso la società madre è in grado di esercitare il controllo sul comportamento della partecipata senza che dei terzi, in particolare altri azionisti, possano, in linea di principio, opporvisi. Secondo la Commissione, e il Tribunale lo ha confermato, “…le due cessioni di azioni della Prysmian che la ricorrente ha effettuato, da un lato, a favore della Apollo e, dall’altro, a favore del gruppo di amministratori della Prysmian, sono state subordinate a condizioni intese a garantire che i nuovi azionisti sarebbero stati meri investitori passivi e non avrebbero esercitato alcun diritto di voto associato alla loro partecipazione al capitale…”.
In secondo luogo, la Ricorrente contestava altresì gli elementi di prova sui quali la Commissione aveva fondato la decisione impugnata. Ciò in quanto non avrebbe dimostrato che GS fosse in grado di esercitare un’influenza determinante su Prysmian. Al contrario, per il Tribunale la Commissione aveva concluso che GS avesse esercitato un’influenza determinante basandosi su “…fattori obiettivi, alla luce dei legami economici, organizzativi e giuridici tra la ricorrente e il gruppo Prysmian…”. In particolare, erano stati considerati, tra gli altri: il potere di nominare i membri dei consigli di amministrazione (CdA) di Prysmian; il potere di convocare gli azionisti alle assemblee e di proporre la revoca degli amministratori o dei CdA; la rappresentanza effettiva di GS all’interno del CdA di Prysmian; i poteri di gestione dei rappresentanti di GS all’interno del CdA; la ricezione di aggiornamenti regolari e rapporti mensili; le misure volte ad assicurare la prosecuzione del controllo decisivo dopo la data dell’offerta pubblica, in quanto il CdA, anche dopo la quotazione e fino alla data della fine dell’infrazione, non era mutato; infine, la prova di un comportamento tipico di un proprietario industriale.
Il Tribunale ha altresì escluso che l’investimento di GS nel gruppo Prysmian avesse le caratteristiche di un mero investimento finanziario. Come noto, l’imputazione della responsabilità alla società controllante per l’infrazione commessa dalla sua partecipata non è possibile nel caso di meri investitori finanziari (ossia quegli investitori che detengono partecipazioni in una società ai fini della realizzazione di un profitto finanziario ma si astengono da qualsiasi intervento nella gestione e nel controllo di detta società). Nel caso concreto, nonostante GS sostenesse che l’acquisizione di Prysmian fosse stata effettuata “…da azionisti di professione, e non da manager o strateghi…”, il Tribunale ha affermato che “…non [si] può mettere in discussione il fatto che gli amministratori in questione erano coinvolti nella politica commerciale della Prysmian in quanto […] essi facevano parte dei consigli di amministrazione e del suo comitato strategico e hanno detenuto deleghe di poteri di gestori…”.
Infine, il Tribunale ha negato, seguendo una giurisprudenza consolidata, che la Presunzione possa costituire una violazione del principio della responsabilità personale e della presunzione di innocenza, in quanto “…il fatto che sia difficile fornire la prova contraria per confutare la [Presunzione] non implica, di per sé, che essa sia di fatto assoluta…”.
La sentenza in commento si inserisce nel filone di giurisprudenza comunitaria che conferma la legittimità della Presunzione, senza tuttavia (ancora una volta) fornire alcun elemento positivo e concreto circa gli elementi che devono essere dimostrati per poter ribattere alla sua applicazione, superandola. La mera affermazione circa la sua natura di presunzione relativa non appare inoltre fornire alcun elemento di replica all’obiezione, da più parti formulata, circa l’essere in realtà una presunzione assoluta e quindi una forma nascosta di (inaccettabile) responsabilità oggettiva.
Da un punto di vista pratico, in considerazione del ruolo di GS, la vicenda in commento ribadisce che anche i fondi di private equity possono essere considerati non dei semplici investitori finanziari e, pertanto, incorrere in eventuali responsabilità solidali per le infrazioni del diritto antitrust commesse dalle società nel proprio portafoglio di investimenti.
Jacopo Pelucchi
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Diritto della concorrenza Italia / Intese restrittive e settore dei servizi di taxi - L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha accertato che le clausole di esclusiva applicate dagli operatori di radiotaxi di Roma e Milano ai propri tassisti violano il diritto della concorrenza
A seguito di una segnalazione da parte della società Mytaxi Italia S.r.l. (Mytaxi o la Segnalante), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un procedimento nei confronti di società cooperative che gestiscono i servizi di radiotaxi a Roma e Milano, accertando che le clausole di esclusiva applicate da queste ai tassisti soci delle medesime, o che si avvalgono dei relativi servizi, costituiscono intese verticali in violazione del diritto della concorrenza. Per quanto concerne l’area del comune di Milano, le società interessate sono Taxiblu Consorzio Radiotaxi Satellitare Società Cooperativa, Yellow Tax Multiservice S.r.l. e Autoradiotassì Società Cooperativa. Nel comune di Roma invece, le società interessate sono Radiotaxi 3570 – Società Cooperativa, Cooperativa Pronto Taxi 6645 – Società Cooperativa e Samarcanda – Società Cooperativa (congiuntamente, i Radiotaxi).
