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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Concentrazioni e gun jumping - Le conclusioni dell’Avvocato Generale Wahl sulla natura e lo scopo del c.d. “obbligo di standstill”
L’Avvocato Generale Wahl (AG) presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CdG) ha recentemente pubblicato le sue conclusioni nell’ambito di un rinvio pregiudiziale da parte del Tribunale Marittimo e del Commercio danese (TMC).
Il TMC ha chiesto lumi alla CdG in merito alla definizione e interpretazione dell’obbligo di non eseguire un’operazione di concentrazione, c.d. standstill, in pendenza della relativa autorizzazione della competente autorità antitrust. La vicenda assume un’evidente rilevanza, posto che la sanzione in caso di violazione dell’obbligo in questione può, nell’ordinamento europeo, arrivare sino al 10% del fatturato dell’impresa interessata.
Il procedimento finito dinnanzi alla CdG nasce dall’accertamento e condanna, da parte dell’autorità garante della concorrenza del paese scandinavo, nei confronti della società di consulenza Ernst Young P/S (EY), proprio per la violazione dell’obbligo in questione. Qui di seguito, brevemente, si fornisce la cronologa degli eventi rilevanti: EY aveva acquisito nel maggio del 2014 il controllo della società di consulenza KPMG Ejendomme Flintholm K/S (KPMG DK), società precedentemente affiliata alla rete del gruppo mondiale della revisione KPMG. Nel novembre del 2013, subito dopo la sottoscrizione dell’accordo con EY e in esecuzione di questo, ma prima della autorizzazione da parte dell’autorità antitrust danese, KPMG DK aveva quindi notificato alla società KPMG International (KPMG INT) la propria volontà di risolvere, con effetti a decorrere dal successivo 30 settembre 2014, il contratto di cooperazione che la legava alla rete KPMG.
L’autorità danese aveva successivamente ritenuto che una tale misura costituisse un’attuazione prematura, c.d. gun jumping, dell’operazione di concentrazione, violazione dell’obbligo di standstill, presente anche nella normativa rilevante danese in maniera analoga a quanto previsto nel Regolamento europeo sulle concentrazioni (Reg. n. 139/2004). L’autorità invero aveva ritenuto che la comunicazione della disdetta dalla rete KPMG rappresentasse l’illecita prematura attuazione dell’operazione. Ciò in quanto la disdetta era direttamente connessa all’operazione con EY (merger specific), era irreversibile e aveva effetti potenziali sul mercato. EY aveva quindi impugnato tale decisione avanti al TMC, che aveva operato il rinvio alla CdG, stante la sostanziale identità della normativa rilevante danese e quella europea.
L’AG, nelle conclusioni in commento, giunge a conclusioni opposte a quelle dell’autorità danese, muovendo da presupposti diversi, e conclude che la risoluzione dell’accordo di KPMG DK con KPMG INT non costituirebbe un’ipotesi di gun jumping.
Disattendendo le argomentazioni del governo danese e della Commissione, l’AG ha evidenziato in primo luogo la limitata funzione che l’obbligo di standstill avrebbe nel regime di controllo ex ante europeo delle concentrazioni. La sua funzione sarebbe esclusivamente di deterrenza delle imprese dall’eseguire prematuramente una concentrazione, evitando che la stessa debba essere poi oggetto di reversione nel caso non venisse autorizzata. In altri termini, secondo l’AG, l’obbligo di standstill costituirebbe un puro onere finanziario a carico delle imprese per non potere completare l’operazione, dovuto all’attesa della sua valutazione da parte dell’autorità garante, posto che in caso di mancata autorizzazione la concentrazione dovrà essere dissolta. Tutt’altro, quindi, rispetto ad uno strumento indispensabile per garantire un controllo efficace delle operazioni di concentrazione, come confermato, peraltro, dall’assenza di un tale obbligo in diverse giurisdizioni nazionali (Italia e Regno Unito, per citarne alcune).
L’AG ha sottolineato la necessità di una definizione dell’obbligo di standstill in negativo, ovvero attraverso l’individuazione di quelle misure che non costituiscano ipotesi di gun jumping. Secondo l’AG questa soluzione sarebbe necessaria per mantenere un equilibrio tra le esigenze di certezza del diritto a favore delle imprese e la conservazione di spazi di discrezionalità per la Commissione europea nel monitoraggio delle condotte delle prime, posto che l’individuazione di ipotesi in positivo rischierebbe di escludere misure preparatorie altrimenti rilevanti e vincolare eccessivamente la Commissione.
Con queste premesse, l’AG ha quindi ritenuto che il concetto di concentrazione, ovvero l’acquisizione del controllo attraverso l’esercizio di un’influenza determinante su di un’altra impresa, sia determinante per definire il contenuto dell’obbligo di standstill. Misure preparatorie - e tale sarebbe il caso di misure che precedono e godono di una propria autonomia, in quanto isolabili, rispetto a quelle misure che consentono di esercitare un’influenza determinante - non potranno in alcun caso costituire un’ipotesi di gun jumping. Risulterebbe, infatti, eccessivamente gravoso per le imprese dovere attendere l’esito della valutazione dell’operazione anche in relazione a misure che non sono riconducibili al trasferimento del controllo.