Le clausole di esclusiva in oggetto, che regolano i rapporti tra i Radiotaxi e i rispettivi tassisti, prevedono che i tassisti soci di una cooperativa, nonché quelli che pur non essendo soci usufruiscono del servizio dei Radiotaxi, non possono esercitare imprese identiche, affini o concorrenti a quella della cooperativa e non possono essere soci di altre cooperative, o svolgere parte della propria attività, in generale, servendosi di altri circuiti di raccolta della domanda. Secondo l’AGCM, clausole di questa tipologia avrebbero l’effetto di ostacolare lo sviluppo di ogni strumento di raccolta della domanda ulteriore rispetto ai Radiotaxi, rendendo difficile l’ingresso di nuovi operatori come Mytaxi per via degli effetti negativi sulla contendibilità del mercato, visto il forte effetto deterrente delle clausole con riguardo alla possibilità per i tassisti di abbandonare la propria piattaforma.
Mytaxi, diversamente dalle cooperative in oggetto, gestisce un servizio di raccolta della domanda e di smistamento delle corse attraverso una piattaforma aperta, consistente in un’applicazione per smartphone che raccoglie le chiamate dei clienti e le rende visibili ai tassisti che utilizzano loro stessi l’applicazione. I tassisti aderenti a tale piattaforma sono liberi di utilizzare, in parallelo, qualsiasi altro sistema di smistamento e possono scegliere a loro piacere se tenere accesa o spenta l’applicazione di Mytaxi. Contrariamente ai Radiotaxi, la Segnalante non prevede costi d’iscrizione al servizio, né quote mensili o annuali. I tassisti infatti pagano alla piattaforma una percentuale per ogni corsa conclusa, pari al 7% del prezzo. L’impossibilità per i tassisti delle cooperative di utilizzare anche il sistema di smistamento di Mytaxi determina secondo l’AGCM un elevato tasso di mancata evasione delle chiamate della Segnalante, con un conseguente effetto di esclusione di quest’ultima dal mercato.
Nel corso del procedimento istruttorio, i Radiotaxi hanno sostenuto che le piattaforme basate su app costituiscono un mercato del prodotto diverso, principalmente per via delle differenti abitudini di prenotazione da parte dei clienti. Inoltre, dal punto di vista del mercato geografico, i Radiotaxi rilevano come, mentre il loro mercato ha rilevanza locale, quello delle piattaforme per app abbia invece un’estensione nazionale, poiché le politiche commerciali e le condizioni economiche di contratto sono definite su base nazionale. In aggiunta, i Radiotaxi hanno negato la sussistenza di effetti escludenti come conseguenza delle clausole e hanno criticato le considerazioni dell’AGCM che, secondo i Radiotaxi, avrebbe dato eccessivo peso alla maggiore efficienza (da essi contestata) delle tecnologie di Mytaxi, quando invece avrebbe dovuto concentrarsi sugli ostacoli all’ingresso di nuovi operatori, ostacoli che non sarebbero verificati. I Radiotaxi, inoltre, hanno avanzato giustificazioni di natura economica e di protezione degli investimenti per le clausole di esclusiva, e hanno sostenuto come queste ultime fossero coerenti con l’obiettivo di garantire la funzionalità della cooperativa, prive quindi di un “oggetto” anti-competitivo.
L’AGCM ha disatteso i rilievi dei Radiotaxi, confermando la dimensione locale del mercato per tutti gli operatori e la sostituibilità, dal lato dei consumatori, dei servizi offerti dalle cooperative e da Mytaxi, da comprendersi pertanto nel medesimo mercato rilevante. L’AGCM ha accertato l’effetto di foreclosure causato dalle clausole, le quali, non rendendo accessibile una larga parte dei prestatori dei servizi taxi (contingentati per legge) renderebbero difficile l’ingresso e l’attività economica di altri operatori con sistemi differenti per lo smistamento dell’offerta. L’AGCM ha infine rilevato che nonostante le clausole di esclusiva possano, in linea di principio, essere coerenti con la natura giuridica della forma societaria cooperativa, ciò non impedisce una valutazione di compatibilità delle clausole stesse con, nel caso di specie, l’art. 101 TFUE, laddove risultino idonee a produrre effetti restrittivi della concorrenza.
L’AGCM ha quindi intimato i Radiotaxi a rimuovere le pratiche contestate entro 120 giorni dal provvedimento, senza l’erogazione di sanzioni per via della natura non grave delle violazioni in oggetto.