L’AG ha infine escluso la rilevanza, nella definizione del contenuto dell’obbligo di standstill, di potenziali o attuali effetti sul mercato delle misure adottate dalle imprese, in quanto la violazione dell’obbligo dovrebbe soltanto essere parametrata alla sussistenza o meno del cambio di controllo. Questa analisi ha quindi condotto l’AG a ritenere che la risoluzione dell’accordo tra KPMG DK e KPMG INT, sebbene connessa intrinsecamente all’operazione di concentrazione, non avesse alcuna incidenza sul trasferimento del controllo da KPMG DK a EY. L’unico effetto di quell’atto sarebbe stato il venire meno della partecipazione di KPMG DK al network di KPMG INT, senza alcuna ripercussione sulla capacità della società di consulenza di competere nei confronti di EY sul mercato danese.
Certo, le conclusioni dell’AG, per come argomentate, prestano il fianco a considerazioni critiche, posto che non è evidente per quale ragione KPMG DK abbia dovuto recedere dall’accordo di cooperazione, se non, per l’appunto, in virtù del suo passaggio in EY e che, se è vero che la società di consulenza, in ipotesi di mancato perfezionamento dell’operazione sarebbe comunque rimasta sul mercato come concorrente di EY, è evidente che ciò sarebbe avvenuto fuori dall’organizzazione KPMG, certamente più temibile per EY, con ciò di per sè determinando una modifica della struttura dell’offerta del mercato dei servizi di consulenza in Danimarca. A meno che, ma sarebbe difficile da giustificare alla luce di quanto previsto dalla normativa, nella visione dell’AG soltanto misure dirette a facilitare operazioni di ridefinizione della governance potranno rilevare come violazione dell’obbligo di standstill. Resta da vedere quale sarà il posizionamento finale della CdG.
Mario Cistaro
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Il TMC ha chiesto lumi alla CdG in merito alla definizione e interpretazione dell’obbligo di non eseguire un’operazione di concentrazione, c.d. standstill, in pendenza della relativa autorizzazione della competente autorità antitrust. La vicenda assume un’evidente rilevanza, posto che la sanzione in caso di violazione dell’obbligo in questione può, nell’ordinamento europeo, arrivare sino al 10% del fatturato dell’impresa interessata.
Il procedimento finito dinnanzi alla CdG nasce dall’accertamento e condanna, da parte dell’autorità garante della concorrenza del paese scandinavo, nei confronti della società di consulenza Ernst Young P/S (EY), proprio per la violazione dell’obbligo in questione. Qui di seguito, brevemente, si fornisce la cronologa degli eventi rilevanti: EY aveva acquisito nel maggio del 2014 il controllo della società di consulenza KPMG Ejendomme Flintholm K/S (KPMG DK), società precedentemente affiliata alla rete del gruppo mondiale della revisione KPMG. Nel novembre del 2013, subito dopo la sottoscrizione dell’accordo con EY e in esecuzione di questo, ma prima della autorizzazione da parte dell’autorità antitrust danese, KPMG DK aveva quindi notificato alla società KPMG International (KPMG INT) la propria volontà di risolvere, con effetti a decorrere dal successivo 30 settembre 2014, il contratto di cooperazione che la legava alla rete KPMG.
L’autorità danese aveva successivamente ritenuto che una tale misura costituisse un’attuazione prematura, c.d. gun jumping, dell’operazione di concentrazione, violazione dell’obbligo di standstill, presente anche nella normativa rilevante danese in maniera analoga a quanto previsto nel Regolamento europeo sulle concentrazioni (Reg. n. 139/2004). L’autorità invero aveva ritenuto che la comunicazione della disdetta dalla rete KPMG rappresentasse l’illecita prematura attuazione dell’operazione. Ciò in quanto la disdetta era direttamente connessa all’operazione con EY (merger specific), era irreversibile e aveva effetti potenziali sul mercato. EY aveva quindi impugnato tale decisione avanti al TMC, che aveva operato il rinvio alla CdG, stante la sostanziale identità della normativa rilevante danese e quella europea.
L’AG, nelle conclusioni in commento, giunge a conclusioni opposte a quelle dell’autorità danese, muovendo da presupposti diversi, e conclude che la risoluzione dell’accordo di KPMG DK con KPMG INT non costituirebbe un’ipotesi di gun jumping.