Leonardo Stiz
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Le clausole di esclusiva in oggetto, che regolano i rapporti tra i Radiotaxi e i rispettivi tassisti, prevedono che i tassisti soci di una cooperativa, nonché quelli che pur non essendo soci usufruiscono del servizio dei Radiotaxi, non possono esercitare imprese identiche, affini o concorrenti a quella della cooperativa e non possono essere soci di altre cooperative, o svolgere parte della propria attività, in generale, servendosi di altri circuiti di raccolta della domanda. Secondo l’AGCM, clausole di questa tipologia avrebbero l’effetto di ostacolare lo sviluppo di ogni strumento di raccolta della domanda ulteriore rispetto ai Radiotaxi, rendendo difficile l’ingresso di nuovi operatori come Mytaxi per via degli effetti negativi sulla contendibilità del mercato, visto il forte effetto deterrente delle clausole con riguardo alla possibilità per i tassisti di abbandonare la propria piattaforma.
Mytaxi, diversamente dalle cooperative in oggetto, gestisce un servizio di raccolta della domanda e di smistamento delle corse attraverso una piattaforma aperta, consistente in un’applicazione per smartphone che raccoglie le chiamate dei clienti e le rende visibili ai tassisti che utilizzano loro stessi l’applicazione. I tassisti aderenti a tale piattaforma sono liberi di utilizzare, in parallelo, qualsiasi altro sistema di smistamento e possono scegliere a loro piacere se tenere accesa o spenta l’applicazione di Mytaxi. Contrariamente ai Radiotaxi, la Segnalante non prevede costi d’iscrizione al servizio, né quote mensili o annuali. I tassisti infatti pagano alla piattaforma una percentuale per ogni corsa conclusa, pari al 7% del prezzo. L’impossibilità per i tassisti delle cooperative di utilizzare anche il sistema di smistamento di Mytaxi determina secondo l’AGCM un elevato tasso di mancata evasione delle chiamate della Segnalante, con un conseguente effetto di esclusione di quest’ultima dal mercato.
Nel corso del procedimento istruttorio, i Radiotaxi hanno sostenuto che le piattaforme basate su app costituiscono un mercato del prodotto diverso, principalmente per via delle differenti abitudini di prenotazione da parte dei clienti. Inoltre, dal punto di vista del mercato geografico, i Radiotaxi rilevano come, mentre il loro mercato ha rilevanza locale, quello delle piattaforme per app abbia invece un’estensione nazionale, poiché le politiche commerciali e le condizioni economiche di contratto sono definite su base nazionale. In aggiunta, i Radiotaxi hanno negato la sussistenza di effetti escludenti come conseguenza delle clausole e hanno criticato le considerazioni dell’AGCM che, secondo i Radiotaxi, avrebbe dato eccessivo peso alla maggiore efficienza (da essi contestata) delle tecnologie di Mytaxi, quando invece avrebbe dovuto concentrarsi sugli ostacoli all’ingresso di nuovi operatori, ostacoli che non sarebbero verificati. I Radiotaxi, inoltre, hanno avanzato giustificazioni di natura economica e di protezione degli investimenti per le clausole di esclusiva, e hanno sostenuto come queste ultime fossero coerenti con l’obiettivo di garantire la funzionalità della cooperativa, prive quindi di un “oggetto” anti-competitivo.
L’AGCM ha disatteso i rilievi dei Radiotaxi, confermando la dimensione locale del mercato per tutti gli operatori e la sostituibilità, dal lato dei consumatori, dei servizi offerti dalle cooperative e da Mytaxi, da comprendersi pertanto nel medesimo mercato rilevante. L’AGCM ha accertato l’effetto di foreclosure causato dalle clausole, le quali, non rendendo accessibile una larga parte dei prestatori dei servizi taxi (contingentati per legge) renderebbero difficile l’ingresso e l’attività economica di altri operatori con sistemi differenti per lo smistamento dell’offerta. L’AGCM ha infine rilevato che nonostante le clausole di esclusiva possano, in linea di principio, essere coerenti con la natura giuridica della forma societaria cooperativa, ciò non impedisce una valutazione di compatibilità delle clausole stesse con, nel caso di specie, l’art. 101 TFUE, laddove risultino idonee a produrre effetti restrittivi della concorrenza.
L’AGCM ha quindi intimato i Radiotaxi a rimuovere le pratiche contestate entro 120 giorni dal provvedimento, senza l’erogazione di sanzioni per via della natura non grave delle violazioni in oggetto.
Leonardo Stiz
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AGCM e relazione annuale - Il Presidente Pitruzzella fa un bilancio del suo settennato in vista del suo incarico come Avvocato Generale presso la Corte di Giustizia
Lo scorso 12 luglio, il Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) Giovanni Pitruzzella ha presentato al Parlamento la Relazione delle attività svolte dall’AGCM nell’anno 2017. La presentazione è stata in realtà l’occasione per ripercorrere le tappe fondamentali del suo mandato settennale che sta ora volgendo al termine. Preliminarmente, il Presidente ha ricordato come, in un periodo indubbiamente caratterizzato da una globale trasformazione economica, politica ed istituzionale, l’AGCM ha svolto un ruolo centrale nel tentativo di bilanciare la brusca interruzione del processo di riforme e di liberalizzazioni che si è avvertito in Italia soprattutto nell’ultimo anno.
Secondo il Presidente, l’AGCM ha in qualche modo assecondato le innovazioni concorrenziali che si sono sviluppate nel recente passato. La sanzione per 104 milioni di euro irrogata nei confronti di Telecom Italia per condotte abusive consistenti nell’ostacolo alla propria rete avrebbe spinto lo stesso incumbent a puntare sull’innovazione e concentrarsi sullo sviluppo della rete in fibra ottica (anche in partnership con Fastweb). Tale comparto (in cui ora opera anche un nuovo soggetto non verticalmente integrato (Open Fiber) era anche stato analizzato attentamente dall’AGCM nell’Indagine Conoscitiva pubblicata nel 2014.
Il Presidente ha quindi ricordato anche la (a dire il vero, controversa) decisione di accoglimento degli impegni presentati dalla piattaforma online Booking.com, con la modifica della clausola ‘Most Favoured Nation‘, che è stata adottata anche in altri Paesi, quali, ad esempio, Francia e Svezia, dimenticandosi tuttavia di ricordare l’opposta decisione raggiunta dal Bundeskartellamt in Germania e, soprattutto, le modifiche regolamentari introdotte sia in Francia, sia in Italia proprio per superare le criticità contestate agli impegni accolti dall’AGCM e dall’autorità francese.
Riguardo ai c.d. giganti del web, oltre all’indagine conoscitiva (tuttora in corso) in materia di c.d. Big Data, il Presidente Pitruzzella ha richiamato i provvedimenti avviati nei confronti di WhatsApp (per clausole vessatorie) e Facebook (per pratiche commerciali scorrette) e, in linea generale, ha affermato l’intenzione dell’AGCM di monitorare (anche con l’ausilio di informatici ed esperti di algoritmi) le nuove modalità di commercializzazione tipiche dell’economia digitale. Peraltro, le recenti concentrazioni di importanti gruppi attivi in nuovi segmenti di mercato hanno nuovamente riaperto il dibattito sull’adeguatezza della normativa (anche italiana) in materia, specialmente in relazione alle operazioni di valore elevato, ancorché realizzate tra imprese che non generano fatturati elevati o, comunque, sopra soglia.
Con riferimento al settore farmaceutico, il Presidente non ha dimenticato di rimarcare che l’AGCM è stata per certi versi trainante anche rispetto ad altri Stati: oltre all’intesa Roche – Novartis (infrazione confermata non solo dalla giurisprudenza nazionale ma anche dalla Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale, su alcuni aspetti della stessa), la sanzione per abuso di prezzi eccesivi comminata ad Aspen ha preceduto l’avvio di una analoga procedura a livello europeo nei confronti dello stesso soggetto. Peraltro, a seguito dell’intervento dell’AGCM, i prezzi dei farmaci commercializzati da Aspen sono stati recentemente ridotti – al termine di una procedura di negoziazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco – di oltre l’80%.
Durante la presidenza del Professor Pitruzzella si è registrato altresì un deciso incremento delle sanzioni comminate (complessivamente, circa un miliardo e mezzo di euro; nel solo 2017, le sanzioni hanno superato i 444 milioni) con una contestuale forte riduzione delle decisioni con impegni che invece avevano caratterizzato il settennato precedente.
Con riferimento al solo 2017, si è infine dato atto delle 10 istruttorie avviate per intese, delle 12 per abusi di posizione dominante e delle 3 “fasi due” per concentrazioni potenzialmente idonee a costituire o rafforzare una posizione dominante nel mercato di riferimento.
Relativamente alla tutela del consumatore, negli ultimi sette anni sono stati conclusi 646 procedimenti per pratiche commerciali scorrette e 39 per clausole vessatorie, per un totale di sanzioni irrogate pari a 230 milioni di euro. In relazione al solo 2017, su 117 istruttorie, in 90 casi sono state accertate violazioni del Codice del Consumo, 24 procedimenti sono stati conclusi con impegni e in soli 3 casi è stata riscontrata l’assenza di illecito.