Disattendendo le argomentazioni del governo danese e della Commissione, l’AG ha evidenziato in primo luogo la limitata funzione che l’obbligo di standstill avrebbe nel regime di controllo ex ante europeo delle concentrazioni. La sua funzione sarebbe esclusivamente di deterrenza delle imprese dall’eseguire prematuramente una concentrazione, evitando che la stessa debba essere poi oggetto di reversione nel caso non venisse autorizzata. In altri termini, secondo l’AG, l’obbligo di standstill costituirebbe un puro onere finanziario a carico delle imprese per non potere completare l’operazione, dovuto all’attesa della sua valutazione da parte dell’autorità garante, posto che in caso di mancata autorizzazione la concentrazione dovrà essere dissolta. Tutt’altro, quindi, rispetto ad uno strumento indispensabile per garantire un controllo efficace delle operazioni di concentrazione, come confermato, peraltro, dall’assenza di un tale obbligo in diverse giurisdizioni nazionali (Italia e Regno Unito, per citarne alcune).
L’AG ha sottolineato la necessità di una definizione dell’obbligo di standstill in negativo, ovvero attraverso l’individuazione di quelle misure che non costituiscano ipotesi di gun jumping. Secondo l’AG questa soluzione sarebbe necessaria per mantenere un equilibrio tra le esigenze di certezza del diritto a favore delle imprese e la conservazione di spazi di discrezionalità per la Commissione europea nel monitoraggio delle condotte delle prime, posto che l’individuazione di ipotesi in positivo rischierebbe di escludere misure preparatorie altrimenti rilevanti e vincolare eccessivamente la Commissione.
Con queste premesse, l’AG ha quindi ritenuto che il concetto di concentrazione, ovvero l’acquisizione del controllo attraverso l’esercizio di un’influenza determinante su di un’altra impresa, sia determinante per definire il contenuto dell’obbligo di standstill. Misure preparatorie - e tale sarebbe il caso di misure che precedono e godono di una propria autonomia, in quanto isolabili, rispetto a quelle misure che consentono di esercitare un’influenza determinante - non potranno in alcun caso costituire un’ipotesi di gun jumping. Risulterebbe, infatti, eccessivamente gravoso per le imprese dovere attendere l’esito della valutazione dell’operazione anche in relazione a misure che non sono riconducibili al trasferimento del controllo.
L’AG ha infine escluso la rilevanza, nella definizione del contenuto dell’obbligo di standstill, di potenziali o attuali effetti sul mercato delle misure adottate dalle imprese, in quanto la violazione dell’obbligo dovrebbe soltanto essere parametrata alla sussistenza o meno del cambio di controllo. Questa analisi ha quindi condotto l’AG a ritenere che la risoluzione dell’accordo tra KPMG DK e KPMG INT, sebbene connessa intrinsecamente all’operazione di concentrazione, non avesse alcuna incidenza sul trasferimento del controllo da KPMG DK a EY. L’unico effetto di quell’atto sarebbe stato il venire meno della partecipazione di KPMG DK al network di KPMG INT, senza alcuna ripercussione sulla capacità della società di consulenza di competere nei confronti di EY sul mercato danese.
Certo, le conclusioni dell’AG, per come argomentate, prestano il fianco a considerazioni critiche, posto che non è evidente per quale ragione KPMG DK abbia dovuto recedere dall’accordo di cooperazione, se non, per l’appunto, in virtù del suo passaggio in EY e che, se è vero che la società di consulenza, in ipotesi di mancato perfezionamento dell’operazione sarebbe comunque rimasta sul mercato come concorrente di EY, è evidente che ciò sarebbe avvenuto fuori dall’organizzazione KPMG, certamente più temibile per EY, con ciò di per sè determinando una modifica della struttura dell’offerta del mercato dei servizi di consulenza in Danimarca. A meno che, ma sarebbe difficile da giustificare alla luce di quanto previsto dalla normativa, nella visione dell’AG soltanto misure dirette a facilitare operazioni di ridefinizione della governance potranno rilevare come violazione dell’obbligo di standstill. Resta da vedere quale sarà il posizionamento finale della CdG.
Mario Cistaro
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Diritto della concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e servizi postali – L’AGCM sanziona Poste Italiane per oltre 23 milioni di euro per condotte abusive sui grandi clienti business
Con la decisione pubblicata lo scorso 15 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso il procedimento istruttorio A493, avviato nel giugno 2016 (e commentato in questa Newsletter), irrogando a Poste Italiane (PI) una sanzione di oltre 23 milioni di euro. Ciò in quanto l’AGCM ha accertato un abuso di posizione dominante nel mercato del recapito degli invii multipli di corrispondenza ordinaria, ossia dei servizi di corrispondenza ordinaria dedicati ai clienti business, quali ad esempio banche, assicurazioni, public utilities, che hanno necessità di spedire corrispondenza massiva soprattutto per le comunicazioni con la propria clientela (ad esempio, estratti conto e bollette).