Il Presidente ha altresì sottolineato che le valutazioni condotte dall’AGCM negli ultimi sette anni sembrano aver trovato ampio riscontro nella giurisprudenza del Tar Lazio (78% di conferma dei provvedimenti di AGCM) e del Consiglio di Stato (oltre 70% delle pronunce favorevoli), percentuali probabilmente destinate a ridursi al termine dell’anno in corso.
Filippo Alberti
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Secondo il Presidente, l’AGCM ha in qualche modo assecondato le innovazioni concorrenziali che si sono sviluppate nel recente passato. La sanzione per 104 milioni di euro irrogata nei confronti di Telecom Italia per condotte abusive consistenti nell’ostacolo alla propria rete avrebbe spinto lo stesso incumbent a puntare sull’innovazione e concentrarsi sullo sviluppo della rete in fibra ottica (anche in partnership con Fastweb). Tale comparto (in cui ora opera anche un nuovo soggetto non verticalmente integrato (Open Fiber) era anche stato analizzato attentamente dall’AGCM nell’Indagine Conoscitiva pubblicata nel 2014.
Il Presidente ha quindi ricordato anche la (a dire il vero, controversa) decisione di accoglimento degli impegni presentati dalla piattaforma online Booking.com, con la modifica della clausola ‘Most Favoured Nation‘, che è stata adottata anche in altri Paesi, quali, ad esempio, Francia e Svezia, dimenticandosi tuttavia di ricordare l’opposta decisione raggiunta dal Bundeskartellamt in Germania e, soprattutto, le modifiche regolamentari introdotte sia in Francia, sia in Italia proprio per superare le criticità contestate agli impegni accolti dall’AGCM e dall’autorità francese.
Riguardo ai c.d. giganti del web, oltre all’indagine conoscitiva (tuttora in corso) in materia di c.d. Big Data, il Presidente Pitruzzella ha richiamato i provvedimenti avviati nei confronti di WhatsApp (per clausole vessatorie) e Facebook (per pratiche commerciali scorrette) e, in linea generale, ha affermato l’intenzione dell’AGCM di monitorare (anche con l’ausilio di informatici ed esperti di algoritmi) le nuove modalità di commercializzazione tipiche dell’economia digitale. Peraltro, le recenti concentrazioni di importanti gruppi attivi in nuovi segmenti di mercato hanno nuovamente riaperto il dibattito sull’adeguatezza della normativa (anche italiana) in materia, specialmente in relazione alle operazioni di valore elevato, ancorché realizzate tra imprese che non generano fatturati elevati o, comunque, sopra soglia.
Con riferimento al settore farmaceutico, il Presidente non ha dimenticato di rimarcare che l’AGCM è stata per certi versi trainante anche rispetto ad altri Stati: oltre all’intesa Roche – Novartis (infrazione confermata non solo dalla giurisprudenza nazionale ma anche dalla Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale, su alcuni aspetti della stessa), la sanzione per abuso di prezzi eccesivi comminata ad Aspen ha preceduto l’avvio di una analoga procedura a livello europeo nei confronti dello stesso soggetto. Peraltro, a seguito dell’intervento dell’AGCM, i prezzi dei farmaci commercializzati da Aspen sono stati recentemente ridotti – al termine di una procedura di negoziazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco – di oltre l’80%.
Durante la presidenza del Professor Pitruzzella si è registrato altresì un deciso incremento delle sanzioni comminate (complessivamente, circa un miliardo e mezzo di euro; nel solo 2017, le sanzioni hanno superato i 444 milioni) con una contestuale forte riduzione delle decisioni con impegni che invece avevano caratterizzato il settennato precedente.
Con riferimento al solo 2017, si è infine dato atto delle 10 istruttorie avviate per intese, delle 12 per abusi di posizione dominante e delle 3 “fasi due” per concentrazioni potenzialmente idonee a costituire o rafforzare una posizione dominante nel mercato di riferimento.
Relativamente alla tutela del consumatore, negli ultimi sette anni sono stati conclusi 646 procedimenti per pratiche commerciali scorrette e 39 per clausole vessatorie, per un totale di sanzioni irrogate pari a 230 milioni di euro. In relazione al solo 2017, su 117 istruttorie, in 90 casi sono state accertate violazioni del Codice del Consumo, 24 procedimenti sono stati conclusi con impegni e in soli 3 casi è stata riscontrata l’assenza di illecito.
Il Presidente ha altresì sottolineato che le valutazioni condotte dall’AGCM negli ultimi sette anni sembrano aver trovato ampio riscontro nella giurisprudenza del Tar Lazio (78% di conferma dei provvedimenti di AGCM) e del Consiglio di Stato (oltre 70% delle pronunce favorevoli), percentuali probabilmente destinate a ridursi al termine dell’anno in corso.
Filippo Alberti
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Tutela del consumatore e PCS / Pratiche commerciali scorrette e settore dell’energia – L’AGCM sanziona Eni gas e luce per 1,8 milioni per inottemperanza per reiterata inadeguata gestione delle istanze dei consumatori relative alla fatturazione dei consumi di elettricità e gas
Con la delibera pubblicata lo scorso 11 luglio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha chiuso il procedimento di inottemperanza con cui ha accertato la reiterazione da parte di Eni gas e luce S.p.A. (ENI) della condotta consistente nell’inadeguata gestione delle istanze dei consumatori relative alla fatturazione dei consumi di elettricità e gas, a fronte del contemporaneo avvio dell’attività di riscossione, irrogando una sanzione di 1,8 milioni di euro ad ENI.
Ripercorrendo brevemente i fatti, nel maggio 2016 l’AGCM aveva rilevato la scorrettezza delle pratiche commerciali poste in essere da ENI consistenti: (i) nella inadeguata gestione delle istanze e delle comunicazioni dei clienti finali, riguardanti la fatturazione dei consumi di elettricità e/o gas - in particolare, la fatturazione di importi erronei o non correttamente stimati, l’emissione e le modalità di pagamento di fatture di importi anormalmente elevati (a causa di conguagli pluriennali, blocchi di fatturazione o rettifiche tardive dei dati di misura), nonché dei malfunzionamenti del processo di fatturazione e recapito - a fronte del contemporaneo avvio o prosecuzione delle attività di riscossione delle fatture oggetto di tali istanze e comunicazioni; e (ii) nella mancata o ritardata restituzione di importi dovuti a vario titolo ai clienti finali. Pertanto, aveva ordinato la cessazione delle condotte sopra descritte. Secondo quanto prescritto in tale decisione, ENI aveva trasmesso una relazione di ottemperanza nel settembre 2016, integrata nel gennaio 2017. Tuttavia, a decorrere dalla seconda metà del 2017, molti consumatori avevano continuato a lamentare problematiche connesse alla fatturazione dei consumi di ingente importo (c.d. “maxi conguagli”) riguardanti periodi di consumo superiori anche a cinque anni dalla data di emissione della fattura, emerse specialmente nell’ambito delle attività di recupero crediti effettuate da ENI nel corso del 2017. Le segnalazioni degli utenti riguardavano inoltre la fatturazione di importi erronei o non correttamente stimati, le rettifiche tardive dei consumi fatturati, anche prescritti, l’omessa acquisizione delle letture o delle autoletture, nonché l’incompletezza e/o l’inesattezza dell’informativa in bolletta. Pertanto, l’AGCM lo scorso dicembre 2017 aveva avviato un procedimento nei confronti di ENI per non aver ottemperato all’originaria decisione.
Occorre ricordare che nel corso del procedimento la disciplina della prescrizione del diritto al corrispettivo nei contratti di fornitura di energia elettrica e gas ha subito importanti modifiche ad opera della legge n. 205/2017 (legge di Bilancio 2018), nonché a seguito degli interventi dell’Autorità di Regolazione Energia Reti e Ambiente (ARERA), che ha emanato le Delibere 97/2018/R/Com e 264/2018/R/Com. Per quanto qui in rilievo, i commi 4-8 dell’art. 1 della legge n. 205/2017 hanno introdotto una nuova disciplina della prescrizione biennale per i contratti di fornitura di energia elettrica, gas naturale e acqua e disposizioni specifiche riferite ai conguagli relativi a periodi maggiori di due anni. L’ARERA, invece, ha (i) chiarito che il termine di decorrenza della prescrizione biennale prevista dalla legge di Bilancio 2018 (entro il quale la società di vendita è tenuta a fatturare i conguagli), decorre dal giorno del consumo; e (ii) previsto una serie di obblighi informativi per le società di vendita in ordine alla possibilità di eccepire la prescrizione e del diritto a sospendere, nei casi previsti dalla legge, il pagamento, seppure spetti al cliente finale eccepire la prescrizione.