Secondo l’AGCM, sin dal 2014 PI avrebbe posto in essere una strategia escludente offrendo ai clienti finali condizioni economiche e tecniche non replicabili dai concorrenti, i quali devono necessariamente ricorrere ai servizi di PI per il recapito nelle aree meno sviluppate e meno densamente popolate (c.d. aree extra urbane), dove è presente solo PI, disponendo quest’ultima di una rete capillare estesa su tutto il territorio nazionale e su tutte le aree di destinazione della corrispondenza dei grandi clienti business. PI avrebbe inoltre adottato una strategia di recupero dei clienti passati ai propri concorrenti, offrendo condizioni e sconti selettivi e fidelizzanti, subordinati però all’affidamento della totalità o di una parte sostanziale del fabbisogno del cliente calcolato in termini di invii da recapitare.
Più nello specifico, l’AGCM ha accertato l’illegittimità del rifiuto opposto da PI di fornire ai propri concorrenti – nelle aree extra urbane in cui solo PI è presente con una propria rete distributiva – il nuovo servizio Posta Time (ossia un servizio di recapito che consente di avere una certificazione su luogo, data e ora del recapito), che PI riserva ai soli clienti finali, rendendo invece disponibile ai propri concorrenti il servizio Posta Massiva (servizio di recapito privo del servizio aggiuntivo di tracciatura offerto da Posta Time), caratterizzato da prezzi più alti e da qualità tecniche inferiori. In tal modo, PI avrebbe costretto i propri concorrenti a dover corrispondere alla prima per tale servizio di recapito un prezzo superiore a quello del prodotto finale che PI vende ai propri clienti, impedendo ai concorrenti di competere efficacemente nel mercato finale degli invii multipli.
L’AGCM ha difatti rilevato l’esistenza di un mercato intermedio dei servizi di recapito la cui domanda è costituita dagli operatori postali che, per completare la propria offerta dei servizi end-to-end sul mercato finale, necessitano di accedere ai servizi postali dell’operatore incumbent (ossia PI), dal momento che dispongono solo di una rete parziale, in termini di aree geografiche coperte e/o di attività postali svolte. In simile contesto, il servizio di distribuzione offerto da PI nelle aree in cui tali concorrenti non sono presenti con una rete propria rappresenta per questi ultimi un input necessario per assicurare ai clienti un servizio a copertura nazionale, e operare in concorrenza nel mercato finale degli invii multipli di corrispondenza ordinaria. Pertanto, a giudizio dell’AGCM, il rifiuto di PI di mettere a disposizione dei propri concorrenti il servizio di posta certificata Posta Time, riservando loro il ben più costoso servizio Posta Massiva (che l’AGCM, nonostante l’obiezione mossa da PI, ha considerato, per quanto riguarda la clientela business, un prodotto pienamente sostituibile con la posta certificata, appartenendo ad un unico mercato rilevante dal punto di vista merceologico) si tradurrebbe in una illegittima compressione dei margini della concorrenza (c.d. margin squeeze), finalizzata a rendere non replicabile la propria offerta da concorrenti altrettanto efficienti nel mercato finale degli invii multipli.
Tale strategia escludente, secondo l’AGCM, sarebbe stata ulteriormente perpetrata da PI mediante offerte selettive e personalizzate di natura fidelizzante riservate ai clienti finali considerati strategici (ossia i grandi clienti business) al fine di recuperare i volumi gestiti dai concorrenti (c.d. win-back). In particolare, PI avrebbe offerto a tali clienti una copertura estesa a tutto il territorio nazionale a prezzi scontati, a condizione che il cliente affidasse a PI l’intero fabbisogno o una parte sostanziale dello stesso. E ciò, secondo l’AGCM, avrebbe ulteriormente impedito ai concorrenti di PI di competere efficacemente con la stessa sul mercato finale degli invii multipli.
In considerazione della elevata gravità della condotta (avendo la stessa prodotto concreti effetti sulle dinamiche concorrenziali, ostacolando il processo di liberalizzazione dei mercati dei servizi postali), l’AGCM ha deliberato di irrogare a PI una sanzione di oltre 23 milioni di euro, nonché di ordinare a PI di cessare la condotta ancora in atto.
Martina Bischetti
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Secondo l’AGCM, sin dal 2014 PI avrebbe posto in essere una strategia escludente offrendo ai clienti finali condizioni economiche e tecniche non replicabili dai concorrenti, i quali devono necessariamente ricorrere ai servizi di PI per il recapito nelle aree meno sviluppate e meno densamente popolate (c.d. aree extra urbane), dove è presente solo PI, disponendo quest’ultima di una rete capillare estesa su tutto il territorio nazionale e su tutte le aree di destinazione della corrispondenza dei grandi clienti business. PI avrebbe inoltre adottato una strategia di recupero dei clienti passati ai propri concorrenti, offrendo condizioni e sconti selettivi e fidelizzanti, subordinati però all’affidamento della totalità o di una parte sostanziale del fabbisogno del cliente calcolato in termini di invii da recapitare.