Dall’analisi delle denunce e della documentazione ispettiva, nelle valutazioni dell’AGCM, sono emersi l’inadeguata gestione dei reclami dei consumatori, nonché una serie di malfunzionamenti sistematici del processo di fatturazione che ENI non sarebbe stata in grado di evitare e che ha alimentato l’insorgere di contestazioni. La natura particolarmente complessa delle situazioni segnalate, avrebbe dovuto indurre ENI a porre in essere ogni possibile misura per salvaguardare il consumatore dalle conseguenze derivanti da tale “complessità”, in termini di “costi” connessi alla difesa dei propri diritti, nell’ambito dell’attività di reclamo dei consumi indebitamente fatturati. Di contro, per l’AGCM, ENI anziché predisporre adeguate misure ad hoc volte a limitare l’emissione di fatture contenenti inesattezze e imprecisioni e procedere al riconoscimento della prescrizione, ove eccepita dal consumatore, in tutti i casi in cui la tardività della fatturazione non era riconducibile alla responsabilità del cliente, ha fornito, in alcuni casi, risposte incongrue o fuorvianti in ordine alla decorrenza della prescrizione, adottando, al contempo, modalità aggressive nel richiedere l’immediato pagamento delle fatture, avviando le procedure di recupero credito anche nelle more dei reclami. Per l’AGCM, in particolare, nel corso dell’istruttoria, ha assunto un rilievo centrale la problematica connessa alla prescrizione di importi riferiti a periodi di consumo risalenti nel tempo, superiori a cinque anni dalla data di emissione della fattura, nonché gli iniziali ostacoli opposti da ENI al riconoscimento della eccezione di prescrizione, con specifico riguardo alla individuazione del dies a quo, che ENI riteneva coincidente con la data della comunicazione del dato di misura effettivo da parte del Distributore.
Nel corso del procedimento, ENI ha assunto diverse iniziative a favore dei consumatori, tra cui il riconoscimento automatico della prescrizione dei pagamenti delle bollette tutte le volte in cui la mancata fatturazione dei consumi, entro due anni, fosse riconducibile alla responsabilità della società. Negli altri casi, su istanza del consumatore, ENI riconoscerà la prescrizione biennale decorrente dal consumo di elettricità e gas, come previsto dalla legge di Bilancio 2018 e dalle delibere di ARERA di cui sopra. Inoltre, ENI ha presentato importanti misure migliorative in tema di fatturazione e di gestione delle situazioni critiche dei reclami, al fine di superare le criticità emerse nel corso del procedimento. Con le iniziative proposte da ENI si è determinato quindi un importante mutamento del suo modus operandi, in quanto ENI si è impegnata a porre in essere una serie di significative azioni pro-cliente che impattano, in modo significativo, anche retroattivamente, sulle criticità emerse nel corso del procedimento.
A fronte di tali iniziative (in particolare con riferimento al superamento del fenomeno dei “maxi conguagli”), considerate dall’AGCM effettivamente idonee, ove integralmente attuate, a mitigare il pregiudizio per i consumatori, l’AGCM ha ridotto significativamente la sanzione da irrogare a ENI, pari a 1.8 milioni di euro.
Il provvedimento in commento ricorda quindi alle imprese la “mano pesante” che può avere l’AGCM anche in sede di inottemperanza alle proprie delibere, con sanzioni che potrebbero essere finanche pari a 5 milioni di euro, da cui deriva la necessità di una particolare attenzione anche a valle della chiusura di un procedimento per pratiche commerciali scorrette e nella presentazione delle relative relazioni di ottemperanza all’AGCM.
Cecilia Carli
Ripercorrendo brevemente i fatti, nel maggio 2016 l’AGCM aveva rilevato la scorrettezza delle pratiche commerciali poste in essere da ENI consistenti: (i) nella inadeguata gestione delle istanze e delle comunicazioni dei clienti finali, riguardanti la fatturazione dei consumi di elettricità e/o gas - in particolare, la fatturazione di importi erronei o non correttamente stimati, l’emissione e le modalità di pagamento di fatture di importi anormalmente elevati (a causa di conguagli pluriennali, blocchi di fatturazione o rettifiche tardive dei dati di misura), nonché dei malfunzionamenti del processo di fatturazione e recapito - a fronte del contemporaneo avvio o prosecuzione delle attività di riscossione delle fatture oggetto di tali istanze e comunicazioni; e (ii) nella mancata o ritardata restituzione di importi dovuti a vario titolo ai clienti finali. Pertanto, aveva ordinato la cessazione delle condotte sopra descritte. Secondo quanto prescritto in tale decisione, ENI aveva trasmesso una relazione di ottemperanza nel settembre 2016, integrata nel gennaio 2017. Tuttavia, a decorrere dalla seconda metà del 2017, molti consumatori avevano continuato a lamentare problematiche connesse alla fatturazione dei consumi di ingente importo (c.d. “maxi conguagli”) riguardanti periodi di consumo superiori anche a cinque anni dalla data di emissione della fattura, emerse specialmente nell’ambito delle attività di recupero crediti effettuate da ENI nel corso del 2017. Le segnalazioni degli utenti riguardavano inoltre la fatturazione di importi erronei o non correttamente stimati, le rettifiche tardive dei consumi fatturati, anche prescritti, l’omessa acquisizione delle letture o delle autoletture, nonché l’incompletezza e/o l’inesattezza dell’informativa in bolletta. Pertanto, l’AGCM lo scorso dicembre 2017 aveva avviato un procedimento nei confronti di ENI per non aver ottemperato all’originaria decisione.
Occorre ricordare che nel corso del procedimento la disciplina della prescrizione del diritto al corrispettivo nei contratti di fornitura di energia elettrica e gas ha subito importanti modifiche ad opera della legge n. 205/2017 (legge di Bilancio 2018), nonché a seguito degli interventi dell’Autorità di Regolazione Energia Reti e Ambiente (ARERA), che ha emanato le Delibere 97/2018/R/Com e 264/2018/R/Com. Per quanto qui in rilievo, i commi 4-8 dell’art. 1 della legge n. 205/2017 hanno introdotto una nuova disciplina della prescrizione biennale per i contratti di fornitura di energia elettrica, gas naturale e acqua e disposizioni specifiche riferite ai conguagli relativi a periodi maggiori di due anni. L’ARERA, invece, ha (i) chiarito che il termine di decorrenza della prescrizione biennale prevista dalla legge di Bilancio 2018 (entro il quale la società di vendita è tenuta a fatturare i conguagli), decorre dal giorno del consumo; e (ii) previsto una serie di obblighi informativi per le società di vendita in ordine alla possibilità di eccepire la prescrizione e del diritto a sospendere, nei casi previsti dalla legge, il pagamento, seppure spetti al cliente finale eccepire la prescrizione.
Dall’analisi delle denunce e della documentazione ispettiva, nelle valutazioni dell’AGCM, sono emersi l’inadeguata gestione dei reclami dei consumatori, nonché una serie di malfunzionamenti sistematici del processo di fatturazione che ENI non sarebbe stata in grado di evitare e che ha alimentato l’insorgere di contestazioni. La natura particolarmente complessa delle situazioni segnalate, avrebbe dovuto indurre ENI a porre in essere ogni possibile misura per salvaguardare il consumatore dalle conseguenze derivanti da tale “complessità”, in termini di “costi” connessi alla difesa dei propri diritti, nell’ambito dell’attività di reclamo dei consumi indebitamente fatturati. Di contro, per l’AGCM, ENI anziché predisporre adeguate misure ad hoc volte a limitare l’emissione di fatture contenenti inesattezze e imprecisioni e procedere al riconoscimento della prescrizione, ove eccepita dal consumatore, in tutti i casi in cui la tardività della fatturazione non era riconducibile alla responsabilità del cliente, ha fornito, in alcuni casi, risposte incongrue o fuorvianti in ordine alla decorrenza della prescrizione, adottando, al contempo, modalità aggressive nel richiedere l’immediato pagamento delle fatture, avviando le procedure di recupero credito anche nelle more dei reclami. Per l’AGCM, in particolare, nel corso dell’istruttoria, ha assunto un rilievo centrale la problematica connessa alla prescrizione di importi riferiti a periodi di consumo risalenti nel tempo, superiori a cinque anni dalla data di emissione della fattura, nonché gli iniziali ostacoli opposti da ENI al riconoscimento della eccezione di prescrizione, con specifico riguardo alla individuazione del dies a quo, che ENI riteneva coincidente con la data della comunicazione del dato di misura effettivo da parte del Distributore.
Nel corso del procedimento, ENI ha assunto diverse iniziative a favore dei consumatori, tra cui il riconoscimento automatico della prescrizione dei pagamenti delle bollette tutte le volte in cui la mancata fatturazione dei consumi, entro due anni, fosse riconducibile alla responsabilità della società. Negli altri casi, su istanza del consumatore, ENI riconoscerà la prescrizione biennale decorrente dal consumo di elettricità e gas, come previsto dalla legge di Bilancio 2018 e dalle delibere di ARERA di cui sopra. Inoltre, ENI ha presentato importanti misure migliorative in tema di fatturazione e di gestione delle situazioni critiche dei reclami, al fine di superare le criticità emerse nel corso del procedimento. Con le iniziative proposte da ENI si è determinato quindi un importante mutamento del suo modus operandi, in quanto ENI si è impegnata a porre in essere una serie di significative azioni pro-cliente che impattano, in modo significativo, anche retroattivamente, sulle criticità emerse nel corso del procedimento.
A fronte di tali iniziative (in particolare con riferimento al superamento del fenomeno dei “maxi conguagli”), considerate dall’AGCM effettivamente idonee, ove integralmente attuate, a mitigare il pregiudizio per i consumatori, l’AGCM ha ridotto significativamente la sanzione da irrogare a ENI, pari a 1.8 milioni di euro.
Il provvedimento in commento ricorda quindi alle imprese la “mano pesante” che può avere l’AGCM anche in sede di inottemperanza alle proprie delibere, con sanzioni che potrebbero essere finanche pari a 5 milioni di euro, da cui deriva la necessità di una particolare attenzione anche a valle della chiusura di un procedimento per pratiche commerciali scorrette e nella presentazione delle relative relazioni di ottemperanza all’AGCM.
Cecilia Carli