Più nello specifico, l’AGCM ha accertato l’illegittimità del rifiuto opposto da PI di fornire ai propri concorrenti – nelle aree extra urbane in cui solo PI è presente con una propria rete distributiva – il nuovo servizio Posta Time (ossia un servizio di recapito che consente di avere una certificazione su luogo, data e ora del recapito), che PI riserva ai soli clienti finali, rendendo invece disponibile ai propri concorrenti il servizio Posta Massiva (servizio di recapito privo del servizio aggiuntivo di tracciatura offerto da Posta Time), caratterizzato da prezzi più alti e da qualità tecniche inferiori. In tal modo, PI avrebbe costretto i propri concorrenti a dover corrispondere alla prima per tale servizio di recapito un prezzo superiore a quello del prodotto finale che PI vende ai propri clienti, impedendo ai concorrenti di competere efficacemente nel mercato finale degli invii multipli.
L’AGCM ha difatti rilevato l’esistenza di un mercato intermedio dei servizi di recapito la cui domanda è costituita dagli operatori postali che, per completare la propria offerta dei servizi end-to-end sul mercato finale, necessitano di accedere ai servizi postali dell’operatore incumbent (ossia PI), dal momento che dispongono solo di una rete parziale, in termini di aree geografiche coperte e/o di attività postali svolte. In simile contesto, il servizio di distribuzione offerto da PI nelle aree in cui tali concorrenti non sono presenti con una rete propria rappresenta per questi ultimi un input necessario per assicurare ai clienti un servizio a copertura nazionale, e operare in concorrenza nel mercato finale degli invii multipli di corrispondenza ordinaria. Pertanto, a giudizio dell’AGCM, il rifiuto di PI di mettere a disposizione dei propri concorrenti il servizio di posta certificata Posta Time, riservando loro il ben più costoso servizio Posta Massiva (che l’AGCM, nonostante l’obiezione mossa da PI, ha considerato, per quanto riguarda la clientela business, un prodotto pienamente sostituibile con la posta certificata, appartenendo ad un unico mercato rilevante dal punto di vista merceologico) si tradurrebbe in una illegittima compressione dei margini della concorrenza (c.d. margin squeeze), finalizzata a rendere non replicabile la propria offerta da concorrenti altrettanto efficienti nel mercato finale degli invii multipli.
Tale strategia escludente, secondo l’AGCM, sarebbe stata ulteriormente perpetrata da PI mediante offerte selettive e personalizzate di natura fidelizzante riservate ai clienti finali considerati strategici (ossia i grandi clienti business) al fine di recuperare i volumi gestiti dai concorrenti (c.d. win-back). In particolare, PI avrebbe offerto a tali clienti una copertura estesa a tutto il territorio nazionale a prezzi scontati, a condizione che il cliente affidasse a PI l’intero fabbisogno o una parte sostanziale dello stesso. E ciò, secondo l’AGCM, avrebbe ulteriormente impedito ai concorrenti di PI di competere efficacemente con la stessa sul mercato finale degli invii multipli.
In considerazione della elevata gravità della condotta (avendo la stessa prodotto concreti effetti sulle dinamiche concorrenziali, ostacolando il processo di liberalizzazione dei mercati dei servizi postali), l’AGCM ha deliberato di irrogare a PI una sanzione di oltre 23 milioni di euro, nonché di ordinare a PI di cessare la condotta ancora in atto.
Martina Bischetti
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Antitrust e procedimenti penali – L’AGCM firma due protocolli di intesa con le Procure di Roma e Milano
In data 10 e 11 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha firmato due protocolli d’intesa con le Procure della Repubblica di Roma e Milano (insieme, le Procure). Tali protocolli sono stati conclusi con l’obiettivo di aumentare il grado di efficacia delle misure volte alla prevenzione e al contrasto della corruzione nella Pubblica Amministrazione nonché dell’azione a tutela del buon funzionamento del mercato.
L’ambito di collaborazione tra Procure e AGCM riguarda le istruttorie per violazioni della normativa antitrust, l’attività di cui all’art. 21 bis della l. 287/1990 (riguardante il potere dell’AGCM di impugnare davanti al giudice amministrativo i provvedimenti delle varie amministrazioni pubbliche che si pongono in contrasto con la disciplina antitrust), nonché i procedimenti in materia di tutela del consumatore. La collaborazione riguarderà in particolare un più rapido e maggiore scambio di informazioni tra l’AGCM e le Procure.
In particolare, con riguardo ai procedimenti istruttori di competenza dell’AGCM, la Procura potrà inviare (anche su richiesta della stessa AGCM), copia di una serie di atti quali le richiesta di applicazione di misure cautelari ovvero i provvedimenti di rinvio a giudizio, corredate dai conseguenti atti investigativi (ove ostensibili). Ciò con riguardo a quei reati che interessano il corretto funzionamento del mercato, quali – ad esempio – la turbativa d’asta, oppure che incidono in misura rilevante sugli interessi economici dei consumatori, come la truffa (art. 640 c.p.), nei casi in cui per natura, impatto e dimensione della condotta riguarda la generalità dei consumatori.
Dall’altro lato, qualora la Procura (anche tramite gli Uffici di Polizia Giudiziaria), richiedesse all’AGCM informazioni o documentazione volte a conoscere eventuali attività espletate o provvedimenti resi dall’AGCM in relazione al caso oggetto di indagine, l’AGCM trasmetterà tempestivamente le informazioni richieste. Come indicato nei due protocolli di intesa, tali richieste potranno riguardare anche la fase pre-istruttoria.
Di particolare rilievo appare la previsione che qualora le richieste della procura avessero ad oggetto la documentazione inerente una domanda di clemenza, previa tempestiva informativa, “[l’AGCM e le Procure] si coordinano al fine di salvaguardare l’efficacia delle rispettive indagini…”.
Nei casi di istruttorie, sia in materia di tutela della concorrenza sia di tutela del consumatore, da cui emergono condotte avanti rilievo penale, l’AGCM, fuori dai casi di comunicazioni anonime, ne darà comunicazione senza indugio alla Procura e, successivamente, comunicherà gli esiti dei propri accertamenti, corredati dagli atti istruttori, al fine di consentire un tempestivo avvio delle indagini.
Come indicato nei due protocolli, sarà (ovviamente) necessaria un’attività di coordinamento tra l’AGCM e le Procure al fine di non compromettere il c.d. effetto sorpresa delle attività giudiziarie o amministrative. In particolare, l’AGCM “…informa tempestivamente la Procura delle domande di clemenza ricevute da cui emergano fatti delittuosi contro la Pubblica Amministrazione, procedendo ad un coordinamento al fine di salvaguardare l’efficacia del programma di clemenza e la speditezza delle indagine penali…”.
I protocolli hanno durata quinquennale (rinnovabile). L’AGCM e le Procure si sono impegnate ad incontrarsi almeno a cadenza annuale per verificare lo stato di attuazione dei protocolli.
Jacopo Pelucchi
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L’ambito di collaborazione tra Procure e AGCM riguarda le istruttorie per violazioni della normativa antitrust, l’attività di cui all’art. 21 bis della l. 287/1990 (riguardante il potere dell’AGCM di impugnare davanti al giudice amministrativo i provvedimenti delle varie amministrazioni pubbliche che si pongono in contrasto con la disciplina antitrust), nonché i procedimenti in materia di tutela del consumatore. La collaborazione riguarderà in particolare un più rapido e maggiore scambio di informazioni tra l’AGCM e le Procure.
In particolare, con riguardo ai procedimenti istruttori di competenza dell’AGCM, la Procura potrà inviare (anche su richiesta della stessa AGCM), copia di una serie di atti quali le richiesta di applicazione di misure cautelari ovvero i provvedimenti di rinvio a giudizio, corredate dai conseguenti atti investigativi (ove ostensibili). Ciò con riguardo a quei reati che interessano il corretto funzionamento del mercato, quali – ad esempio – la turbativa d’asta, oppure che incidono in misura rilevante sugli interessi economici dei consumatori, come la truffa (art. 640 c.p.), nei casi in cui per natura, impatto e dimensione della condotta riguarda la generalità dei consumatori.
Dall’altro lato, qualora la Procura (anche tramite gli Uffici di Polizia Giudiziaria), richiedesse all’AGCM informazioni o documentazione volte a conoscere eventuali attività espletate o provvedimenti resi dall’AGCM in relazione al caso oggetto di indagine, l’AGCM trasmetterà tempestivamente le informazioni richieste. Come indicato nei due protocolli di intesa, tali richieste potranno riguardare anche la fase pre-istruttoria.
Di particolare rilievo appare la previsione che qualora le richieste della procura avessero ad oggetto la documentazione inerente una domanda di clemenza, previa tempestiva informativa, “[l’AGCM e le Procure] si coordinano al fine di salvaguardare l’efficacia delle rispettive indagini…”.
Nei casi di istruttorie, sia in materia di tutela della concorrenza sia di tutela del consumatore, da cui emergono condotte avanti rilievo penale, l’AGCM, fuori dai casi di comunicazioni anonime, ne darà comunicazione senza indugio alla Procura e, successivamente, comunicherà gli esiti dei propri accertamenti, corredati dagli atti istruttori, al fine di consentire un tempestivo avvio delle indagini.
Come indicato nei due protocolli, sarà (ovviamente) necessaria un’attività di coordinamento tra l’AGCM e le Procure al fine di non compromettere il c.d. effetto sorpresa delle attività giudiziarie o amministrative. In particolare, l’AGCM “…informa tempestivamente la Procura delle domande di clemenza ricevute da cui emergano fatti delittuosi contro la Pubblica Amministrazione, procedendo ad un coordinamento al fine di salvaguardare l’efficacia del programma di clemenza e la speditezza delle indagine penali…”.
I protocolli hanno durata quinquennale (rinnovabile). L’AGCM e le Procure si sono impegnate ad incontrarsi almeno a cadenza annuale per verificare lo stato di attuazione dei protocolli.
Jacopo Pelucchi
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Tutela del consumatore / Codice del consumo e comparatori turistici online – L’AGCM impone sanzioni per oltre 4 milioni di euro a diversi operatori attivi come agenzie e comparatori turistici online per pratiche commerciali scorrette e violazione dei diritti dei consumatori
Con i provvedimenti pubblicati lo scorso 17 gennaio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha reso noto di aver concluso sei procedimenti istruttori nei confronti di professionisti che operano come agenzie e comparatori turistici online attraverso i siti www.it.lastminute.com, www.volagratis.com, www.opodo.it, www.govolo.it, www.edreams.it e www.gotogate.it per aver asseritamente presentato informazioni non sufficientemente trasparenti e di immediata comprensione per i consumatori in merito all’identità ed alle responsabilità del soggetto che offre il servizio di intermediazione, all’identità della piattaforma per le prenotazioni alberghiere ed ai criteri in base ai quali sono calcolati gli sconti praticati. Le contestazioni hanno riguardato, inoltre, l’applicazione di un supplemento di prezzo in relazione alla tipologia di carta di pagamento utilizzata per l’acquisto di voli (c.d. credit card surcharge) e, in alcuni casi, la previsione di un numero per l’assistenza telefonica post-vendita a tariffazione maggiorata e l’assenza di un indirizzo elettronico che il consumatore potesse utilizzare per comunicare efficacemente con il professionista.
I procedimenti erano stati avviati sulla base di segnalazioni pervenute da associazioni di consumatori e ad esito del c.d. Sweep 2016, ossia dell’attività di verifica di 352 siti web di comparatori turistici nell’UE coordinata dalla Commissione europea. In particolare, l’AGCM si è concentrata su quattro diverse tipologie di condotte, riconducibili (i) alla diffusione di informazioni poco trasparenti od omissive in merito all’identità e al ruolo del professionista (asseritamente non chiariti nell’ambito delle condizioni generali di contratto ovvero nei siti dei professionisti); (ii) per alcuni operatori, all’omissione di informazioni in merito alla scontistica applicata, in quanto non sarebbero stati forniti i criteri sulla base dei quali veniva calcolata la percentuale di sconto applicata i consumatori nella prenotazione di hotel; (iii) all’applicazione di un supplemento di prezzo in relazione alla tipologia di carte di pagamento utilizzate per l’acquisto di voli, nella misura in cui sarebbe stato inserito di default nei siti dei professionisti il prezzo corrispondente ad un eventuale acquisto con lo strumento di pagamento “più economico” e l’importo prospettato sarebbe poi invece stato incrementato in relazione alla scelta del consumatore di pagare con una carta di credito diversa; (iv) all’omissione di indirizzi email o un form tracciabile per comunicare efficacemente con il professionista.
All’esito dell’istruttoria, l’AGCM ha ritenuto che le condotte sub (i) e (ii) costituissero pratiche commerciali scorrette in violazione degli articoli 20 e 22 del Codice del Consumo nella misura in cui, da un lato, non sarebbe stato indicato chiaramente il ruolo di intermediario svolto dal professionista e, conseguentemente, le sue responsabilità nei confronti dei consumatori: secondo l’AGCM non era chiaro chi fosse il soggetto cui potersi rivolgere per presentare reclami, chiedere rimborsi, modifiche e/o cancellazioni delle prenotazioni effettuate. Dall’altro, la prospettazione pubblicitaria, includendo un prezzo iniziale, la percentuale di sconto applicata ed il prezzo finale del servizio, non sarebbe stata corredata di elementi volti a rappresentare i criteri in base ai quali è determinata l’entità di tali sconti, risultando quindi forviante perché vengono omesse informazioni rilevanti concernenti la formazione del prezzo su cui il consumatore basa la propria decisione consapevole.
Inoltre, le condotte sub (iii) e (iv) sono state ritenute lesive dei diritti dei consumatori, in violazione degli articoli 62, 49 e 64 del Codice del consumo. Quanto alla condotta sub (iii), l’AGCM, invero in maniera alquanto contraddittoria, ha ritenuto che le modalità utilizzate dai professionisti di presentare, a seguito di una ricerca di uno specifico volo aereo senza indicare il mezzo di pagamento, come prezzo risultante nella successiva schermata quello relativo all’utilizzo della carta di credito che garantiva i maggiori sconti, costituisse una variazione di prezzo “inequivocabilmente qualificabile come supplemento” piuttosto che come sconto applicato per l’utilizzo di un diverso strumento di pagamento. A nulla è valso ricordare all’AGCM dei propri recenti precedenti, in alcuni casi anche in relazione al medesimo comparatore, in cui una simile presentazione del prezzo era stata di contro da essa stessa “validata”.
Quanto invece alla condotta sub (iv), l’AGCM ha ritenuto violato il diritto dei consumatori a ricevere informazioni in merito ai recapiti per contattare rapidamente il professionista e comunicare efficacemente con esso, in quanto i contatti indicati dai professionisti sono stati ritenuti inutilizzabili ai fini dell’ordinaria assistenza, ovvero prevedevano costi superiori rispetto alla tariffa di base.
Con i provvedimenti in commento, si conferma dunque la grande attenzione rivolta dall’AGCM al mondo del commercio online ed in particolare ai siti comparatori. Tuttavia, l’AGCM sembrerebbe aver mancato di cogliere alcune peculiarità del settore e, soprattutto, non aver tenuto conto delle posizioni precedentemente assunte dalla stessa AGCM sulle medesime circostanze. La parola, verosimilmente, spetterà ora agli organi di giustizia amministrativa.
Cecilia Carli
I procedimenti erano stati avviati sulla base di segnalazioni pervenute da associazioni di consumatori e ad esito del c.d. Sweep 2016, ossia dell’attività di verifica di 352 siti web di comparatori turistici nell’UE coordinata dalla Commissione europea. In particolare, l’AGCM si è concentrata su quattro diverse tipologie di condotte, riconducibili (i) alla diffusione di informazioni poco trasparenti od omissive in merito all’identità e al ruolo del professionista (asseritamente non chiariti nell’ambito delle condizioni generali di contratto ovvero nei siti dei professionisti); (ii) per alcuni operatori, all’omissione di informazioni in merito alla scontistica applicata, in quanto non sarebbero stati forniti i criteri sulla base dei quali veniva calcolata la percentuale di sconto applicata i consumatori nella prenotazione di hotel; (iii) all’applicazione di un supplemento di prezzo in relazione alla tipologia di carte di pagamento utilizzate per l’acquisto di voli, nella misura in cui sarebbe stato inserito di default nei siti dei professionisti il prezzo corrispondente ad un eventuale acquisto con lo strumento di pagamento “più economico” e l’importo prospettato sarebbe poi invece stato incrementato in relazione alla scelta del consumatore di pagare con una carta di credito diversa; (iv) all’omissione di indirizzi email o un form tracciabile per comunicare efficacemente con il professionista.
All’esito dell’istruttoria, l’AGCM ha ritenuto che le condotte sub (i) e (ii) costituissero pratiche commerciali scorrette in violazione degli articoli 20 e 22 del Codice del Consumo nella misura in cui, da un lato, non sarebbe stato indicato chiaramente il ruolo di intermediario svolto dal professionista e, conseguentemente, le sue responsabilità nei confronti dei consumatori: secondo l’AGCM non era chiaro chi fosse il soggetto cui potersi rivolgere per presentare reclami, chiedere rimborsi, modifiche e/o cancellazioni delle prenotazioni effettuate. Dall’altro, la prospettazione pubblicitaria, includendo un prezzo iniziale, la percentuale di sconto applicata ed il prezzo finale del servizio, non sarebbe stata corredata di elementi volti a rappresentare i criteri in base ai quali è determinata l’entità di tali sconti, risultando quindi forviante perché vengono omesse informazioni rilevanti concernenti la formazione del prezzo su cui il consumatore basa la propria decisione consapevole.
Inoltre, le condotte sub (iii) e (iv) sono state ritenute lesive dei diritti dei consumatori, in violazione degli articoli 62, 49 e 64 del Codice del consumo. Quanto alla condotta sub (iii), l’AGCM, invero in maniera alquanto contraddittoria, ha ritenuto che le modalità utilizzate dai professionisti di presentare, a seguito di una ricerca di uno specifico volo aereo senza indicare il mezzo di pagamento, come prezzo risultante nella successiva schermata quello relativo all’utilizzo della carta di credito che garantiva i maggiori sconti, costituisse una variazione di prezzo “inequivocabilmente qualificabile come supplemento” piuttosto che come sconto applicato per l’utilizzo di un diverso strumento di pagamento. A nulla è valso ricordare all’AGCM dei propri recenti precedenti, in alcuni casi anche in relazione al medesimo comparatore, in cui una simile presentazione del prezzo era stata di contro da essa stessa “validata”.
Quanto invece alla condotta sub (iv), l’AGCM ha ritenuto violato il diritto dei consumatori a ricevere informazioni in merito ai recapiti per contattare rapidamente il professionista e comunicare efficacemente con esso, in quanto i contatti indicati dai professionisti sono stati ritenuti inutilizzabili ai fini dell’ordinaria assistenza, ovvero prevedevano costi superiori rispetto alla tariffa di base.
Con i provvedimenti in commento, si conferma dunque la grande attenzione rivolta dall’AGCM al mondo del commercio online ed in particolare ai siti comparatori. Tuttavia, l’AGCM sembrerebbe aver mancato di cogliere alcune peculiarità del settore e, soprattutto, non aver tenuto conto delle posizioni precedentemente assunte dalla stessa AGCM sulle medesime circostanze. La parola, verosimilmente, spetterà ora agli organi di giustizia amministrativa.
Cecilia Carli